
Usa, lettera con sostanza velenosa recapitata a Obama
[Il Teatrogiornale è un racconto di fantasia liberamente tratto dalle notizie dei giornali]
(Arianna Musso – foto da internet)

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(Arianna Musso – foto da internet)
I sondaggi dicono che il voto americano è incerto, che sarà una lotta fino all’ultimo voto. Qualche settimana fa, quando Mitt Romney è stato beccato mentre offendeva la parte povera del suo popolo, Barack Obama era in netto vantaggio. Ma il primo dibattito televisivo è stato nettamente vinto da Romney. Successivamente, Obama ha recuperato, ma soltanto per arrivare alla situazione attuale di parità ed incertezza. Il primo dei tre dibattiti televisivi sarà ricordato come la causa determinante di un’eventuale sconfitta di Obama: il presidente sembrava svogliato, come se la sua passione politica fosse finita, che fosse rassegnato al potere dell’apparato politico che impedisce ad ogni occupante della Casa Bianca di compiere cambiamenti significativi alle politiche nazionali o esteri. Essendo un uomo di centro, come Bill Clinton, non ha nemmeno cercato di sfidare l’apparato di potere o di governare da progressista. David Maraniss, nel suo libro sulla vita e la formazione di Obama, racconta che quando era andato al colloquio per il suo primo lavoro come organizzatore di comunità, ha trovato il modo per chiedere al suo intervistatore se si trattava di una di quelle organizzazioni di estrema sinistra con la quale non voleva avere niente a che fare. Inoltre Obama si era presentato al dibattito impreparato, sottovalutando il suo avversario e sopravvalutando le sue capacità di improvvisazione. Obama è un grande oratore e aveva agito brillantemente contro MacCain nel 2008, ma il conservatore di destra Romney, diversamente da McCain, ha una personalità solare e ha alle spalle una brillante formazione universitaria: ha frequentato contemporaneamente la Harvard Law School e la Business School, classificandosi al top in entrambi. Romney è arrivato al dibattito molto preparato, come ha sempre fatto. Nel terzo dibattito sulla politica estera i due candidati erano sostanzialmente d’accordo su tutto, ed è proprio questo il vero problema. Glenn Greenwald sul The Guardian scrive, infatti, che il dibattito “ha mostrato una fondamentale verità sulla campagna delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti: la maggior parte delle questioni politiche più importanti sono completamente taciute“.
Ciò è dovuto al fatto che “i due candidati in grande misura sono d’accordo su molte delle questioni politiche più urgenti del paese“.
La maggior parte di ciò che conta nella vita politica americana non si trova nei dibattiti elettorali nazionali e le politiche penali ne sono un esempio chiaro. L’ America imprigiona i suoi cittadini in una misura di gran lunga superiore a qualsiasi altra nazione sulla terra, compresi i paesi con una popolazione molto più ampia.
Come ha riportato il New York Times nel mese di aprile 2008: “Gli Stati Uniti hanno meno del 5% della popolazione mondiale, ma hanno quasi un quarto della popolazione carceraria del mondo”. I neri americani continuano ad esserne la prima vittima. Come è successo parecchie volte nel nostro paese negli ultimi vent’anni, anche i progressisti americani si trovano di fronte due candidati che meritano entrambi di perdere le elezioni, e siccome il sistema elettorale non lo permette, sono costretti (quelli che ci vanno) a turarsi il naso e votare per il meno peggio.
(Saleh Zaghloul – Foto da internet)
In un articolo sul giornale libanese Al-Akhbar in lingua inglese, Asàd AbuKhalil, professore di scienze politiche all’Università americana di California, racconta la storia della riforma progressista dell’Islam tentata in Egitto da Nasser negli anni 1950 e 1960: C’era una guerra civile all’interno dell’Islam, l’Arabia Saudita e le altre dittature filo-americane del Medio Oriente sostenevano un Islam reazionario e conservatore definito dagli standard del wahabismo, uno dei movimenti religiosi più intolleranti ed esclusivisti nell’Islam. Mentre, Nasser, sosteneva e promuoveva un Islam molto diverso. Era un Islam che sosteneva l’uguaglianza di genere, promuoveva le donne e combatteva l’oscurantismo. Nasser ha usato l’istituzione religiosa più importante d’Egitto, al-Azhar, attraverso il suo alleato, il capo religioso Mahmud Shaltut, per una effettuare una riforma illuminata dell’Islam.
Sotto Nasser, al-Azhar ha aperto le sue porte alle donne, ed è finito il takfir (dichiarazione di infedeltà) dei musulmani sciiti. “Nasser – scrive il professore americano d’origine libanese – aveva emarginato e addirittura espulso quei religiosi fanatici dei Fratelli Musulmani che hanno (successivamente) ispirato Al-Qaeda ed altri gruppi del genere”. E tutti i religiosi reazionari sono fuggiti dall’Egitto e sono stati accolti dalle monarchie del Golfo che li ha assunti come educatori, consulenti, sacerdoti e personaggi televisivi. Ma Nasser non ha avuto contro solo l’Arabia Saudita e la sua ricchezza petrolifera: ha dovuto anche affrontare i governi statunitense e occidentali. “Gli Stati Uniti, per sostenere Israele e perché erano più preoccupati del comunismo e delle sinistre, hanno sostenuto la versione reazionaria dell’Islam e le organizzazioni musulmane create dall’Arabia Saudita. Gli Stati Uniti hanno combattuto ferocemente contro l’Islam progressista di Nasser e stavano nello stesso campo con l’Arabia Saudita e le altre monarchie del Golfo che hanno promosso i valori e le dottrine conservatrici”.
Questa guerra andò avanti per anni, nella quale Nasser ha segnato grandi colpi: alcune nuove e vecchie repubbliche (Libia, Siria e Iraq) sono state influenzate da Nasser. Persino il leader dei Fratelli musulmani siriani Mustafa Sibai era sulla difensiva ed ha scritto un libro intitolato “Il socialismo dell’Islam”. “I Fratelli musulmani – scrive AbuKhalil – sono stati creati per assomigliare a dei difensori di un ordine di morte. Nasser (con precisione) ha associato quell’Islam al suo sponsor: l’Arabia Saudita. Era l’Islam che serve il colonialismo, egli sosteneva”.
Nasser morì nel 1970 e il suo successore Sadat (guardando a Washington), ha liberato dal carcere tutti gli estremisti islamici e li ha scatenati nei campus universitari egiziani. Sadat (e i suoi alleati sauditi), volevano che gli islamisti contrastassero la sinistra ed i nazionalisti arabi. E’ stato inferto un duro colpo alla laicità: il suo grande e più credibile sponsor, Nasser, era morto. “Dopo il 1970 – scrive AbuKhalil -, siamo entrati nell’era saudita cioè l’era della prevalenza dell’Islam reazionario. Questo Islam ha ricevuto un’ulteriore spinta negli anni ottanta, quando è stato sostenuto dai miliardi e dalle armi degli Stati Uniti in Afghanistan. Il resto è storia distorta.”
(Saleh Zaghloul)