Categoria: Corriere della Sera

  • OLI 388: TEATROGIORNALE- L’uomo nero

    [ Questo è un racconto di finzione liberamente ispirato a un fatto di cronaca così come è stato presentato dai mezzi di informazione]

    Pompeo è a piedi nudi, i suoi passi risuonano sul pavimento in pietra. Fuori dalle finestre la luna crescente illumina un albero di fichi in giardino. Silenzio, Pompeo è davanti al talamo dei genitori ma è indeciso se chiamarli o ritornarsene su i suoi passi: e se il padre avesse pensato che è un debole, una pula che ha paura della sua ombra? E se l’avesse battuto col bastone? Con la cinghia? O se avessero deciso di mandarlo in villa, lontano da tutti?

    Sbatte una porta, la civetta canta e poi si invola, Pompeo salta nel talamo.

    -Per Castore! 
    -Per Polluce! 

     Il padre impugna meccanicamente il randello che tiene sempre a portata di mano per ogni evenienza; la madre prende il figlio tra le braccia e lo nasconde tra le lenzuola.

     -Mamma, è vero che i cristiani mangiano i bambini? 

     Dice Pompeo tutto in un fiato, come se quella domanda gli stesse appesa alla lingua da tutta la notte. 

    -Si tesoro, sono delle persone cattive che rifiutano di vivere come noi, in una casa per vivere dentro le catacombe: il loro Dio Gesù strappa i morti dalla pace per farli vagare senza quiete per il mondo. 
    Il bimbo guarda il buio della stanza mentre il padre, riposto il randello, si sdraia nel letto. 

    -E un giorno, questo Gesù gli ha detto: mangiatemi e andate per il mondo a mangiare i bambini in ricordo di me. Ogni settimana i cristiani scelgono un bambino cattivo, che non vuole studiare e che non rispetta i suoi genitori, aspettano che scappi dalle mani dello schiavo che lo deve accompagnare a scuola oppure che salti le lezioni del maestro per andarsene in giro… 
    -Oppure che si metta a guardare le farfalle mentre va al tempio col padre… 
    Aggiunge il pater familia con uno sbadiglio. 

    -E lo rapiscono, lo portano in una tomba e lì lo uccidono, lo fanno a pezzi e poi se lo mangiano; raccolgono il sangue in una brocca e poi se lo bevono come se fosse vino. 

    -Ma questo Gesù era un bambino?

    La madre accarezza Pompeo.
    -No caro, non era un bambino ma un uomo barbuto che diceva di essere lui un dio e che tutti gli altri Dei come Giove, Giunone, Apollo non esistevano.

    Il padre prende il figlio per le orecchie e gli dice affettuosamente:
    -Ma non è vero niente! I cristiani dicevano anche di essere buoni ad addomesticare le bestie feroci ma, l’altro giorno al Circo, hai visto come la tigre si è mangiata quei sobillatori, avvelenatori? Ah-ham! In un boccone!
    Caio Maximum di professione esattore inizia a mimare la tigre che si mangia i cristiani finendo per fare il solletico al pancino del suo bambino. La madre Ottavia li guarda severa.

    -Basta adesso, Pompeo ritornatene nel tuo letto e ricordati di stare sempre vicino a tua madre, a tuo padre o allo schiavo Eunoos quando cammini per la strada. Inoltre devi studiare e essere ubbidiente altrimenti i cristiani ti rapiscono e ti mangiano.
    Pompeo abbraccia forte i suoi genitori e, con un lembo della tunica tra le labbra per farsi coraggio, esce dalla stanza.

    [Questa breve scena potrebbe essere riscritta mettendo al posto della parola cristiani la parola ebrei, uomo nero, comunisti, zingari.]

    Da ilcorriere.it:Il caso di Maria: una coppia rom bulgara «È nostra figlia, l’abbiamo affidata ai greci»

    (Arianna Musso – Foto da internet)

  • OLI 371: TEATROGIORNALE – Per un sorso d’acqua

     Da ilcorriere.it: Sul pianeta dell’acqua in sette miliardi hanno sete

    In una cucina una ragazza vuole bere un bicchier d’acqua. E’ seduta a un tavolo, davanti a lei ci sono venti persone che la guardano.
    Lei li guarda, quando sono arrivati? Non importa, il bicchiere è suo, l’acqua pure.
    Alza il braccio per prendere il bicchiere e sposta il peso del corpo in avanti; i quaranta occhi la seguono, anche loro spostano il peso dei loro venti corpi in avanti.
    Lei si ferma, lascia il bicchiere d’acqua sul tavolo; le labbra dei quaranta occhi sono screpolate, le carni dei loro venti corpi asciutte.
    Lei si alza di scatto, prende il bicchiere, sale sulla sedia, si siede sul tavolo dando le spalle ai quaranta occhi. Lei porta il bicchiere alle labbra, decisa finalmente a bere. Quando l’acqua le bagna le labbra si accorge di avere le spalle scoperte: quaranta occhi assetati la guardano.
    Nuovamente si alza di scatto, posa il bicchiere sul tavolo, si siede sulla sedia. Guarda il bicchiere colmo d’acqua. Anche i quaranta occhi lo guardano.
    Lei si alza dalla sedia, con noncuranza si avvicina al mobile della cucina, tira fuori: dodici piatti bianchi, quindici bicchieri azzurri, otto tazze dai bordi dorati. Lei li mette gli uni sopra le altre a costruire un muro così che i quaranta occhi non possano vederla mentre beve il suo bicchiere d’acqua. Ma dal manico di una tazzina si intravede un occhio, tra un piatto e un bicchiere ci sono labbra.
    Allora lei si alza e apre dei cassetti e tira fuori tovaglie e asciugamani e amplia quel muro di stoviglie con un muro di biancheria. Ma loro potrebbero circumnavigare il tavolo.
    Allora lei dispone le sedie così che loro non possano arrivare al suo bicchiere d’acqua, ma una sedia si può scavalcare e allora lei sposta il forno, il frigo, la lavastoviglie a rafforzare quella diga anti assetato.
    Ma loro potrebbero ancora passare, uscire dalla finestra della cucina e rientrare da quella della sala e sorprenderla ancora una volta alle spalle.
    Bisogna chiudere le finestre, le porte e forse ancora non basterebbe.
    Il bicchiere d’acqua è dimenticato sul tavolo mentre lei cerca ancora di proteggersi da chi ha sete.
    (Arianna Musso – Foto da internet)

  • OLI 356: INFORMAZIONE – Il Corriere della Sera e l’isola che non c’è

    Ikaria: un signore centenario torna a casa dopo una festa

    Capita, a volte, di incappare in un articolo che parla di qualcosa che conosci davvero a fondo, e rimanerne un po’ straniti. E’ il caso di un articolo pubblicato in rete il 5 novembre sul Corriere della Sera – Salute. Titolo: “La formula dell’immortalità custodita in un’isola greca – Ikaria: i 90enni sono il doppio della media nazionale. La scoperta di un team italiano”.
    Nel 2008 quest’isola dell’Egeo nord orientale, data la longevità degli abitanti, è finita sotto la lente di osservazione di Dan Buettner, ricercatore statunitense, esploratore, corrispondente del New York Times, membro di National Geografic e fondatore di ‘Blue Zones’, società che svolge ricerche sulle cause della lunga vita in diverse aree culturali e geografiche.

    Ikaria, festa

    Di questa ricerca e dei suoi aggiornamenti parla un articolo del New York Times dello scorso 28 ottobre, di certo ispiratore del pezzo del Corriere, ma costretto dall’articolista del Coriere in una sintesi che può lasciare perplessi amanti e fedeli frequentatori del luogo. La realtà infatti non collima con l’immagine proposta: isolani pressoché vegeteriani che fanno colazione e cena ‘a base di latte di capra’, genere però impossibile da trovare in quest’isola piena di capre (se ne contano 30.000, contro 7000 abitanti), che in gran parte girano libere sui monti, né munte né accudite, in attesa di essere mangiate tutte intere, arrostite, o bollite, o in umido (i fegatini passati in padella), nel corso delle infinite feste che allietano l’isola, queste sì fattore di lunga vita.
    Se è vero poi che gli isolani bevono un infuso di erbe selvatiche detto “the della montagna”, è del tutto fantasioso che consumino ‘molta maggiorana’ e ‘molto rosmarino’. Praticamente ignoto, infatti, l’uso alimentare del rosmarino, e del tutto sconosciuto quel che noi intendiamo per maggiorana: parola di genovesi che hanno tentato invano di confezionare ricette liguri dove questa erba è essenziale.

    Al mattino si beve ancora …

    E poi nessun cenno al vino! Il vino ‘pramnio’! Orgoglio di un’isola che si vanta di aver dato i natali a Dioniso stesso, e in cui l’impronta dionisiaca delle feste è tuttora evidente … Difetti veniali. Però, pur nella sintesi, valeva la pena di evidenziare altri aspetti dell’articolo del New York Times. Inanzitutto che la dieta isolana non è forse il fattore più importante, ma che grande peso ha la struttura sociale, il fatto che gli anziani hanno un ruolo riconosciuto che motiva la loro vita, che senz’altro “si mangia meglio che in America“, ma che il fattore più importante è “come mangiamo … noi godiamo della compagnia, chiunque ne faccia parte. Il cibo è sempre goduto insieme alla conversazione”.

    Ikaria, in una tomba un riconoscimento al vino

    E il sesso. L’articolo del NYT puntualizza che “l’80% degli uomini tra i 65 e i 100 anni svolgono regolarmente attività sessuale”. Ricerche a parte, per appurare l’allegra disponibilità sessuale di anzianissimi signori basta andare da sole alle feste isolane.

    L’articolista del Corriere dà conto della salutare indifferenza locale verso il tempo, e su questo non si può che concordare: sull’isola per gli appuntamenti vengono usati termini quali ‘messimeraki’, o ‘vradaki’ che indicano ore indeterminate rispettivamente situate tra mezzogiorno e le cinque del pomeriggio, e tra le nove di sera a notte fonda.

    Una osservazione finale: del team che nel 2008 ha condotto questa ricerca sull’isola di Ikaria faceva parte anche Gianni Pes, del dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università di Sassari, ma perché nell’articolo si parla di un ‘team italiano’, anziché di un ‘italiano nel team’?
    (Paola Pierantoni –  foto dell’autrice)

  • OLI 335: IMMIGRAZIONE – L’integrazione ai tempi delle TV satellitari

    Nell’articolo di Rania Ibrahim sul Corriere della Sera del 12 marzo “Grazie alla parabola…”, la confusione regna indisturbata. Da una parte la parabola è screditata in quanto non è da quartieri “fashion” ed è “tipicamente da banlieue parigina” e da circonvallazione di Milano, dall’altra si indigna quando i vicini di casa protestano per l’installazione della sua di parabola: “rovinava la facciata del condominio…capirai.”
    La parabola della scrittrice è “buona” ed ha contribuito ad insegnarle la lingua araba, a conoscere il suo paese d’origine e tante altre belle cose mentre quella delle altre donne immigrate che dice siano (non poteva mancare) “la maggior parte musulmane”, e che definisce come “mogli-sforna bimbi” di uomini immigrati è “cattiva”: con la parabola, si barricano “nelle loro case, chiuse in un mondo che non hanno mai lasciato realmente, tutto il giorno a guardare esclusivamente programmi arabi, sentire musica araba, telegiornali arabi, la Rai?, non sanno neppure cosa sia”.
    Naturalmente non è così: la scrittrice non è l’unica tra le figlie ed i figli degli immigrati ad usufruire dei vantaggi della parabola nel mantenere la lingua e la cultura d’origine e non è certamente colpa della parabola se le comunità immigrate vivono separate dalla società ospitante che fa poco per integrarle. E’ spiacevole che quando una persona immigrata ha la possibilità di scrivere su una testata importante, non faccia altro che ripetere gli stessi stereotipi sugli immigrati che da vent’anni si va scrivendo sullo stesso quotidiano. Massima cura della scrittrice è di rassicurare di essere diversa da altri immigrati che non sanno parlare l’italiano, sfornare bimbi ecc.
    Articolo a parte, qualche sociologo dovrebbe fare una seria indagine sull’influenza della diffusione delle TV satellitari nell’integrazione degli immigrati in Italia. Ad esempio, se il modello dell’assimilazione degli immigrati era di difficile attuazione esso è, ora, impossibile: moltissimi immigrati ben integrati a livello lavorativo e linguistico seguono più i telegiornali del paese d’origine che quelli italiani. In molti casi si guardano quotidianamente due telegiornali del paese d’origine e nessuno italiano. Cosa significa questo per l’integrazione e per la politica? E’ nell’interesse dell’Italia che milioni di persone che vivono nel nostro paese seguano i nostri telegiornali? Sembrerebbe evidente, ma allora TV e telegiornali dovrebbero cambiare: ad esempio, assumere l’antirazzismo come etica fondamentale. Quando denunciano l’integralismo e il fanatismo religioso, dovrebbero farlo con equilibrio ed obiettività coinvolgendo tutti gli integralismi compresi quello cristiano e quello ebraico. Quando parlano di Palestina e medio oriente dovrebbero essere obbiettivi e rappresentare tutti i punti di vista e non appiattirsi, come accade oggi, su un unico punto di vista. Insomma TV e telegiornali italiani dovrebbero diventare multietnici e interculturali. Mi rendo conto che potrebbe sembrare qualcosa di utopico, visto il degrado delle nostre TV, ma è necessario.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 314: IMMIGRAZIONE – La cattiva politica che produce boss immigrati

    Disegno di Guido Rosato

    Ha ragione Sergio Romano quando, sul Corriere della Sera dell’8 settembre, parlando delle esperienze migratorie di molto paesi europei, denuncia che “da alcune comunità straniere sono emerse nomenklature composte da persone ambiziose che aspiravano a fare dei loro connazionali una sorta di collegio elettorale e di servirsene per diventare gli interlocutori accreditati delle autorità locali. Per meglio affermare l’utilità della loro funzione ed esaltare il loro ruolo, questi boss comunitari hanno spesso cercato di sfruttare le condizioni psicologiche dei loro rappresentati accentuando ed esasperando la loro separazione dal resto della società in cui vivevano”.
    Questo è esattamente quanto sta succedendo nelle comunità immigrate italiane. Però, Sergio Romano, a mio avviso, sbaglia quando attribuisce questo alla società multietnica che egli intende come “il superamento dell’assimilazione e il consentire agli immigrati di rispettare le loro tradizioni, confessare la loro fede religiosa, conservare le loro feste comunitarie, trasmettere ai loro figli la conoscenza della lingua e della cultura dei Paesi di provenienza” .
    Non è il superamento dell’assimilazione quello che ha prodotto le nomenklature fra gli immigrati, ma una politica sbagliata che ha portato e continua a portare alla ghettizzazione degli immigrati nelle loro varie comunità. La responsabilità non è della società multietnica ma è dei governi che si sono susseguiti negli ultimi vent’anni e che non hanno fatto nulla per consentire e facilitare ai singoli cittadini immigrati di partecipare alla vita pubblica e politica e di “integrarsi” nella società italiana.
    Oltre che per l’economia, il fisco, la sanità, la scuola, l’università, la cultura e l’etica anche per l’immigrazione la seconda repubblica è stata un disastro vero e proprio: non è stato introdotto per i cittadini immigrati il diritto al voto e non è stata modificata la legge per togliere gli ostacoli all’ottenimento della cittadinanza italiana. Sono i due provvedimenti necessari e più efficaci per liberare i singoli cittadini immigrati dai boss delle loro comunità etniche e religiose e per integrarli nella società italiana senza rinunciare alla propria religione e cultura d’origine.
    (Saleh Zaghloul)