Autore: Redazione

  • OLI 393: ESTERI – Voci dalla stampa internazionale



    Bangladesh: Il minimo per vivere
    The Guardian del 14 novembre 2013: Dal 1 dicembre il salario minimo degli operai tessili in Bangadesh aumenterà del 77 per cento, arrivando all’equivalente di 67 dollari al mese. Un compromesso raggiunto dal Governo e dai sindacati del settore dopo mesi di manifestazioni. Il sindacato però chiedeva di arrivare a 104,72 dollari al mese.
    http://www.theguardian.com/world/2013/nov/14/bangladesh-garment-workers-pay-rise

    British Counsil insegnate l’arabo nelle scuole
    L’Independent del 20 novembre 2013: “In un rapporto pubblicato oggi dal British Council l’arabo è classificato più importante del francese fra le lingue che i bambini dovrebbero imparare a scuola.” http://www.independent.co.uk/news/education/education-news/arabic-beats-french-mandarin-beats-german-and-spanish-is-best-uks-international-education-body-highlights-most-important-foreign-languages-to-learn-8949872.html

    USA: come sono visti i ricchi
    Il Washington Post del 27 novembre 2013: “Il 43 per cento degli intervistati ha detto che le persone ricche hanno più probabilità rispetto alla media degli americani di essere intelligenti e il 42 per cento ritiene che i ricchi lavorano più duro di tutti gli altri. I buoni ricchi! Il 53 per cento dice che le persone benestanti hanno più probabilità di essere avidi e il 34 per cento pensa che i ricchi hanno meno probabilità di essere onesti. I cattivi ricchi.” http://www.washingtonpost.com/opinions/the-deal-with-rich-people/2013/11/27/7b4b47d8-5318-11e3-9fe0-fd2ca728e67c_story_1.html

    USA: come si guardano i poveri
    Il New York Times del 28 novembre 2013: “Susan Friske, professoressa di psicologia all’Università di Princeton, ha scoperto che quando i soggetti della ricerca collegate ad una macchina di neuro-immagine guardano le foto dei poveri e dei senzatetto, i loro cervelli spesso reagiscono come se stanno vedendo cose, non persone. La sua analisi suggerisce che gli americani a volte reagiscono alla povertà non con simpatia ma con repulsione”. http://www.nytimes.com/2013/11/28/opinion/kristof-where-is-the-love.html?ref=todayspaper&_r=0&_r=1&

    L’Angola “vieta” l’Islam, immaginare un governo che “vieta” il cristianesimo.
    Il Guardian del 28 novembre 2013: “L’Angola è stato accusato di “vietare” l’Islam dopo aver spento la maggior parte delle moschee del paese e dopo le notizie di violenza e intimidazione contro le donne che indossano il velo. La Comunità Islamica di Angola ( ICA) sostiene che otto moschee sono state distrutte negli ultimi due anni e chi pratica l’Islam rischia di essere riconosciuto colpevole di aver disobbedito al codice penale dell’Angola.” http://www.theguardian.com/world/2013/nov/28/angola-accused-banning-islam-mosques

    Pedofilia nella Chiesa libanese, notare la “severa” punizione
    NOW.MMEDIA del 2 dicembre 2013: del “Appena due mesi dopo che il sacerdote maronita cattolico Padre Mansour Labaki è stato riconosciuto colpevole dal Vaticano di aver aggredito sessualmente tre minorenni (e al quale è stata data la severa punizione di “preghiera e penitenza”), il capo di un monastero greco-ortodosso di Koura, Archimandrite Panteleimon Farah è stata destituito dal vescovo del Monte Libano Giorgio Khodr e condannato all’isolamento all’interno del suo monastero per aver commesso «pratiche contrarie alla vita cristiana e alla vocazione monastica» – poi risultate essere molestie conro giovani.” https://now.mmedia.me/lb/en/newsandpolitics/523627-another-church-scandal-in-lebanon

    Pulizia etnica nel 21° secolo
    Il Guardian del 29 novembre 2013: “Decine di migliaia di beduini palestinesi sono costretti a spostarsi dalle loro case e terre. Allo stesso tempo, ci sono annunci del governo israeliano sul web che ti promettono finanziamenti come un immigrato inglese di venire a vivere in “comunità vibranti” nel Negev, se siete ebreo. Questa è pulizia etnica”. http://www.theguardian.com/world/2013/nov/29/britons-protest-israel-plan-remove-palestinian-bedouin

    Arabia Saudita: “notizia” dai media sauditi
    ARABNEWS del 1 dicembre 2013: “Sospetti clandestini etiopi hanno attaccato un uomo saudita e inciso una croce cristiana sul suo petto con un pezzo di metallo prima di fuggire”. http://www.arabnews.com/news/485861

    Siria: Jihadisti inglesi
    Il Daily Mail del 30 novembre 21013: “un uomo britannico che era stato ucciso combattendo a fianco degli estremisti legati ad al Qaeda in Siria, aveva finanziato il suo viaggio con rapine a persone in una zona ricca di Londra”. http://www.dailymail.co.uk/news/article-2516137/The-Al-Qaeda-fanatic-Britain-funded-jihad-trip-Syria-mugging-Londoners-Taser.html

    Siria: “da un gruppo di fratelli a signori di guerra”
    Il Telegraph del 30 novembre 2013: “L’Esercito Siriano Libero che ha iniziato come un semplice gruppo di combattenti contro Assad, sta ora facendo milioni con corruzione ed estorsione”. http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/syria/10485970/Syria-dispatch-from-band-of-brothers-to-princes-of-war.html

    Palestina: per i bambini palestinesi non c’è sicurezza nemmeno nelle case loro
    Electronic Intifada del 28 novembre 2013: “Per i bambini, come Muhammad al-Majid di quattro anni, non c’è sicurezza nemmeno nelle loro case, perché le forze di occupazione israeliane possono invadere le case in qualsiasi momento del giorno o della notte. Secondo DCI, sono 179 i bambini palestinesi che sono stati imprigionati e processati nel sistema giudiziario israeliano al 30 settembre”. http://electronicintifada.net/blogs/ali-abunimah/israeli-forces-raid-home-arrest-4-year-old-dad-says
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 393: GRECIA – Il rebetiko di Vinicio Capossela


    Manolis Pappos

    Mercoledì 3 dicembre, in contemporanea in una sessantina di sale cinematografiche italiane, è stato proiettato «Indebito», il film-documentario di Vinicio Capossela ed Andrea Segre sulla Grecia e sulla musica rebetika.
    Il rebetiko, un genere nato verso la fine dell’800, ha il periodo d’oro tra i primi anni 20 e l’inizio della seconda guerra mondiale: suoi principali protagonisti sono i profughi greci espulsi dalla Turchia nel 1922, alla fine del conflitto greco-turco (1919-1922). Circa due milioni di persone, che si rifugiarono principalmente nei porti di Salonicco e del Pireo, portandosi dietro cultura e musica: i temi trattati non sono mai politici, si parla di alcool, droga, amore, prigione, ma il rebetiko è comunque inviso al potere. Sarà questa sua «alterità» rispetto alle varie dittature succedutesi in Grecia (da Metaxas negli anni 30 al regime dei colonnelli tra il 1967 ed il 1974), a conferire al genere grande popolarità, favorita anche dall’attenzione di musicisti «colti», quali Mikis Theodorakis e Manos Hatzidakis.

    Evghenios Voulgaris

    Non stupisce che Vinicio Capossela, uno dei più «curiosi» musicisti italiani, dopo più di dieci anni di frequentazione della Grecia e delle sue tradizioni musicali, abbia prodotto, in sequenza, un CD (Rebetiko Gymnastas), un libro (Tefteri, ‘il libro dei conti in sospeso’), ed ‘Indebito’, film-documentario, in cui diversi musicisti ci descrivono il loro rapporto con la musica, gli stati d’animo ad essa sottesi, e ci fanno ascoltare le loro voci e i loro strumenti nell’ambiente più naturale, le taverne di Atene, del Pireo, di Salonicco, tra un bicchiere di ouzo, o di tsipuro, e qualche mezes.
    La Grecia di oggi non è solo rebetiko è, ovviamente, crisi economica: realtà ingombrante che in ‘Indebito’, nonostante il titolo, fa appena capolino.

    Dimitris Mitsakidis

    Ma tra rebetiko e crisi c’è una relazione. Nato per dare voce al dolore e alla speranza, in altri anni difficili questo genere musicale è stato uno strumento culturale ed emotivo che ha aiutato le persone che vivevano al margine ad affrontare le difficoltà e a rivendicare la dignità di una cultura e di uno stile di vita.
    Oggi torna ad essere un rifugio per non scomparire unicamente nella depressione, una finestra poetica da cui guardare a se stessi e allo ‘pseftiko dounià’, al mondo menzognero in cui viviamo.
    Capossela sembra avere perfettamente interiorizzato il mood, lo stato d’animo che pervade chi suona e chi ascolta questa musica. Ma dire ‘ascolta’ è improprio: chi siede nelle taverne di certo non si limita ad ascoltare, ma canta, beve, mangia, parla, piange, e se raggiune lo stato d’animo giusto chiede ai musicisti di eseguire la canzone più amata e la balla. Questo continua a succedere, ovunque, in Grecia, e come viene detto nel film davvero tutti partecipano a questo rito: dalle ragazze e ragazzi giovanissimi, alle persone con ormai molti anni addosso.
    Non è quindi difficile condividere con Vinicio Capossela una delle frasi-chiave del film: «questa musica è rivoltosa perché accende in noi la consapevolezza che ogni attimo è eterno perché è l’ultimo, ed è quello che ci invidiano gli dei».
    (Ivo Ruello, le foto di Paola Pierantoni ritraggono tre dei musicisti presenti nel film)

  • OLI 393: TEATROGIORNALE – Nuda proprietà

    Adriana ha chiuso la porta di ingresso con un gesto di stizza, mastica gli insulti che vorrebbe dire a Cecilia.
    – Non siamo al Colosseo!
    Cecilia è nella camera che era stata lo studio di Ettore, il marito di Adriana. Il divano letto è aperto, sopra vi è una valigia di plastica e stoffa a quadretti.
    -Io me ne torno in Ecuador, signora. Torno da mia figlia, capisce?
    Cecilia è una donna sui 40 anni, ha i jeans con gli strass e una maglia gialla e rossa che le arriva sulle cosce.
    – Le ho fatto un po’ di spesa e le ho lasciato in frigo la cena e il pranzo per domani.
    Cecilia piega una tuta rosa e la mette in borsa vicino a un sacchetto che contiene 8 pinguini che salgono, a ritmo di musica, su una montagna di ghiaccio e scivolano giù.
    – Ha sentito suo figlio?
    È la terza volta che lo chiede in quarantotto ore. Lei lo aveva chiamato una settimana prima per metterlo al corrente che i soldi di sua madre erano finiti e che lei non poteva lavorare per loro a gratis ma sua madre non poteva vivere sola. Il figlio aveva detto che non erano fatti suoi e aveva buttato giù il telefono. Cecilia sospira e piega il pigiama a fiori giallo e verde. Sua madre le tiene sua figlia in Equador e l’aveva vista affaticata il giorno prima su Skype. Ormai Priscilla ha 6 anni, deve aiutare in casa almeno un poco. Ma quando lei tornerà, allora sì che metterà in riga quella piccola viziatella e mette in valigia il pigiama.
    Per Adriana andare dall’ingresso alla cucina è ormai un viaggio, la vista è appannata e i vecchi mobili galleggiano nella penombra. Le sue ossa sono come tenute assieme da dei fili di metallo arrugginiti, troppo corti per permetterle la maggioranza dei movimenti ma la cosa che la fa più arrabbiare è la memoria. Non si ricorda che ha venduto la casa come nuda proprietà senza parlarne col figlio ed è per questo che il figlio la odia; non si ricorda dove ha messo gli occhiali; non si ricorda che ha 87 anni e quando si intravede allo specchio non si riconosce anche se sa che è lei. A volte si ricorda del perché suo figlio la odia e si arrabbia: è la sua vita, la sua casa, lui mica le ha chiesto il permesso prima di sposarsi con quella malummera di sua moglie (moglie di seconda mano visto che ha già una figlia). Cammina piano Adriana, non vuole cadere, non vuole trattenere un istante di più quell’ingrata di Cecilia. Vuole solo arrivare alla sedia in cucina, accendere la televisione e sentire il brusio lontano che ne arriva.
    Adriana tiene la mano destra sul mobile basso dell’ingresso, un po’ per sostegno, un po’ per orientarsi, un po’ per non sentirsi sospesa nel vuoto. Quando era bambina le piaceva stare sospesa, attaccata con le gambe al l’albero di ciliegie e dondolare, il vestito di lana marrone e la camicia di flanella sul viso. Sua madre che la sgrida ma che tiene i grappoli di ciliegie che lei le ha regalato sulle orecchie come fossero degli orecchini.
    – La mamma aveva i capelli neri.
    Sussurra Adriana mentre le dita nodose fanno cadere una boccetta di ceramica su un centrino; la boccetta, cadendo, fa un rumore sordo. Nessuno lo sente.
    Cecilia esce dalla stanza con la giacca blu col cappuccio col pelo, ha la valigia in mano.
    – Signora, io vado.
    Adriana non si gira, ormai è arrivata in fondo al mobile dell’ingresso.
    – Le metto qua le chiavi e il resto della spesa.
    Cecilia lascia una banconota da 10 euro sul mobile e un mazzo di chiavi senza portachiavi.
    – Sul vostro conto ci sono ancora 100 euro. La pensione arriverà tra 15 giorni. Spero che vostro figlio venga presto.
    – Chiudi la porta.
    Dice Adriana e aspetta che la porta sbatta per continuare la sua traversata verso la cucina: c’è l’angolo, si gira a destra, davanti c’è il bagno e la porta è aperta.
    – Ma viveva al Colosseo quella lì?
    Biascica e si incammina per chiudere la porta, le dita artritiche si chiudono attorno alla maniglia in ottone. Il bagno… quando era piccola non voleva mai farsi il bagno la domenica ma stava sempre con le gambe nell’acqua del fiume, tanto che le era venuta la febbre reumatica ed era stata a letto due mesi e in quei giorni vedeva la mamma sbiadita, così come ora vede il lavabo del bagno.
    Chiude la porta del bagno e si gira per raggiungere la porta della cucina, tiene la mano sulla carta da parati ruvida. Fuori sta facendo nuvolo, da dietro le tende bianche la luce si affievolisce, i contorni del tavolo e delle sedie si fanno sempre più confusi.
    – Dove é andata Cecilia? Mi tocca aspettarla quella lì. Mai una volta che mi dica quando torna.
    Adriana alza la sedia e la porta indietro, la sedia stride contro il pavimento ma nessuno la sente. Il telecomando nero è sopra il tavolo, lo prende e schiaccia un tasto a caso. La televisione si accende. Adriana si siede, il suo volto è illuminato da una luce verdognola.

    Da La stampa: Anziani in crisi, volano le vendite della nuda proprietà.

  • OLI 392: PAROLE DEGLI OCCHI – Per ricordare Alessandro

    Fotografia di Paola Pierantoni
    Questo disegno orna dalla scorsa domenica la futura ‘Piazza Don Gallo’, nel Ghetto di Genova. 
    C’è stata una piccola festa al GhettUp per ricordare Alessandro D’Alessandro, che viveva nel quartiere, e avrebbe compiuto gli anni proprio quel giorno.  Invece è morto improvvisamente, troppo giovane. 
    Il dipinto è opera di Alessandra, Chiara, Helga per ricordare che Alessandro, decoratore raffinato, abitante del quartiere, si era offerto di rendere più preziosa questa piazza finalmente rinata.

  • OLI 392: LAVORO – Sara, Elina e un pianoforte

    Sara da Milano, friulana, risata cristallina, Elina finlandese da Lussemburgo, poche parole, sguardo diretto, hanno in comune l’Università, entrambe hanno studiato ad Edimburgo, generazioni in viaggio, leva ’90, anno più anno meno, studiose e la Scozia premia i ragazzi d’impegno con l’università gratis.
    Laureate a giugno, tutte e due si sono fermate nel Regno Unito, Elina ha vinto un dottorato in neuroscienze, sede a Londra, mentre già vi si era trasferita Sara a ferragosto per lavorare in una casa di numismatica, le amiche ancora insieme. Ecco arrivare per Sara un’offerta di lavoro presso una casa d’aste di Edimburgo, dove aveva fatto uno stage, un sogno per lei che ha studiato arte, mentre per Elina c’è la conferma di borsa di studio per quattro anni del suo dottorato.
    Dieci giorni per cambiare casa e vita, partono da Londra, Sara con i suoi bagagli, per tornare di nuovo a Edimburgo, da cui era partita in giugno, Elina per portare via da Edimburgo tutte le sue cose insieme al suo amato pianoforte. Oplà e via, quasi in pellegrinaggio le ragazze, l’auto lungo strade secondarie per evitare il traffico, a rincorrere pioggia e sole.
    L’ultimo viaggio spensierato, le riunisce un pianoforte, le aspetta la vita, un’altra vita, quella da grandi: sono i nuovi migranti, i figli della vecchia Europa, che a casa non trovano spazio per i loro sogni e allora vanno via, curiosi, determinati, giovani esploratori, che come gli immigrati di una volta hanno fame di lavoro, sono magari più attrezzati, di sicuro consapevoli che le loro patrie li hanno dimenticati, che forse non potranno realizzare quei sogni. In Italia a quattro anni dalla laurea triennale chi resta e lavora, guadagna in media 500 euro netti in meno che all’estero (Corriere della Sera 14/10) e  con quei soldi puoi avere un tetto sulla testa. Questi ragazzi fanno numero per le statistiche, prologo ai discorsi della politica e da chi un tempo il lavoro lo difendeva. Dà un brivido vedere sfilare impiegati, autisti, operai, che in questi giorni riempiono le piazze, lavoratori giustamente impauriti di perdere il lavoro: lavoratori che il lavoro però già lo hanno e nemmeno li sfiora il pensiero di chi ancora non ha un’occupazione, di chi l’ha precaria, di chi va via per cercarla.
    E’ la crisi che oscura menti e cuori, nessuno di quei dimostranti pensa a chi verrà dopo, non conta più poi tanto cercare di mantenere aziende o imprese, contano quei posti di lavoro e basta, è sopravvivenza. Crollano le iscrizioni agli istituti professionali industriali e vanno forte gli studi di enogastronomia, turismo e agraria (Sole 24ore,  27/10), due cuochi per ogni operaio, un bene e un male: si guarda al Bel Paese con le sue bellezze e le sue tradizioni, una rivoluzione culturale nell’ultimo quadriennio, con un aumento del 45% nelle Facoltà citate. Ok al made in Italy, ma le eccellenze di artigianato e industria chi le porta avanti?
    “I ragazzi sono in giro”, ormai si dice così e non sono i “figli di papà”, tante madri e padri hanno fatto sacrifici per mandare i figli via, li hanno fatti partire per non vederli all’angolo, alla finestra, senza sapere se torneranno. Ragazzi carissimi, ai vostri cuccioli non riusciremo nemmeno a cantare una ninna nanna.
    (Bianca Vergati – immagine di Guido Rosato) 

  • OLI 392: SANITA’ – Aspettare un anno ed essere felici

    Oggi è una giornata nera. Nemmeno un posto a sedere. Succede spesso ma questa volta è diverso. Nell’aria c’è più tensione. E la pazienza scarseggia. Una signora anziana si lamenta per l’attesa – sono lumache! esclama – ha il cappello di lana calato come un elmetto sulla fronte. Deve essere nuova del luogo, è il tipo di persona che si lamenta allo stesso modo ovunque. La parola lumache le è congeniale, se ne compiace mentre la pronuncia.
    Il pannello luminoso scandisce i numeri lentamente. Dei tre sportelli, A B C, solo uno è indicato come operativo. Alle dieci del mattino ci sono già quarantacinque persone in attesa di pagare, prenotarsi e consegnare la cartella clinica. Molti hanno l’appuntamento. Infatti un cartello ribadisce loro di prendere il numero solo dopo la visita. Chi è esperto se la gioca: prende il numero appena arriva in ambulatorio sperando di restare nei tempi tra visita e pagamento senza saltare il turno e fare due code.
    Questa sala d’aspetto, in una palazzina bassa vicina alle camere mortuarie dell’ospedale Galliera, raccoglie persone di tutte le età: dal bambino che smanetta sul cellulare al vecchio sulla sedia a rotelle.
    Per ortodonzia chi c’è? – grida un’infermiera, una bambina scivola con la madre verso la porta a vetri. Urgenza numero undici? Chi deve togliere i punti? Per i punti si va al box otto. La voce dell’infermiera si mescola a quella dell’interfono, come alla spiaggia: La mamma di Laura C. avanti!

    Un padre, la figlia in braccio, racconta che per l’apparecchio della bambina ha chiesto l’appuntamento nel febbraio 2012 e glielo hanno fissato per marzo 2013. Ma è contento – anche se ha dovuto aspettare più di un anno – perché poi è stata seguita bene con appuntamenti programmati, a un costo di 800 euro circa tra visite e apparecchio. Con la grande eravamo andati da un privato, mi sarà costato almeno il doppio. La bambina è pronta per togliere l’apparecchio.
    Dentro, oltre la porta a vetri, sembra un alveare, i pazienti vengono smistati in una decina di box dove uno sciame tra medici infermieri e tirocinanti si occupa di loro. Difficile capitare con lo stesso dentista. Ma le infermiere si riconoscono, sono quelle che gestiscono la baracca, parlano ai bambini, sedano gli animi e organizzano i flusso di un’utenza poliedrica, riconoscente o maleducata a seconda degli umori e dei dolori.
    Qui più che altrove la lingua batte dove il dente duole.
    Ai politici genovesi si suggerisce timidamente di prenotare una visita di controllo.
    (Giovanna Profumo – disegno di Guido Rosato)

  • OLI 392: COMUNE – C’è verde e verde

    Non più una giungla ma un bel parco finalmente, avranno pensato i cittadini vedendo all’opera giardinieri e operai in Villa Gambaro.
    Da un mese il Comune ha iniziato i lavori per rimettere a posto il Parco di Villa Gambaro,l’unica area verde preservata a monte fra Albaro e S.Martino, del cui passato, dopo lo spezzettamento della pesante urbanizzazione, restano alcune Ville d’epoca, pure se ancora ci si ricorda degli uliveti e del verde di non tanto tempo fa. Ceduta anche una parte all’Università, in pochi decenni è sopravvissuto il polmone verde circoscritto assai degradato del parco, un suggestivo saliscendi di vialetti e piazzette, spazio ideale e quasi unica meta di chi possiede il cane.
    Il Municipio Medio Levante nel piano triennale dei lavori pubblici ha richiesto la riqualificazione del parco di Villa Gambaro, per cui si è stanziata la somma di 231mila euro.
    I lavori sono partiti e si è proceduto alla ripulitura del sottobosco, potatura delle alberature, messa in sicurezza dei percorsi, abbattimento delle barriere architettoniche, persino nuovi cestini per i rifiuti. Un bel lavoro.
    Il Verde è quasi tutto in ordine: peccato per le nuove ringhiere, quelle esistenti erano particolari, in sintonia e tono con il Parco.
    Nel rifare i vialetti, però, che davvero ne avevano bisogno, orrore, quello di accesso è stato asfaltato alla vecchia maniera, ovvero totalmente ricoperto di materiale impermeabile. E’ vero, rimuovere il fondo esistente avrebbe comportato più tempo e risorse, ma perché non farlo nel modo adatto? Perché si è proceduto apponendo uno strato sopra l’altro di asfalto e via, come un marciapiede? Ma siamo in un parco! Già si sono visti in questi giorni d’autunno i luttuosi disastri del “tutto asfaltato, tutto cementificato, tutto tombinato, canali , rii, fiumi “..i danni dell’incuria e di interventi malfatti.
    Così nel Parco di Villa Gambaro quando pioverà da quei vialetti la pioggia dilaverà e scorrerà a raffica in discesa, mentre le radici degli alberi a margine aventi a ridosso l’asfalto impermeabile soffriranno.
    Il Regolamento Comunale del Verde (articolo 7), prevede la “Tutela dell’area di rispetto delle alberature esistenti” dove “Per area di rispetto delle alberature, sia relativamente alle radici sia allo spazio aereo, si intende l’area della circonferenza ideale tracciata sul terreno…della chioma a raggiunta maturità”…Qualora attorno agli alberi si realizzino pavimentazioni impermeabili, quali, ad esempio, di asfalto o in calcestruzzo, si dovrà lasciare permeabile, l’intera superficie dell’area di rispetto”…

    Ci si chiede se davvero siano state utlizzate bene le risorse a disposizione, per un intervento che sarà irripetibile per gli anni a venire. E pensare che Aster in altre circostanze è da lodare, come per la festa dell’Albero alla scuola elementare Perasso di S.Martino, dove su proposta e volontariato di Legambiente  ha riqualificato l’aiuola del cortile della scuola, pulita dai Genitori del Rastrello, ma desolata. Ora al posto di pitosfori incolti, erba qua e là e un vecchio tronco secco ci sono un albero di prunolo, fiori , piante dei sapori di Liguria ed uno spazio da coltivare ad orto di aromatiche multietniche, per gli alunni stranieri. Una proposta di Legambiente che ha avuto successo l’anno scorso alla scuola Govi e e quest’anno oltre alla Scuola Perasso anche presso  la scuola elementare di Marassi.
    (Bianca Vergati, Ester Quadri – immagini di Ester Quadri, Giorgio Bocci)

  • OLI 392: CULTURA – Donna Faber

    La mostra ‘Donna Faber – lavori maschili, sessismo e altri stereotipi‘, al Ducale, purtroppo è rimasta aperta per un tempo troppo breve, e noi l’abbiamo vista troppo tardi, così ve ne diamo notizia solo ora.

    Anticipiamo però che è possibile procurarsi il bel catalogo scrivendo a: info@donnafaber.it , costo 8 euro.

    La mostra, realizzata dal Laboratorio di sociologia visuale della Università di Genova e dall’Associazione culturale 36° Fotogramma, è frutto di un interessante intreccio tra fotografia e sociologia, discipline che nascono nello stesso periodo storico, la seconda metà dell’800, e ‘condividono la medesima curiosità nei confronti della società’. Prendono però subito strade diverse, la prima tesa a diventare arte, la seconda a essere riconosciuta come scienza.
    A partire dagli anni ’60 e ’70 negli USA, con la nascita della fotografia di reportage, le strade della fotografia e della sociologia iniziano a convergere. Le lega l’interesse ‘a indagare la realtà quotidiana‘ e l’impegno a focalizzare l’attenzione pubblica sui fenomeni sociali.
    Il ‘fenomeno sociale’ indagato dal Laboratorio di sociologia visuale dell’Università di Genova è quello delle donne nei cosiddetti lavori maschili. Il metodo è stato quello di intrecciare le conoscenze che venivano da un’indagine sociologica basata sulle interviste, a quelle che venivano da immagini utilizzate come ‘strumento per far emergere e comprendere aspetti della complessità altrimenti sfuggenti’.
    Alcuni pannelli offrono a chi visita la mostra delle chiavi di lettura e degli spunti di riflessione. Intanto viene motivata la scelta ‘di adottare un uso non sessista della lingua italiana, utilizzando solo termini femminili (a volte volutamente forzando la mano) per indicare la professione delle donne da noi fotografate e intervistate’. Così incontriamo la Direttora d’orchestra, la Maestra d’ascia, la Minatora.
    Lo stridore che si avverte nel confrontarsi con questi termini dà la misura di quanto profondamente sia radicata in noi quella che Emanuela Abbatecola, responsabile della ricerca, indica come ‘la gerarchizzazione del femminile e del maschile nel nostro dominio simbolico’.
    Il linguaggio, infatti ‘non è mai neutro e le parole plasmano inconsapevolmente il nostro pensiero’. Agire sul linguaggio, scrive Abbatecola, forse non è sufficiente, ma ‘agire politicamente sulle parole non costa nulla, ed è forse una delle poche piccole grandi rivoluzioni che possiamo scegliere di agire nel nostro quotidiano’.
    Mentre giro per la mostra penso che tutte le immagini comunicano una condizione di solitudine e di eccezionalità. Le donne che si trovano in queste miniere, o di fronte a queste orchestre, o in una cucina ma in qualità di Chef , dice uno dei pannelli, hanno ‘violato un dominio simbolico non scritto’. Cosa vera sia per le donne, sia per gli uomini, quando scelgono (o si trovano) in lavori culturalmente non conformi al loro genere.
    Ma quando è Lui a trasgredire ‘sarà facilmente messo su un piedistallo diventando agli occhi di tutti e di tutte ‘il migliore’ … mentre per Lei la discriminazione non è solo in ingresso, ma sembra persistere a lungo, o comunque a rimanere in agguato, puntando su un progressivo e logorante processo d’invalidazione’.
    Solo una piccola stanza e niente gigantografie per questa mostra, ma molto pensiero e molto lavoro da cui la Fondazione Ansaldo (vedi ‘Scatti d’Industria con omissioni’ su Oli 391) avrebbe parecchio da imparare.
    Molte informazioni si trovano sul sito http://www.donnafaber.it/ 
    (Paola Pierantoni – Foto di Ivo RuelloAltra immagine da Internet)

  • OLI 392: ESTERI – Voci dalla stampa internazionale

    Una soldatessa dei marines è stata violentata. “Il suo comandante ha detto che se lo meritava in quanto indossava pantaloncini da corsa.”
    Adam Mordochai racconta su UPWORTHY del 21 novembre 2013 la storia della soldatessa americana Ariana Klay: “è stata violentata dai suoi compagni marines. Ciò che è seguìto è stato uno spettacolo dell’orrore dove è stata intimidita dai suoi superiori, maliziosamente molestata, e vittima ancora una volta dal braccio militare nel quale si era offerta di servire volontariamente.”

    www.upworthy.com

    Leggeri “sensi di colpa” sionisti

    Leon Wieseltier sul New York Times del 21 novembre 2013 fa una recinzione del libro di Ary Shavit, giornalista israeliano di Haarez, La mia terra promessa, il trionfo e la tragedia di Israele: “egli sostiene che il sionismo era storicamente miracoloso e  al contempo storicamente colpevole. “Fin dall’inizio, il sionismo ha pattinato sul ghiaccio sottile”: C’era un altro popolo che viveva nella stessa terra. “Il miracolo si basa sulla negazione”, sottolinea senza mezzi termini. “ i Bulldozer hanno raso al suolo villaggi palestinesi, le autorizzazioni hanno confiscato la terra palestinese, le leggi hanno revocato la cittadinanza ai palestinesi ed hanno annullato la loro patria.” La narrazione di Shavit del massacro e la cacciata degli arabi di Lydda da parte delle forze israeliane nella guerra del 1948 è un tour de force nauseante, anche se non è, a suo parere, tutto quello che bisogna sapere sulla guerra o il paese. “La scelta è dura, dichiara senza battere ciglio: “O respingere il sionismo a causa di Lydda, o accettare il sionismo insieme a Lydda.”
    Lydda (città dove sono nati mio nonno e mio padre) non era che uno dei tanti massacri compiuti dai sionisti e la cosa strana è che queste persone che scrivono sul New York Times e Haaretz abbiano scelto di non rifiutare il sionismo ma di accettarlo con tutti i suoi massacri e tutte le sue atrocità.”

    Il lato oscuro di Hollywood: “Produttore di Hollywood rivela la sua doppia vita come un trafficante di armi e spia israeliana”

    Marie-Louise Olson sul Daily Mail del 22 novembre scrive di Arnon Milchan, il produttore israeliano di grandi successi tra cui Fight Club e Pretty Woman, il quale ha rivelato per la prima volta “il suo coinvolgimento negli affari clandestini per acquisire armi per Israele e il suo lavoro per la promozione del presunto programma nucleare del paese.”
    www.dailymail.co.uk

    Hamid Karzai insiste che gli Stati Uniti non debbano interferire nelle elezioni afghane.

    Rod Norland del New York Times scrive 23 novembre 2013 del presidente afghano Hamid Karzai che prima di firmare l’accordo di sicurezza con gli USA vuole che “le forze americane smettano le incursioni nelle case afghane, che contribuiscano a promuovere i colloqui di pace e che non interferiscano nelle elezioni”.
    www.nytimes.com

    “La NSA ha infettato 50.000 computer”

    NRC “Gli attacchi informatici NSA sono eseguiti da un dipartimento speciale chiamato TAO. Fonti pubbliche hanno detto che questo reparto impiega più di un migliaio di hacker.”

    I massacri israeliani contro i civili palestinesi nel 1948 al “Teatro J” di Washington

    Perter Marks scrive sul Washington Post del 21 novembre della protesta di alcuni membri della comunità ebraica di Washington per la programmazione al teatro della stessa comunità della “storia romanzata di Lerner sull’uccisione di abitanti palestinesi dai soldati israeliani durante la guerra arabo-israeliana del 1948” .
    www.washingtonpost.com

    L’accordo USA con l’Iran non è nell’interesse di Arabia Saudita

    Il New York Times del 22 novembre 2013 scrive del negoziato con l’Iran e dell’opinione di R. Nicholas Burns, ex sottosegretario di Stato USA che ha organizzato le prime sanzioni contro l’Iran durante l’amministrazione Bush: “è nell’interesse nazionale americano fare questo lavoro di negoziazione. Se non è nell’interesse di Israele o nell’interesse dell’Arabia Saudita, così sia.”
    www.nytimes.com

    “Se gli israeliani diventano protettori e difensori dei paesi musulmani sunniti”.

    David Ignatius opinionista del Washington Post (23 novembre 2013), parla dell’alleanza di fatto tra Israele ed Arabia Saudita contro l’Iran (Islam Sciita) dicendo che Israele è diventato il difensore dei paesi musulmani sunniti. Arabia Saudita, al Qaeda, i Fratelli Musulmani, Hamas sono fra quelli che appartengono all’Islam sunnita.
    www.washingtonpost.com

    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 392: TEATROGIORNALE – Lo sciopero dei miei sogni

    [Il Teatrogiornale è un racconto di fantasia liberamente tratto dalle notizie dei giornali].

    A Genova c’è lo sciopero generale e il vento. Non è una novità a Genova, c’è sempre vento ma non tutti sanno che a volte questo si incanala tra i pilastri e fa cantare la sopraelevata. Il suo canto oggi non è disturbato dal rumore delle macchine perché dopo una settimana di sciopero dei mezzi pubblici i genovesi hanno deciso che è stupido prendere tutti la macchina e rimanere imbottigliati nel traffico. Molti motorini, biciclette, monopattini, pattini a rotelle, passeggini e anche un sidecar. Le poche macchine che girano vanno ai venti all’ora e si fermano a chiedere alle donne incinte o agli anziani se desiderano un passaggio.
    -Io ho fatto la partigiana!
    Urla una vecchina brandendo il bastone a tre piedi contro una punto classic grigia che si è fermata ad offrirle uno strappo.
    -Non mi spavento per due passi, belinun! E scendi da quella macchina che ti si rammollisce il cervello!
    La punto classic rimane interdetta e poi continua il suo viaggio solitario, all’altezza del secondo semaforo di Corso Aurelio Saffi posteggia e un signore sui cinquant’anni apre la portiera ed esce, il vento gli scompiglia i capelli radi. Il mare è grigio blu, le nuvole toccano l’orizzonte.

    All’entrata del porto antico, all’altezza dei giochi, dei controllori dell’AMT hanno un banchetto dove chi desidera può versare un euro a sostegno dei lavoratori precettati e multati dalla prefettura: c’è la fila.
    -Alla fine oggi avrei dovuto spendere tre euro e trenta per l’autobus, ne do due e ci ho guadagnato un euro e trenta.
    Una signora bionda, con una borsa di Prada, parla con un’altra sciura con medesima pettinatura e borsa; le scarpe basse da ginnastica Hogan invece del solito mezzo tacco fanno trasparire l’eccezionalità del momento.
    -Ma non avrei mai detto di trovarti qua, cara.
    Dice l’altra tirando fuori il suo portafoglio Gucci non taroccato.
    -Ragazza, non è una questione di comunisti o di facinorosi, io non voglio che tolgano i mezzi pubblici perché non mi piace guidare e voglio il mio 35.
    Per chi non lo sapesse il 35 è l’autobus che va a Carignano.

    Poco più in là, davanti alla palestra del Mandraccio, c’è la scuola della Maddalena che fa lezione in piazza: i bambini hanno i cartellini identificativi come durante le gite e scrivono sdraiati a terra sopra un enorme telone colorato. I maestri e le maestre hanno portato la lavagna di ardesia e vi hanno attaccato degli striscioni che dalla lavagna vanno fino alle ringhiere del Porto Antico, un gabbiano passeggia sul filo. Sugli striscioni c’è scritto: “GIU’ LE MANI DALLA SCUOLA PUBBLICA- SCUOLE IN SICUREZZA ORA E SUBITO”.

    La scolaresca del convitto Colombo aiuta gli addetti dell’AMIU a raccogliere la spazzatura.
    -Ma perché non siete in sciopero?
    Chiede Homar di dieci anni a Pamela, la netturbina più bella di tutto il centro storico.
    -Ma siamo in sciopero.
    Risponde lei porgendo il sacchetto dove lui mette una bottiglia di plastica vuota.
    -Siamo in sciopero perché vogliamo vivere meglio e non peggio quindi raccogliamo la spazzatura ma poi la portiamo in comune.

    Via Garibaldi è presidiata dalla polizia, sia in Piazza Fontane Marose che in Piazza della Meridiana c’è una camionetta con relativi agenti, ad ogni vicolo ci sono poliziotti in tenuta anti sommossa pronti a fermare qualunque assalto da parte dei cittadini. I netturbini però passano da via della Maddalena e, grazie all’aiuto degli abitanti di quei palazzi, calano i sacchetti dell’immondizia dai tetti in via Garibaldi come tanti palloncini neri che volano dall’alto verso il basso, dolcemente, senza far rumore.

    I negozianti, per venire incontro a tutti in questo momento di emergenza, hanno abbassato i prezzi degli articoli di prima necessità.
    -Se loro non guadagnano è giusto che neanche noi guadagniamo.
    Dice la panettiera di via Lomellini, dietro il bancone il collega guarda duro il giornalista, un ragazzo di venticinque anni in giacca blu; quest’ultimo vorrebbe fargli una domanda ma poi ci ripensa, forse i trecento euro che prende a fine mese col suo contratto a progetto non valgono il confronto con quell’omone grosso dai capelli neri.

    In porto tutto è fermo e i portuali hanno circondato la zona rossa creata dal comune così che sembra che la giunta e il sindaco siano in gabbia, ostaggio della loro stessa città. Anche gli operai e gli impiegati dell’Ansaldo hanno aderito alla protesta e si incamminano tutti insieme verso Tursi, il comune, per aiutare i loro concittadini.
    -Ma come ci arrivo in centro da mia figlia?
    Chiede un signore in cappotto e coppola a un gruppo di impiegate in corteo.
    -Non lo so, signore, gli autobus non passano da giorni, qua c’è sciopero generale, le strade sono tutte un corteo.
    -E va beh, se non passa l’autobus dovrò prendere il corteo. Dice il signore e si mette a camminare dietro la scritta: -LO STATO SIAMO NOI! GIU’ LE MANI DALLA NOSTRA CITTA’!

    Dal secolo XIX: Genova nel caos, oggi quarto giorno di sciopero