Categoria: OLI 286

  • OLI 386: TEATROGIORNALE- Dialogo di A e B in spiaggia

    [Questo racconto è una finzione letteraria liberamente ispirato a un fatto di cronaca così come è stato presentato dai mezzi di informazione e filtrato dalla fantasia dell’autrice.]

    [A sta mangiando dei semi tostati e sputa le pellicine o i pezzi troppo duri nella sabbia. B sta pescando, oltre la canna ha un secchio e una borsa di vimini. Il palcoscenico è vuoto, il fondale è un tramonto tropicale da cartolina un po’ spiegazzato.]
     A -Sono degli scarafaggi.
     B -No, scarafaggi no, non è vero, sei ingiusto.
     A -Formiche?
     B -Neanche, le formiche sono laboriose, questi invece sono tutto tranne che laboriosi.
     A -Cavallette?
     B -Meglio.
     A -Insomma è tutta colpa di Nasheed.
     B -Indubbiamente. [B tira su la canna da pesca, vi è attaccato un pesce di plastica, lo guarda soddisfatto e continua a pescare.]
     A -L’altro giorno ne ho visto uno in moschea.
     B -Puzzano.
     A -E si aggirano da una parte all’altra, mi fanno un’impressione. E tutti a scacciarli: “Via, via, dovete stare più in là”. Ma loro nulla, sgattaiolano da ogni parte: ne blocchi uno e ne ai già tre, lì ad infastidire la gente che prega.
     B -Hai provato col Baygon?
     A -Non basterebbe, credi a me.
     B -Il cianuro?
     A -Si, delle bottigliette di birra riempite di cianuro all’entrata della moschea.
     B -Non mi sembra una grande idea.
     A -E’ che alla fine si stava meglio prima, quando erano confinati. Per il loro allevamento non ci guadagnavamo tanto, noi cittadini, ma almeno evitavamo di averceli intorno.
     B – Io l’avevo detto.
     A – Sì, ma pensavo che avremmo allevato anche noi quelli di razza, non questi che ci invadono le case, le strade, non puoi neanche più pregare in pace.
     B -Insomma è tutta colpa di ?
     A – Nasheed.
     B – Bravo. [B tira fuori un panino dal cestino di vimini che divide in due, lo offre ad A e iniziano a mangiare, in lontananza si sente una musica hawaiana.]
     A -E poi mi fanno impressione.
     B -L’hai già detto.
     A -Lo so ma è che non riesco proprio ad abituarmi, sembrano come noi, ma non lo sono, sono sempre lì che vogliono comprare qualcosa, l’altro giorno perfino la stuoia di casa si volevano comprare.
     B -E tu gliel’hai venduta?
     A -No!
     B -Bravo
     A -La stuoia di casa mia è mia, se loro vogliono una stuoia che vadano dalla vecchia Salma a farsene fare una. Che la paghino a lei, mica a me che poi devo andare a farmela rifare.
     B -Giusto.
     A -Come fanno a non capire che gli viene un colpo di sole a stare tutti nudi sulla spiaggia a mezzogiorno.
     B -Forse hai detto bene, sembrano come noi.
     A – Ieri una di loro gironzolava attorno a mia moglie: “Ma non le da fastidio andare in giro così coperta? Ma perché permette a suo marito di farla coprire così?” E mia moglie che agitava la mano: “Sciò, sciò.”
     B – E tuo figlio invece la aspettava fuori.
     A -Ecco, anche questo non va bene: gli danno due soldi e questi ragazzi pensano che sia più facile scarrozzare in giro questi… cosa abbiamo detto che erano?
     B -Cavallette
     A -Si, cavallette invece che andare a pescare o fabbricare le reti.
     B – Insomma è tutta colpa di ?
     A – No, non solo di Nasheed, anche mia che l’ho votato. Meglio allevamenti di turisti di razza, confinati in isolette disabitate, ora ne sono convinto anche io. E che se ne vada in malora Nasheed e tutte le cavallette del mondo!
     [Il pesce inizia a tirare la canna, B la tiene ma il pesce sembra molto grande, anche A lo aiuta. La musichetta hawaiana diviene remixata, si trasforma in un huz huz da discoteca, da dietro le quinte escono sei quod in fila. Gente varia in camicie hawaiane e costume, le donne in bikini luccicanti. Tutti urlano, qualcuno guida in piedi. Due di questi lanciano bottiglie di Jack Daniel sul palco. A e B lasciano la canna che cade giù dal palco, i quod girano attorno ai due che si stringono impauriti. La musica diventa assordante, le luci strobo. Buio. In lontananza si sente il canto dell’Imam.]

    repubblica.it: maldive-il-voto-sulla-rivoluzione-dei-backpaker/228332
    (Arianna Musso – Foto da internet)

  • OLI 286: VERSANTE LIGURE – PREMIER IL PIACERE, POI IL CARROCCIO

    Non c’è danno che tenga
    ché Sestri non ha il rango
    (è in Veneto? Non finga!):
    a risarcir mi oppongo.
    Scusate: ho il bunga-bunga
    vi lascio il fango-fango.

    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA
  • OLI 286: GRANDI OPERE – Inquietudine in galleria

    “Sì, il raddoppio del tratto ferroviario Andora – S. Lorenzo (19 chilometri di cui 16 in galleria) dovrebbe essere completato nel 2012, ma su quel treno a 200 km all’ora in galleria non ci salgo neanche morto”.
    Confidenze di un claustrofobo? No, confidenze di fine estate di un lavoratore molto perplesso sulla futura sicurezza dell’impianto. Segue un mare di spiegazioni tecniche che non paiono mancare di un filo logico. Proviamo a riassumere.
    Lo scavo prevede sette gallerie, di cui quattro realizzate con una “talpa”, cioè una gigantesca macchina la cui testa è una fresa che ruota lentamente frantumando la pietra, e che, man mano che avanza, cementa pareti e volta della galleria mettendo in posa delle centine armate con tondini di ferro. Questi vengono inglobati nel cemento che si consolida velocemente a bassa temperatura (non superiore a 30°) grazie all’aggiunta di un appropriato addittivo. Tutto il processo è realizzato e controllato in modo automatico.
    E allora, cosa c’è che non va? L’elenco che si snoda è lungo. Il tondino dell’armatura dovrebbe essere di elevata sezione, adatta ad opere industriali, mentre nelle centine (in quante?) pare che ci vada tondino a piccola sezione, con l’aiuto di un doppio regime di bolle di accompagnamento. Anche l’addittivo al cemento a volte si trasforma mutandosi in acqua, ma in questo caso il consolidamento richiede temperature più elevate, fino ai 60°, e allora ecco il tapullo per “bypassare” il sistema di controllo automatico della macchina. Poi c’è il restyling: vernice spry color zinco spruzzata su ferri arrugginiti per “passare le ispezioni”, dato che rotture, fessurazioni, distanze fino a 5 cm tra le calotte lasciano passare acqua.
    L’amico conclude: “Te lo immagini cosa può succedere a seguito dello spostamento d’aria provocato da un treno in corsa a quella velocità? E quando se ne incrociano due, di treni?”
    Paranoie? Malumori lavorativi che trovano sfogo nell’ingigantire piccoli problemi fino a tramutarli in allarme?
    Un breve articolo – “Blitz al cantiere di Andora – sequestrata l’area Ferrovial” – uscito lo scorso 20 novembre sull’edizione savonese del Secolo XIX, purtroppo, conferma: “Carabinieri e finanzieri hanno posto sotto sequestro l’intero stabilimento-capannone della Ferrovial Agroman, la ditta spagnola che si è aggiudicata l’appalto delle Ferrovie italiane per effettuare i lavori … Secondo gli investigatori, per la realizzazione dei “conci” sono state utilizzate percentuali inadeguate sia di cemento che di ferro per armatura, e i manufatti sarebbero irregolari rispetto alle norme di legge e dunque potenzialmente pericolosi per viaggiatori e ferrovieri”. Indagati i legali rappresentanti della Ferrovial Agroman e della Cossi Costruzioni, ditta lombarda che produce le armature in ferro e acciaio.
    Torna sull’argomento Il Secolo XIX del 22 gennaio, edizione di Imperia, che ripercorre la storia giudiziaria di questo cantiere, soggetto ad indagine già dall’agosto del 2009 per gravi irregolarità nello smaltimento dei materiali di scavo, e ora “in parallelo” anche per la sicurezza delle gallerie in costruzione.
    Il cantiere è aperto da circa cinque anni: ce ne è voluto di tempo per accorgersi che qualcosa non andava.
    Attendiamo gli esiti, augurandoci notizie di stampa meno avare, e meno localistiche: non è questione che interessi solo il ponente ligure.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 286: DISTURBI ALIMENTARI – Grido alla vita da un punto di non ritorno

    L’incontro con lo studio di Oliviero Toscani nasce da un’email che prova a puntar dritta a lui, corredata da link degli articoli sulla a. e b. e su una sua campagna pubblicitaria apparsi su OLI. La speranza e’ quella di trovare un interlocutore, non un mito, ma un uomo.

    Trascorrono due o tre giorni di silenzio, durante i quali la madre della modella a. Isabelle Caro (*), fotografata da Toscani in tutta la lunghezza della sua colonna vertebrale e morta recentemente, si toglie la vita. Vita che sua figlia, sebbene più sottile di un accento, invitava ad amare dai cartelloni pubblicitari come la cosa più importante al mondo.

    Arriva un’inaspettata risposta all’email. E’ una collaboratrice di Oliviero Toscani che vorrebbe prender contatto con me. Ci sentiamo, chiede di raccontarmi, telefonicamente. Possibile farlo in mezzo ad una piazza del centro storico e con uno sconosciuto all’altro capo del telefono? La invito a pormi una domanda. Lei, schietta, chiede: che cosa ti ha suscitato l’immagine di Isabelle? Invidia? So di che cosa sta parlando, anche se una domanda del genere farebbe sgranare gli occhi dei più, non si tratta di pura follia. La realta’ e’ che chi ha imboccato il cammino dell’a. o b. può invidiare 30 kg su 1.65 di altezza. Dallo specchio distorto dell’a. e b. queste misure valgono quanto le forme dell’Olympia di Manet per i più.
    La dichiarazione di anoressia di Isabelle nasconde un altro messaggio, che nulla ha a che vedere con le facili accuse di velleità sensazionalistiche di un fotografo di successo. Il coraggio di mostrare il proprio corpo nella sua interezza, costola per costola, è frutto della consapevolezza di aver raggiunto ormai un punto di non ritorno ed è volontà ed invito assieme a gridare si’ alla vita, per quelli che possono ancora invertire il senso di marcia. La comprensione di questo messaggio richiede in chi soffre di disturbi alimentari un livello di coscienza e di introspezione dal quale la nostra società invita a svicolare. Lo stesso trattamento riservato dai media agli scatti di Toscani in generale ne è la prova. A partire dalla barra di destra della pagina di La Repubblica, questi non offrono certo un servizio di sensibilizzazione rimbalzando le sue fotografie come ennesima provocazione o lanciando allarmi sulle inedie delle star di turno con paralleli fotografici prima e dopo. Questa è la vera insensibilità, l’incoscienza modaiola con la quale si affrontano temi come anoressia e bulimia.
    Non è dato di sapere il livello di intimità del dialogo tra Oliviero Toscani e Isabelle Caro, sicuramente non deve essere affar pubblico, come ormai tutto tende a trasformarsi nei salotti televisivi. Non è necessario che questo scambio sia avvenuto con parole verbalizzate, lo sguardo che si restituiscono nelle foto trasmette una comprensione della realtà che va al di là di qualsiasi commento, coglie un mondo vero e una fisicità reale, al di là degli stereotipi, dei colori, dei difetti, dei dettami della società.
    Per ascoltare Isabelle “basta” iniziare ad amarsi, prima di aver varcato quella soglia. Non è cosa da poco. Però perchè non provarci se in cambio c’è una vita da costruire?
    (*) http://neigeisabelle.blog.mongenie.com/
    (Maria Alisia Poggio)

  • Oli 286: TUNISIA – Il popolo delle miniere e i suoi martiri

    Fotografia di Monica Profumo

    In seguito alla cacciata di Ben Alì in Tunisia, i regimi che da decenni sono insediati nel Nord Africa hanno iniziato a vacillare. Gli scossoni si sono propagati in Algeria e soprattutto in Egitto, dove Mubarak detiene il potere dal 1981, quando entrò in carica come successore di Sadat, appena assassinato.
    Come anticipato in Oli 285 (La rabbia ha radici lontane), la rivolta popolare in Tunisia è stata anticipata dai fatti accaduti nel 2008 e raccontati da Gabriele del Grande ne Il mare di mezzo al tempo dei respingimenti (Infinito, ed. 2009). Dopo i disordini scoppiati nella zona di Gafsa, ed i primi successi ottenuti dalla popolazione, il governo tunisino decise di adottare la linea dura. Anche questa volta – come nel caso attuale – l’inizio delle violenze fu segnato dalla morte di un ragazzo, tanto tragica quanto simbolica: il 6 maggio 2008 tre giovani disoccupati occuparono la stazione elettrica di Tabeddid e interruppero la corrente elettrica agli impianti di produzione dei fosfati. Avevano ricevuto la promessa di un lavoro ma, una volta presentatisi alla Compagnia dei fosfati, avevano scoperto di essere scomparsi dalle liste. Con la loro protesta chiedevano di poter lavorare e la garanzia di un contratto.
    La polizia intervenne immediatamente ed intimò ai giovani di andarsene, ma l’appoggio della popolazione era tale ed il malcontento così universalmente condiviso che uno dei tre ebbe il coraggio di resistere alla pressione: Hicham Ben Jeddou El Alaymi afferrò tra le mani le sbarre dell’alta tensione e sfidò le forze dell’ordine «Attaccate la corrente adesso». Pochi secondi dopo, il corpo del ragazzo giaceva carbonizzato ai piedi delle autorità.

    Fotografia di Monica Profumo

    Fu così che iniziò la guerriglia, con la polizia da una parte, che esercitava violenza e commetteva abusi senza controllo, mietendo vittime, e la popolazione che scendeva in piazza e reagiva a sassate.
    Il 6 giugno 2008 la polizia sparò sulla folla che manifestava, vi furono feriti e vittime. Arresti di centinaia di persone, principalmente sindacalisti e loro familiari, decapitarono la protesta. Furono tutti rapidamente processati e condannati con l’accusa di associazione a delinquere.
    Erano rimaste fuori dal carcere le donne, che presero in mano le redini della protesta e tornarono in piazza. Zakiya Dhifaoui, poetessa e corrispondente di un giornale di opposizione, raggiunse la città di Redeyef per scrivere un reportage sul ruolo delle donne nella protesta, ma, in tutta risposta, anche le referenti furono arrestate. La giornalista ebbe una condanna a quattro mesi di carcere. Fu un chiaro segnale: i giornalisti dovevano evitare la regione di Gafsa e tacere di arresti e violenze. Youtube e Dailymotion furono oscurati in Tunisia per evitare che si diffondessero i video delle violenze commesse dalle forze dell’ordine. Operatori e cameramen delle tv che appoggiavano la protesta furono arrestati o scomparvero misteriosamente. Le personalità che avevano guidato e sostenuto la protesta finirono ad ingrossare la popolazione delle carceri. Quelle stesse carceri, nei giorni scorsi, sono state assaltate e date alle fiamme per liberare i detenuti (segue).
    (Eleana Marullo)

  • OLI 286: POLITICA – Nichi Vendola: a “caccia” di un leader

    Dietro al palco un cartello indica le parole d’ordine di Sel.
    Sono collegate l’una all’altra, nodi cardini di una rete: sogni, solidarietà, ambiente, idee, futuro, cultura, partecipazione, diritti, lavoro, impegno, sinistra, giovani.
    E’ la fabbrica di Nichi. Che venerdì 21 gennaio non fatica a Genova a trovare operai e operaie che la sostengano. La sala chiamata del porto è colma di gente, giovani donne e uomini, militanti nostalgici del P.C.I. e delle idee. Persone bisognose più che mai oggi di riconoscersi in un leader.
    Lui, previsto per le 18, arriva con quaranta minuti di ritardo.
    Ma dopo aver aspettato così tanto, che importanza ha?
    Luca Telese, che lo affianca, parla di Mirafiori e degli sconfitti della Fiat, nella quale a perdere è stato Marchionne. E racconta del coraggio di Maria – 37 anni, un figlio a carico di 6 – che ha dichiarato di votare no, consegnando alla stampa nome e cognome.
    Nichi ha carisma e parole gentili. Spiega che è andato a Mirafiori perché si sente erede del meglio delle cultura liberale ed anche della cultura cristiana. Dice che è necessaria la libertà dalla miseria e dalla paura e indica tra il pubblico Rami ed Elias che hanno meno di cinque mesi e non hanno nomi italiani. Ritorna con il pubblico alle parole: prima le 3 i: impresa, inglese, informatica. Oggi tre p: povertà, precarietà, paura, “e nessuno si azzardi a dire che c’è una quarta p…”.
    Accenna a riduzioni di pause e diritto alla malattia, inflitti agli operai di Mirafiori. E richiama alla necessità a “liberarsi da incrostazioni ideologiche” per portare nel “nuovo secolo passione e curiosità. Non è il tempo della nostalgia, ma della ricerca in mare aperto” in ascolto delle nuove generazioni. “Ma non ci si può congedare dal lavoro perché il lavoro è la questione centrale”. Perché “non è in gioco la sconfitta della Fiom ma la solitudine di molti lavoratori”.
    Fatica Vendola ad individuare la “modernità di Marchionne”. E parla al suo pubblico di razzismo e dei 70.000 detenuti oggi nelle carceri italiane e ricorda quando l’allarme scattava a quota 45.000, rimarcando che ormai sono state “buttate via le chiavi” delle galere del paese. Racconta della sua famiglia e delle letture di bambino, e di un mondo nel quale America Latina e Luther King entravano in casa, parte di un’attenzione collettiva. Oggi Il grande fratello mostra una famiglia dalle porte blindate, totalmente ignara di quello che accade.
    Molto simile ad un massaggio dell’anima il discorso di Vendola che, se uno potesse permetterselo una volta alla settimana, ci si butterebbe a pesce.
    Diversa l’opinione di Bersani che, su La7, a “Le invasioni barbariche commenta”: “Dobbiamo proporre alla gente qualcosa di cui fidarsi, non qualcosa di cui essere incantati”.
    Sulla posta, un appello su http://www.lav.it/ denuncia la nuova legge sulla caccia approvata dalla regione Puglia presieduta da Vendola. A rischio – in base all’appello e a relativa raccolta firme – beccacce, storni, tordi. Ma garantita libertà di circolazione ai fuoristrada.
    Sicuramente Vendola saprà spiegare. Per non deludere.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 286: COSTITUZIONE ITALIANA – Luciano Canfora: revisionismo, consenso e Costituzione

    Luciano Canfora

    (…) Il ragionamento parte dalla cosiddetta scoperta del CONSENSO. Apparente scoperta. Apparente per un duplice motivo: perché l’intuizione di come il fascismo si fosse via via radicato, ferme restando le sue origini violente e soprafattorie in un consenso di massa, era il cardine delle fondamentali “lezioni sul fascismo” di Palmiro Togliatti, incentrate appunto sulla nozione del fascismo come “regime reazionario di massa”; e inoltre perché quel consenso – che non fu né costante né indiscusso – è stato per lo più documentato con il dubbio strumento delle ingannevoli perché corrive carte di polizia. E andrebbe dunque studiato in modo ben altrimenti critico.
    L’implicazione di questa apparente scoperta è ben nota: trasformare il fascismo in regime normale, magari un po’ paternalistico ma non repressivo. L’ulteriore corollario è la denuncia dell’età staliniana come unica vera esperienza totalitaria. Essendosi peraltro il fascismo proposto come antitesi frontale del bolscevismo, il corollario ulteriore è che qualcosa di molto buono vi doveva essere in tale “primo della classe” dell’anticomunismo. Coronamento del ragionamento è l’attacco alla nostra costituzione repubblicana ed ai suoi principi fondanti, per essere essa stata scritta anche dai comunisti e comunque da uomini che comunisti non erano ma che alcune delle istanze fondamentali del comunismo accoglievano e apprezzavano: a cominciare dall’esordiale indicazione (articolo 1) del lavoro come fondamento della Repubblica e dalla implicita identificazione tra cittadino e lavoratore, a seguitare con l’articolo 3, ed il suo impegno a “rimuovere gli ostacoli” di ordine sociale che impedivano e tuttora impediscono l’effettiva uguaglianza tra i cittadini.
    Orbene qui non si intende sottrarsi alla sfida. Il “velen dell’argomento” ci è ben chiaro. Noi sappiamo che la principale battaglia che tutti i democratici hanno da affrontare è proprio la difesa della costituzione e in primo luogo dei suoi principi esemplarmente delineati nel capitolo primo. E sappiamo anche che il vulnus più profondo finora inferto alla costituzione è stata la modifica della legge elettorale, l’abbandono del principio proporzionale, unico istituto che rispetti davvero l’istanza del suffragio universale.
    Tutto questo ci è chiaro, e la battaglia è ardua.
    Ma il punto di partenza non ci sfugge , né intenderemo sfuggirvi, anzi lo dobbiamo affrontare di petto. È la questione del consenso. L’Italia sta scivolando verso un REGIME REAZIONARIO FONDATO SUL CONSENSO. Ed è sui modi in cui oggi, diversamente che nel 1922-1926, il consenso si consegue che le idee non sono sempre chiare.
    Ma il processo è ormai molto avanzato. Le forme di creazione del consenso sono molto più capillari e sofisticate e irresistibilmente pervasive che non in passato: concomitanti con la radicale trasformazione del reclutamento stesso del personale politico-parlamentare – ormai prevalentemente abbiente e centrista -, dovuto appunto al meccanismo elettorale maggioritario.
    Orbene lo studio del modo in cui davvero il fascismo pervenne – in capo a cinque lunghissimi anni dal 1921 (sua prima apparizione in parlamento) al 1926 (leggi eccezionali e messa fuori legge del PCI) – a dar vita ad un REGIME è forse oggi il più istruttivo dei compiti intellettuali.
    Forse la sinistra (il centro-sinistra) si fa qualche illusione sulle prossime elezioni del 2006. A mio avviso, invece, la destra oggi al potere non cederà facilmente il timone, non attenderà passivamente il responso delle urne. Farà di tutto, ma proprio di tutto, per conservare il potere. Essi pensano di avere ormai in pugno l’Italia per un lungo tempo. Pensano di averla riplasmata sotto ogni riguardo. Noi non possiamo chiudere gli occhi su questa evidente verità.

    Dal 1922 al 1926 il fascismo creò le premesse per restare al timone. Per prima cosa abrogò il sistema elettorale proporzionale poi creò un blocco, un listone unico nel quale imbarcò pezzi di tutte le formazioni politiche liberali e cattoliche delle più varie sfumature. Quindi ricorse alla provocazione. E mi riferisco non solo al rapimento di Matteotti. Ma alla provocazione imbastita contro il partito comunista (l’arresto dei “corrieri” sorpresi alla stazione di Pisa con volantini “eversivi” come prova della imminente “eversione comunista”): donde l’arresto di Gramsci e degli altri dirigenti; donde la creazione del tribunale speciale, donde il mostruoso “processone”; e alla fine l’attentato oscuro di Bologna e la sospensione degli altri partiti.
    Questo crescendo è uno scenario che sembra arcaico ma è un modello ancora utilizzabile.
    Ben venga l’invito a studiare come davvero il fascismo giunse al potere e si affermò. Non ne caveremo, come si vorrebbe, la tranquillizzante immagine di un regime tutto sommato “normale” (tenendo conto anche dei tempi perigliosi in cui nacque), ma l’allarmante scenario ancora ripetibile, mutati lo stile e gli strumenti, di come si demolisce una democrazia.

    Luciano Canfora, Prolusione contro il revisionismo storico, 2005

    (a cura di Aglaja)

  • OLI 286: PAROLE DEGLI OCCHI – Foto dall’extra mondo

    Avvertenza: queste fotografie vengono dall’extra mondo.   Lo diciamo per non creare inutili turbamenti. Trattasi dei tram di Zurigo, dotati di video che oltre ad annunciare le fermate, e i tempi per arrivarci, segnalano per ogni fermata le eventuali coincidenze con altri mezzi pubblici, tram o treni, indicando i relativi tempi di partenza. Alle fermate il simbolo della carrozzella indica se il mezzo in arrivo è accessibile ai portatori di handicap. Non tutti i mezzi sono accessibili, ma ogni linea è dotata di mezzi accessibili; solo il tempo di attesa è un pò più lungo: diciamo, 10 minuti anzichè due o tre. Superfluo l’uso del telefonino. 
     Foto di  Paola Pierantoni

    Foto di Paola Pierantoni
    Foto di Paola Pierantoni

    Foto di Paola Pierantoni