Autore: Redazione

  • OLI 374: CITTA’ – Boccadasse, l’ultima spiaggia

    È un luogo incantato… Con la persona amata è poetico. Consiglio a tutti di farci un salto al tramonto..” Così l’ultimo Tripadvisor  (17 aprile), postato su Boccadasse, dove i genovesi portano gli amici, che arrivano da fuori per godere la vista inaspettata di uno dei più  affascinanti borghi marinari d’Italia, dove lo scrittore Camilleri fa abitare la fidanzata del famoso commissario Montalbano.

    Tanti luoghi patrimoni dell’Unesco non reggono il confronto. Ci si va per guardare il mare con le case colorate dei paesini  di Liguria, a pochi passi dalla spiaggia i bambini a tirar pietre nell’acqua sotto gli occhi di nonni o di mamme. Basta il sole e mangi il gelato anche se fa freddo, è un via vai di grandi e di piccoli, che passano il tempo a fare i salti dal muretto per atterrare sul morbido della coltre di pietrine.
    “Una  miniportofino nel cuore della city”, lo descrive un altro post e gli Uffici del Commercio hanno pensato bene di concedere ad un ristorante di collocare i suoi tavolini in uno spazio  tale, che gli accessi alla spiaggia e alla piazzetta si sono ridotti della metà.
    Dalla Costa Azzurra a Cadaques, nessuno ti impedisce di arrivare al mare: baretti, ristoranti, pub, tutti hanno uno spazio ben definito, mentre  a Genova, nell’unico incantevole luogo che c’è in città, una corolla di tavolini circonda l’arco della spiaggia ed ha ristretto il passaggio a chi scende la mattonata. Proseguendo, dopo i tavolini di quasi un metro di lato con poltroncine da regista, sono posizionati un contenitore dei rifiuti,  legittimamente due cassoni di pescatori, alcune barche ( ma soltanto due hanno il permesso) e quindi per arrivare in spiaggia un varco di tre metri e basta. Una nonna ha protestato, scrivendo al Comune.
    Ben vengano attività che animano i luoghi d’attrazione per il turismo. Fanno allegria i tavolini in blu, sono accoglienti, ma s’impedisce di arrivare al mare, è rimasta da un lato soltanto una piccola scala, ora non ci si può più sedere sul muretto le gambe ciondoloni: si è risposto, scherzando ma non troppo, che quelli che arrivano non hanno più l’età per saltare.
    Due maestre volenterose hanno portato ieri i loro alunni a Boccadasse, era uno sgusciare impervio, stretti fra zainetti e gambe di tavolini a un palmo di naso e la spiaggia sottostante.

    Questa la cronaca del 23 aprile e chi scrive fa un giretto a Boccadasse, interpella un vigile che passava di lì, fa notare la situazione al ristoratore, che asserisce essere tutto regolare, ha già ricevuto un sopralluogo.
    Oggi 24 aprile, magia però,  i tavolini sono stati assiepati, allontanati di un metro dal bordo del muretto e dalla scaletta: evviva, è stato lasciato più spazio per potersi sedere di nuovo a ciondoloni!
    A pensare male… Non è proprio tutta colpa degli uffici, che comunque pare concedano ad occhi chiusi suolo pubblico, come se un marciapiede o il posto più bello che Genova ha, fossero la stessa cosa, con tutto il rispetto per chi lavora.
    Chi abita lì da generazioni assicura che i boccadesini sono sollevati quando c’è lo “sciocu”, il vento di scirocco, così non viene nessuno – peccato! è così bella – e tutti i cittadini ne dovrebbero poter godere.
    Dispetto ed indignazione ha sollevato il respingimento da parte della Regione circa la richiesta di mettere una pedana sulla spiaggia per piazzarci tavolini (Decr. R. n.3 del 7/1/2013), mentre altri ambirebbero ad una bella squadra di lettini: in fondo occupano lo spazio di un asciugamano. Ma non tutti hanno i soldi per il lettino e tanti fanno le vacanze in città. E Boccadasse ha un vincolo di paesaggio, è spiaggia libera, è spazio di tutti, è un bene da preservare, forse c’è in giro uno strano concetto di bene comune.
    (Bianca Vergati – foto dell’autrice)
  • OLI 374: ECUADOR – El Presidente in Italia

    La bandiera dell’Ecuador accompagna il viaggio ad Assago.

    Giovedi 18 aprile 2013 è stata una data importante per la comunità ecuadoriana italiana: il presidente Rafael Correa ha approfittato di un viaggio diplomatico in Germania per “allungare” fino a Milano (ma anche in altre capitali europee) per ringraziare i compatrioti per la percentuale di consenso “de verdad impresionante” che ha caratterizzato l’ultima consultazione elettorale ecuadoriana in Italia.
    Solo un italiano al seguito dei due pullman di ecuadoriani “genovesi” che si sono ritrovati alle 14.00 nel punto di ritrovo a Sampierdarena, una nota stonata visto che probabilmente l’invito è arrivato a diversi componenti della politica genovese. Anche ad Assago, comune limitrofo a quello di Milano dove si svolge l’incontro, nel palasport più grande della cintura milanese, è presente solo il sindaco, che all’inizio della manifestazione consegna le chiavi e la cittadinanza onoraria al presidente.
    Correa arriva, dopo un po’ di attesa costruita in modo teatrale, in mezzo alla gente, scortato da alcuni funzionari della sicurezza, viene letteralmente sommerso di applausi, di strette di mano, di baci e di parole di supporto. Un presidente molto amato, che ha fatto molto per i cittadini che risiedono all’estero, una grande fetta del suo elettorato. Spuntano le magliette del Senami (http://www.migrante.gob.ec/), il servizio governativo di appoggio ai migranti, che offre sostegno alle persone in diverse città in giro per il mondo. In Italia, la comunità ecuadoriana è molto numerosa, una delle maggiori e a Genova in particolare, si contano circa 17mila persone, impegnate nei lavori classici ma che cominciano ad emergere in nuove posizioni attraverso il commercio e la frequenza di corsi di specializzazione.
    Correa parla per circa un’ora, parte da lontano, dal paese allo sfascio, con una percentuale di migrazione altissima, che ha deflorato l’economia locale già sinistrata da un debito pubblico contratto durante la dittatura (si veda http://youtu.be/ItvBLtGRPMs). Nel corso del tempo, dice il presidente, le azioni del suo governo hanno permesso di risollevare l’economia, di trasformare lo stato in qualcosa al servizio delle persone, al punto che oggi Ecuador è il terzo paese al mondo per crescita sociale. E a differenza di quanto accade qui, la crescita sociale è l’inizio della ripresa economica. Salute e formazione sono stati i primi due punti presi in considerazione. Oggi, possiamo dirlo, per lo meno sul senso dello stato visto come comunità di persone e non come istituzione aliena al popolo, l’Ecuador può insegnare a molti paesi. Italia compresa.
    Per ascoltare l’intero intervento di Correa, si può passare un’oretta di spagnolo ben comprensibile a questo link youtube: http://www.youtube.com/watch?v=PiG-DwPeqjw
    Una certezza dopo il ritorno a Genova: Rafael Correa sarà un nome che la storia non dimenticherà tanto facilmente.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 374: POLITICA – Tra imbecilli e mascalzoni

    “Se c’è qualcuno che non ho insultato, chiedo scusa!!”. L’urlo di Lucy, che sta girando in questi giorni in rete, ben esprime la frustrazione di molti italiani dinanzi allo spettacolo di impotenza che stanno esprimendo PD e M5S dopo le recenti elezioni: impotenza eclatante quella del Partito Democratico, diviso nelle sue diverse (troppe) anime, ondivago tra la ricerca di una collaborazione di qualche natura con M5S e la conseguente inevitabilità di un abbraccio mortale con il PdL, che si risolva in un governissimo, governo di scopo, o inciucio che lo si voglia chiamare.
    Dall’altro lato l’immobilismo de facto di M5S, anch’esso diviso fra chi chiedeva un’apertura di credito al PD (forse minoranza, ma chi lo sa?), ed i duri e puri, chiusi a qualunque ipotesi che non sia un governo a cinque stelle: divisi tra meetup, massima espressione di democrazia (sembrerebbe), diktat del duo Grillo-Casaleggio, e streaming ad intermittenza.
    In mezzo noi, io come moltissimi altri, che ci chiediamo prima stupiti, poi imbufaliti, come sia possibile una così enorme lontananza della classe politica dalle nostre emozioni, le emozioni di chi ha implorato il PD di votare Rodotà presidente della Repubblica, di chi ha scatenato l’inferno alla notizia della candidatura di Franco Marini alla massima carica dello Stato: costernati, infine,davanti all’autolesionismo dell’affossamento di Romano Prodi.
    Non meno imbufalito mi sento verso M5S, anche se con minor titolo, non essendo stato loro elettore, vedendo i capigruppo Crimi e Lombardi, chiedere, durante le consultazioni con Napolitano I (attenzione, da non confondere con Napolitano II), l’affidamento dell’incarico per formare un nuovo governo al movimento di Grillo, senza indicare un nome preciso, riservandosi eventualmente di dare un nome entro 48 ore. Come pretendere un incarico di fronte ad una tale vaghezza? È facile ora gridare al golpe, o al golpettino, chiamare prima la gente in piazza, poi cercare di frenarla.

    Ha ragione Sergio Staino, nella sua vignetta su il Venerdì di Repubblica del 5 aprile scorso? Ironia acre, di fonte PD (prima della catastrofe), ma difficile da non condividere.
    Sconsolati, attendiamo senza ansia le mosse del prossimo governo, che dovrà stare ben attento a non contrastare gli interessi finanziario-giudiziari del Caimano, vincitore senza meriti incoronato da autolesionisti, opportunisti, velleitari…
    Il giornalista Francesco Merlo, questa settimana conduttore del programma Prima Pagina su Radio Tre, sta usando come leitmotiv quotidiano un aforisma di Gesualdo Bufalino: “Fra imbecilli che vogliono cambiare tutto e mascalzoni che non vogliono cambiare niente, com’è difficile scegliere!”.
    Sarà forse eccessivamente manicheo, ma anche tragicamente attuale.
    (Ivo Ruello – immagini da  internet e da sergiostaino.it)

  • OLI 374: POLITICA – Fave e governo

    Qualche giorno fa, dal fruttivendolo marocchino, in Via del Campo a Genova: voglio comprare delle fave, il loro aspetto non mi convince troppo. Conosco il fruttivendolo, gli chiedo: “scusi, come stanno le fave?”.
    La risposta è lapidaria: “così così, ma sempre meglio del vostro governo”.
    (Paola Pierantoni – immagine da internet)

  • OLI 374: SCHIAVITU’ – A Genova Iqbal ha fatto scuola

    (foto di Giovanna Profumo)

    Mentre la scorsa settimana parte della classe politica italiana offriva ai cittadini uno spettacolo pietoso, a Genova i ragazzi della compagnia teatrale di Enrica Origo, attrice e maestra elementare, mettevano in scena la storia di Iqbal Masih, bambino, operaio, sindacalista, assassinato per il suo impegno contro la schiavitù infantile, il 16 aprile 1996.
    A diciotto anni esatti dalla morte di Iqbal, Genova è tornata Città dei Diritti, dedicando alla memoria di questo stupendo bambino una giornata con tre momenti di riflessione.
    Accanto ad Enrica Origo, regista del racconto teatrale, Ehsan Khan sindacalista pakistano che aveva liberato Iqbal dal fabbricante di tappeti che lo teneva schiavo.
    Quarantatre bambini – età compresa tra dieci e sedici anni – nella sala del Munizioniere di Palazzo Ducale, hanno dato voce alla breve e coraggiosa esistenza di Iqbal, una vita incatenata al lavoro per riscattare un debito contratto dal padre.
    In un mondo possibile, l’assassinio di un dodicenne viene raccontato dai suoi coetanei che, attraverso il

    (foto di Giorgio Bergami)

    teatro, si sono fatti portavoce di migliaia di altri ragazzi schiavi del mercato globalizzato.
    Come vediamo il sole e la luna – ha detto Ehsan Khan a Palazzo Tursi – possiamo riconoscere il problema della schiavitù dei bambini, chiedendoci da dove provengano caffè, banane, diamanti, abbigliamento, succhi di frutta, cellulari, computer, cotone.
    Ehsan Khan ha ricordato la campagna promossa contro i prodotti Apple e contro Al Gore vincitore di un Premio Nobel ipocrita che, secondo il sindacalista pakistano, andrebbe restituito alla luce del ruolo che lo stesso Gore riveste nella compagnia informatica.
    Khan ha, poi, chiesto ai presenti alla conferenza pomeridiana a Palazzo Tursi: Pensate davvero di non avere schiavi? Chi di voi ritiene di non avere schiavi? Ed ha segnalato iniziative ed inchieste promosse dai sostenitori della Global March Against Child Labour e della Slaveryfootprint che, attraverso la rete, favoriscono la crescita di una maggiore consapevolezza di quello che l’infanzia subisce nel mondo.
    (Giovanna Profumo – Foto di Giorgio Bergami e dell’autrice)

    Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento di Camillo Arcuri su Iqbal, che è stato letto da Enrica Origo in occasione della conferenza.


    Siamo parte di una società che si definisce orgogliosamente informata, e non sappiamo niente o quasi della storia di Iqbal Masih. Sono i ragazzi come lui a raccontarci ciò che giornali e telegiornali non ci hanno mai fatto sapere: aveva solo dodici anni Iqbal quando gli hanno sparato, nel suo paese, in Pakistan. Lo hanno ucciso perché il suo esempio era considerato pericoloso. Da chi? Dal monopolio dei tappeti (una mafia diremmo qui), un potere spietato al quale aveva osato ribellarsi, non con le armi, ma semplicemente scappando dal buio di quel medioevo. Era andato all’estero, sottraendosi alla sua sorte di piccolo schiavo, venduto dalla famiglia ai padroni dei telai, e aveva testimoniato sulla tragedia generazionale che condanna migliaia di ragazzini come lui. Le sue parole avevano scosso molte coscienze e le vendite dei tappeti erano calate. Così, quando Iqbal Masih è tornato nel suo villaggio, ha trovato la vendetta in agguato. Con lui non è scomparso il disperato simbolo di riscatto che rappresenta. A rompere il silenzio preteso da tutte le mafie, ci pensa il pellegrinaggio di Ehsan Khan, il sindacalista che gli fu a fianco e che porta nel mondo la voce di Iqbal. Insieme a lui ci sono studenti e insegnanti delle scuole di tanti paesi, un moto spontaneo che a Genova ha trovato una convincente forma di espressione teatrale destinata a riprodursi nel progetto Parlaci di Iqbal che Enrica Origo, attrice, regista e insegnante, sta portando avanti con la sua Compagnia di ragazzi dal 2011. Parlaci di Iqbal non è solo uno spettacolo denso di emozioni; è anche e forse soprattutto un esperimento civile per rispondere al bisogno diffuso di “fare”, andando oltre l’esecrazione. Nel nome del loro coetaneo, eroe ignoto, i ragazzi sono entrati così in un ruolo di “moltiplicatori di consapevolezza”: una piccola lezione utile anche per colmare tanti vuoti mediatici.
    Camillo Arcuri

  • OLI 374: TEATROGIORNALE – Il presidente degli Stati Uniti


    Usa, lettera con sostanza velenosa recapitata a Obama

    [Il Teatrogiornale è un racconto di fantasia liberamente tratto dalle notizie dei giornali]

    Sono le sei e quindici, il Presidente degli Stati Uniti è già sveglio, sta facendo colazione: succo d’arancia, caffè, pane tostato con prosciutto. Sta leggendo sul suo Ipad la rassegna stampa che il suo staff ha già ridotto. Ridacchia. Fratelli Craxi: “Se papà capo dei ladri, Amato vice-ladrone”.
    -Italiani- pensa il Presidente e annusa la sua tazza di caffè, – se non esistessero bisognerebbe inventarli.-
    Nel suo staff c’è qualcuno che vuole distrarlo da: “No del Senato. Obama: giorno vergognoso”.
    Michelle è entrata in cucina, ha i bigodini in testa.
    Squilla il telefono. Il Presidente risponde. Posa la tazza. Guarda la moglie e dice:
    -Chiama le ragazze.
    Michelle rimane ferma a guardare suo marito. Poi si gira e corre su per le scale. Mentre sale chiama Carmela. C’è una valigia in ogni armadio, una piccola valigia grigia. La valigia per l’ora x. La Clinton le aveva detto di prepararla. Una valigia scaramantica da utilizzare in caso di attacco agli Stati Uniti D’America e di evacuazione della famiglia presidenziale in un luogo sicuro. Tutte le quarantaquattro mogli dei quarantaquattro presidenti degli Stati Uniti ne avevano una nell’armadio.
    Le ragazze sono vestite, l’elicottero militare è atterrato. Schermandosi con le braccia e protetti dagli uomini della scorta la famiglia presidenziale sale. Le ragazze vengono messe in fondo all’elicottero, il Presidente e la moglie nella parte anteriore. C’è un protocollo che tutti conoscono a memoria e che tutti eseguono meccanicamente. Michelle guarda suo marito e aspetta. Devono attendere qualche minuto. Tutti i cellulari e i computer non sono più considerati affidabili. Tra qualche istante verrà stabilita la linea rossa.
    -Un bicchiere d’acqua, per cortesia.
    Chiede il Presidente a un soldato che gli sta vicino. Questo rimane immobile. Forse non ha sentito. Il rumore dei motori è forte. Il Presidente si gira verso un’altro soldato che sta in piedi vicino alla moglie.
    -Soldato, è possibile avere un bicchiere d’acqua?- dice il presidente alzando la voce.
    I soldati non fanno segno di aver sentito e rimangono immobili a guardare dritto davanti a loro.
    Il Presidente si guarda attorno, in cinque anni non gli era mai capitato che qualcuno non eseguisse i suoi ordini. Persino da Senatore c’era sempre qualcuno pronto a dargli il suo bicchiere d’acqua. Lui beve tanto, bisogna bere tanto.
    ‘E un momento tragico per il paese. Si alza, guarda i soldati.
    -Grazie a tutti voi per l’aiuto che date a me e a tutta la nazione.
    Nessuno lo guarda o fa segno di averlo sentito. Il presidente osserva le facce dei soldati. Ci sono solo soldati bianchi. Dritti nelle loro uniformi, armi alla mano. Nessuno lo guarda. Sono tutti bianchi.
    Il Presidente fa un passo avanti per uscire nel corridoio tra le poltrone.
    Un soldato gli sbarra la strada col mitra.
    Il Presidente guarda la moglie che lo guarda.
    L’elicottero si alza in volo.

    (Arianna Musso – foto da internet)

  • OLI 373: PAROLE DEGLI OCCHI – Assolibro, veglia per una libreria

    Fotografia di Giovanna Profumo
    18 aprile 2013. Ore 17.40, Genova, via San Luca, Assolibro. Arrivano i tamburi. Una libraia scoppia a piangere. La gente vaga tra gli scaffali. Marta Vincenzi passa davanti alla libreria, sorride e va oltre.
    “Contro la chiusura di Assolibro e l’apertura di Mac Donald”.
    I tredici musicisti suonano i tamburi. La gente applaude. Un “bravi”.
     I libri ormai sono già resi.
  • OLI 373 – CITTA’: L’ultimo stadio e il patron della Samp

    “Perché, vede, noi abbiamo una tradizione in città, noi rappresentiamo qualcosa che quelli del Genoa non hanno, non c’è la cultura, non potremmo fare uno stadio con il Genoa, il nostro è un brand da difendere… per restare in serie A”  sottolinea il figlio di Edoardo, durante  il buffet offerto ai Consiglieri dopo la Commissione-fiume, in cui è stato presentato il progetto Stadio in Fiera.

    Comprensibile l’incompatibilità con la squadra rivale di sempre, non si capisce però la storia della serie A, non è che la Sampdoria brilli: e comprare qualche giocatore in più? direbbero i tifosi, anche loro presenti tra il pubblico di Sala Rossa, pazzi per uno stadio tutto Samp come per il Manchester, l’Arsenal, la Juve.
    Il progetto è interessante, non si evidenziano però operazioni finanziarie da capogiro, come per  il nuovo impianto dell’Arsenal: emessi persino dei bond per 250 milioni sterline, occupati 24 ettari di una fabbrica dismessa, edificati migliaia di appartamenti, bar, ristoranti al posto del leggendario stadio Highbury di Londra.
    Sono altri numeri, milioni di sterline e giri di sceicchi.
    E perché noi no? Il gruppo Union Calcio Sampdoria accarezza l’idea, è un fatto che con gli stadi nuovi i grandi club europei stanno guadagnando parecchio, pure la Juventus, con un aumento di quasi il 12 per cento di abbonamenti e del 30 per cento di ricavi. Nessuna intenzione speculativa, sottolineano.
     L’iniziativa nasce su input del disegno di legge per gli stadi, presentato ma non approvato che, con  generose agevolazioni, cercava di risolvere l’annoso problema dell’impiantistica di proprietà pubblica: anche a Genova abbiamo un problemino, perché Genoa e Samp fanno a gara a chi paga per ultimo l’affitto di Marassi; spesso interviene la Carige.
    L’Union Club Sampdoria nella sua brochure di presentazione, distribuita ai Consiglieri comunali, elenca sette buoni motivi per fare lo Stadio in Fiera e li citiamo in ordine: miglioramento della sicurezza contro la violenza negli stadi, qualificazione dell’impianto come polo sociale e culturale, diminuzione dei costi per la collettività con la riduzione di spese di manutenzione, nuove opportunità occupazionali, riqualificazione urbana, ambientale e territoriale, diversificazione delle forme di ricavo della Società, maggiore competitività dello sport italiano.
    Alcuni si commentano da sé, su altri si potrebbe discutere. Su tutti però il tema del lavoro: un migliaio di edili impegnati, mentre, ad opera finita, i lavoratori saranno tra le 15 e le 30 unità. Cifre da sballo.
    Per contro la Società potrebbe avere “un riequilibrio delle voci del conto economico e, in ragione della titolarità dell’impianto, la conseguente patrimonializzazione”: bel colpo, si tratta delle aree più pregiate di Genova, in riva al mare e in centro città, valutate sui venti milioni di euro dalla presidente di Fiera Armella, che intanto vuole mandare a casa 31 su 54 lavoratori e un indotto di quasi cinquecento piccole imprese.

    E’ sulla crisi di Fiera che conta la Sampdoria, sui conti che non tornano per il Comune, principale azionista?
    Sorvolando pure sull’impatto paesaggistico di uno stadio piéd dans l’eau da trentamila posti e mille parcheggi, ci si chiede perché farlo proprio lì. Di certo fa gola anche l’eventuale saldo dell’ex palazzo Nira-Ansaldo e qualche immobile del Comune nei dintorni. In cambio si avrà un modesto palazzetto dello Sport per altre discipline, alto circa trenta metri, al posto della ariosa tensostruttura; un po’ di centro commerciale che non guasta mai. E sperando nei nuovi accessi di ponente, che si otterrebbero tirando giù 500 metri di fine sopraelevata per arrivare direttamente in Fiera (costo un milione al metro, fonte Autostrade), trentamila persone si riverserebbero nell’arco di poche ore in un luogo già intasato.
     Ma l’interesse pubblico qual è?
    Il disastro è che non s’intravede proprio una visione di potenzialità economico-lavorative per la città, ma soltanto un progetto dall’utilizzo alterno, rivolto essenzialmente ai tifosi e non per attrarre turismo, forse la nostra ultima speranza. 
    (Bianca Vergati – immagine da internet)
  • OLI 373: PALESTINA – Samer Issawi, in fin di vita per la libertà

    In occasione della giornata internazionale di solidarietà con i detenuti politici palestinesi del 17 aprile, riportiamo il discorso del prigioniero Samer Issawi, da 8 mesi in sciopero della fame, che nonostante sia in fin di vita per le sue condizioni fisiche, continua a lottare contro la repressione israeliana. Il 20% della popolazione palestinese residente nella West Bank è stata arrestata almeno una volta, in questo momento ci sono 4700 prigionieri nelle carceri israeliane rinchiusi in celle di pochi metri quadrati in cui vivono in media 30 detenuti ammassati in condizioni igieniche nulle. Per questo i prigionieri ammalati continuano ad aumentare e continuano a non ricevere alcuna assistenza sanitaria. I prigionieri palestinesi vengono sottoposti in maniera sistematica ad atroci torture sia fisiche che psicologiche.
    Chi esercita maltrattamenti e torture ha l’assoluta impunità anche se si tratta di personale sanitario le cui azioni entrano in conflitto con l’etica medica.

    Israele utilizza una struttura giudiziaria arbitraria che consente l’arresto e la detenzione in carcere senza processo e senza la presenza di un avvocato su individui dai 12 anni di età. E’ partita una campagna internazionale organizzata dalle associazioni per i diritti umani contro la detenzione amministrativa.
     La detenzione amministrativa è una tattica usata per detenere i palestinesi a tempo indeterminato senza mai portarli in giudizio. L’uso che Israele fa della detenzione amministrativa viola diverse norme internazionali: deportazione dei palestinesi da Israele ai territori occupati, la negazione delle visite regolari dei parenti ed avvocati, la non considerazione dell’interesse superiore dei bambini detenuti come richiesto dal diritto internazionale.
    (Maria di Pietro – Immagini da internet)
    Per leggere il discorso di Samer Issawi clicca su: continua a leggere

     “Israeliani Sono Samer Issawi in sciopero della fame da otto mesi consecutivi, attualmente ricoverato in uno dei vostri ospedali chiamato Kaplan. La mia situazione è monitorata 24 ore su 24 grazie ad un dispositivo medico che è stato inserito sul mio corpo. I miei battiti cardiaci sono rallentati e il mio cuore può cessare di battere da un momento all’altro. Tutti – medici, funzionari e ufficiali dell’intelligence – attendono la mia resa e la mia morte. Ho scelto di rivolgermi a voi intellettuali, scrittori, avvocati, giornalisti, associazioni e attivisti della società civile per invitarvi a farmi a visita, in modo tale che possiate vedere ciò che resta di me, uno scheletro legato ad un letto d’ospedale, circondato da tre carcerieri esausti che, a volte, consumano le loro vivande succulente, in mia presenza. I carcerieri osservano la mia sofferenza, la mia perdita di peso e il mio graduale annullamento. Spesso guardano i loro orologi e si chiedono a sorpresa: come fa questo corpo così martoriato a resistere dopo tutto questo tempo? Israeliani Faccio finta di trovarmi innanzi ad un intellettuale o di parlare con lui davanti ad uno specchio. Vorrei che mi fissasse negli occhi e osservasse il mio stato comatoso, vorrei rimuovere la polvere da sparo dalla sua penna e il suono delle pallottole dalla sua mente, in modo tale che egli sia in grado di scorgere i miei lineamenti scolpiti in profondità nei suoi occhi. Io vedo lui e lui vede me; io lo vedo nervoso per le incertezze future, e lui vede me, un fantasma che rimane con lui e non lo lascia. Potete ricevere istruzioni per scrivere una storia romantica su di me, e lo potreste fare facilmente. Dopo avermi spogliato della mia umanità, potrete descrivere una creatura che non possiede null’altro che una gabbia toracica, che respira e soffoca per la fame, perdendo di tanto in tanto coscienza. Ma, dopo il vostro freddo silenzio, il racconto che parla di me, non sarà null’altro che una storia letteraria o mediatica da aggiungere al vostro curriculum, e quando i vostri studenti diventeranno adulti crederanno che i Palestinesi si lasciano morire di fame davanti alla spada dell’israeliano Gilad e voi potrete rallegrarvi per questo rituale funebre e per la vostra superiorità culturale e morale. Israeliani Io sono Samer Issawi il giovane “Araboush” come mi definisce il vostro gergo militare, l’Uomo di Gerusalemme che avete arrestato senza accusa, colpevole solo di essersi spostato dal centro di Gerusalemme verso la sua periferia. Io sono stato processato due volte senza alcuna accusa perché nel vostro Paese sono le leggi militari a governare e i servizi segreti a decidere mentre tutti gli altri componenti della società israeliana devono limitarsi a trincerarsi e nascondersi dietro quel forte che continua ad essere chiamato purezza di identità – per sfuggire all’esplosione delle mie ossa sospette. Non ho udito neanche uno di voi intervenire per tentare di porre fine allo squarciante gemito di morte. E’ come se ognuno di voi – il giudice, lo scrittore, l’intellettuale, il giornalista, l’accademico, il mercante e il poeta – si fosse trasformato in un affossatore e indossasse una divisa militare. E stento a credere che una società intera sia diventata spettatrice della mia morte e della mia vita e protettrice dei coloni che hanno distrutto i miei sogni insieme agli alberi della mia Terra. Israeliani Morirò soddisfatto e avendo soddisfatto gli altri. Non accetto di essere portato fuori dalla mia patria. Non accetto i vostri tribunali e le vostre leggi arbitrarie. Dite di aver calpestato e distrutto la mia Terra in nome di una libertà che vi è stata promessa dal vostro Dio, ma non riuscirete a calpestare la mia nobile anima disobbediente. La mia anima si è risanata, si è liberata e ha celebrato il tempo che le avete tolto. Forse capite che la consapevolezza della libertà è più forte di quella della morte… Non date ascolto a quei luoghi comuni, ormai obsoleti perché lo sconfitto non rimarrà sconfitto in eterno così come il vincitore non resterà un vincitore in eterno. La storia non si misura solo attraverso battaglie, massacri e prigioni ma anche e soprattutto dal sentirsi in pace con gli Altri e con se stessi. Israeliani Ascoltate la mia voce, la voce dei nostri tempi, nonché la vostra voce! Liberate voi stessi dell’eccesso avido di potere! Non rimanete prigionieri dei campi militari e delle sbarre di ferro che hanno serrato le vostre menti! Io non sono in attesa di essere liberato da un carceriere ma sto aspettando che voi vi liberiate della mia memoria.” (Samer Issawi)

  • OLI 373: CITTA’ – Maddalena on the Road

    Sabato 13 Aprile 2013 si è svolta Maddalena on the road: commercianti, abitanti, artigiani, accompagnati da un gruppo di attori, musicisti e clown, hanno invaso il quartiere per cercare di restituirgli la vita. Anche le attività dei negozi si è svolta in strada.
    E’ da qualche mese ormai che il Civ della Maddalena, l’associazione A.Ma. e il Formicaio, sostenuti da altre realtà del quartiere, animano i sestriere ogni secondo sabato del mese.
    Galleria fotografica di Paola Pierantoni, Giovanna Profumo, Ivo Ruello