OLI 312: MONDO – Saluti da Cipro

Il varco di frontiera per Nicosia Nord a Cipro pare, a prima vista, come tanti altri, con il solito sciame di turisti e gente qualunque. Devi presentare il passaporto però – non vale la carta d’identità con cui giri in tutta l’Europa – compilare un attestato e fare una nuova assicurazione per l’auto: non accettano quelle greche. Le poche guardie sud-cipriote si limitano a guardare sulla copertina dei documenti se sei europeo, dall’altra parte registrano su computer i tuoi dati, timbrano un visto di entrata e uscita, mentre alcuni militari armati affiancano gli addetti.
Finalmente ecco la città vecchia, parte turca: un incanto di viuzze assolate, dove nella poca ombra ci si assiepa e si cammina, tra profumi di spezie e kebab, negozietti e ristoranti in strade pulite, persino il carrettino delle piante ha due sacchetti diversi per la spazzatura.
Evidente il contrasto con il quartiere greco più sciatto e sporco, si vuole forse sottolineare una differente gestione della città, le guide turche segnalano come esempio di residenziale sociale un piccolo agglomerato di casette bianche, file ordinate con le piantine ai davanzali, piacevoli a vedersi. Spostandosi, s’intravedono però misere abitazioni, i bambini scavalcano la recinzione della scuola nella ricreazione e filano via scalzi su biciclette cigolanti.
Desolazione e povertà regnano da ambo le parti, anche se ci sono quartieri e auto di lusso.

Spingendosi ai margini del centro storico trovi cartelli di “recupero aree” sotto l’egida della comunità internazionale, ma tanti sono i cantieri abbandonati, come quello del ripristino della chiesa armena, a cura di uno studio italiano, con fine lavori entro quest’anno, che è soltanto un cumulo di macerie e qualche intervento approssimato.
Sono oasi di pace e di fresco le moschee, visitando quelle che un tempo erano cattedrali, pensi agli affreschi nascosti dall’intonaco bianco.
La litania del muezzin risuona al Nord e colpisce lo sfacelo delle chiese non trasformate in moschea con i giardini invasi da erbacce, carcasse di automobili e spazzatura: la chiesa di S. Giorgio dei Latini a Famagosta è crollata e i suoi affreschi vecchi di secoli a cielo aperto sono segnati dai graffiti.
L’arte sembra non abiti più qui, al di là del contendere politico e del sentire religioso.
Ci si è fermati all’epoca ellenica o romana o alle fortezze riconquistate ai crociati o ai turchi. E trovi lattine, bottigliette e sacchetti di plastica anche nelle zone archeologiche più preziose di tutta Cipro.

Nella parte turca spiccano i monumenti al soldato, sventolano ovunque bandiere con la mezzaluna, quella rossa turca e quella bianca della Repubblica Turca di Cipro Nord, che non fa parte dell’Unione europea come il Sud, dove gira l’euro. Ci sono molte postazioni militari e mentre visiti un castello, vedi chilometri di filo spinato e senti spari di esercitazioni: soldati appostati nella notte, vicino alle case crollate, i segni delle cannonate ancora sui muri, lungo la linea di confine che separa le due comunità, intanto nella parte greca sfrecciano le camionette dell’Onu, ma molte sono le aree militari abbandonate.
Sottilmente si disprezza l’altra parte, non potendo scoraggiare il turista che porta lavoro e denaro, dimenticando millenni di storia comune.
Fingono di non capire se chiedi per sbaglio una birra o una specialità greca. Ma succede anche viceversa.
– Orribili le strade della parte turca, si può fare una scappata e via – ti consigliano.
– Non sanno neppure cucinare e il vino poi…-
E tu pensi invece ai meravigliosi mosaici, alle spiagge dorate, dove nidificano ancora le tartarughe, al mare trasparente, alla fortuna di avere ancora un ambiente incontaminato, che stanno tappezzando con migliaia di costruzioni sulla riva: ci sta purtroppo, il turismo è economia.
Forse si potrebbe fare meglio insieme, rispettando terra e persone, ma poi qualcuno ti racconta con gli occhi cupi della casa perduta al di là e capisci che la strada della riconciliazione è lontana.

(Bianca Vergati)