Categoria: Politica

  • OLI 428: CULTURA – L’aratro, la spada e il “restauro” (che fa propaganda o è solo eccesso di zelo?)

    OLI 428: CULTURA – L’aratro, la spada e il “restauro” (che fa propaganda o è solo eccesso di zelo?)

    26 marzo 2016, nel comune di Roccavignale (SV), lungo la strada tra Millesimo e Montezemolo.
    “È l’aratro che traccia il solco profondo, ma è la spada che lo difende. E il vomere e la lama sono entrambi di acciaio temprato come la fede dei nostri cuori”. Così disse Benito Mussolini, nel discorso pronunciato per l’inaugurazione della Provincia di Littoria (oggi Latina), il 18 dicembre 1932.
     L’efficiente macchina della propaganda fascista si impadronì subito di tale frase ad effetto tipica della retorica mussoliniana, che, abbreviata, fu riportata su un’infinità di prospetti di edifici pubblici e privati in tutta Italia – soprattutto in ambito rurale – insieme a molti altri aforismi del duce disseminati ovunque, in un’opera di capillare indottrinamento delle masse meno acculturate e più sensibili alle suggestioni delle lapidarie semplificazioni, avendo scarsa o nulla consuetudine con testi più complessi e articolati. 
    Ad esempio, una delle tante campeggiava nel 1937 nella bonifica di Palidoro, nell’Agro Romano: 
    Numerose altre testimonianze di questa cosiddetta “scrittura esposta d’apparato”, risalenti per lo più agli anni trenta del secolo scorso – ormai documenti storici da tutelare, a prescindere dai messaggi che veicolano – si conservano sbiadite, ma ancora più o meno ben interpretabili, sull’intero territorio nazionale. Una riflessione di Antonello Ricci, non recentissima ma sempre condivisibile, sull’esigenza di conoscere e salvaguardare tale patrimonio – riferita al caso specifico del Viterbese, ma valida dappertutto – fu pubblicata nel 1984 sulla rivista “Biblioteca e società” e ad essa si rimanda. 
    I resti consunti di una di quelle scritte erano perfettamente leggibili fino a non molto tempo fa anche su un rettangolo di intonaco applicato un’ottantina d’anni fa su un edificio in pietra nella campagna di Roccavignale, in provincia di Savona, lungo la strada che unisce la Liguria al Piemonte, tra Millesimo e Montezemolo. 
    Da qualche mese, chi si trova a salire lungo tale carrozzabile non può non notare come si presenta adesso l’iscrizione. A seconda del proprio orientamento politico, può gioirne oppure rimanerne allibito. Di certo, non indifferente. 
    Appare nuovissima, perfettamente ridisegnata in nero col tipico carattere geometrizzante di gusto déco – largamente usato nell’epigrafia monumentale fascista e reso allora con l’ausilio di mascherine – spiccante sul fondo ridipinto di bianco. 
    Un’operazione a dir poco sconcertante, che suscita alcune domande che sarebbe bene avessero risposta. 
    Innanzitutto, si tratta di un episodio isolato o vi sono altri casi analoghi? 
    Poi, di chi è stata l’iniziativa? Di un singolo privato, di un’associazione o di un ente pubblico? Quale? Con quali risorse economiche? Chi ne è stato l’esecutore materiale? 
    E soprattutto, per quale motivo? 
    Se si è inteso semplicemente salvaguardare una memoria storica, lo si è fatto nel peggior modo possibile: da oltre mezzo secolo, restaurare non significa più rifare di sana pianta cancellando ciò che appare deteriorato, ma risanare e conservare quanto è sopravvissuto nella sua autenticità, senza annullare i segni del trascorrere del tempo e limitandosi a quelle integrazioni indispensabili alla leggibilità dell’opera, che devono essere sempre e comunque distinguibili dal testo originale. 
    Se invece con questo “restauro” si è voluto fornire un sia pur modesto contributo alla riabilitazione di un periodo nefasto, ma che molti continuano a rimpiangere, e soprattutto della ideologia e della prassi di cui esso fu espressione, sempre pronte a riaffiorare e riprendere vitalità, allora bisogna davvero stare in guardia. 
    Non è affatto rassicurante leggere molti dei commenti su YouTube ai filmati dell’Istituto Luce che abbiamo proposto, tuttora inneggianti all’uomo che condusse l’Italia alla rovina, per giunta senza neppure intravvedere tutto il grottesco di cui era impregnato il suo stile comunicativo, al contrario splendidamente colto e sbeffeggiato negli Stati Uniti già alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale da chi di comicità se ne intendeva. 

    (Ferdinando Bonora – fotografia dell’autore)

  • OLI 420: POLITICA – Il Movimento 5 Stelle alle regionali 2015

    (Paolo Putti e Beppe Grillo il 15 aprile 2012 )

    L’organizzazione della squadra per la competizione elettorale per le prossime regionali in Liguria, nel Movimento 5 Stelle, è stata legata ad un piccolo post-scriptum di un post sul sito beppegrillo.it: “Paolo Putti non è il referente dello staff di Beppe Grillo per le elezioni regionali in Liguria”. Per comprendere cosa sia accaduto, occorre fare un passo indietro, a novembre 2014, quando Putti era stato indicato da Casaleggio e Grillo come il referente per le elezioni regionali per la parte di organizzazione delle “regionalie” (le primarie del M5S), svolte come al solito online e aperte a chiunque fosse registrato sul sito del Movimento 5 Stelle.
    Lo scopo di questo affidamento, differente da quello delle elezioni nazionali (affidate al gruppo consiliare savonese del M5S) e poi di quelle europee (sempre affidate a Savona ma questa volta ai loro parlamentari) era un messaggio molto forte di Grillo alla presenza di situazioni di litigio permanente tra vari gruppi territoriali, come accade in Liguria da sempre. Putti, evidentemente, era stato considerato in grado di dirimere tali conflittualità, ed in effetti, a differenza del 2010 quando il Movimento non si era agglomerato, questa volta il M5S si presenterà con una lista ben nutrita di 24 candidati consiglieri.
    Graticole, incontri, banchetti, presenza sui territori, tutte le regole classiche del M5S, poi apparentemente in modo inatteso nasce una proposta diversa per la scelta del candidato presidente, che era invece indicata nelle indicazioni dello “staff” milanese da effettuarsi tra i 24 candidati con un’elezione online, La “proposta Putti” viene esplicitata in un articolo pubblicato il 12 gennaio 2015 sul sito genova5stelle.it e sostenuta da molti consiglieri e attivisti liguri. La proposta era quella di aprire alla possibilità di scegliere un candidato esterno al Movimento, consentendo a chiunque di indicare un nome sia tra i candidati già precedentemente scelti che nella “società civile”, come già fatto per le quirinarie nel 2013. Poi, una elezione online tra gli iscritti cinquestelle avrebbe consentito di votare, consentendo quindi di allargare la possibilità di vittoria alle regionali 2015.
    Ma il risultato è stato un no secco di Grillo, e a distanza di pochi giorni da questo, è uscito il post scriptum citato in apertura.
    Non si intende entrare nel merito delle scelte del capo politico del Movimento, ognuno è libero di indicare delle strade politiche che ritiene migliori e se ne assume, come sempre, gli onori e gli oneri di fronte agli elettori; certamente il metodo di comunicazione scelto lascia con l’amaro in bocca chi ha visto e vissuto da vicino l’impegno dimostrato da Paolo Putti per traghettare il Movimento verso le regionali 2015 in Liguria.
    (Stefano De Pietro – foto di Giovanna Profumo)

  • OLI 417: INFORMAZIONE – La forza dei titoli

    Un titolo di giornale ha la forza di cambiare l’interpretazione di una notizia, poi riportata correttamente in fondo all’articolo, che però pochi leggono fino alla fine. E’ il caso dell’articolo “Bonus bebè, “no agli immigrati”. Blitz Lega, M5S d’accordo. Il testo non passa” pubblicato su Il Fatto Quotidiano online del 30 ottobre 2014. Una strategia tecnica da aula parlamentare viene stravolta al punto di far capire esattamente il contrario della realtà.

    Il caso: il Movimento 5 Stelle in Senato coglie l’occasione per votare una proposta della Lega Nord, che vorrebbe aumentare la durata degli aiuti fino al 2017 per il “bonus bebè”, a scapito però della sua applicazione alle persone con nazionalità diversa da quella italiana.
    I senatori pentastellati hanno votato a favore della proposta leghista, ma ben consci che sarebbe poi sopravvissuta soltanto la proroga, con la decadenza del restringimento di applicazione ai soli italiani per la sua inammissibilità costituzionale. Il titolo corretto avrebbe quindi dovuto essere: “Bonus bebè. Proroga al 2017 bocciata dai partiti della maggioranza“.
    (Stefano De Pietro – illustrazione di Guido Rosato)
  • OLI 415: POLITICA – Alluvione a Genova, eppure c’è chi ci guadagna

    Sospironi di sollievo, paccate sulle spalle, sorrisetti a fior di labbra, un dileguarsi rapido in sala rossa al primo Consiglio comunale dopo l’alluvione: era magari passato il flash Ansa che Grillo era stato contestato proprio in città dai volontari del fango. Quasi una vittoria elettorale, rabbrividendo al ricordo della superiorità relativa dei 5stelle nelle ultime politiche in Liguria, mica ci si fida del 40 per cento del Pd alle europee.
    All’una e mezzo il portone di palazzo Tursi è semichiuso, dentro un nugolo di agenti della polizia municipale spiegano cortesi che “il pass si può già ritirare, ma il consiglio è rinviato di un’ora”, siamo ormai al numero trenta e meno di cento sono i posti a sedere. Intorno capannelli di persone, intravedi visi noti, in primis esponenti di Municipi non coinvolti dai tragici eventi, che solerti!
    Si aprono le porte del loggione della sala rossa, il pubblico si distribuisce; da sinistra partono urla, fischi: sono i contestatori che rumoreggiano, alzano un cartello trafugato con il tacito consenso della bionda vigilessa. Inizia il consiglio, qualche graffio, in verità un susseguirsi di carezze contropelo, le persone si guardano interdette, qualcuno cerca d’interrompere ma è subito zittito fragorosamente. Appare chiaro, anzi chiarissimo che la destra del loggione è presidiata dalla “gente Pd”, che si è mescolata anche tra i “facinorosi” e tra gli ignari. Si svela la strategia: occupare più posti a sedere per non far partecipare grillini, leghisti, chissà quali persone qualsiasi venute a protestare o più semplicemente ad assistere al Consiglio comunale. Che prosegue tranquillo, soltanto una voce  fuori dal coro, un solo consigliere 5stelle, che chiede le dimissioni del primo cittadino, mentre i suoi colleghi, pur intervenendo con critiche durissime non fanno altrettanto.
    Il resto è tutto uno stringersi stretti al sindaco Doria per “solidarietà a chi fa lo stesso mestiere”, come sottolinea il capogruppo nell’unico intervento a firma Pd in un Consiglio che poteva buttar male, preoccupato il Pd non tanto di far fare brutta figura al sindaco, ma delle sue possibili dimissioni, che manderebbero tutti a casa, in primis questo Pd. Una stretta mortifera.
    Non si  chiede però che cosa si farà per la sicurezza dei genovesi da qui alla fine delle grandi opere, ancorché necessarie, non si chiede conto dell’operato dei dirigenti comunali, brillanti assenti.
    L’attacco invece è a testa bassa, furente contro la Regione, con cui non c’è più sintonia, si enuncia senza troppo rammarico.Vengono in mente le stringenti prescrizioni regionali fatte al Puc, che esortavano, fra l’altro, ad una maggiore puntualità delle norme riguardo al dissesto idrogeologico: osservazioni impositive così fastidiose per il Pd. Tragica nemesi l’allerta mancata, le inefficienze dell’ente, probabilmente si attacca la Regione per l’incombente candidatura della Paita di La Spezia, per fortuna del Pd assessore con delega anche alla protezione civile.
    Quanti piccioni con una fava, si potrebbe cinicamente dire in questi giorni. In un sol colpo forse il Pd genovese si libera del governatore in scadenza, degli spezzini, compreso il giovane ministro della giustizia e potrà così sciogliere la riserva sulla candidatura alle elezioni regionali dell’attuale segretario Lunardon, comparso in consiglio comunale anche lui nel pubblico della sala rossa insieme allo staff: tutti adesso hanno il cappello renziano, ma i soliti noti sono sempre lì nel rispetto della continuità e non faranno per ora, bontà loro, cadere questa giunta, di cui detengono la maggioranza e, in ostaggio, Marco Doria, il sindaco espiatorio come l’ha definito il Manifesto, con i suoi limiti.
    Mentre in Liguria, a Genova, forse non vedremo più sulla cresta dell’onda le incredibili coppie a sinistra, Raffaella Paita, assessore regionale, e consorte Luigi Merlo, presidente Autorità Portuale, più Sara Armella, presidente Fiera, e consorte Giovanni Lunardon, segretario regionale Pd.
    (Bianca Vergati – foto Giovanna Profumo)

  • OLI 414 – POLITICA: Sentinelle al riso

    Questa volta le sentinelle non sono state lasciate sole, silenziosamente in piedi a testimoniare domenica scorsa la Verità e i Valori non negoziabili in cui credono, a difendere la libertà di espressione che la proposta di legge avanzata da Ivan Scalfarotto e molti altri deputati tenderebbe subdolamente a minare (anche se a leggerne e rileggerne il testo questo non pare proprio, in quanto si limita a estendere anche a chi commette o incita a commettere atti di discriminazione o violenza motivati dall’identità sessuale della vittima le stesse pene già previste dalla legge Mancino-Reale del 1975, per chi compie analoghi atti per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi) e a difendere la famiglia tradizionale composta da marito, moglie, figli e talvolta uno o più amanti segreti non di rado del proprio sesso (ma l’importante è che non si sappia, nella squisita ipocrisia del “si non caste, tamen caute” non più riservato ai pastori ma a tutto il gregge), come ha notato anche Massimo Gramellini su La Stampa, commentando la direttiva del ministro degli interni Alfano ai prefetti per imporre ai sindaci che hanno istituito registri delle unioni civili celebrate all’estero di annullarli.
    Il tutto in non casuale concomitanza col concistoro e sinodo indetti da papa Bergoglio per discutere sul tema della famiglia.
    Questa volta le Sentinelle in Piedi “apartitiche e aconfessionali” erano accompagnate nelle loro esibizioni in molte piazze italiane da manifestazioni di segno contrario, nelle quali il netto dissenso verso chi rifiuta la variegata articolazione della realtà e vorrebbe continuare a imporre a tutti un unico modo di pensare e agire, con un rigore violentemente assolutista camuffato da mitezza, si è espresso in forme diverse. Si va dalle reazioni estreme di frange giovanili che non sortiscono altro effetto che fomentare il vittimismo di cui le sentinelle sono maestre, ben evidente – com’era prevedibile – nei resoconti della stampa di parte, fino ad azioni assai più incisive e condivisibili dove prevalgono l’ironia e lo sberleffo, che ridimensionano e coprono di ridicolo le pretese di questi paladini in piedi.

    A Genova, in piazza De Ferrari, le sentinelle si son trovate in compagnia di un folto gruppo di uomini e donne, sia di associazioni per la difesa dei diritti delle persone omosessuali e transgender, sia semplicemente in disaccordo con quanto propugnato dai manifestanti in piedi. Uno striscione che affermava il diritto a varie forme di famiglia era tenuto teso in un’arcata del Palazzo della Regione, mentre accanto si ascoltavano in cerchio le testimonianze non silenziose di chi desiderava condividere riflessioni sulla propria condizione ed esperienza. Tra la folla, a piccoli capannelli si tentava con scarso risultato di confrontarsi civilmente tra contestatori e portavoce delle sentinelle, in un dialogo impossibile tra visioni antitetiche del mondo, nel quale si rispecchiava in piccolo la contrapposizione tra Italia confessionale e Italia laica che è uno dei nodi fondamentali del malessere che stiamo vivendo, anche se di certo non l’unico, sul quale varrebbe la pena ritornare a ragionare in altre occasioni. Qualche esagerazione ogni tanto, con schiamazzi più o meno allegri e accensione di candelotti fumogeni, con l’unico risultato di rafforzare il vittimismo di cui sopra; ma ci potevano anche stare: è il gioco delle parti… 

    In altre città si è giocato in modo diverso. A Milano, ad esempio, le sentinelle che s‘erano date appuntamento in piazza XXV Aprile davanti alla Porta Garibaldi si son trovate un bel numero di festosi manifestanti che le sfottevano esibendo cartelli con surreali pretese altrettanto assurde, tra girotondi e chiassosi saltelli.

    Il capolavoro l’ha però messo in scena Giampietro Belotti, il trentenne che in piazza Sant’Anna a Bergamo, approfittando di un posto lasciato libero nella loro ordinata disposizione, si è intrufolato da solo tra le sentinelle come sentinella a leggere il Mein Kampf mascherato con una divisa nazista, con ai piedi un cartello recitante “I Nazisti dell’Illinois stanno con le Sentinelle”, chiaro riferimento al film The Blues Brothers di John Landis (1980). Ma il colpo di genio è stato il bracciale recante non la svastica della Germania di Adolf Hitler, bensì la doppia X della Tomania di Adenoid Hynkel, altra citazione cinefila da Il grande dittatore (The Great Dictator, 1940) di Chaplin.
    Dopo poco è stato allontanato dalla Digos e correva voce – poi rientrata – che la magistratura stesse valutando un’eventuale incriminazione per apologia del fascismo e/o del nazismo. Se così fosse stato, povera Italia!

    (foto Corriere della Sera)
    Non resta che richiamare alla mente e tener viva la frase sempre valida, dagli anarchici di fine ‘800 alle contestazioni del ’68, fino ad oggi: “La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà”.
    (Ferdinando Bonora – foto dell’autore, dove non diversamente specificato)
  • OLI 401: POLITICA – La vittoria delle donne sconfitte

    Dunque, in Parlamento donne di diverso orientamento hanno stretto un’alleanza, contrapponendosi alle decisioni e alle omissioni dei rispettivi partiti di riferimento, rappresentandola simbolicamente con la scelta del colore bianco, usato nel recente passato nelle manifestazioni contro il femminicidio.
    In questo modo hanno dimostrato che le donne sono ancora capaci di atti di ‘disubbidienza’, e che la disubbidienza è necessaria se si vuole almeno tentare di inceppare il meccanismo di una politica fondata su accordi tra uomini fermamente e trasversalmente schierati a difesa della conservazione del loro status opponendosi, come osserva Chiara Saraceno (La Repubblica 11 marzo) a quelle che dovrebbero essere definite non ‘quote rosa’, ma “norme antimonopolistiche che impediscono la formazione di un ‘cartello’ basato sul sesso”.
    Le donne si sono pubblicamente esposte, e sono state sconfitte.
    Non ce l’hanno fatta contro l’attacco concentrico dell’incredibile ambiguità intrinseca al Partito Democratico, della deprimente viltà di menare la botta col volto coperto dal voto segreto (proposta da Forza Italia ma certo accolta con segreta gratitudine da molti del PD), e della desolante logica dei Cinque Stelle che giocano a fare gli alieni invece di diventare attori efficaci di democrazia.
    Ma è avvenuto un importante fatto politico e culturale: le donne hanno messo in scena, pubblicamente, quello che lo storico Giorgio Galli – citato su La Repubblica del 11 marzo da Filippo Ceccarelli – definisce “un conflitto che non è stato oggetto in quanto tale di attenzione da parte degli storici. Come se fosse un fenomeno sociale secondario, ed è il conflitto maschile-femminile; ed è proprio da questo perenne, sommerso e indicibile incontro-scontro che vengono a crearsi le condizioni per la vita stessa degli uomini e delle donne”.
    Se a seguito di questa vicenda riescono a filtrare sui giornali pensieri e consapevolezze figli della cultura femminista, c’è, nonostante tutto, da gridare alla vittoria, e da aprirsi alla speranza che, carsicamente, un cambiamento culturale sia dopotutto possibile.
    Il fatto che le parlamentari abbiano condotto questa battaglia, e siano andate incontro a questo scacco, può aiutarle nel futuro a rafforzare la propria autonomia di pensiero, a rinunciare alla gratificazione dell’approvazione maschile, a non abbandonarsi alla illusione che i conflitti siano alle spalle. E non solo in merito di leggi elettorali.
    Certo, sarebbe stato bello vedere circolare questo brivido di autonomia anche tra le ministre. Speriamo che non si buttino questa giornata alle spalle, e che ripensino a quel che è avvenuto.
    (Paola Pierantoni – immagine da internet)

  • OLI 399: GRECIA – La fantapolitica che vede chiaro

    Atene, monumento all’ultima emissione della dracma

    L’ultimo giallo di Petros Marxaris (Pane, Istruzione Libertà, ancora non tradotto in Italia) inizia con una visione onirica: è l’ultimo dell’anno 2013, e la famiglia del commissario Charitos, riunita attorno al televisore, assiste ai festeggiamenti che si svolgono nella principale piazza di Atene. Ma non è un Capodanno come gli altri: col primo gennaio 2014 la Grecia tornerà alla dracma!
    La moglie del commissario ha in mano un biglietto da mille dracme, e lo accarezza dolcemente. La mano addirittura le trema per l’emozione. Sussurra: “Lo credereste? Mi è mancata!”, ma la figlia la gela: “Con quelle mille dracme domani non riuscirai nemmeno a berti un caffè!
    Improvvisamente lo schermo si riempie dell’immagine di migliaia di finti biglietti da cento, mille, cinquecento dracme lanciati dai palazzi. Uno speaker grida entusiasta: “Dal cielo piovono dracme!”. La gente nella piazza grida evviva!
    Quando tutta la famiglia Charitos si reca a Syntagma per vedere quel che accade, si trova di fronte a qualcosa di meno trionfale: non più di mille persone, disoccupati o precari “che attendono di essere pagati da mesi”, che gridano slogan: “Finealla schiavitù dell’Euro!”, “Se dobbiamo vivere poveri, meglio con la dracma!”, “vogliamo lanciare un messaggio agli altri Paesi del Sud: siamo qui uniti per combattere, Greci, Italiani, Spagnoli, Portoghesi, Ciprioti!” … Pochi passanti battono le mani, e qualcuno grida “Bravo!”

    Mercatino a Ikaria

    Improvvisamente arriva un gruppetto di pensionati che gridano slogan diversi: “Ridateci L’Euro!”, “Con l’Euro prendiamo briciole, ma con la dracma non prenderemo nulla!”. Alle loro spalle vite da gastarbeiter in Germania. Guardano a quelli che manifestano per la dracma come a gente ‘cresciuta nella bambagia’ che pensa di salvarsi dallo spettro della povertà rifugiandosi nei sogni.
    I due gruppi si affrontano insultandosi, si rischia perfino lo scontro fisico. In altro punto del libro si vedrà un assalto dell’ultra destra a un alloggio di immigrati, sotto lo sguardo passivo e indulgente dei passanti.
    Una fantapolitica molto realistica, che descrive bene le emozioni che corrono per la Grecia, dove le persone vivono condizioni terribili e divise nel più assoluto buio politico. Tutti sanno che non c’è nessuna base da cui ripartire. Alle spalle un benessere appena intravisto, cresciuto sulla corruzione, sul clientelismo, sul debito incontrollato, su una crescita edilizia senza regole, sul concentramento della popolazione nelle città, sull’abbandono dell’agricoltura e delle attività che potevano derivarne, sull’illusione di un turismo ‘salva tutto’.

    Sulla nave Mitilini

    Ora che quel poco che c’era è stato raso al suolo da un’Europa cieca e indifferente per le conseguenze sociali e politiche dell’accanimento con cui ha agito, anche le navi che portano gli indispensabili turisti da un’isola all’altra stanno andando a pezzi.
    La salvezza possibile sta in Tsipras? Nell’intervista rilasciata a Repubblica lo scorso 7 febbraio pare voler buttare colpe, problemi e soluzioni tutti all’esterno. Così la crisi “è figlia delle asimmetrie dell’unione monetaria”, i movimenti populisti che stanno crescendo ovunque (in Grecia l’inquietante Alba Dorata è ormai il terzo partito) “sono il prodotto politico del liberismo”, e tutte le misure europee hanno il solo scopo di “salvare le banche che avevano titoli di Stato dei paesi altamente indebitati “.
    Nessun accenno all’altra faccia della luna, quella delle responsabilità nazionali, del patto che il potere politico ha stretto con la gente: consenso e voti, in cambio di clientelismo, privilegi, assenza di controlli sugli atti illeciti, tolleranza per l’evasione fiscale.
    Nessun accenno all’incapacità della sinistra greca di formulare prospettive credibili, fondate sui dati di fatto, oltre gli slogan e i vittimismi.
    (Paola Pierantoni – fotografie dell’autrice)

  • OLI 398: GRECIA – Tra vecchi slogan e la ‘novità’ Tsipras

    “Pane, cultura, libertà” è lo slogan che identifica la lotta del Politecnico di Atene: quaranta anni fa, il 14 novembre 1973, gli studenti greci occuparono l’Università, e diedero vita ad una stazione radiofonica libera. Il primo messaggio fu: “Qui Politecnico! Popolo della Grecia il Politecnico è il portabandiera della nostra lotta, della vostra lotta, della nostra lotta comune contro la ditattura e per la democrazia”. Durò tre giorni.
    Il 17 novembre i tanks dell’esercito misero fine alla rivolta, 23 studenti morirono.
    Dopo la cacciata dei colonnelli questa data è diventata festa nazionale. Ma è stata anche subito adottata dalla organizzazione terroristica “17 Novembre”, nata nel 1975: all’attivo 25 omicidi ‘mirati’ e moltissimi tentati omicidi, ferimenti, attentati e rapine di ‘autofinanziamento’. Fu smantellata solo alla vigilia dei giochi olimpici del 2004.
    E’ necessario andare così indietro per capire qualche cosa della Grecia di oggi? Sì, e in direzione non scontata.
    Le tre parole del Politecnico, nella Grecia della crisi, sono tornate di moda: oggi campeggiano, come quaranta anni fa, sugli striscioni che fasciano tutta la zona universitaria.
    Collegamento comprensibile, dato il salto nella povertà che la Grecia ha fatto in questi anni.

    immagine da internet

    Ma quando le usa Petros Marxaris (vedi anche Oli 324 ) per dare il titolo al suo ultimo giallo ambientato nella Grecia della crisi economica, questo riferimento si colora di una profonda critica su quella che i greci chiamano ‘la generazione del Politecnico’, cioè i protagonisti di quella epica vicenda.
    Nel libro, i figli di alcuni di questi padri ‘eroici’ mettono a nudo le menzogne e le compromissioni in cui hanno visto incistarsi le vite dei genitori, che si sono fatti scudo di una breve stagione di lotta per conquistare posizioni di privilegio.
    Chiedo a un’amica ateniese un parere su questo quadro disincantato e pessimista.
    Lei mi dice di condividerlo. La sinistra in Grecia si è fatta scudo della retorica sui passati eroismi per coprire una gestione del potere corrotta, collusa, clientelare. Il Pasok si è alternato al governo col partito di centro destra, Nèa Dimokratìa, e ne condivide le colpe.
    Un altro amico mi dice che non ce la fa nemmeno più ad ascoltare le canzoni e le musiche (spesso bellissime) che hanno accompagnato e celebrato la stagione della lotta contro la dittaura dei colonnelli, per l’uso retorico che poi  ne è stato fatto.
    Non posso evitare di chiedere alla mia amica che ne pensi di Tsipras, il leader del partito Syriza che, come dicono i giornali, ‘ha sedotto la sinistra europea’ che lo ha candidato alla presidenza della Commissione Europea.
    Mi dice: “Tsipras è un populista. E’ una figura molto debole. E l’80 % degli aderenti a Syriza è gente che prima stava nel Pasok. Parlando con la gente in giro si vede che ha paura di votarlo, ma non vedono un’altra soluzione. La gente pensa di votarlo come atto di rabbia. Ormai la gente e’ disperata e pensa: cosa abbiamo di più da perdere? Al massimo torniamo alla dracma. Syriza conta sui disperati. Dice di essere ‘contro il sistema politico’, contro ‘il capitale’, ma poi rassicura la massa (per la gran parte impiegati nel settore pubblico, in grado di paralizzare lo stato con gli scioperi) dicendo che ‘nessuno perderà il proprio posto’. Non parla di controlli, di valutazione. Dice che il modello da seguire è Brasile … 
    Dice che il modello europeo, che prima era un sogno, ormai e’ diventato un’ incubo, le tasse sono devastanti e la gente non ce la fa piu’. E quindi? 
    Dice che mandera’ via la Troika. Come? Non ho ben capito. 
    Dice che la Merkel è la ‘cattiva’ della situazione. Ma come siamo arrivati alla Merkel?“.
    (Paola Pierantoni – Fotografia dell’autrice)

  • OLI 397: (DIS)INFORMAZIONE – Pesce in barile

    Il mare visto dalla collina di Sant’Ilario

    Giornale da bar di circolo, titolo conseguente. Così potremmo definire la “testata” Il Secolo XIX e un articolo che intitola a Grillo il vantaggio della bocciatura da parte della Capitaneria di porto di Genova di un progetto di pescicoltura proprio di fronte alla passeggiata Anita Garibaldi. Un’arguzia sopraffina, riuscire a trovare un collegamento tra il fatto crudo (vasche di pesci che danneggiano i pescatori e la navigazione) e il fatto mediatico, come dire, lavorato di fine all’uncinetto (la vista salvata dalla villa di Beppe), non è cosa da tutti. Se non fosse per la smorfia di dolore etico che questo artifizio crea in chi ancora crede nell’importanza dell’informazione vera, dei fatti e delle idee, sarebbe da applaudire il giornalista, purtroppo sconosciuto, un articolo figlio di NN. Anche guardando la foto, ci si accorge che da Sant’Ilario la visione delle vasche sarebbe stata impossibile, sia per la collocazione che per la distanza.
    Poiché i fatti sono sconosciuti al redattore, ci tocca presentarli noi, supplendo a quello che avviene ormai spesso a questo giornale, che quando si riferisce al Movimento 5 Stelle e a Beppe Grillo pare andare in cortocircuito. Eccoli quindi.
    Alcuni mesi fa, a settembre 2013, durante una commissione sul litorale, alcuni residenti di Nervi cominciarono a chiedere della pescicoltura che un progetto già approvato dalla Regione e molto ben visto dal Comune stesso piazzava proprio di fronte al Castello di Nervi, all’inizio della passeggiata. Molti consiglieri restarono interdetti, non se ne sapeva nulla. Come sempre, la Giunta e gli Uffici comunali lavorano senza alcuna partecipazione, né con i cittadini, tanto meno in questo caso con i pescatori professionisti che da questa installazione trarrebbero un danno, figuriamoci con i Consiglieri.
    Nel tempo che intercorre tra allora e la giornata di mercoledì scorso, alcuni gruppi consiliari si “scatenano” nell’attività di indagine, tra i quali il Movimento, che organizza una riunione pubblica in un locale in passeggiata, durante la quale insieme ai pescatori, invitati dai volantinaggi di preparazione all’evento, spunta anche l’imprenditore. Ne nasce una discussione molto civile, senza urla ma con posizioni divergenti, quel minimo di confronto partecipato. Ulteriori indagini del Movimento fatte con persone abitanti di fronte ad un impianto similare a Lavagna lasciano presumere che l’impianto, in quella posizione, oltre ai problemi indicati dalla Capitaneria sul traffico navale, sarebbe inquinante e pericoloso per la biologia della costa. La posizione cinquestelle si attesta quindi su un diniego dell’opera. In commissione, viene anche posto l’accento sul sistema ombroso usato per l’iter della pratica, che è transitata tra regione e comune senza che i cittadini fossero minimamente interessati. La partecipazione, si sa, è scomoda, allunga i tempi, soprattutto non riempie le pagine dei giornali se non quando, come in questo caso, arriva l’inghippo: una recente norma statale leva al Comune la competenza sul demanio marittimo che ritorna al Ministero dell’agricoltura e, quale suo braccio operativo, alla Capitaneria di porto. Ma al giornale serviva parlare male di Grillo, quindi il titolo assume la forma di una colpa inevitabile, un marchio di spregio, pazienza se la Verità viene sacrificata alla linea editoriale non propriamente “movimentista”. Amabili contastorie.
    (Stefano De Pietro – immagine da internet)

  • OLI 395: POLITICA – Un amore di regione

    (Rembrandt – particolare di La sposa ebrea)

    C’è una storia che è emersa sulle labbra degli appassionati di politica e tresche amorose.
    Narra di una Regione – la ventiduesima della cartina italiana – che prima di essere cancellata da una tragica alluvione, vide l’amore appassionato tra il Principe e la moglie del Padrone delle Acque e dei Moli.
    Questa vicenda era sulla bocca di molti perché la bellissima signora aveva anche una carica di prestigio nei territori di quella regione e si temeva che quell’amore minacciasse il potere politico dei tre. Ed anche il governo.
    Così si racconta che a corte si decise di offrire al Padrone delle Acque e dei Moli un incarico prestigioso oltre confine, alla dama di prendere il posto del Principe. E al Principe di prendere quello del Padrone delle acque e dei moli affinché i due amanti non fossero allontanati e il potere fosse salvo.
    Di questa storia la tradizione orale ha lasciato diversi finali ma tutti concordano che i tre rimasero a lungo in carica spostandosi semplicemente di sedia.
    Purtroppo di quella regione si sono perse le tracce e i cartografi faticano a collocarla: chi la vuole al Sud a riempire con una zeppa il vuoto tra punta e tacco d’Italia, chi giura fosse un’isola allungata tra la Corsica e la Liguria.
    Di certo si dice che fosse un amore di regione.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)