![]() |
| 26 marzo 2016, nel comune di Roccavignale (SV), lungo la strada tra Millesimo e Montezemolo. |
(Ferdinando Bonora – fotografia dell’autore)

![]() |
| 26 marzo 2016, nel comune di Roccavignale (SV), lungo la strada tra Millesimo e Montezemolo. |
(Ferdinando Bonora – fotografia dell’autore)
![]() |
| (Paolo Putti e Beppe Grillo il 15 aprile 2012 ) |
L’organizzazione della squadra per la competizione elettorale per le prossime regionali in Liguria, nel Movimento 5 Stelle, è stata legata ad un piccolo post-scriptum di un post sul sito beppegrillo.it: “Paolo Putti non è il referente dello staff di Beppe Grillo per le elezioni regionali in Liguria”. Per comprendere cosa sia accaduto, occorre fare un passo indietro, a novembre 2014, quando Putti era stato indicato da Casaleggio e Grillo come il referente per le elezioni regionali per la parte di organizzazione delle “regionalie” (le primarie del M5S), svolte come al solito online e aperte a chiunque fosse registrato sul sito del Movimento 5 Stelle.
Lo scopo di questo affidamento, differente da quello delle elezioni nazionali (affidate al gruppo consiliare savonese del M5S) e poi di quelle europee (sempre affidate a Savona ma questa volta ai loro parlamentari) era un messaggio molto forte di Grillo alla presenza di situazioni di litigio permanente tra vari gruppi territoriali, come accade in Liguria da sempre. Putti, evidentemente, era stato considerato in grado di dirimere tali conflittualità, ed in effetti, a differenza del 2010 quando il Movimento non si era agglomerato, questa volta il M5S si presenterà con una lista ben nutrita di 24 candidati consiglieri.
Graticole, incontri, banchetti, presenza sui territori, tutte le regole classiche del M5S, poi apparentemente in modo inatteso nasce una proposta diversa per la scelta del candidato presidente, che era invece indicata nelle indicazioni dello “staff” milanese da effettuarsi tra i 24 candidati con un’elezione online, La “proposta Putti” viene esplicitata in un articolo pubblicato il 12 gennaio 2015 sul sito genova5stelle.it e sostenuta da molti consiglieri e attivisti liguri. La proposta era quella di aprire alla possibilità di scegliere un candidato esterno al Movimento, consentendo a chiunque di indicare un nome sia tra i candidati già precedentemente scelti che nella “società civile”, come già fatto per le quirinarie nel 2013. Poi, una elezione online tra gli iscritti cinquestelle avrebbe consentito di votare, consentendo quindi di allargare la possibilità di vittoria alle regionali 2015.
Ma il risultato è stato un no secco di Grillo, e a distanza di pochi giorni da questo, è uscito il post scriptum citato in apertura.
Non si intende entrare nel merito delle scelte del capo politico del Movimento, ognuno è libero di indicare delle strade politiche che ritiene migliori e se ne assume, come sempre, gli onori e gli oneri di fronte agli elettori; certamente il metodo di comunicazione scelto lascia con l’amaro in bocca chi ha visto e vissuto da vicino l’impegno dimostrato da Paolo Putti per traghettare il Movimento verso le regionali 2015 in Liguria.
(Stefano De Pietro – foto di Giovanna Profumo)
Un titolo di giornale ha la forza di cambiare l’interpretazione di una notizia, poi riportata correttamente in fondo all’articolo, che però pochi leggono fino alla fine. E’ il caso dell’articolo “Bonus bebè, “no agli immigrati”. Blitz Lega, M5S d’accordo. Il testo non passa” pubblicato su Il Fatto Quotidiano online del 30 ottobre 2014. Una strategia tecnica da aula parlamentare viene stravolta al punto di far capire esattamente il contrario della realtà.
Sospironi di sollievo, paccate sulle spalle, sorrisetti a fior di labbra, un dileguarsi rapido in sala rossa al primo Consiglio comunale dopo l’alluvione: era magari passato il flash Ansa che Grillo era stato contestato proprio in città dai volontari del fango. Quasi una vittoria elettorale, rabbrividendo al ricordo della superiorità relativa dei 5stelle nelle ultime politiche in Liguria, mica ci si fida del 40 per cento del Pd alle europee.
All’una e mezzo il portone di palazzo Tursi è semichiuso, dentro un nugolo di agenti della polizia municipale spiegano cortesi che “il pass si può già ritirare, ma il consiglio è rinviato di un’ora”, siamo ormai al numero trenta e meno di cento sono i posti a sedere. Intorno capannelli di persone, intravedi visi noti, in primis esponenti di Municipi non coinvolti dai tragici eventi, che solerti!
Si aprono le porte del loggione della sala rossa, il pubblico si distribuisce; da sinistra partono urla, fischi: sono i contestatori che rumoreggiano, alzano un cartello trafugato con il tacito consenso della bionda vigilessa. Inizia il consiglio, qualche graffio, in verità un susseguirsi di carezze contropelo, le persone si guardano interdette, qualcuno cerca d’interrompere ma è subito zittito fragorosamente. Appare chiaro, anzi chiarissimo che la destra del loggione è presidiata dalla “gente Pd”, che si è mescolata anche tra i “facinorosi” e tra gli ignari. Si svela la strategia: occupare più posti a sedere per non far partecipare grillini, leghisti, chissà quali persone qualsiasi venute a protestare o più semplicemente ad assistere al Consiglio comunale. Che prosegue tranquillo, soltanto una voce fuori dal coro, un solo consigliere 5stelle, che chiede le dimissioni del primo cittadino, mentre i suoi colleghi, pur intervenendo con critiche durissime non fanno altrettanto.
Il resto è tutto uno stringersi stretti al sindaco Doria per “solidarietà a chi fa lo stesso mestiere”, come sottolinea il capogruppo nell’unico intervento a firma Pd in un Consiglio che poteva buttar male, preoccupato il Pd non tanto di far fare brutta figura al sindaco, ma delle sue possibili dimissioni, che manderebbero tutti a casa, in primis questo Pd. Una stretta mortifera.
Non si chiede però che cosa si farà per la sicurezza dei genovesi da qui alla fine delle grandi opere, ancorché necessarie, non si chiede conto dell’operato dei dirigenti comunali, brillanti assenti.
L’attacco invece è a testa bassa, furente contro la Regione, con cui non c’è più sintonia, si enuncia senza troppo rammarico.Vengono in mente le stringenti prescrizioni regionali fatte al Puc, che esortavano, fra l’altro, ad una maggiore puntualità delle norme riguardo al dissesto idrogeologico: osservazioni impositive così fastidiose per il Pd. Tragica nemesi l’allerta mancata, le inefficienze dell’ente, probabilmente si attacca la Regione per l’incombente candidatura della Paita di La Spezia, per fortuna del Pd assessore con delega anche alla protezione civile.
Quanti piccioni con una fava, si potrebbe cinicamente dire in questi giorni. In un sol colpo forse il Pd genovese si libera del governatore in scadenza, degli spezzini, compreso il giovane ministro della giustizia e potrà così sciogliere la riserva sulla candidatura alle elezioni regionali dell’attuale segretario Lunardon, comparso in consiglio comunale anche lui nel pubblico della sala rossa insieme allo staff: tutti adesso hanno il cappello renziano, ma i soliti noti sono sempre lì nel rispetto della continuità e non faranno per ora, bontà loro, cadere questa giunta, di cui detengono la maggioranza e, in ostaggio, Marco Doria, il sindaco espiatorio come l’ha definito il Manifesto, con i suoi limiti.
Mentre in Liguria, a Genova, forse non vedremo più sulla cresta dell’onda le incredibili coppie a sinistra, Raffaella Paita, assessore regionale, e consorte Luigi Merlo, presidente Autorità Portuale, più Sara Armella, presidente Fiera, e consorte Giovanni Lunardon, segretario regionale Pd.
(Bianca Vergati – foto Giovanna Profumo)
Questa volta le sentinelle non sono state lasciate sole, silenziosamente in piedi a testimoniare domenica scorsa la Verità e i Valori non negoziabili in cui credono, a difendere la libertà di espressione che la proposta di legge avanzata da Ivan Scalfarotto e molti altri deputati tenderebbe subdolamente a minare (anche se a leggerne e rileggerne il testo questo non pare proprio, in quanto si limita a estendere anche a chi commette o incita a commettere atti di discriminazione o violenza motivati dall’identità sessuale della vittima le stesse pene già previste dalla legge Mancino-Reale del 1975, per chi compie analoghi atti per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi) e a difendere la famiglia tradizionale composta da marito, moglie, figli e talvolta uno o più amanti segreti non di rado del proprio sesso (ma l’importante è che non si sappia, nella squisita ipocrisia del “si non caste, tamen caute” non più riservato ai pastori ma a tutto il gregge), come ha notato anche Massimo Gramellini su La Stampa, commentando la direttiva del ministro degli interni Alfano ai prefetti per imporre ai sindaci che hanno istituito registri delle unioni civili celebrate all’estero di annullarli.
Il tutto in non casuale concomitanza col concistoro e sinodo indetti da papa Bergoglio per discutere sul tema della famiglia.
Questa volta le Sentinelle in Piedi “apartitiche e aconfessionali” erano accompagnate nelle loro esibizioni in molte piazze italiane da manifestazioni di segno contrario, nelle quali il netto dissenso verso chi rifiuta la variegata articolazione della realtà e vorrebbe continuare a imporre a tutti un unico modo di pensare e agire, con un rigore violentemente assolutista camuffato da mitezza, si è espresso in forme diverse. Si va dalle reazioni estreme di frange giovanili che non sortiscono altro effetto che fomentare il vittimismo di cui le sentinelle sono maestre, ben evidente – com’era prevedibile – nei resoconti della stampa di parte, fino ad azioni assai più incisive e condivisibili dove prevalgono l’ironia e lo sberleffo, che ridimensionano e coprono di ridicolo le pretese di questi paladini in piedi.
In altre città si è giocato in modo diverso. A Milano, ad esempio, le sentinelle che s‘erano date appuntamento in piazza XXV Aprile davanti alla Porta Garibaldi si son trovate un bel numero di festosi manifestanti che le sfottevano esibendo cartelli con surreali pretese altrettanto assurde, tra girotondi e chiassosi saltelli.
Il capolavoro l’ha però messo in scena Giampietro Belotti, il trentenne che in piazza Sant’Anna a Bergamo, approfittando di un posto lasciato libero nella loro ordinata disposizione, si è intrufolato da solo tra le sentinelle come sentinella a leggere il Mein Kampf mascherato con una divisa nazista, con ai piedi un cartello recitante “I Nazisti dell’Illinois stanno con le Sentinelle”, chiaro riferimento al film The Blues Brothers di John Landis (1980). Ma il colpo di genio è stato il bracciale recante non la svastica della Germania di Adolf Hitler, bensì la doppia X della Tomania di Adenoid Hynkel, altra citazione cinefila da Il grande dittatore (The Great Dictator, 1940) di Chaplin.
Dopo poco è stato allontanato dalla Digos e correva voce – poi rientrata – che la magistratura stesse valutando un’eventuale incriminazione per apologia del fascismo e/o del nazismo. Se così fosse stato, povera Italia!
![]() |
| (foto Corriere della Sera) |
Dunque, in Parlamento donne di diverso orientamento hanno stretto un’alleanza, contrapponendosi alle decisioni e alle omissioni dei rispettivi partiti di riferimento, rappresentandola simbolicamente con la scelta del colore bianco, usato nel recente passato nelle manifestazioni contro il femminicidio.
In questo modo hanno dimostrato che le donne sono ancora capaci di atti di ‘disubbidienza’, e che la disubbidienza è necessaria se si vuole almeno tentare di inceppare il meccanismo di una politica fondata su accordi tra uomini fermamente e trasversalmente schierati a difesa della conservazione del loro status opponendosi, come osserva Chiara Saraceno (La Repubblica 11 marzo) a quelle che dovrebbero essere definite non ‘quote rosa’, ma “norme antimonopolistiche che impediscono la formazione di un ‘cartello’ basato sul sesso”.
Le donne si sono pubblicamente esposte, e sono state sconfitte.
Non ce l’hanno fatta contro l’attacco concentrico dell’incredibile ambiguità intrinseca al Partito Democratico, della deprimente viltà di menare la botta col volto coperto dal voto segreto (proposta da Forza Italia ma certo accolta con segreta gratitudine da molti del PD), e della desolante logica dei Cinque Stelle che giocano a fare gli alieni invece di diventare attori efficaci di democrazia.
Ma è avvenuto un importante fatto politico e culturale: le donne hanno messo in scena, pubblicamente, quello che lo storico Giorgio Galli – citato su La Repubblica del 11 marzo da Filippo Ceccarelli – definisce “un conflitto che non è stato oggetto in quanto tale di attenzione da parte degli storici. Come se fosse un fenomeno sociale secondario, ed è il conflitto maschile-femminile; ed è proprio da questo perenne, sommerso e indicibile incontro-scontro che vengono a crearsi le condizioni per la vita stessa degli uomini e delle donne”.
Se a seguito di questa vicenda riescono a filtrare sui giornali pensieri e consapevolezze figli della cultura femminista, c’è, nonostante tutto, da gridare alla vittoria, e da aprirsi alla speranza che, carsicamente, un cambiamento culturale sia dopotutto possibile.
Il fatto che le parlamentari abbiano condotto questa battaglia, e siano andate incontro a questo scacco, può aiutarle nel futuro a rafforzare la propria autonomia di pensiero, a rinunciare alla gratificazione dell’approvazione maschile, a non abbandonarsi alla illusione che i conflitti siano alle spalle. E non solo in merito di leggi elettorali.
Certo, sarebbe stato bello vedere circolare questo brivido di autonomia anche tra le ministre. Speriamo che non si buttino questa giornata alle spalle, e che ripensino a quel che è avvenuto.
(Paola Pierantoni – immagine da internet)
![]() |
| Atene, monumento all’ultima emissione della dracma |
L’ultimo giallo di Petros Marxaris (Pane, Istruzione Libertà, ancora non tradotto in Italia) inizia con una visione onirica: è l’ultimo dell’anno 2013, e la famiglia del commissario Charitos, riunita attorno al televisore, assiste ai festeggiamenti che si svolgono nella principale piazza di Atene. Ma non è un Capodanno come gli altri: col primo gennaio 2014 la Grecia tornerà alla dracma!
La moglie del commissario ha in mano un biglietto da mille dracme, e lo accarezza dolcemente. La mano addirittura le trema per l’emozione. Sussurra: “Lo credereste? Mi è mancata!”, ma la figlia la gela: “Con quelle mille dracme domani non riuscirai nemmeno a berti un caffè!”
Improvvisamente lo schermo si riempie dell’immagine di migliaia di finti biglietti da cento, mille, cinquecento dracme lanciati dai palazzi. Uno speaker grida entusiasta: “Dal cielo piovono dracme!”. La gente nella piazza grida evviva!
Quando tutta la famiglia Charitos si reca a Syntagma per vedere quel che accade, si trova di fronte a qualcosa di meno trionfale: non più di mille persone, disoccupati o precari “che attendono di essere pagati da mesi”, che gridano slogan: “Finealla schiavitù dell’Euro!”, “Se dobbiamo vivere poveri, meglio con la dracma!”, “vogliamo lanciare un messaggio agli altri Paesi del Sud: siamo qui uniti per combattere, Greci, Italiani, Spagnoli, Portoghesi, Ciprioti!” … Pochi passanti battono le mani, e qualcuno grida “Bravo!”
![]() |
| Mercatino a Ikaria |
Improvvisamente arriva un gruppetto di pensionati che gridano slogan diversi: “Ridateci L’Euro!”, “Con l’Euro prendiamo briciole, ma con la dracma non prenderemo nulla!”. Alle loro spalle vite da gastarbeiter in Germania. Guardano a quelli che manifestano per la dracma come a gente ‘cresciuta nella bambagia’ che pensa di salvarsi dallo spettro della povertà rifugiandosi nei sogni.
I due gruppi si affrontano insultandosi, si rischia perfino lo scontro fisico. In altro punto del libro si vedrà un assalto dell’ultra destra a un alloggio di immigrati, sotto lo sguardo passivo e indulgente dei passanti.
Una fantapolitica molto realistica, che descrive bene le emozioni che corrono per la Grecia, dove le persone vivono condizioni terribili e divise nel più assoluto buio politico. Tutti sanno che non c’è nessuna base da cui ripartire. Alle spalle un benessere appena intravisto, cresciuto sulla corruzione, sul clientelismo, sul debito incontrollato, su una crescita edilizia senza regole, sul concentramento della popolazione nelle città, sull’abbandono dell’agricoltura e delle attività che potevano derivarne, sull’illusione di un turismo ‘salva tutto’.
![]() |
| Sulla nave Mitilini |
Ora che quel poco che c’era è stato raso al suolo da un’Europa cieca e indifferente per le conseguenze sociali e politiche dell’accanimento con cui ha agito, anche le navi che portano gli indispensabili turisti da un’isola all’altra stanno andando a pezzi.
La salvezza possibile sta in Tsipras? Nell’intervista rilasciata a Repubblica lo scorso 7 febbraio pare voler buttare colpe, problemi e soluzioni tutti all’esterno. Così la crisi “è figlia delle asimmetrie dell’unione monetaria”, i movimenti populisti che stanno crescendo ovunque (in Grecia l’inquietante Alba Dorata è ormai il terzo partito) “sono il prodotto politico del liberismo”, e tutte le misure europee hanno il solo scopo di “salvare le banche che avevano titoli di Stato dei paesi altamente indebitati “.
Nessun accenno all’altra faccia della luna, quella delle responsabilità nazionali, del patto che il potere politico ha stretto con la gente: consenso e voti, in cambio di clientelismo, privilegi, assenza di controlli sugli atti illeciti, tolleranza per l’evasione fiscale.
Nessun accenno all’incapacità della sinistra greca di formulare prospettive credibili, fondate sui dati di fatto, oltre gli slogan e i vittimismi.
(Paola Pierantoni – fotografie dell’autrice)
“Pane, cultura, libertà” è lo slogan che identifica la lotta del Politecnico di Atene: quaranta anni fa, il 14 novembre 1973, gli studenti greci occuparono l’Università, e diedero vita ad una stazione radiofonica libera. Il primo messaggio fu: “Qui Politecnico! Popolo della Grecia il Politecnico è il portabandiera della nostra lotta, della vostra lotta, della nostra lotta comune contro la ditattura e per la democrazia”. Durò tre giorni.
Il 17 novembre i tanks dell’esercito misero fine alla rivolta, 23 studenti morirono.
Dopo la cacciata dei colonnelli questa data è diventata festa nazionale. Ma è stata anche subito adottata dalla organizzazione terroristica “17 Novembre”, nata nel 1975: all’attivo 25 omicidi ‘mirati’ e moltissimi tentati omicidi, ferimenti, attentati e rapine di ‘autofinanziamento’. Fu smantellata solo alla vigilia dei giochi olimpici del 2004.
E’ necessario andare così indietro per capire qualche cosa della Grecia di oggi? Sì, e in direzione non scontata.
Le tre parole del Politecnico, nella Grecia della crisi, sono tornate di moda: oggi campeggiano, come quaranta anni fa, sugli striscioni che fasciano tutta la zona universitaria.
Collegamento comprensibile, dato il salto nella povertà che la Grecia ha fatto in questi anni.
![]() |
| immagine da internet |
Ma quando le usa Petros Marxaris (vedi anche Oli 324 ) per dare il titolo al suo ultimo giallo ambientato nella Grecia della crisi economica, questo riferimento si colora di una profonda critica su quella che i greci chiamano ‘la generazione del Politecnico’, cioè i protagonisti di quella epica vicenda.
Nel libro, i figli di alcuni di questi padri ‘eroici’ mettono a nudo le menzogne e le compromissioni in cui hanno visto incistarsi le vite dei genitori, che si sono fatti scudo di una breve stagione di lotta per conquistare posizioni di privilegio.
Chiedo a un’amica ateniese un parere su questo quadro disincantato e pessimista.
Lei mi dice di condividerlo. La sinistra in Grecia si è fatta scudo della retorica sui passati eroismi per coprire una gestione del potere corrotta, collusa, clientelare. Il Pasok si è alternato al governo col partito di centro destra, Nèa Dimokratìa, e ne condivide le colpe.
Un altro amico mi dice che non ce la fa nemmeno più ad ascoltare le canzoni e le musiche (spesso bellissime) che hanno accompagnato e celebrato la stagione della lotta contro la dittaura dei colonnelli, per l’uso retorico che poi ne è stato fatto.
Non posso evitare di chiedere alla mia amica che ne pensi di Tsipras, il leader del partito Syriza che, come dicono i giornali, ‘ha sedotto la sinistra europea’ che lo ha candidato alla presidenza della Commissione Europea.
Mi dice: “Tsipras è un populista. E’ una figura molto debole. E l’80 % degli aderenti a Syriza è gente che prima stava nel Pasok. Parlando con la gente in giro si vede che ha paura di votarlo, ma non vedono un’altra soluzione. La gente pensa di votarlo come atto di rabbia. Ormai la gente e’ disperata e pensa: cosa abbiamo di più da perdere? Al massimo torniamo alla dracma. Syriza conta sui disperati. Dice di essere ‘contro il sistema politico’, contro ‘il capitale’, ma poi rassicura la massa (per la gran parte impiegati nel settore pubblico, in grado di paralizzare lo stato con gli scioperi) dicendo che ‘nessuno perderà il proprio posto’. Non parla di controlli, di valutazione. Dice che il modello da seguire è Brasile …
Dice che il modello europeo, che prima era un sogno, ormai e’ diventato un’ incubo, le tasse sono devastanti e la gente non ce la fa piu’. E quindi?
Dice che mandera’ via la Troika. Come? Non ho ben capito.
Dice che la Merkel è la ‘cattiva’ della situazione. Ma come siamo arrivati alla Merkel?“.
(Paola Pierantoni – Fotografia dell’autrice)
![]() |
| Il mare visto dalla collina di Sant’Ilario |
Giornale da bar di circolo, titolo conseguente. Così potremmo definire la “testata” Il Secolo XIX e un articolo che intitola a Grillo il vantaggio della bocciatura da parte della Capitaneria di porto di Genova di un progetto di pescicoltura proprio di fronte alla passeggiata Anita Garibaldi. Un’arguzia sopraffina, riuscire a trovare un collegamento tra il fatto crudo (vasche di pesci che danneggiano i pescatori e la navigazione) e il fatto mediatico, come dire, lavorato di fine all’uncinetto (la vista salvata dalla villa di Beppe), non è cosa da tutti. Se non fosse per la smorfia di dolore etico che questo artifizio crea in chi ancora crede nell’importanza dell’informazione vera, dei fatti e delle idee, sarebbe da applaudire il giornalista, purtroppo sconosciuto, un articolo figlio di NN. Anche guardando la foto, ci si accorge che da Sant’Ilario la visione delle vasche sarebbe stata impossibile, sia per la collocazione che per la distanza.
Poiché i fatti sono sconosciuti al redattore, ci tocca presentarli noi, supplendo a quello che avviene ormai spesso a questo giornale, che quando si riferisce al Movimento 5 Stelle e a Beppe Grillo pare andare in cortocircuito. Eccoli quindi.
Alcuni mesi fa, a settembre 2013, durante una commissione sul litorale, alcuni residenti di Nervi cominciarono a chiedere della pescicoltura che un progetto già approvato dalla Regione e molto ben visto dal Comune stesso piazzava proprio di fronte al Castello di Nervi, all’inizio della passeggiata. Molti consiglieri restarono interdetti, non se ne sapeva nulla. Come sempre, la Giunta e gli Uffici comunali lavorano senza alcuna partecipazione, né con i cittadini, tanto meno in questo caso con i pescatori professionisti che da questa installazione trarrebbero un danno, figuriamoci con i Consiglieri.
Nel tempo che intercorre tra allora e la giornata di mercoledì scorso, alcuni gruppi consiliari si “scatenano” nell’attività di indagine, tra i quali il Movimento, che organizza una riunione pubblica in un locale in passeggiata, durante la quale insieme ai pescatori, invitati dai volantinaggi di preparazione all’evento, spunta anche l’imprenditore. Ne nasce una discussione molto civile, senza urla ma con posizioni divergenti, quel minimo di confronto partecipato. Ulteriori indagini del Movimento fatte con persone abitanti di fronte ad un impianto similare a Lavagna lasciano presumere che l’impianto, in quella posizione, oltre ai problemi indicati dalla Capitaneria sul traffico navale, sarebbe inquinante e pericoloso per la biologia della costa. La posizione cinquestelle si attesta quindi su un diniego dell’opera. In commissione, viene anche posto l’accento sul sistema ombroso usato per l’iter della pratica, che è transitata tra regione e comune senza che i cittadini fossero minimamente interessati. La partecipazione, si sa, è scomoda, allunga i tempi, soprattutto non riempie le pagine dei giornali se non quando, come in questo caso, arriva l’inghippo: una recente norma statale leva al Comune la competenza sul demanio marittimo che ritorna al Ministero dell’agricoltura e, quale suo braccio operativo, alla Capitaneria di porto. Ma al giornale serviva parlare male di Grillo, quindi il titolo assume la forma di una colpa inevitabile, un marchio di spregio, pazienza se la Verità viene sacrificata alla linea editoriale non propriamente “movimentista”. Amabili contastorie.
(Stefano De Pietro – immagine da internet)
![]() |
| (Rembrandt – particolare di La sposa ebrea) |
C’è una storia che è emersa sulle labbra degli appassionati di politica e tresche amorose.
Narra di una Regione – la ventiduesima della cartina italiana – che prima di essere cancellata da una tragica alluvione, vide l’amore appassionato tra il Principe e la moglie del Padrone delle Acque e dei Moli.
Questa vicenda era sulla bocca di molti perché la bellissima signora aveva anche una carica di prestigio nei territori di quella regione e si temeva che quell’amore minacciasse il potere politico dei tre. Ed anche il governo.
Così si racconta che a corte si decise di offrire al Padrone delle Acque e dei Moli un incarico prestigioso oltre confine, alla dama di prendere il posto del Principe. E al Principe di prendere quello del Padrone delle acque e dei moli affinché i due amanti non fossero allontanati e il potere fosse salvo.
Di questa storia la tradizione orale ha lasciato diversi finali ma tutti concordano che i tre rimasero a lungo in carica spostandosi semplicemente di sedia.
Purtroppo di quella regione si sono perse le tracce e i cartografi faticano a collocarla: chi la vuole al Sud a riempire con una zeppa il vuoto tra punta e tacco d’Italia, chi giura fosse un’isola allungata tra la Corsica e la Liguria.
Di certo si dice che fosse un amore di regione.
(Giovanna Profumo – foto dell’autrice)