Autore: Redazione

  • LE CARTOLINE 2012 – Concessioni balneari, nonostante l’Europa

    Il Gaslini visto con Google Maps

    “Il bando è stato pubblicato per scelta su il Giornale perché l’unico quotidiano nazionale con pagina locale in Liguria e anche il meno costoso”. Risparmiosi gli uffici del Comune.
    Dunque la gara per riqualificare i famosi Bagni Maria di Genova Quarto è stata resa nota sul ben diffuso quotidiano il 4 agosto, con scadenza entro trenta giorni per partecipare. Come sottolinea il Secolo XIX del 3 settembre: ”Scadrà domani alle ore 12. E qualora non vi fossero partecipanti Tursi sarebbe libero di trattare direttamente con la società interessata la concessione ventennale”. Pare che tanti leggano il Giornale e che tanti siano accorsi a leggere sotto Ferragosto il sito del Comune alla voce Mostra tutto il menù, dove compariva a destra “Avviso manifestazione d’interesse concessione demanio marittimo a Quarto ad uso stabilimento balneare e ristorazione”. Infatti sembra abbiano risposto più d’uno e così la gara si farà, inesorabile Bolkestein.
    La Regione aveva sollecitato la pratica, pur se la scadenza per le concessioni balneari è il 2015, su richiesta del concessionario e il Comune ha dovuto obbligatoriamente indire la gara, facendo da “gestore” per l’iter burocratico senza ricavarne un euro.
    Dal 2007 tutto il costruito su area demaniale è divenuto proprietà dello Stato e come nel caso dei Bagni Maria, se ristrutturati , lo Stato si ritroverà uno stabile nuovo pièd dans l’eau. Peccato che poi scatti la concessione per decenni a canoni irrisori per queste imprese, trovate dal fisco nei mesi scorsi al 90 per cento non in regola, con scontrini record fino al 500 per cento in più rispetto all’anno precedente (Secolo XIX, 5 settembre 2012). A dispetto della crisi e con tutto il rispetto per chi fa impresa, ma anche per il valore di un bene pubblico, qual’è il litorale, dato che per un centinaio di metri di battigia il costo del canone è di circa mille euro annue. Un vero affare per le casse pubbliche, con abbattimenti anche del 50 per cento se trattasi di Società sportive, presidio sociale quando funzionano sul serio per accoglienza e sport.
    A quando un monitoraggio “vero” delle concessioni demaniali?
    Forse sarebbe opportuno che gli Enti locali reclamassero decreti attuativi della Normativa europea, visto che incasserebbero anche loro dai canoni aggiornati. Invece le Regioni difendono a spada tratta i privilegi di tali rendite a carattere ereditario perpetuo, che neanche negli Emirati…
    Già si ventilano progetti qua e là, da Corso Italia a Nervi: un bell’esempio la gigantesca piattaforma di cemento costruita quest’inverno presso i Bagni Italia per ospitare cabine-suite e vasca idromassaggio con concessione balneare fino al 2030 o giù di lì.
    I Bagni Maria consistono in un manufatto fatiscente e insicuro, con tanto di cartelli di preavviso per il pubblico e a cui le mareggiate lambiscono spesso le fondamenta. Il suo rifacimento comporterà non una ristrutturazione, bensì una costruzione ex novo in riva al mare e imprescindibili opere a mare: pagate da chi?
    Lo stabilimento in questione confina con un lembo di spiaggia riservato all’ospedale Gaslini, abbandonato al degrado.
    Perché non rimettere la spiaggia a posto per i piccoli pazienti e le loro famiglie? Basterebbe fare pulizia e un po’ di beneficenza a chi davvero ne ha bisogno.
    L’Europa prevede una durata massima di sei anni per le concessioni, ma se è giusto tenere conto degli investimenti, ancora una volta si favoriscono privati che hanno casualmente una concessione a disposizione, concessione prolungata per vent’anni, se si fanno un po’ di lavori.
    Perché non ipotizzare un’opportunità di libera impresa e di occupazione per i giovani?
    Intanto l’estate è agli sgoccioli e al mare per i bambini malati ci si penserà un’altra volta.
    (Bianca Vergati)

  • LE CARTOLINE 2012: IMMIGRAZIONE – Regolarizzazione o condono

    L’articolo di Tito Boeri “Il condono e gli immigrati”, pubblicato da La Repubblica (11 settembre) è molto interessante. Ha ragione Boeri quando scrive che la sanatoria, più che una regolarizzazione per gli immigrati, è un condono contributivo (e fiscale) e che “rischia di offrire un messaggio ai datori di lavoro che in questo momento non pare certo opportuno: è possibile farla franca perché tanto, prima o poi, ci sarà un nuovo condono”. La regolarizzazione infatti doveva essere per gli immigrati (circa un milione), non per chi li aveva fatti lavorare in nero: andava rilasciato un permesso di soggiorno per tutti coloro che non avessero commesso reati gravi.
    Boeri fa una giusta critica delle politiche migratorie degli ultimi dieci anni ma il fallimento in materia è almeno ventennale. Vede soltanto i misfatti del centrodestra e della legge Bossi-Fini di dieci anni fa, ma non quelli del centrosinistra e della legge Turco-Napolitano (1998). La doppia ipocrisia di cui scrive Boeri è infatti alla base di entrambe le leggi. La terza ipocrisia, non citata nell’articolo, è invece la principale, quella di pretendere di poter impedire gli ingressi irregolari e, di fronte all’ingresso irregolare di centinaia di migliaia di immigrati, di trasformarli in soggetti (oggetti) senza diritti, esposti al lavoro nero e ad ogni ricatto (secondo le leggi del centrosinistra) e addirittura perseguibili del reato di clandestinità (secondo il centro destra).
    La discontinuità auspicata da Boeri dovrebbe iniziare da una revisione di tutta la politica degli ingressi e la soluzione non è certamente quella della politica degli ingressi selettivi, di immigrati qualificati o culturalmente più vicini a noi, ma quella di rendere semplicemente possibili gli ingressi regolari, almeno quelli di cui il paese ha bisogno. Dall’altra parte non basta la cancellazione del reato di clandestinità, ma occorre una forte politica di regolarizzazione permanente di tutti i presenti sul territorio nazionale. Civiltà, democrazia, libertà, trasparenza, legalità e lavoro regolare contrastano fortemente con la presenza di persone irregolari prive di alcun diritto.
    Boeri scrive del “contratto di soggiorno che vincola la presenza regolare al fatto di avere un lavoro, al termine del quale bisogna tornare a casa se non si trova lavoro entro sei mesi”. In verità questa norma non esiste più: è stata modificata dalla riforma Fornero.
    Infine, sono necessarie riforme politiche e culturali: diritto al voto, cittadinanza, rispetto e valorizzazione delle diversità culturali e religiose. L’assenza totale della rappresentanza e del punto di vista degli immigrati non ha aiutato chi deve disegnare e governare le politiche migratorie. La rappresentanza politica e sociale degli immigrati non avviene tramite associazioni e comunità immigrate non rappresentative o attraverso quelle definite da Sergio Romani “nomenklature composte da persone ambiziose che aspirano a servirsi dei loro connazionali per diventare gli interlocutori accreditati delle autorità”. La rappresentanza non si realizza con le consulte ed i consiglieri aggiunti senza diritto di voto o attraverso personaggi assimilati, incuranti e addirittura irrispettosi delle loro origini e diversità culturali. La rappresentanza dovrebbe avvenire attraverso la partecipazione di tutte le persone immigrate allo stesso processo politico e sociale dei cittadini italiani esercitando pari diritti politici, a partire da quello del voto, ed attraverso la loro vera ed effettiva partecipazione e rappresentanza nelle varie istituzioni dello Stato e della società (parlamento, consigli comunali e regionali, partiti, associazioni, sindacati, ordini professionali, ecc).
    (Saleh Zagholul – foto di Giovanna Profumo)

  • LE CARTOLINE 2012: ISLAM – Piazze arabe, tra cinema e ragioni storiche

    Sulla questione del film contro il profeta musulmano Mohammad, che ha innescato le proteste in vari paesi arabi e islamici, la versione inglese del giornale egiziano al-Ahram  ha scritto, riferendosi alle due facce del partito dei Fratelli Musulmani al governo in Egitto: “Mentre manifestanti egiziani combattevano le forze di sicurezza davanti all’ambasciata americana giovedì mattina, un altro braccio di ferro era in corso – questa volta nel cyberspazio. L’account ufficiale dei Fratelli Musulmani in lingua inglese Twitter @Ikwanweb pubblicava un messaggio dal vicecapo del partito, Khairat El-Shater che si diceva “sollevato in quanto nessuno del personale dell’ambasciata al Cairo si fosse fatto male” e auspicava che le relazioni tra USA e Egitto potessero superare questi eventi. Questo tweet di riconciliazione, però, è stato pubblicato mentre l’account ufficiale dei Fratelli Musulmani in lingua araba e il suo sito ufficiale stavano entrambi lodando le proteste – organizzate contro il film prodotto negli Stati Uniti giudicato diffamatorio verso l’Islam – e convocando un corteo da un milione di uomini venerdì 14 settembre. Un articolo in lingua araba sul sito della Fratellanza aveva come titolo: “La rivolta degli egiziani per difendere il Profeta”. Notata la contraddizione, l’ambasciata statunitense al Cairo ha twittato a sua volta una risposta piccante: “Grazie. A proposito, hai controllato i tuoi feed in arabo? Spero che tu sappia che leggiamo anche quelli”.
    Il professore di scienze politiche all’Universita di California Asaad abu Khalil ha scritto sul suo blog:
    “ 1 – I salafiti in Egitto non sono stati sconvolti dalle occupazioni degli Stati Uniti, né dal sostegno degli Stati Uniti all’aggressione israeliana, né dalla sponsorizzazione degli Stati Uniti delle dittature di Sadat e Mubarak, ma da una ripugnante e fanatica pellicola su Internet.
    2 – Guai ad una nazione che si arrabbia e si infiamma a causa di un odioso e fanatico film su Internet invece di arrabbiarsi ed infiammarsi a causa dell’occupazione, dei bombardamenti, delle disuguaglianze e del furto delle risorse naturali. Mi aveva sempre addolorato che i musulmani si sentissero offesi più per l’incendio nella Moschea di Al-Aqsa che per l’occupazione della Palestina. Guai alla nazione che si comporta come un critico cinematografico invece di essere una forza di resistenza all’occupazione israeliana.
    3 – Sono stato (tra i pochi) che hanno criticato l’intervento degli Stati Uniti in Libia: allora avevo scritto che gli Stati Uniti stavano ripetendo la scena di un film già visto in Afghanistan. Un film in cui i fanatici che in precedenza erano armati e sostenuti dagli Stati Uniti si rivoltavano contro. I salafiti in Libia stanno usando armi che sono state fornite loro dalla NATO, e sono sicuro che sentiremo parlare di loro nei mesi e negli anni a venire.”
    Asaad abu Kahlil aveva visto giusto.
    (Saleh Zaghoul)
  • LE CARTOLINE 2012 – DONNE – “Se non ora quando” inciampa nei tacchi

    Nel book shop della Pinakothek der Moderne di Monaco si può acquistare al costo di Euro 6,90 il telecomando Control a woman – falle fare quello che vuoi.
    L’oggetto – rigorosamente Made in China – è un giochino in plastica e, come accennava la responsabile del negozio, si tratta di un “simpatico scherzo”.
    Sulla confezione è spiegato che funziona solo con “energia positiva” e “speranza” e non sono necessarie batterie. I tasti indicano la possibilità di soddisfare un ventaglio di desideri. La funzione give me (dammi) offre nell’ordine; birra, sesso, cibo. Altri pulsanti la possono far gemere o piagnucolare.

    Al centro le funzioni base offrono diverse opzioni: togliere i vestiti, dire si, dire no, cucinare, dimenticare, perdonare. Naturalmente la donna può essere spenta con il tasto off e le si può ordinare di calmarsi o di spicciarsi con i tasti pause o play.
    Nell’intenzione di chi lo regala probabilmente si profila la seguente scena: un uomo che lo punta ridendo contro la sua compagna quando è noiosa, stanca o poco incline ai compiti per i quali è stata “creata”. L’impiegata del book shop ha ammesso che non le risultava che il finto telecomando fosse opera di un artista ma che fosse stato scelto solo perché “divertente”.
    Mi è parso singolare trovare in vendita, in uno dei più importanti musei tedeschi, accanto ad un catalogo di Matisse, il telecomando Control a Woman.

    Molte donne genovesi, aderenti o simpatizzanti del comitato Se non ora quando, avranno ricevuto o riceveranno nei prossimi giorni l’invito a partecipare ad una simpatica iniziativa, la “1° Caruggintacchi – 60 m di sprint su tacco a spillo, dedicata alla donne”.

    Anche in questo caso si tratta di una “divertente” corsa a numero chiuso rivolta a 150 donne che si terrà a Genova il 29 settembre. Sul volantino è indicata altezza e larghezza minima del tacco necessaria per partecipare alla gara. Non sappiamo se sono previsti incontri di allenamento. Ma di certo la risata è garantita – anche le fratture? – soprattutto con i trampoli disponibili oggi sul mercato. La tassa di iscrizione di 5 euro verrà interamente devoluta al movimento Se non ora quando. L’iniziativa è parte di un più articolato programma dedicato alla corsa rivolto a famiglie e bambini. Ma non risulta che agli uomini venga richiesto di correre con la ventiquattrore in equilibrio sulla testa, un martello tra i denti o con degli zoccoli olandesi ai piedi.
    Mi è parso singolare che un comitato che ha come “mission” la difesa e la valorizzazione delle donne contribuisca a favorirne l’immagine grottesca, goffa, ridicola ispirandosi proprio a quell’immaginario rispetto al quale, in passato, sembrava voler produrre un pensiero più articolato.
    (Giovanna Profumo)

  • LE CARTOLINE 2012 – MONACO: Europa ohne Putin

    Monaco, 15 agosto 2012
    Nel palazzo antistante l’ingresso principale di Villa Stuck campeggia la scritta Europa senza Putin. Nel museo, in quei giorni, la mostra “Liquid Black” di Adrej Molodkin, artista russo che alimenta le sue sculture trasparenti – raffiguranti simboli religiosi, concetti politici, persone – con il petrolio.
    Nella mostra di Molodkin la bandiera europea, incisa su una lastra di ghiaccio, viene distrutta in un video a martellate.
    (Giovanna Profumo – immagine dell’autrice)

  • CARTOLINE 2012 – URBANISTICA: IL MITOLOGICO MUNICIPIO SCOMPARSO

    L’occupazione da parte dei giovani dei centri sociali di alcuni alloggi sfitti nel centro storico sta suscitando non poche polemiche tra chi manifesta solidarietà nei confronti degli occupanti e chi ne stigmatizza l’illegalità dell’azione. Tuttavia, ciò che sembra mancare è una seria riflessione su quello che, in fondo, rappresenta il nocciolo del problema: quante sono le case vuote in città?
    A questo proposito, sono stati dati letteralmente i numeri: in un intervista a la Repubblica (25 luglio 2012) i giovani occupanti hanno parlato di 15 mila appartamenti sfitti, diventati poi 20 mila nella ripresa dell’articolo fatta da un sito locale legato a Rifondazione Comunista. Non si tratta di cifre indebitamente gonfiate: appena qualche mese prima (febbraio 2012) il segretario locale del SUNIA in un’intervista a Primocanale aveva quantificato l’ammontare dello sfitto in città a 25 mila abitazioni, mentre in un documento ufficiale del Comune, redatto nel quadro del Patto dei Sindaci, l’entità delle abitazioni non occupate era stimata in 28.088 unità.
    Genova è una città strana, in cui frange (poco) eversive provenienti dai centri sociali si rifanno cifre assai meno preoccupanti di quelle snocciolate in tutta tranquillità dalla pubblica amministrazione; ma la cosa più curiosa è che, incrociando i dati provenienti dagli enti ufficialmente preposti alla quantificazione dei beni immobiliari e della popolazione urbana (l’Agenzia del Territorio e l’Ufficio Statistica comunale) il panorama dello sfitto cittadino appare ancora peggiore. In effetti, le Note Territoriali dell’OMI per il II semestre del 2009 valutavano lo stock immobiliare genovese in 325.069 unità immobiliari a destinazione residenziale, mentre la voce Aspetti Demografici della Descrizione Fondativa del PUC riporta la cifra di 280.095 abitazioni occupate da famiglie al 31 dicembre 2008: con una certa approssimazione si otterrebbe allora una stima di 44.974 case vuote, pari al 13,77% del totale. Sono dati di quasi quattro anni fa, ma l’andamento dei principali indicatori economici e demografici cittadini non lascia intendere che la situazione sia cambiata in modo sostanziale.
    Per rendersi meglio conto di cosa significhino queste cifre, basti pensare che 45 mila abitazioni corrispondono più o meno alla consistenza dello stock immobiliare di uno qualsiasi dei municipi cittadini: co un’esagerazione basata però su dati concreti, si potrebbe dire che Genova ha nove municipi, ma solo otto di questi sono effettivamente abitati.

    Vale la pena fermarsi un attimo a riflettere sul reale significato di queste cifre, dato che, se fossero vere, significherebbe che le case vuote a Genova sono più di una su dieci e che allora bisognerebbe cominciare a ripensare l’intero assetto urbanistico della città.
    Fino al 2011, il regime fiscale vigente rendeva conveniente il possesso ma non la messa a reddito delle abitazioni: si è perciò assistito ad un dilagare di nuove costruzioni il cui unico scopo era quello di essere acquistate e rivendute, ma non quello di essere abitate. Ne derivava un controsenso per cui un bene sovrabbondante (le case) invece di veder diminuire il proprio valore, lo aumentava. II costi ambientali di questo scempio sono sotto gli occhi di tutti; pensiamo non solo alla cementificazione delle colline, ma anche alla profonda crisi dell’Azienda Municipalizzata Trasporti, costretta a ramificare capillarmente il proprio raggio d’azione senza che la città potesse vantare un numero di passeggeri tale da sostenere questa espansione: il risultato è che AMT deve oggi per contratto garantire l’erogazione di 477 milioni di posti annui a fronte dell’effettivo trasporto di 157 milioni di passeggeri, non c’è da meravigliarsi che i conti non tornano. E questo è solo uno dei numerosi esempi di come l’espansione incontrollata del tessuto urbano abbia portato all’ “implosione” delle infrastrutture collettive.
    Con l’introduzione della nuova IMU e l’aumento della tassazione per gli immobili sfitti, il panorama è cambiato e il surplus delle unità abitative rischia di rivelarsi un boomerang per l’intero apparato economico: gli immobili sfitti finiranno per essere messi precipitosamente in vendita e questo porterà ad una drastica contrazione dei valori di mercato. Basta dare un’occhiata alla vicina Spagna per rendersi conto che quest’eventualità non porterà affatto ad un più facile accesso alla prima casa dei soggetti economicamente più deboli, ma che piuttosto sarà causa di una drastica diminuzione del valore del risparmio delle famiglie, spesso e volentieri investito nel mattone, per non parlare della crisi dell’intero sistema creditizio nazionale, ugualmente sovraesposto sul mercato immobiliare. Insomma, par di capire che gli irsuti punkkabbestia anarcoidi delle frange più estreme dei centri sociali sono ingenui ottimisti se pensano di poter danneggiare il sistema economico più di quanto non abbiano già fatto i solerti funzionari delle pubbliche amministrazioni assentendo inutili operazioni urbanistiche in nome di un fantomatico sviluppo di cui, a tutt’oggi, praticamente non v’è traccia.
    Che fare? Innanzitutto sollecitare la pubblicazione di dati ufficiali più precisi sul tema, anche sulla scorta dei rilevamenti effettuate durante l’ultimo censimento; poi mettere una croce sopra gran parte degli interventi che tendono a disperdere piuttosto che a concentrare le risorse cittadine: nuovi centri commerciali o nuovi quartieri residenziali. Infine, quando è possibile, privilegiare il potenziamento piuttosto che la sostituzione delle infrastrutture, tanto in termini di assi di attraversamento quanto in quelli di polarità urbane. Considerazioni in fondo già largamente condivise e fatte proprie tanto dalla Descrizione Fondativa del PUC – e purtroppo messe in sottordine nelle sue parti attuative – quanto da gran parte dell’opinione pubblica. In caso contrario, il volume dello sfitto della nostra città potrebbe trasformarsi nella fatidica “pietra al collo” destinata a trascinare a fondo le speranze di un rilancio cittadino.
    (Alessandro Ravera)

  • AVVISO: Pausa estiva

    Oli si prende un po’ di pausa per riprendere a settembre.
    Buona estate ai nostri lettori!

    Vignetta di Aglaja

  • OLI 350: URBANISTICA – Il Puc di Italia Nostra riparte dai Parchi Storici

    Occorre inserire all’interno del Puc molte cose che sono state dimenticate, primi fra tutti i parchi storici, che nel progetto presentato sono mappati come semplici aree verdi. Questo uno dei commenti che Italia Nostra ha avanzato all’incontro sul Puc a Tursi, giovedi 28 giugno, presente il vice sindaco Bernini, in qualità di assessore al territorio. E in effetti la lacuna è evidente e davvero sensazionale, ma non è l’unica.

    Andrea Bignone, che espone le osservazioni al Puc con la preparazione di chi riesce a far immaginare le slide che si rifiutano di uscire dal suo computer (come si vedrà nel video), parla di tanti altri particolari, di edifici storici spariti dall’ultima versione, della Valletta Carbonara che diventa un parcheggio, della torre saracena di Sampierdarena scomparsa in mezzo alle case che hanno distrutto il suo centro storico, e tante altre ferite inflitte a Genova da una gestione superficiale dell’argomento.
    Bignone si ribella alla direzione che il Puc pretende di far prendere a Genova, una città multicentrica con tanti centri storici, dimenticati a vantaggio dell’unico riconosciuto come tale, quello del porto antico. La confusione che viene fatta nei termini “viabilità” e “mobilità” disegna una città fatta di auto e arterie di scorrimento veloce, di cittadini indaffarati tra semafori e doppie corsie che si muovono da casa a un centro commerciale, ad un centro divertimenti, ad un giardino di plastica sovrastante un posteggio, con alberi “finti” che non avranno modo di crescere nella poca terra che sarà loro destinata. E tanti distretti di trasformazione che sono sinonimo di ulteriori centri commerciali con nuove edificazioni. Nessuna attenzione alle vie ciclabili, un’idea di città antiquata e per niente in linea con i nuovi sentieri dell’urbanistica partecipata.
    Alessandro Ravera, esperto urbanista indipendente legato al Movimento 5 Stelle, fa invece un’analisi sulla popolazione, per dimostrare che la presenza del Comune ha creato danni ingenti in quei quartieri dove gli interventi come Fiumara hanno di fatto svuotato Sampierdarena della sua natura di microcittà indipendente, facendolo diventare una “downtown” da periferia americana, per effetto della caduta a precipizio dei valori immobiliari a causa delle nuove edificazioni accanto al centro commerciale.
    Altri interventi completano il quadro della sostanziale sconfitta della sfida lanciata da Marta Vincenzi alcuni anni fa, con la costituzione dello staff di Urban Lab. Scherzando con il Prof. Diego Moreno dell’Università di Genova, intervenuto ricordando che Genova è prima di tutto una città rurale, agricola, e solo dopo marinara, faccio notare che “da una barca in mezzo al mare non avremmo certo potuto attenderci che a Genova si parlasse di verde e di agricoltura”. Ride, ci salutiamo, finisce la conferenza. E si spera anche questo Puc.

    (Stefano De Pietro – disegno di Guido Rosato)
  • OLI 350: LAVORO – La riforma Fornero è legge, migliorano le regole per i migranti

    Dalla settimana scorsa la riforma del lavoro è diventata legge dello Stato. E’ una legge certamente migliorabile: occorre lavorare ancora per un contrasto più efficace alla precarietà del lavoro, per un regime universale di ammortizzatori sociali e per la certezza della tutela contro i licenziamenti illegittimi, ma la sua approvazione rappresenta una grande conquista per i cittadini immigrati: non perderanno più il permesso di soggiorno sei mesi dopo aver perso il lavoro. A causa di una norma irrazionale e dannosa che condizionava il rinnovo del documento di soggiorno al possesso di un contratto di lavoro, accadeva che, annualmente, centinaia di migliaia di immigrati regolarmente soggiornanti (anche da vent’anni) non riuscissero a rinnovare i loro permessi di soggiorno. Venivano cacciati nella clandestinità, costretti a lavorare in nero con gravi danni all’economia del Paese già a corto di risorse e già fortemente colpito dall’evasione fiscale e venivano vanificati, con molta superficialità, percorsi di integrazione faticosamente intrapresi. Ora, questa norma non esiste più, è stata modificata dalla riforma Fornero, e il disoccupato immigrato avrà diritto alle stesse prestazioni di sostegno al reddito cui ha diritto il disoccupato italiano; nel frattempo la regolarità del suo soggiorno è garantita, comunque per un periodo non inferiore a dodici mesi. Inoltre, al termine di tale periodo, è prevista la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno anche in assenza di contratto di lavoro, a condizione che il cittadino immigrato dimostri la disponibilità di un reddito sufficiente proveniente da fonte lecita. Il grave danno all’integrazione ed all’economia del paese era noto, da quindici anni, ai vari governi politici di centro destra e centro sinistra ma essi non sono stati capaci di rimuoverlo. Al governo tecnico sono bastati sette mesi. Per sfortuna prima o poi torneranno a governare i politici.
    (Saleh Zaghloul – disegno di Guido Rosato)