Autore: Redazione

  • Oli 355: ETICA – Dalle mine antiuomo al Latte Oro

    Negli anni ’70, ricordo, si ragionava sull’efferatezza degli imprenditori della Val Trompia che producevano mine antiuomo, commissionate da regimi forse totalitari, dittatori, che le spargevano laddove inermi famigliole, bambini che giocavano sui prati, donne che lavavano i panni in riva a torrenti ne erano poi vittime. E quindi gambe maciullate, braccia mozze, lunghe fila di croci o di qualsiasi indicatore di cadaveri seppelliti. Danni collaterali o forse no. Ci dissero le parti, tutte le parti, che in giro, da qualche parte del mondo le mine le avrebbero comunque costruite, che ci saremmo trovati in una strana posizione, che con la nostra posizione esclusivamente etica avremmo portato alla crisi lavoratori di un settore in difficoltà, così come quei loro colleghi che producevano pistole per le forze armate americane: guai a fermarli. O i produttori di fucili che grazie alla notevole dimensione di un hobby nazionale, per altro fortemente incentivato a tutti i livelli dalle lobby di riferimento, produceva un benessere trasversale, oggetto di evidente voto di scambio di diverso colore.

    A certi livelli però una scelta era possibile. Ricordo infatti che qualche campionato mondiale di calcio fa, si diffuse una parola d’ordine in tutto il mondo civilmente etico: non si sarebbero dovuti comperare od utilizzare i palloni da calcio rappresentativi della manifestazione, in quanto cuciti, firmati e prodotti da lavoratori bambini del Bangladesh. Il movimento di opinione che ne adottò lo slogan, senza incertezze attraversò in un lampo il mondo: nessuno avrebbe mai comperato palloni eticamente così mal prodotti. Accidenti, saremmo scesi in piazza per garantire a quegli sconosciuti bambini del delta del Gange, oltretutto probabili futuri oggetti sessuali di pallidi e pingui pedofili europei, che non avremmo comperato i loro palloni, strumento di sfruttamento e di prevaricazione. Un bambino a quella età non deve che vivere felice, giocare con i suoi consimili, restare la sera in famiglia, andare a scuola, vedere BarbaPapà la sera alla televisione e, dopo Carosello, andare a nanna.
    Ma l’etica è un pasticcio soggettivo, con principi che di volta in volta sono frutto di mediazione fra le parti: dipendono da rapporti di forza, da potere contrattuale esercitato od impedito.
    Oggi un vescovo della chiesa americana non potrebbe più battezzare in modo beneaugurale le bombe piene di Agent Orange da scaricare in Vietnam, ed oltretutto come diossina noi siamo già a posto con quanto diffuso generosamente dalla industria italiana, il caso Taranto insegna. Certo, è difficile applicare principi di etica commerciale al prodotto acciaio: come esercitare la scelta di non comperare un prodotto costruito con acciaio non eticamente prodotto? La filiera di riferimento è certamente inquinata dai prodotti extranazionali, extraeuropei.
    Certo forse è più eticamente problematico prendere posizione su eventi internazionali che ci vedono coinvolti come Stato: i due militari che sparano ed uccidono pescatori nell’Oceano Indiano, credendoli pirati, avevano licenza di uccidere o meno? Ricordo empo addietro Messina Jr. che in un convegno rivendicava, per conto di Confitarma, il diritto ad essere protetto, durante il percorso più economico possibile delle merci da lui trasportate; anzi lui parlava di militarizzare i suoi equipaggi, dotandoli, forse, in qualche misura, di armi e sistemi di deterrenza. E giù quasi tutti ad applaudire, meno solo noi di Cgil, forse profeti di sventura, persi ad immaginare il bambino pakistano o il pescatore indiano travolti come danni collaterali, scenari improbabili ma possibili, tragicamente manifestatisi.

    A questo punto ci potremmo chiedere perché dovremmo continuare a comperare eticamente un pack di Latte Oro; ci hanno preso in giro, noi consumatori e certamente i lavoratori, Anzi, ex-lavoratori. Dopo la grande truffa ci hanno convinti a progettare percorsi di sviluppo, ad immaginare crescita od almeno mantenimento di occupazione, quando l’obiettivo era semplicemente di chiudere per meglio creare mercato. Ma perbacco, avevano promesso mercato, marchio, mantenimento e supporto della filiera e dell’occupazione, ed invece tutto si è risolto nella chiusura dell’azienda, con l’impedimento ad essere sostituiti da concorrenti, e con l’unico certo risultato di una drastica, immediata e fisica estrusione dal posto di lavoro.
    Anzi la campagna promozionale del marchio, da quel momento è rappresentata da un brutto slogan, su grandi manifesti in giro per Genova sui quali si legge che “Oggi il Latte Oro costa meno.”
    Ecco, a differenza delle mine antiuomo, posso non comperare il Latte Oro, posso esercitare una scelta etica. Quell’azienda, nata sulle ceneri di una grandissima truffa di stato, non merita il mio euro o poco più, perché non ha rispettato le promesse, ha garantito un processo con una serie di esche truffaldine, non dissimili da un verme finto che metti sull’amo, preda di un pesce affamato e necessariamente portato a credere a quanto spera di vedere. Ma noi abbiamo ancora, nonostante questi momenti bui quasi eticamente medioevali, leggi, norme, alcune belle e moderne. Pensiamo alla Legge 300 del 1970, quella che molti chiamano “Statuto dei Lavoratori”. Quello è stato ed è un grande e bilanciato accordo fra le parti, “l’accordo sull’organizzazione del lavoro, la condivisione dei ruoli e delle parti”, da cui tutto nasce e viene rivendicato. Da cui si sviluppano le leggi moderne, i Contratti nazionali, le contrattazioni locali. E’ grazie allo sviluppo di questa pletora di articoli e commi che localmente si garantisce il fluidificare di accordi locali, di categoria, di azienda. A fronte di profitto e, spesso, di sudore e sangue. Non è una drammatizzazione, mille morti più o meno ogni anno, cosi come avviene, dati alla mano, nella sommatoria del farsi male nelle aziende italiane, naturalmente oltre gli ammalati, gli intossicati, i cancerosi, i morti in nero, quelli sconosciuti ai più ed alle statistiche ufficiali e politicamente corrette. Bene, una grande azienda italiana che produce auto, non splendide auto ma questa è altra storia, che non rispetta gli accordi fra le parti, che vanifica la Legge 300, che disconosce le organizzazioni sindacali a lei non suddite, è diversa da quella che fa costruire palloni da calcio in Bangladesh dai bambini? Perché, crisi permettendo, devo comperare una auto con quel marchio? In qual misura posso rivendicare il mio diritto al manifestare il mio, soggettivo ed unico, punto di vista etico e smettere di comperare il latte da chi mi ha preso in giro? Eticamente il “diritto” ha un valore alfanumerico? Posso determinare quale livello di prevaricazione sono in grado di accettare come consumatore prima di interrompere una sequenza di azioni, una scelta di acquisto indirizzata verso un marchio invece che un altro? Non compero mine antiuomo, palloni prodotti da bambini, non cambio auto perché spero che la mia vada avanti ancora trent’anni, ma almeno il latte, dai, lo compero da qualche altro, meglio filiera corta, ma certamente non quello di una azienda che mi ha preso in giro, raccontandomi tante balle ed ottenendo finanziamenti pubblici, sconti di pena, concordati fiscali alla faccia mia, su questo tema sono finalmente in grado quindi di manifestare appieno il vero valore del mio concetto di etica, perché ormai i lavoratori sono stati licenziati, nessuno ci perde niente, meglio o peggio di così?  
    (Aris Capra – immagini da internet)

  • OLI 355: SPRECHI – Vizi privati e pubbliche virtù della città “smart”

    Che cosa ci si potrebbe aspettare da una città smart? Secondo il programma del Comune, interventi da milioni di euro per effettuare investimenti utili al risparmio energetico, alla produzione di energie rinnovabili, alla digitalizzazione e alla connettività diffusa.
    Dopo i sogni da milioni di euro che riempiono bocche e carte patinate, veniamo alla cruda realtà, solo un piccolo esempio, invero. In via Garibaldi 14, il cosiddetto Palazzo delle torrette ospita gli uffici dei gruppi consiliari. Quelli del Movimento 5 Stelle, della Lista Musso e una stanza della Lega Nord occupano il primo piano, sette stanze abbastanza grandi, più i servizi, regolarmente riscaldati a dismisura da caloriferi prebellici, con le valvole bloccate.
    Il Movimento occupa lo spazio che fino a prima delle ultime elezioni era della Lista Musso, le due segretarie ora spostate in altre stanze adiacenti ci avevano già messo in guardia i primi di settembre dal fatto che saremmo stati d’inverno con le finestre aperte. Le valvole dei termosifoni sono bloccate, appositamente, e quindi la richiesta di installare delle valvole termostatiche ci è sembrata una cosa logica e doverosa. Ma, perché quando si tratta di fare un passo in avanti in Comune il “ma” è di rigore, scopriamo che di fare modifiche all’impianto non se ne parla, perché è in corso “La Gara”. La parola “gara” appare come il sancta sanctorum dell’immobilismo, la ragione di tutti i mali, e riesce a compenetrare i peggiori concetti: impossibilità, insieme a scarsa trasparenza, talvolta ai limiti del segreto di stato (vedi la gara per l’affidamento delle riprese televisive del Consiglio comunale, la cui bozza è stato impossibile vedere prima della pubblicazione). La “gara” uccide le buone intenzioni: “eh, c’è la gara …”. Insomma, il Comune da una parte spinge i cittadini al buon comportamento di installare a casa propria le valvole termostatiche, ossia quelle valvole che sentono la temperatura ambiente regolando in modo automatico il flusso di acqua calda, interrompendolo se necessario. Ma in casa propria, nella città smart, si comporta in modo ben poco “clever”: resteremo anche questo inverno con le finestre aperte a dicembre. Un simile scempio non può restare invendicato: proveremo con un 54, ovvero un’interrogazione, per vedere cosa risponderanno gli alti gradi dell’amministrazione di fronte alle telecamere che portano la voce del Comune nelle case dei genovesi, ai quali è appena stata aumentata l’Imu per far fronte agli “ingenti non risparmi” dell’Amministrazione.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 355: ESTERI – Elezioni americane, si vota per il meno peggio

    I sondaggi dicono che il voto americano è incerto, che sarà una lotta fino all’ultimo voto. Qualche settimana fa, quando Mitt Romney è stato beccato mentre offendeva la parte povera del suo popolo, Barack Obama era in netto vantaggio. Ma il primo dibattito televisivo è stato nettamente vinto da Romney. Successivamente, Obama ha recuperato, ma soltanto per arrivare alla situazione attuale di parità ed incertezza. Il primo dei tre dibattiti televisivi sarà ricordato come la causa determinante di un’eventuale sconfitta di Obama: il presidente sembrava svogliato, come se la sua passione politica fosse finita, che fosse rassegnato al potere dell’apparato politico che impedisce ad ogni occupante della Casa Bianca di compiere cambiamenti significativi alle politiche nazionali o esteri. Essendo un uomo di centro, come Bill Clinton, non ha nemmeno cercato di sfidare l’apparato di potere o di governare da progressista. David Maraniss, nel suo libro sulla vita e la formazione di Obama, racconta che quando era andato al colloquio per il suo primo lavoro come organizzatore di comunità, ha trovato il modo per chiedere al suo intervistatore se si trattava di una di quelle organizzazioni di estrema sinistra con la quale non voleva avere niente a che fare. Inoltre Obama si era presentato al dibattito impreparato, sottovalutando il suo avversario e sopravvalutando le sue capacità di improvvisazione. Obama è un grande oratore e aveva agito brillantemente contro MacCain nel 2008, ma il conservatore di destra Romney, diversamente da McCain, ha una personalità solare e ha alle spalle una brillante formazione universitaria: ha frequentato contemporaneamente la Harvard Law School e la Business School, classificandosi al top in entrambi. Romney è arrivato al dibattito molto preparato, come ha sempre fatto. Nel terzo dibattito sulla politica estera i due candidati erano sostanzialmente d’accordo su tutto, ed è proprio questo il vero problema. Glenn Greenwald sul The Guardian scrive, infatti, che il dibattito “ha mostrato una fondamentale verità sulla campagna delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti: la maggior parte delle questioni politiche più importanti sono completamente taciute“.
    Ciò è dovuto al fatto che “i due candidati in grande misura sono d’accordo su molte delle questioni politiche più urgenti del paese“.
    La maggior parte di ciò che conta nella vita politica americana non si trova nei dibattiti elettorali nazionali e le politiche penali ne sono un esempio chiaro. L’ America imprigiona i suoi cittadini in una misura di gran lunga superiore a qualsiasi altra nazione sulla terra, compresi i paesi con una popolazione molto più ampia.
    Come ha riportato il New York Times nel mese di aprile 2008: “Gli Stati Uniti hanno meno del 5% della popolazione mondiale, ma hanno quasi un quarto della popolazione carceraria del mondo”. I neri americani continuano ad esserne la prima vittima. Come è successo parecchie volte nel nostro paese negli ultimi vent’anni, anche i progressisti americani si trovano di fronte due candidati che meritano entrambi di perdere le elezioni, e siccome il sistema elettorale non lo permette, sono costretti (quelli che ci vanno) a turarsi il naso e votare per il meno peggio.
    (Saleh Zaghloul – Foto da internet)

  • OLI 355: DON FARINELLA – I quaranta anni di un ottimo parroco

    Giovedì 1 novembre alla Chiesa di San Torpete è in programma un concerto della “Accademia dei virtuosi”, ensemble della Scuola Musicale Giuseppe Conte e della Cappella Musicale della Chiesa di San Torpete, direttore Luca Franco Ferrari. Musiche di Josquin Des Prez. Ci vado, è la prima volta che entro in questa chiesa, e scopro che non si svolgerà un concerto in senso proprio: le musiche sono previste ad accompagnamento della liturgia. Ma la vera scoperta è che non si tratta di un giorno qualsiasi, perché si festeggiano i quaranta anni di sacerdozio di Don Farinella, famoso prete ‘diavolo’ per una parte della gerarchia ecclesiastica e della politica genovese.
    Anche a chi come me non era mai andato in questo luogo salta agli occhi che quella lì riunita è una comunità molto coesa. Sembra che tutti si conoscano tra loro, e si dividano i compiti necessari. Dopo un numero indeterminato di anni mi trovo ad ascoltare una messa senza esserci portata da un matrimonio o da un funerale.

    La musica è bella, e l’insieme musicale di ottimo livello, ma diversamente dalle aspettative con cui sono venuta quello che mi prende di più sono le parole, quelle promunciate e quelle scritte. Ognuno riceve infatti un plico di 12 pagine, con note sulla musica che verrà eseguita, parole e letture della liturgia, ‘spunti di omelia’, suggerimenti per la riflessione personale, esegesi dei testi, avvisi, programmi e appuntamenti futuri, religiosi, musicali, culturali. Dietro ogni incontro in questa chiesa c’è davvero un gran lavoro. Nella sua introduzione all’evento Don Farinella dice “Ringrazio Dio di avermi chiamato ad essere prete con un cuore laico”. Ringrazio anche io, laica e non credente, perché ho potuto ascoltare e leggere parole che mi sono vicine, che posso condividere. Ad esempio la chiara coscienza della parzialità e del limite di qualunque espressione umana, inclusa l’appartenenza ad una determinata religione.
    Don Farinella ricorda quanti di più siano e siano state le persone che non hanno alcun legame con la religione cattolica, ma in questa presa d’atto non c’è l’ansia di “farli propri”, ma il riconoscimento della loro appartenenza comunque alla divinità e santità. Nel discorso di Farinella i santi e le sante diventano così persone quotidiane e sconosciute. Dice che bisognerebbe superare il monopolio della promozione a santità esercitato dalla Chiesa secondo un dubbio modello ispirato alla mortificazione e alla sofferenza come condizione essenziale della vita. La cosa più giusta, dice Farinella, sarebbe proprio eliminare dal calendario i nomi di questa piccola manciata di santi e sante, perché il mondo ne è invece pieno, ed “essere santi significa in primo luogo essere se stessi, esserlo sempre, esserlo senza paura … se nel lavoro, nelle scelte di vita, nella vita di famiglia, con gli amici, in viaggio, ovunque, diamo un senso a tutto quello che operiamo e che facciamo, noi estendiamo la santità di Dio attraverso la normalità e la ordinarietà della nostra vita vissuta come un pellegrinaggio verso la tappa conclusiva che è l’inizio di un’era nuova: il Regno escatologico di Dio”.
    Da laica non credente non posso che fermarmi alla ‘tappa conclusiva’, ma fino a lì la compagnia di persone come questo ‘ottimo parroco’ mi pare preziosa.
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice)

  • OLI 354: PAROLE DEGLI OCCHI – Ragazze di Leiden

    (foto di Giovanna Profumo)

    Agosto 2012, Lieden – Olanda: per abbattere il costo della vita e beneficiare delle giornate lunghe i ragazzi e le ragazze della città universitaria organizzano aperitivi e cene en plein air. Occupano con le loro sedie strade, piccole piazze e, in occasione di questo scatto, anche le chiatte dei canali. Dehors di ristoranti privati e dehors giovanili, allo sguardo straniero, sembrano avere pari dignità.

  • OLI 354: INFORMAZIONE – Amber Lyon e gli altri: chi racconta (a proprie spese) la verità sul Medio Oriente

    Amber Lyon, giornalista della CNN, fu inviata l’anno scorso in Bahrain per documentare la rivolta in quel paese. Con mille difficoltà riesce a produrre un filmato sulle repressioni più brutali operate dal regime sostenuto dagli Stati Uniti. Il documentario, che ha ricevuto riconoscimenti dalla critica: è stata recensito da Glenn Greenwald sul Guardian, ed è stato insignito di numerosi premi giornalistici (come il 2012 Gold Medal), ma non è ancora andato in onda sulla CNN e nel marzo del 2012 la giornalista è stata licenziata dalla CNN col pretesto di fare parte un “movimento indipendente” con lo scopo di cedere all’esterno i documentari investigativi di proprietà del network. Amber Lyon ha così commentando il suo licenziamento: “A questo punto, non posso che considerare il mio stipendio come dei soldi sporchi che servono a farmi stare in silenzio. Sono diventata giornalista per esporre, non per aiutare a nascondere le malefatte. Non sono disposta a tacere su questo ancora a lungo, anche se questo è significato perdere il lavoro.” Per chi vuole approfondire ecco l’intervista di Amber Lyon su RT.com. pubblicata su Youtube. Qui invece troverete l’articolo di Glenn Greenwald del Guardian (è, a mio parere, il miglior giornalista occidentale che si occupi di Medio Oriente e politica estera in generale). Un altro giornalista bravo e coraggioso è Andrew Hammond, il corrispondente dal Medio Oriente della Reuters. Egli è unico nella sua conoscenza della regione: parla correntemente l’arabo ed ha una mente indipendente. Gli arabi americani consigliano vivamente la lettura del nuovo libro di Hammond (in inglese), The Islamic Utopia. A proposito della Reuters, è stata forse l’unica ad accorgersi la settimana scorsa della manifestazione in Tunisia dei laici tunisini contro il governo islamico, ed ha raccontato la situazione tragica nella quale si trova la popolazione siriana schiacciata tra il martello del regime e l’incudine dei ribelli, in particolare della parte più debole (donne e bambini) e povera della popolazione: “molti poveri siriani assediati nelle zone di guerra hanno smesso di fuggire. Sono tornati a casa con la sola speranza di morire con un po’ di dignità”. (). Sulla Siria segnalo inoltre queste parole dette da una donna siriana e riportate dall’Economist del 27 ottobre: “Bashar Assad è un cane, è un assassino – dice una madre di otto figli – ma, non ci piacciono neanche i combattenti. Siamo stanchi e vogliamo la pace”.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 354 – ILVA : Genova chiama Taranto, tra bilanci politici e prevenzione

    “Riteniamo illogico considerare inevitabile che ogni anno ottantamila quintali di residui aerei del centro siderurgico di Taranto debbano cadere sulla città”. “L’introduzione di nuove tecnologie e di nuovi sistemi organizzativi non è un momento unico e definitivo dell’azienda moderna ma fa parte di un processo continuo di crescita dell’apparato produttivo che noi rivendichiamo perché ad esso è legato lo sviluppo economico della collettività”.
    E’ un estratto degli atti della conferenza nazionale di Cgil, Cisl e Uil dal titolo “La tutela della salute negli ambienti di lavoro”, marzo 1972.
    Ne ha dato lettura, il 26 ottobre, Santo Grammatico, Presidente di Legambiente Liguria promotrice dell’incontro “Genova chiama Taranto. Il caso acciaio. Ambiente e lavoro sono la stessa cosa”. Nel salone di rappresentanza del Comune di Genova manca, però, il pubblico delle grandi occasioni. Peccato. Perché, dopo aver riempito piazze, fatto assemblee, subìto il ricatto lavoro-ambiente, quella di venerdì si è dimostrata una preziosa occasione di riflessione, lontano dai riflettori, per fare il “punto nave”, come dicono in produzione. Un’occasione per ragionare sulle scelte politiche genovesi, criticarle o rivendicarle ricordando le vicende che hanno reso possibile superare il ciclo a caldo a Cornigliano.
    Quindi Bernini e Biasotti, per la parte politica e istituzionale, rappresentanti di Legambiente e Federico Valerio, chimico ambientale, per la tutela della salute e del territorio, Federico Pezzoli, RSU Ilva Cornigliano, per il lavoro, hanno messo a fuoco i punti salienti di una storia in divenire in cui Riva – Emilio, famiglia, società? – è stato a tratti o deus ex machina o spietato padrone delle ferriere. Comunque sempre soggetto difficile da controllare.

    Così quanto dice Bernini sulle aree: “Il conto è stato fatto sul lavoro che poteva essere dato” e “la parte liberata e già destinata dalla società per Cornigliano ad attività portuale” in parte occupa addetti “ma la quantità di occupati per metro quadrato non è soddisfacente”, si arricchisce con gli “aneddoti” di Biasotti su come Riva fosse stato abile ad ottenere da Mori, suo predecessore in regione Liguria, mille volte di più di quello che aveva prima: dai cinquant’anni di concessione, all’abbuono di tutti i canoni che mai aveva pagato, insieme a tutta una serie di vantaggi. Vinte le elezioni regionali nel 2000, il Senatore Biasotti fa  “l’ambientalista” e dice una serie di no. Nel suo album di ricordi anche l’imbarazzo per l’assegno “milionario” staccato da Riva a Berlusconi per la campagna elettorale del 2001. In merito “al contratto fatto nel 2006” con Riva il senatore dice: “Purtroppo ha una grave lacuna: non lega i metri quadrati che gli sono stati dati ai dipendenti, tant’è che oggi ci sono 1500 operai mentre lui dovrebbe farne lavorare 2400. Questo è un fatto grave.” Ma Biasotti non deve fare ammenda perchè lui quell’accordo non l’aveva firmato.
    La chiusura della cokeria di Cornigliano – ha spiegato Federico Valerio dell’Ist – ha permesso un abbattimento immediato di malattie e ricoveri, anche dei bambini del quartiere. E ha reso gli abitanti di Cornigliano simili a quelli di altre parti della città che comunque hanno a che fare con l’inquinamento automobilistico, che è altra cosa da quello di una cokeria. La cokeria ha spiegato Valerio non si può ambientalizzare perché intrinsecamente produce fumi cancerogeni. Dell’esperienza Ist beneficerà l’agenzia per l’ambiente pugliese che ha adottato la procedura degli studi epidemiologici genovesi. Tuttavia ha aggiunto Valerio “il sottoscritto che ha diretto quel laboratorio e ha ottenuto quei risultati è andato in pensione e nessuno sta pensando di sostituirlo, perché della prevenzione primaria non gliene può fregare niente a nessuno. Non rende.” Ma i dati ci sono e non bisogna perdere la memoria storica. Si è capito che le acciaierie a ciclo integrale costruite a meno di duemila metri dall’abitato diminuiscono l’aspettativa di vita. La salute non è una cosa vaga, ha spiegato Valerio, e un tumore polmonare costa cinquantamila euro per il ciclo chemioterapico con pochissime probabilità che serva a qualcosa. Basta pensare agli effetti devastanti all’amianto.(Continua)
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 354: POLITICA – Come ti condisco il libro mastro

    L’immagine ritrae la definizione di “mastro” o “maestro” che ne dà il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, pubblicato su etimo.it. Mastro sta quindi per “grande”, “principale”, denotando la posizione centrale della persona o dell’oggetto in questione all’interno di un’organizzazione logica.
    In contabilità, il libro mastro è il registro nel quale sono annotate con rigorosa precisione tutte le operazioni contabili, di solito separate per conti e sottoconti, al di là delle motivazioni economiche che possano averle fatte intraprendere, con i riferimenti alle entrate o uscite, ai dati degli intestatari, date e quant’altro utile. Si capisce quindi come mai questo libro sia tenuto gelosamente custodito da sguardi indiscreti.
    Oggi la contabilità è stata dematerializzata e il nostro “magister” è diventato una tabella in un database, conservando la funzione di insegnare a chi lo legge come viene gestita l’azienda giorno per giorno.
    Mentre il bilancio aggrega i dati contabili in poche paginette, il libro mastro mette a nudo la contabilità nella sua interezza.
    Dopo questa necessaria premessa, veniamo al fatto. Nel Consiglio comunale del 25 settembre 2012 il Consigliere Grillo (Pdl) presenta un ordine del giorno per chiedere alla giunta di relazionare sulle attività delle aziende partecipate, bilanci alla mano e con la presenza dei responsabili amministrativi. Il Movimento 5 Stelle propone con un emendamento che sia aggiunta la parola “e i libri mastri” al bilancio, aprendo la possibilità di una rivoluzione in ambito di trasparenza.  L’emendamento viene accolto da Grillo, diventando quindi parte integrante della sua mozione. Il silenzio del Segretario generale avvalla la liceità della richiesta, per altro già precedentemente confermata in una seduta di commissione a gennaio 2012. La giunta accetta parzialmente la mozione di Grillo ma esclude l’emendamento sul mastro, adducendo il problema tecnico della stampa di migliaia di fogli. Dalla sala un consigliere urla alla volta dell’assessore “ci sono i pdf!”, lui sente, cerca di articolare una risposta anche su questo. La mozione va alla votazione insieme a molte altre, alcuni forse non capiscono esattamente cosa stiano votando, se la mozione originale o quella emendata o addirittura quella prima o quella dopo.
    Alla fine la maggioranza dei votanti decide per il si. L’opposizione vota praticamente in blocco insieme ai consiglieri del movimento 5 stelle, anche una “doriana” alla quale qualcuno lancia un sorriso di approvazione. Molti astenuti testimoniano che anche in seno alla maggioranza esiste una spaccatura con chi vorrebbe veder cambiare qualcosa e fatica ad accettare ordini di scuderia. Ma ormai il cambiamento è in: la giunta è impegnata a produrre in sede di commissioni consiliari i libri mastri delle partecipate del comune. In aula un po’ di sguardi attoniti, l’assessore al bilancio rompe la sua caratteristica flemma inglese alzando un sopracciglio, il Sindaco (che ha votato no) appare contrariato.
    Qualche giorno dopo, in occasione della prima commissione sulla Spim, l’azienda del comune che gestisce il patrimonio immobiliare, i mastri non arrivano, Sono richiesti, l’assessore al bilancio Miceli adduce la solita motivazione, poi s’inventa la riservatezza, poi che un odg è meno cogente di un emendamento, forse pensava che fosse solo folclore e che nessuno avrebbe insistito, ma così non è. Sull’insistenza, fornisce dei files che nulla hanno a che fare con i mastri, come si dice “è nelle curve”, combattuto tra la necessità di difendere la propria posizione e l’obbligo che deriva dalla votazione in consiglio.
    Il giorno dopo il movimento fa partire una mozione al sindaco firmata da molti consiglieri, e successivamente una richiesta di elencare tutti i software in uso per la contabilità delle aziende controllate. Si attendono risposte.
    Stay tuned!
    http://www.genova5stelle.it/sara-possibile-visionare-i-libri-mastri-delle-partecipate/
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 354: MEDIO LEVANTE – Passerà la trasparenza?

    Dalla mozione per Accesso agli atti amministrativi dei progetti edilizi in Municipio: “Da molto tempo ci sono contestazioni e lamentele che sfociano in iniziative di singoli privati o comitati contro le decisioni dell’Amministrazione in materia urbanistica. Le proteste sono purtroppo spesso motivate perché si compromettono salute, ambiente, beni pubblici, beni culturali e artistici o anche la semplice quotidianità. Le Istituzioni devono perseguire il bene della collettività e questo fine va salvaguardato, anche a costo di decisioni impopolari o non condivise da tutta la cittadinanza. In ambito urbanistico si rileva che in più occasioni è stato invece privilegiato maggiormente l’interesse privato rispetto agli interessi della Comunità. Chiunque può constatare di persona l’iter macchinoso per accedere agli atti, tanto che non è possibile figurarsi come possano riuscirci dei semplici cittadini che non ricoprano ruolo istituzionale o facciano parte di Associazioni accreditate. Per evitare conflittualità “a posteriori”si ritiene dovere dell’Amministrazione impegnarsi per semplificare l’accesso agli atti amministrativi e renderli davvero “pubblici”. Sempre nel pieno rispetto degli operatori e degli investimenti. Oltre a tale sostanziale inaccessibilità per i cittadini, si constata che anche gli uffici del Municipio non sono in grado di fornire informazioni, vuoi per eccesso di burocratizzazione, vuoi perché non se n’è sentita la necessità. Né quindi di far sì che si possa esercitare alcun controllo sistematico sui progetti di pertinenza del territorio municipale. Risulta infatti sovente disatteso “ il passaggio” dei Progetti presso il Municipio interessato: benché il parere del Municipio non abbia “Carattere Vincolante”, esso potrebbe avere comunque valenza positiva per la conoscenza del territorio, supportare il lavoro degli uffici preposti, senza per questo intralciare i tempi di approvazione. Sarebbe quindi più che opportuno rendere “obbligatorio” e puntuale tale passaggio “prima” dell’approvazione degli Uffici e ovviamente, rendere in primis “obbligatoria l’informazione” degli uffici del Municipio, nonché del Consiglio in toto”. (Continua)
    (Bianca Vergati)