Autore: Redazione

  • OLI 313: IMMIGRAZIONE – Cos’è una società multietnica?

    Disegno di Guido Rosato

    Sergio Romano è uno dei pochi intellettuali italiani che non sono scomparsi dalla scena nazionale, quelli che scrivono e pensano in maniera autonoma dal potere. Perciò ha sempre scritto cose interessanti. Già il titolo della sua rubrica sul Corriere della Sera dell’8 settembre (il multiculturalismo, quello cattivo e quello buono) è molto stimolante. C’è una grande confusione, infatti, attorno ai termini multiculturalismo e società multietnica. Se ne parla senza sapere esattamente di cosa si sta parlando. Quando il presidente del consiglio dice che è contro la società multietnica senza spiegare cosa intende per società multietnica e quando le sue parole sono trasmesse ed amplificate dai molteplici mezzi di comunicazione di massa, la confusione regna indisturbata. Una certa società è multietnica solo per il fatto che in essa ci vive un consistente numero di persone che provengono da etnie, culture e religioni diverse. L’Italia è un paese multietnico perché ci vivono più di sei milioni di queste persone. E’ insensato domandarci se siamo pro o contro questa Italia multietnica, dobbiamo invece chiederci: che tipo di società multietnica vogliamo? Vogliamo, ad esempio, una società multietnica democratica, inclusiva, aperta, oppure una società multietnica chiusa, illiberale e razzista? Una società multietnica dove vige lo stato di diritto, l’uguaglianza dei diritti, le pari opportunità, lo scambio culturale e l’intercultura o una società multietnica dove diritti ed opportunità non sono uguali per tutti e dove si vive separati in ghetti etnici, religiosi e culturali? Una società nella quale la convivenza tra diverse etnie e culture sia motivo di pace sociale o di conflitto permanente? E’ da quindici anni, almeno, che viviamo in una società multietnica, cos’aspettiamo ancora per costruirne una democratica ed interculturale? Quando iniziamo a mettere le basi legislative e culturali per costruirla?
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 313: Il presidente dell’OLP chiede all’ONU il riconoscimento dello Stato di Palestina

    Il presidente palestinese Abu Mazen all’ONU: ” I nostri sforzi non hanno lo scopo di isolare o delegittimare Israele. (…) Perché crediamo nella pace, per la nostra convinzione nella legittimità internazionale, perché abbiamo avuto il coraggio di prendere decisioni difficili per il nostro popolo, e in assenza di una giustizia assoluta, abbiamo deciso di cercare la giustizia relativa, quella possibile, e di correggere una parte delle gravi ingiustizie storiche commesse contro il nostro popolo. Così, abbiamo deciso di costruire lo Stato di Palestina in solo il 22% del territorio della Palestina storica, sui territori palestinesi occupati da Israele nel 1967 (…). Una tale risoluzione, si presume, dovrebbe includere una riaffermazione che qualsiasi accordo finale deve includere il riconoscimento di Israele e garantire la sua sicurezza, che i due stati condivideranno Gerusalemme come capitale, e che il problema dei rifugiati palestinesi deve essere risolto. I palestinesi non useranno la loro sovranità conquistata per presentare azioni giudiziarie contro gli israeliani presso la Corte di giustizia internazionale”.
    Bill Clinton ex presidente degli Stati Uniti parlando giovedì scorso ai margini di una conferenza a New York : “La colpa del fallimento del processo di pace con i palestinesi è del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, non è interessato al processo di pace” http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4126490,00.html .
    Ali Rashid, italo palestinese, ex deputato italiano (indipendente nelle liste di Rifondazione Comunista): “Molti palestinesi considerano tardivo il passo coraggioso deciso da Abu Mazen di rivolgersi alle Nazioni Unite (…), l’assemblea generale dell’ONU ha già riconosciuto lo stato palestinese dichiarato da Arafat, nel 1988, con 104 voti favorevoli, due contrari e 36 astenuti. Anche secondo molti israeliani la cosa renderebbe Israele più sicura, favorirebbe la sua normalizzazione nella regione e rassicurerebbe la sua popolazione (..) Ritornerebbe così la presenza ebraica come elemento culturalmente originale e fondamentale nella storia della regione. Comunque più passa il tempo, più il costo del sostegno incondizionato alle politiche israeliane diventerà intollerabile a tutti” http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20110922/manip2pg/01/manip2pz/310332/.
    Daniel Cohen Bendit, presente alla manifestazione di centinaia di intellettuali ed accademici israeliani a Tel Aviv, giovedì scorso, a sostegno del riconoscimento dello Stato di Palestina, ha invitato i leader della protesta sociale in Israele a sostenere la causa palestinese: “Ho parlato con i leader della protesta sociale che sono diffidenti a legare le due lotte. Ma non ci può essere alcuna soluzione ai problemi sociali di Israele senza la fine dell’occupazione dei territori palestinesi” http://www.haaretz.com/news/national/israeli-intellectuals-back-palestinian-statehood-in-tel-aviv-rally-1.386215.
    Wassim Dahmash, italo palestinese, professore all’Università di Cagliari : “Il riconoscimento di uno Stato palestinese, sotto il profilo legale, è necessario ad Israele perché abbassa il tetto delle rivendicazioni palestinesi. A tutt’oggi, secondo il diritto internazionale, i profughi palestinesi hanno diritto a ritornare alle loro terre (risoluzione 194). Il riconoscimento di un “futuro” Stato palestinese limiterebbe questo diritto ai confini (virtuali) del costruendo Stato (virtuale). La proclamazione di uno Stato palestinese su una parte del territorio della Palestina mandataria renderebbe automaticamente legale l’esistenza sul rimanente territorio dello Stato coloniale tuttora illegale secondo la carta delle Nazioni Unite …” http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&view=article&id=2840:uno-stato-palestinese&catid=23:interventi&Itemid=43.
    Il professore israeliano Galia Golan ha accusato la leadership israeliana del mancato accordo di pace con l’Autorità palestinese: “Avremmo potuto raggiunto un accordo dal 1988 ed è interamente colpa nostra che non l’abbiamo fatto. Nel 1988, l‘OLP ha accettato un compromesso storico. Hanno dato il 78% del territorio al fine di ottenere la pace e porre fine all’occupazione. Invece abbiamo continuato a chiedere loro altri cedimenti, ma non hanno più nulla da dare. Siamo stati noi i negazionisti in tutti questi anni. Abbas è il leader più moderato che si possa desiderare ed ha fatto bene a rivolgersi all’ONU. Noi con la nostra stupidità non andremo all’ONU insieme a lui, quando lo Stato che egli chiede ci dà un confine a est e il riconoscimento di Gerusalemme Ovest, cose che non abbiamo ancora ottenuto”, http://www.haaretz.com/news/national/israeli-intellectuals-back-palestinian-statehood-in-tel-aviv-rally-1.386215

    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 313: GRECIA – Frammenti

    “EΝΟΙΚΙΑΣΕΤAI “, “ΠΟΛΕΙΤΑΙ “, si affitta, si vende. Esercizi commerciali, ristoranti, caffè che hanno cessato l’attività, espongono cartelli che non avranno risposta.
    Automobili di lusso, requisite perché i mutui non sono stati pagati, si accumulano a migliaia, in attesa di compratori che non verranno, nonostante i prezzi stracciati. Illusioni di ricchezza finite al macero: “non sanno più dove metterle”.
    Come uscirne non si sa, perché qui non produciamo niente. Nemmeno la plastica delle carte di identità. Non abbiamo mai prodotto niente. Qui si è campato di impiego pubblico, posti di lavoro dati in cambio di voti, e corruzione
    La corruzione è endemica, è ovunque. Se voglio che l’impiegato comunale si giri, prenda in mano il fascicolo che ha nell’armadio, e ci metta il timbro che deve, devo mettergli davanti un biglietto da cinquanta euro”.

    In piazza a protestare non ci vado, insieme agli anarchici in Harley Davidson, e agli impiegati pubblici che hanno fatto i parassiti e vogliono continuare a farlo.”
    “La gente guarda la televisione, e maledice le cose che ha fatto fino a ieri, e che riprenderà a fare appena potrà
    Papandreu è lì e fa errori, ma cosa può fare? La crisi è mondiale, e la governa la finanza. Non hanno più senso né destra né sinistra. Nessuno ha soluzioni.
    Ci hanno illuso della ricchezza, e ora dobbiamo imparare di nuovo a vivere in povertà, come facevano i nostri nonni
    In periferia, nelle campagne, sulle isole, ancora si sopravvive, qui ad Atene la miseria dilaga

    Ma quasi metà dei greci è ormai concentrata in due città, Atene e Salonicco, fino a poco fa miraggio di benessere economico, ora condensati di povertà. Per la prima volta da anni il chiosco che vende cocomeri di un amico ha chiuso la stagione in rosso: anche l’anguria estiva è diventata un genere superfluo.
    Campagne abbandonate, e isole spopolate, salvo che per la stagione estiva, quando si cerca di sfruttare al massimo l’unica industria nazionale, il turismo.
    L’amico Ghiannis, circa cinquanta anni, girando per il villaggio di Manganitis nell’isola di Ikaria mi indica quello che non c’è più:
    Qui c’era il forno, una taverna, poi là il fabbro, e più in là il macellaio …
    Ma quanti eravate?
    Fai conto che alla scuola del paese eravamo in 120 bambini. Ora d’inverno siamo una cinquantina, gente che vive della pensione, marinai, emigranti che sono tornati …
    Tornati da tutto il mondo: qui incontri gente che ha passato la vita a New York, Chicago, Vancouver, Adelaide …
    In quanto a lui vive un po’ di musica, un po’ di pesca, un po’ di agricoltura.

    Nello stesso paese un altro amico, Panaghiotis, non ancora trenta anni, un anno fa ha deciso di abbandonare Atene, e costruire qui la sua vita con la sua ragazza. Anche lui musicista, ha rilevato l’ultimo negozio del paese, quello in cui puoi trovare “tutto”, e che fa anche da bar, da luogo di incontro, dove chiacchieri, bevi e mangi spuntini: “Ad Atene non si può più vivere, qui almeno riesci a mangiare, puoi coltivarti qualcosa nell’orto, pescarti un pesce, puoi vivere del minimo”.
    E il minimo, visto coi nostri occhi, è davvero minimo. Ridotte all’essenziale le materie prime con cui cucinare, e più che all’essenziale gli svaghi: chiacchierare davanti a un bicchiere, passare la notte a fare musica. E poi c’è il mare.
    (Paola Pierantoni – fotografie dell’autrice)

  • OLI 313: PAROLE DEGLI OCCHI – Quo usque tandem…?

    Foto di Giorgio Bergami ©

    Da un lato la grave crisi economica mondiale, dall’altro il sistema politico nostrano, sempre più inadeguato ad affrontarla.
    Fino a quando…?
  • OLI 312: VERSANTE LIGURE – L’ORA DEL RI(S)CATTO

    Vuoi un modo che ti svicola 
    da crisi, guai e affini? 
    Qualcosa che scarrucola 
    su, a stadi sopraffini? 
    La via semi-ridicola 
    per fare dei quattrini? 
    C’è il “metodo Lavitola” 
    (in salsa Tarantini).
    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA

    .

  • OLI 312: GRONDA – Come investire su un’opera inutile

    Genova. Per quanto forse minoritaria, cresce l’opposizione verso le “grandi opere”, organiche ad un sistema economico nel tempo insostenibile, al quale la politica è finora subalterna.
    Recentemente anche il Presidente della Regione Liguria si è espresso contro la realizzazione del tunnel della Val di Susa; credo si tratti di un’opinione largamente condivisa, ispirata da buon senso e pragmatismo, a sostegno della quale non mancano validi argomenti, a cominciare da:
    – l’impatto ambientale, tale da provocare la contrarietà di gran parte della popolazione,
    – l’enorme costo dell’opera,
    – la perplessità rispetto alle previsioni di traffico merci avanzate a sostegno del progetto, e, quindi, rispetto alla sua effettiva utilità.
    Ma guardiamo a noi, al terzo valico e alla “gronda”; il primo si differenzia solo in parte: l’opportunità della sua realizzazione ha motivazioni anche tecniche, ma la sua utilità sarà condizionata da una decisa inversione di tendenza su scala nazionale nella modalità di trasporto delle merci.
    Se per il 3° valico si può quindi sospendere il giudizio, per il passante autostradale Voltri-Bolzaneto non possono esserci dubbi: come sostenuto da un autorevole studio del Politecnico di Milano(*), si tratta di un’opera che, quanto a costo e inutilità, ha ben poco da invidiare al tunnel della Val di Susa; esso consentirà in pratica il solo abbassamento del tempo di percorrenza attuale della tratta, a beneficio del traffico di attraversamento, ma non permetterà in alcun modo di eliminare le ricorrenti paralisi del traffico cittadino (a questo potranno servire il nuovo nodo di San Benigno – per quanto “ridotto” rispetto alle ipotesi iniziali – e la nuova strada parallela a via Cornigliano), né, tanto meno, le code dei fine settimana, specie verso Ponente.
    Lo studio evidenzia anche come il costo, veramente ingente, dell’opera non verrà mai compensato dai benefici, decisamente poco rilevanti: è facile dedurne che l’opera non è pensata nell’interesse dei cittadini.
    Se, come pare, i fondi necessari sono stati accantonati nel tempo con la maggiorazione dei pedaggi, non ne segue necessariamente che si debba per forza realizzare un’opera inutile: ben altri benefici darebbe, per esempio, l’allargamento delle carreggiate autostradali nei tratti ancora a 2 corsie.
    L’intera vicenda dovrebbe far riflettere piuttosto sulla privatizzazione di un’azienda pubblica rivelatasi vantaggiosa solo per i nuovi proprietari, sulla correttezza e l’indipendenza dei media, e… su “questi tempi”: se, in presenza di problemi sociali enormi e mentre il trasporto pubblico affonda, si arriva a sprecare risorse immense, vuol dire che c’è qualcosa di profondamente malato nel nostro Paese: nel governo della “res publica” (classe politica e strutture di controllo), nel sistema delle imprese, e, aggiungo, nella non piccola parte di cittadinanza che resta indifferente.
    Occorre puntare su altri interventi (niente di nuovo), come:
    – il completamento del raddoppio della ferrovia nel Ponente ligure,
    – il prolungamento della metropolitana di Genova in Val Bisagno e fino a Rivarolo,
    – il tunnel sotto al porto di Genova,
    ma ricordo anche le ipotesi di un sistema di trasporto pubblico in sede propria sull’asse costiero a Savona e di un miglior collegamento della media Fontanabuona con l’A12.
    Non si tratta di opere “facili”, né solo dipendenti da scelte locali, ma è compito della politica usare bene le risorse, pubbliche o private, e, almeno, impedire sprechi e danni enormi.
    (*)http://urbancenter.comune.genova.it/IMG/pdf/Ponti_Beria.pdf
    (Mario Torre)

  • OLI 312: IMMIGRAZIONE – Una tassa xenofoba sugli immigrati irregolari

    Il decreto legge 138/2011 (la manovra economica), modificata dal maxiemendamento approvato dal Parlamento, contiene una disposizione che introduce un’imposta del 2% sui trasferimenti di denaro effettuati dagli stranieri verso paesi non appartenenti all’Unione europea. Sono esentati i trasferimenti effettuati da cittadini dell’Unione europea e da cittadini muniti di matricola Inps e codice fiscale.
    Gli immigrati regolari sono tutti in possesso dei requisiti per l’esenzione e sembra, dunque, che l’obiettivo sia tassare le rimesse degli immigrati irregolari, ma non si capisce il perché. Si intende forse privare i paesi d’origine degli immigrati, in via di sviluppo, di una risorsa importante? Come si fa a dimenticare il contributo allo sviluppo dell’Italia che hanno avuto le rimesse di milioni di emigranti italiani nel mondo? Si intende forse rendere la vita ancora più faticosa agli irregolari? Ma queste persone che hanno una vita già difficile non hanno alcuna colpa per cui debbano essere puniti: l’irregolarità non è una libera scelta, sono costretti (proprio dalle politiche del governo) a vivere senza permesso di soggiorno. Comunque, non è la prima volta che le rimesse degli immigrati irregolari vengono colpite. Nel 2009 questo stesso governo, con il decreto sicurezza (legge 94/2009), aveva imposto ai gestori di “money transfer” di comunicare all’autorità di pubblica sicurezza i dati identificativi degli stranieri che effettuino invii di denaro senza esibire il permesso di soggiorno. Risultato: gli irregolari continuano a mandare i soldi nei loro paesi d’origine, ma non direttamente. Per evitare di essere identificati e conseguentemente espulsi o che sia vietata loro la prossima regolarizzazione, essi effettuano il trasferimento di denaro a nome di parenti, amici o semplici conoscenti, italiani o immigrati regolari. Da domani questi intermediari devono essere muniti anche di codice fiscale e matricola Inps. Ma se non ci sono più rimesse che vengono effettuate da immigrati irregolari, che senso ha introdurre una tassa del 2% sul nulla? Si tratta forse di un’altra svista di un governo incompetente? O forse è un altro dei “messaggi culturali” del governo Berlusconi – Lega?
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 312: La7 – “In onda” l’insulto libero a don Gallo

    Sabato 17 settembre, al termine del telegiornale di La7, ho assistito alla trasmissione “In onda”, programma di approfondimento condotto da Luca Telese (il Fatto Quotidiano) e Nicola Porro (Il Giornale) : rispetto alla scorsa stagione Nicola Porro sostituisce Luisella Costamagna. L’avvicendamento della Costamagna con Porro aveva già scatenato l’ira degli internauti, ad esempio sul forum di La7(*), costernati nel veder sparire una giornalista preparata, vivace, con brillante curriculum (**), per trovare al suo posto Nicola Porro, vicedirettore de “Il Giornale”, giornalista brillato di recente per essere stato indagato dalla Procura di Napoli per violenza privata nei confronti della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia: d’altra parte lo spessore giornalistico è testimonato dalla voce di Wikipedia dedicata a Nicola Porro (***), tre righe di biografia che, togliendo la vicenda giudiziaria, si riducono a due…….

    Alla trasmissione era presente in studio Antonio Martino, deputato Pdl, fondatore di Forza Italia, e don Andrea Gallo, in collegamento da Genova: tema della trasmissione era la situazione economica europea, con fuoco particolare sulla vicina Grecia. Al di là degli argomenti emersi, lo spettacolo non è certo stato al livello di una seria trasmissione giornalistica: don Gallo è stato ripetutamente insultato da Antonio Martino, che ha iniziato con un delicato “sciocchezze”, per passare ad un “pretacchione” ripetuto ben due volte, per finire con le “cazzate” che sarebbero state pronunciate dal prete genovese, tutto questo senza che né Telese né Porro (figuriamoci) opponessero la pur minima resistenza. E’ evidente che far dialogare due personaggi come Antonio Martino e don Gallo ricorda un pò la discussione immaginata da Benigni durante il Giudizio Universale tra Ramsete II ed un terzino della Sampdoria, ma uno sforzo poteva esser fatto, da parte di giornalisti degni di questo nome.
    Peccato che il video sul sito di La7 (****) riporti solo il primo quarto d’ora della trasmissione, filato su binari abbastanza lisci, privandoci quindi dei picchi giornalistici che si possono invece godere a pieno su Youtube (*****).
    (*) http://forum.la7.it/viewtopic.php?f=42&t=1371324
    (**)http://it.wikipedia.org/wiki/Luisella_Costamagna#cite_note-1
    (***)http://it.wikipedia.org/wiki/Nicola_Porro
    (****)http://www.la7.it/inonda/pvideo-stream?id=i454728
    (*****)http://www.youtube.com/watch?v=FNy9MAkOY14
    (Ivo Ruello)

  • OLI 312: MONDO – Saluti da Cipro

    Il varco di frontiera per Nicosia Nord a Cipro pare, a prima vista, come tanti altri, con il solito sciame di turisti e gente qualunque. Devi presentare il passaporto però – non vale la carta d’identità con cui giri in tutta l’Europa – compilare un attestato e fare una nuova assicurazione per l’auto: non accettano quelle greche. Le poche guardie sud-cipriote si limitano a guardare sulla copertina dei documenti se sei europeo, dall’altra parte registrano su computer i tuoi dati, timbrano un visto di entrata e uscita, mentre alcuni militari armati affiancano gli addetti.
    Finalmente ecco la città vecchia, parte turca: un incanto di viuzze assolate, dove nella poca ombra ci si assiepa e si cammina, tra profumi di spezie e kebab, negozietti e ristoranti in strade pulite, persino il carrettino delle piante ha due sacchetti diversi per la spazzatura.
    Evidente il contrasto con il quartiere greco più sciatto e sporco, si vuole forse sottolineare una differente gestione della città, le guide turche segnalano come esempio di residenziale sociale un piccolo agglomerato di casette bianche, file ordinate con le piantine ai davanzali, piacevoli a vedersi. Spostandosi, s’intravedono però misere abitazioni, i bambini scavalcano la recinzione della scuola nella ricreazione e filano via scalzi su biciclette cigolanti.
    Desolazione e povertà regnano da ambo le parti, anche se ci sono quartieri e auto di lusso.

    Spingendosi ai margini del centro storico trovi cartelli di “recupero aree” sotto l’egida della comunità internazionale, ma tanti sono i cantieri abbandonati, come quello del ripristino della chiesa armena, a cura di uno studio italiano, con fine lavori entro quest’anno, che è soltanto un cumulo di macerie e qualche intervento approssimato.
    Sono oasi di pace e di fresco le moschee, visitando quelle che un tempo erano cattedrali, pensi agli affreschi nascosti dall’intonaco bianco.
    La litania del muezzin risuona al Nord e colpisce lo sfacelo delle chiese non trasformate in moschea con i giardini invasi da erbacce, carcasse di automobili e spazzatura: la chiesa di S. Giorgio dei Latini a Famagosta è crollata e i suoi affreschi vecchi di secoli a cielo aperto sono segnati dai graffiti.
    L’arte sembra non abiti più qui, al di là del contendere politico e del sentire religioso.
    Ci si è fermati all’epoca ellenica o romana o alle fortezze riconquistate ai crociati o ai turchi. E trovi lattine, bottigliette e sacchetti di plastica anche nelle zone archeologiche più preziose di tutta Cipro.

    Nella parte turca spiccano i monumenti al soldato, sventolano ovunque bandiere con la mezzaluna, quella rossa turca e quella bianca della Repubblica Turca di Cipro Nord, che non fa parte dell’Unione europea come il Sud, dove gira l’euro. Ci sono molte postazioni militari e mentre visiti un castello, vedi chilometri di filo spinato e senti spari di esercitazioni: soldati appostati nella notte, vicino alle case crollate, i segni delle cannonate ancora sui muri, lungo la linea di confine che separa le due comunità, intanto nella parte greca sfrecciano le camionette dell’Onu, ma molte sono le aree militari abbandonate.
    Sottilmente si disprezza l’altra parte, non potendo scoraggiare il turista che porta lavoro e denaro, dimenticando millenni di storia comune.
    Fingono di non capire se chiedi per sbaglio una birra o una specialità greca. Ma succede anche viceversa.
    – Orribili le strade della parte turca, si può fare una scappata e via – ti consigliano.
    – Non sanno neppure cucinare e il vino poi…-
    E tu pensi invece ai meravigliosi mosaici, alle spiagge dorate, dove nidificano ancora le tartarughe, al mare trasparente, alla fortuna di avere ancora un ambiente incontaminato, che stanno tappezzando con migliaia di costruzioni sulla riva: ci sta purtroppo, il turismo è economia.
    Forse si potrebbe fare meglio insieme, rispettando terra e persone, ma poi qualcuno ti racconta con gli occhi cupi della casa perduta al di là e capisci che la strada della riconciliazione è lontana.

    (Bianca Vergati)