Categoria: Marta Vincenzi

  • OLI 368: LIGURIA – Derivati, le regole della politica e quelle dei cittadini

    Foto da internet

    La minaccia “derivati” ha fatto sentire i suoi effetti – dal passato – anche sul Comune di Genova. La miccia è stata accesa da Il Giornale, che ne ha ricavato un’inchiesta pubblicata a partire dall’8 febbraio con l’articolo d’esordio “Il Monte dei Paschi anche a Palazzo Tursi: 118 milioni di derivati” (8/2/2013). Lo si ricorda per i lettori inesperti di ingegneria finanziaria: il derivato è uno strumento, un contratto, un accordo il quale lega il suo valore a quello di un’attività. Nel caso dei derivati acquistati dal Comune di Genova, ci si basa sull’oscillazione dei tassi di interesse dei mutui. Ritornando al caso di Genova, Il Giornale ha sollecitato l’intervento dell’assessore al Bilancio Miceli che ha dichiarato “Si tratta di due contratti, il primo stipulato nel 2002 con Unicredit per un valore di 7.272.000 euro, il secondo stipulato con Bnl nel 2001 per 13.066.882 euro con scadenza 2020” (“Derivati, la Corte vuol fare i conti col Comune”, Il Giornale 9/2/13). Sull’onda dell’inchiesta, la Lega ha proposto un’interrogazione comunale, non ammessa per ora a discussione (Il Giornale 13/2/2013). Il modo di riportare le notizie segue l’orientamento ideologico della testata, tanto che Il Giornale in un primo momento minimizza il fatto che i derivati risalgano alla giunta Pericu, rimarcando le responsabilità a riguardo dell’attuale amministrazione, mentre in altri articoli gioca sul fatto che i derivati non siano stati annullati immediatamente dal Comune, ma – contemporaneamente – una sentenza del Tar Toscana solleva questioni che sono d’ostacolo alla possibilità per le P.A. di liberarsene (“Swap impossibili da annullare”, Il Sole 24 Ore 23/2/2013). Il Secolo XIX si occupa della questione e riporta la dichiarazione di Miceli, secondo cui “si tratta, come si è detto, di due contratti senza rischi occulti o non prevedibili, che hanno sole finalità di tutela da forti oscillazioni dei tassi, per cui si valuta che in questo momento non sia conveniente rescindere questi contratti per il pagamento delle penali” (Il Secolo XIX 1/3/2013). Rimane invece silenziosa sull’argomento la Repubblica – Lavoro. L’alone di mistero che sembra comunque continuare a circondare la faccenda (a quanto ammontano le penali che impediscono di rescindere da un contratto in cui il comune, comunque, è in perdita?) riporta alla mente vicende di simili derive e simili misteri: i derivati non sono una novità per la Liguria: nel 2011 la giunta Vincenzi aveva chiuso un contratto con BNP Paribas, che costava 24 milioni di euro soltanto di interessi e che era stato siglato poco prima del suo insediamento, ancora sotto la giunta Pericu. Nel 2007 invece era stata la Regione a finire nei pasticci: un ex impiegato della banca giapponese Nomura a Londra aveva denunciato enormi ricavi ottenuti da un prestito della Regione Liguria nel 2006, (Il Secolo XIX, 6 aprile 2007, vedi anche OLI 160). Anche in quel caso, l’accordo era circondato dal massimo segreto e riserbo: il governatore Burlando dichiarava di dover seguire le “regole”. Ma non si riferiva a quelle che tutelano il diritto dei cittadini di sapere e di pretendere trasparenza, bensì a quelle contenute nei contratti ed imposte dalle banche. Ritornando al presente, al momento il sito del comune non riporta alcuna indicazione riguardo alla stipula dei contratti derivati: la trasparenza rimane uno dei punti più dolenti delle iniziative finanziarie ad alto e medio rischio intraprese dalle pubbliche amministrazioni.
    (Eleana Marullo – foto da internet)

  • OLI 361: PRIMARIE – Ah les femmes di Capodanno!

    “Vorrei fare la madre nobile”, dichiara a Il Secolo XIX ( (16/12)  Marta Vincenzi, in risposta alle voci che la danno in corsa alle Primarie Pd dei candidati parlamentari, che si svolgeranno il 29 e 30 dicembre. 

    Una dichiarazione puntuale per smentire indiscrezioni di parte e non della stessa parte, come quelle di Italia Oggi del 15 dicembre, testata nazionale  non di sinistra e magari velenosa, che già ipotizzava la stessa guerra fratricida dell’elezione a sindaco di Genova: tanto che per non fare incontrare Marta e Roberta una la si vorrebbe destinata per un seggio al Senato, l’altra alla Camera.
    Ecco tornare l’antico rito, parafrasando l’adagio “un posto per uno non fa male a nessuno”, un rito che fa male agli elettori però. Chi ha detto che i cittadini  liguri del centrosinistra vogliano di nuovo essere rappresentati dai carini che circolano ora?
    Ci piacerebbe tanto si facesse una verifica di quanto fatto per la nostra Liguria in Parlamento dagli onorevoli che oggi vi siedono: strusci di salotti tv, qualche interrogazione sulla vendita di Ansaldo adesso, mai lamentati prima ai tempi di Belsito e ancor prima quando nel cda ha troneggiato per anni  il compagno Margini. Per Fincantieri fraterne partecipazioni a cortei quando ormai i cantieri si sono smobilitati, non quando già languivano ai tempi del governo Prodi. Così per l’Ilva: ma dov’erano i nostri parlamentari “tutto lavoro-operai” mentre gli operai inferociti presidiavano giorni fa la questura e il sindaco Doria finiva sui giornali di tutta Italia per aver mediato da solo presso i lavoratori? Sono arrivati alla chetichella, quando tutto si era ormai risolto, il vicepresidente della Regione Scialfa e il deputato Mario Tullo, considerati zero dalla folla.
    “Ma che vuoi, dice una vecchia iscritta, in fondo Tullo ha fatto solo una legislatura e ha lasciato la segreteria…” Forse intendeva dire che perdiamo chissà quali preziose esperienze e competenze acquisite by Roma capitale. Di tornare alla vita di prima neppure si parla, al lavoro di prima se mai c’è stato: in fondo fare carriera nel partito è diventata professione ambita e dunque da qualche parte devono pur essere ricollocati per una regola non scritta e ormai insopportabile.
    Vedi Giovanna Melandri, eletta in Liguria, rioccupata al museo Maxxi di Roma, dopo due elezioni da paracadutata qui. Vedi Saretta Armella, che, da presidente rampante di Fiera in crisi, si dice sia in partenza per Roma, moglie del segretario provinciale di Genova, il savonese Lunardon, che rinuncia al seggio, tanto rimane in famiglia.
    Così in nome delle “dannate” quote rosa pare si presentino anche la moglie di Walter Ferrando, consigliere regionale e poi la figlia di Paolo Emilio Taviani, mentre rinuncia invece la dignitosa figlia di Guido Rossa, Sabina. Indovina un po’ chi sarebbe in tandem con Tullo? La moglie del responsabile dell’apparato elettorale del partito Bartolozzi.
    Decisamente un rinnovamento, come chiedeva l’elettorato, tanto fanno i conti con il 70 per cento del secondo turno di Bersani, dimenticandosi delle contemporanee primarie del partito di Nichi Vendola, detentore del 15 per cento di quel 70 per cento uscito il 2 dicembre. 
    Per fortuna pare ci sia tra le papabili la sindacalista Anna Giacobbe, insieme all’altra novità, se varranno le preferenze doppie, il ticket Lorenzo Basso con la new entry renziana Sara Di Paolo, un volto nuovo e speriamo di qualità.
    (Bianca Vergati)
  • OLI 332: POLITICA – Il Pd, le donne, gli uomini e la calza

    In rete si trova un messaggio come questo:
    “Ciao ragazze. Sono alle prime armi con il mio calzino. Lavoro con 4 ferri e sono arrivata a fare la parte che copre il tallone, quella che si lavora avanti e indietro. Il mio problema sorge nel fare la congiunzione della parte del dorso del piede con il retro… Premetto che sono autodidatta e sto studiando la costruzione del calzino dai calzini che faceva la mia nonna, ma purtroppo non sono riuscita a farmi insegnare come farli… e “l’inghippo” sta qui: la nonna lavorava tallone e dorso e congiunzione tutto insieme e poi separato faceva la suola e poi cuciva la suola al resto del calzino, mentre ora trovo tutti video che lavorano il calzino tutto intero… e io mi perdo…”
    L’appello è di Serena83. Legittimo immaginare che si tratti di una mamma di ventinove anni perché accanto al testo c’è l’immagine di un bimbo o di una bimba di pochi mesi. Serena è una delle molte donne del paese, alla quale rispondono altre donne, che lavorano a maglia. Persone che trasmettono ricordi e tradizioni insieme alla possibilità di produrre le proprie cose in casa. Da sé. Non sappiamo se lavora o meno, ma non ci stupiremmo se fosse disoccupata o precaria come molte donne della sua età.
    Sui quotidiani si trova un messaggio come questo
    “Cosa farò? Non andrò certo a fare la calza”, la dichiarazione di Marta Vincenzi, rimanda ad un’idea precisa che impedisce alla donna di potere – forte, dinamica, consapevole – di essere felice in casa, di andare in “pensione”, magari a fare la maglia, mansione di nobilissima tradizione che nella calza esprime l’apice della conoscenza.
    “Non andrò certo a fare la calza”, detta da un sindaco nella regione italiana con la maggior percentuale di anziani e con un discreto numero di senza lavoro è una frase che potrebbe essere percepita di disprezzo per chi, pensionato o disoccupato, si ritrova felicemente o infelicemente a casa.
    Ma la calza di Marta solleva un problema non irrilevante nel Pd. Infatti, diversamente da coloro che perdono il posto, anche senza primarie, la sindaco in carica dichiara che adesso si sentirebbe pronta “per un ruolo politico” nel partito e precisa di non avere intenzione “di andare in pensione dalla politica”. Anche se si fatica a comprendere perché Marta Vincenzi voglia rimanere in un luogo in cui così elevato è il tasso di ostilità verso di lei.
    Ma una soluzione per accontentare tutti potrebbe esserci: se Marta facesse la calza nel partito? Magari in compagnia di quei dirigenti maschi che ne hanno polverizzato eredità e tradizioni. E se tutti insieme tornassero a prendersi cura, nel senso più nobile del termine, della memoria della politica di sinistra e di quanto più prezioso custodisce?
    Fare un buon partito non è come creare un calzino nel quale la lavorazione di dorso, tallone e piede stiano tutti insieme in armonia? Fare un buon calzino non vuol dire offrire a chi lo sceglie un oggetto caldo, protettivo, privo di insidie?
    E se la buona, vecchia calza diventasse il nuovo simbolo del Pd?
    Cercasi logo.
    (Giovanna Profumofoto dell’autrice)


  • OLI 331: PRIMARIE – Sherwood e Marta regina della notte

    Dopo le primarie del 12 febbraio Genova è in preda di una narrazione disneyana.
    Piccoli principi, marchesi, conti, popolano le pagine dei giornali con tanto di congiure, vendette, alleanze. Mai la politica genovese ha offerto un’immagine più fiabesca con la città che sembra Nottigham espugnata dai ribelli della foresta di Sherwood. C’è anche il prete.
    In questa battaglia tra bene e male, la cronaca fedele dei messaggi apparsi su Twitter a firma di Marta Vincenzi, restituisce l’immagine di una donna divorata dalla rabbia la cui acuta capacità di analisi pare polverizzata in uno sciame di voti. Dispiace venire a conoscenza di un lato del carattere che la induce a scrivere “dovevo dargli una mazzata subito, invece di aspettare che si rassegnassero” e che consegna la Sindaco ad un immaginario difficile a morire in cui la donna può essere preda di isteria e quindi deve stare alla larga da ruoli politici.
    Ancor più male fa leggere che Marta Vincenzi si paragona ad Ipazia, equiparando la sua battaglia e il suo sacrificio a quello della nota matematica greca. E stupisce leggere sul Secolo XIX che la Sindaco ha “indossato i panni della femminista dura e pura” proprio lei che aveva dichiarato: “Non cerco a priori la solidarietà femminile nelle battaglie che faccio, perché non sopporto la retorica delle cordate vestite di femminismo. Tranne poi addolorarmi e stupirmi quando le ritrovo schierate nella conservazione”.
    Nell’attesa che la pacatezza prenda il posto della collera ecco un’aria mozartiana per la Sindaco.
    La musica che sa rendere belli tutti i sentimenti della natura umana le sia di conforto.

    Cliccare per vedere il video

    (Giovanna Profumo)

  • OLI 331: PRIMARIE – Le entrée nel seggio d’élite

    Seggio Vegia Arbà, piazza Leopardi, cuore di Albaro. La Senatrice candidata arriva con rito consueto, falcata da jogging, strizzata nel piumino aderente, una vigorosa stretta di mano ai presenti. E’ primo pomeriggio e sfortuna per lei è un momento di calma, ringrazia così i volontari, quasi tutte donne, chiede dell’affluenza che le confermano buona. E’ in compagnia dell’immancabile giovane consigliera Michela, che l’avrà di certo rassicurata sulla tenuta del territorio, è stato fatto un martellante lavoro di passaparola, mail, messaggini, telefonate. Le affianca un tizio rasato dall’aspetto corpulento, con giacca turchina da mago Zurlì, è il body guard, a cui qualcuno chiede se deve votare: un quadretto tipo cantante Madonna.
    Il terzetto riparte sull’auto che sfreccia sgommando all’interno del marciapiede e sfiora le scalette dello storico ristorante, inconsueto seggio elettorale.
    Fa la sua capatina pure l’ex segretario Mario Tullo, ora parlamentare, aria stazzonata e gioviale, qui votano Pericu, il presidente Burlando, l’assessore Rossetti, alcuni consiglieri comunali, così è una processione obbligata.
    E poi è terra di scout, asili e case di riposo della curia.
    Irrompe con suorine al seguito la presidente per caso del Municipio Medio Levante, ex Margherita, ex Pd, ora Udc, diventata tale dopo due presidenti di destra, uno sfiduciato per un affaire di appalti e l’altro assurto ad assessore alle manutenzioni per Vincenzi. Nel frattempo il seggio si è riempito, pazientemente gli elettori si accalcano in coda, ma le suore devono votare e subito: all’uopo si mobilita uno dello staff ufficio stampa della Regione, accorso, che grida al telefono, incurante della fastidiosa confusione creata.
    Tutti grandi elettori Pd.
    La Vegia Arbà risulterà essere fra i primi migliori risultati per la vittoria di Marco Doria, come tutto il Levante. In grande maggioranza le donne, di ogni età, ma anche sedicenni con genitori al seguito: voglia di un volto nuovo, che ha conquistato vecchi e giovani e sconfitto un partito, che ha pure lui due volti nuovi, il segretario provinciale Razetto e il segretario regionale Basso, i due “cattivi ragazzi” che si dimettono per colpe non loro. Pagano in prima persona e da soli la colpa dell’establishment di cui sopra, che ha avallato in segreto l’autocandidatura della Senatrice, l’autoricandidatura della Vincenzi, le primedonne, che i due giovani segretari non volevano e che hanno tentato in tutti i modi di evitare, invocando un ricambio.
    Niente da fare, sono stati travolti da entrée come al seggio di piazza Leopardi.
    Pressioni romane, vecchi saggi ormai da camino, una pletora di politici trombati o pensionandi, ex di ex, notabili, sponsor di un cambiamento che non cambiava niente. Persino l’ex sindaco di Bologna, che prima stava più qui che a Bologna ed ora è più a Genova che a Bruxelles strepita che bisogna riflettere, lui che ritiratosi per fare il papà si è candidato a segretario in Liguria, ha fortemente voluto la senatrice, appartenente alla sua corrente, l’area Franceschini. Neppure troppo velatamente si imputa la débacle all’inesperienza, troppo giovani questi segretari.
    Non è così. Personalismi, ambizioni infinite, vecchie lobby interne di partito, inadeguatezza a cogliere lo stato d’animo della città, l’insofferenza alle stesse facce, ecco le cause della sconfitta del Pd.
    Il guaio è che a casa, oltre alle zarine, non ci andranno purtroppo i personaggi inamovibili che ora vogliono lo scalpo dei due cattivi ragazzi. Che però cattivi non sono stati per niente, purtroppo.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 330: PRIMARIE – Il win win di Roberta Pinotti

    Per un impegno fissato in precedenza Roberta Pinotti non era presente all’incontro organizzato lo scorso venerdì da “Se Non Ora Quando”, ma compensa l’assenza inviando una lettera.
    Nel breve messaggio ricorda che “In Italia la donna accudisce i bambini al posto degli asili che non ci sono, si occupa degli anziani invece di un’assistenza pubblica alla terza età inesistente, arrivando a lavorare 80 minuti al giorno più di un uomo”.
    E’ probabile che le donne in indirizzo, e non solo loro, queste cose le sapessero già, ma il centro sta nella soluzione proposta: “La politica … può trovare alleanze (forse inaspettate) con le imprese, o almeno con quella parte di esse che ritengono di contribuire al “bene comune” in un’ottica ‘win win’, per società e impresa stessa”.
    E qui apre un’allettante prospettiva di “asili nido aziendali, centri estivi, ‘maggiordomi’ aziendali che sbrigano le commissioni, baby sitter che accudiscono i bambini se malati, spesa online recapitata in ufficio, colf che fa le pulizie e stira mentre la donna lavora… “.
    Non si tratta di sogni, precisa Pinotti, “ma buone pratiche già realizzate da aziende italiane socialmente responsabili”. Certo, si tratta di azioni “più facilmente realizzabili da aziende medie e grandi, con disponibilità di risorse economiche e umane … Tuttavia le micro imprese possono attivare su queste tematiche collaborazioni e progetti di rete interaziendali. E il Comune può giocare, da questo punto di vista, un ruolo strategico, di facilitatore”.

    Indubbiamente è un forte invito all’ottimismo, in un periodo in cui molte imprese licenziano, premono per l’abolizione dell’articolo 18, mantengono le donne in condizione di maggior precarietà e salari più bassi, rendono difficile il rientro al lavoro dopo la maternità, fanno firmare dimissioni in bianco, e guardano con approvazione e spirito di emulazione alla linea Marchionne di limitazione dei diritti sindacali, taglio delle pause e aumento dello straordinario obbligatorio.
    E poi: asili e “maggiordomi” aziendali? Col Comune nel ruolo di semplice “facilitatore”? In tempi antichi le donne lottarono per destinare i contributi delle aziende (il “salario sociale”) al rafforzamento della rete pubblica di servizi sul territorio, a vantaggio di tutti, con la convinzione che la qualità non si costruisce in una costellazione di mondi chiusi e separati. A Genova si conquistarono così asili e consultori.
    Il “salario sociale” è perduto da tempo, un sindacato indebolito dal rivolgimento economico e industriale che abbiamo alle spalle, è stato incapace o impossibilitato a difenderlo. Ma è molto dubbio che l’alternativa possa essere il surrogato aziendalista vagheggiato da Roberta Pinotti.
    Marta Vincenzi, nel corso dell’incontro, aveva difeso i suoi risultati: “Il comune ha aumentato di 600 posti la disponibilità degli asili, che ora coprono il 33% della domanda, percentuale tra le più alte in Italia, e ha mantenuto in questo settore la sua competenza diretta e la sua capacità di programmazione e controllo”. Per il futuro aveva ipotizzato forme di articolazione e flessibilità ma sotto il “coordinamento, controllo, e garanzia di formazione da parte del Comune”.
    Quanto ai due candidati di sesso maschile, la posizione di Sassano è che “Il Comune deve mantenere un ruolo forte, una gestione diretta, in un settore che ha sempre espresso un’eccellenza”. Per Doria è necessario “difendere strenuamente lo stato sociale nel momento in cui viene attaccato e messo in discussione”, e “Stabilire un rapporto più intenso col tessuto associativo che c’è in città”.
    Pubblico e privato a confronto?
    (Paola Pierantonifoto dell’autrice)

  • OLI 330: PRIMARIE – Rappresentanza femminile tra realtà e promesse

    Il dibattito tra candidate e candidati alle primarie, organizzato lo scorso venerdì dalle donne di “Se non ora quando”, viene introdotto da un filmato del 1999, “Quando le donne e gli uomini governano insieme, la scelta svedese”, prodotto da AFEM (*).
    Per circa mezz’ora immagini e parole di donne e di uomini, nessun sesso in prevalenza sull’altro, rivelano il grande passaggio culturale avvenuto in quella società: “Qui abbiamo negato l’universalità maschile”; “Se gli uomini conoscono i bambini, e le madri entrano a gestire l’economia, si creano le condizioni perché possano decidere insieme”; “L’uomo aggressivo è frutto del patriarcato”; “Gli uomini hanno bisogno di aiuto quando diventano babbi”; “E’ molto importante occuparsi delle faccende domestiche”; “Sono diventato un migliore politico da quando ho avuto un figlio”; “Le ragazze mi parlano di problemi che non porrebbero mai ad un uomo”, detto da una donna sacerdote.
    Il pubblico contempla invidioso madri e padri che salgono sereni sugli autobus pilotando grandi carrozzelle per bambini, e legge numeri che descrivono un mondo alieno: il 50% dei parlamentari sono donne, il 31 % dei padri prende il permesso di paternità, il 40 % quello per malattia dei figli.

    Questa volta c’erano Marco Doria, Andrea Sassano, e Marta Vincenzi, ma mancavano Roberta Pinotti ed Angela Burlando.
    Le assenze, unite alla breve presenza della sindaco richiamata da un impegno istituzionale, fanno mancare il pregio di un vero confronto, ma l’incontro è comunque interessante.
    Marta Vincenzi interviene per prima, e alla domanda: “che difficoltà pensate di avere a garantire in giunta una rappresentanza di donne al 50%?” risponde dicendo che “sarebbe ben lieta di avere il 50% di donne”, puntualizzando però che potrebbe essere un obbiettivo illusorio: “Anche esperienze avanzate possono essere facilmente annullate. Non ci sono scorciatoie. Ci vuole un movimento forte, con idee condizionanti”. Che invece manca.
    Aggiunge che “Il numero delle dirigenti donne nel Comune è il più alto d’Italia” (il 44%, ndr.), e chiede “Ma chi se ne è accorto?”.
    Non sarà più in sala quando una donna del pubblico osserva: “Appunto, non ce ne siamo accorti, perché quel che conta è la politica a monte, il resto segue”. E “a monte”, in giunta, oggi le donne sono tre su undici.

    Certamente la posizione di chi deve dare conto di un’esperienza di governo è diversa da quella, momentaneamente più comoda, di chi ha ancora un terreno vergine davanti. Doria avverte questo divario, e dichiara il proprio disagio nel formulare promesse che potranno essere sottoposte a verifica solo successivamente.
    Comunque, come Sassano, prende l’impegno di portare la rappresentanza femminile al 50%: “E’ centrale portare più donne alla responsabilità politica. Ci sono contenuti e politiche che vanno cambiati, e il punto di vista femminile è determinante. Bisogna ripensare il modo di vivere, il linguaggio, il modo di leggere le questioni”.
    La sindaco è andata via da tempo quando viene posta la domanda conclusiva: “Quale sarà la vostra prima azione, intesa a valorizzare ed appoggiare le donne?”
    Sassano pensa ad una authority che verifichi il rispetto della parità di genere negli atti della amministrazione comunale. Doria pone al centro “Un’indispensabile condizione preliminare“, cioè garantire prima di tutto l’efficienza della macchina comunale “valorizzando e accrescendo le competenze di chi ci lavora, motivandolo a lavorare bene“. Senza il buon funzionamento della fabbrica di cui si è direttamente responsabili non c’è buona intenzione che tenga.
    (*) Association des Femmes de l’Europe Meridionale – http://afem.itane.com/
    (Paola Pierantoni – Foto dell’autrice)

  • OLI 328: PRIMARIE – Marta Vincenzi, la donna cannone e il teatro della politica

    Ricorda Lenny Bruce, o il Truman Capote del film “A sangue freddo”.
    E’ sul palco – solo uno spot bianco ad illuminare la figura – per un reading di un’ora e mezza su come ha guidato il Comune negli ultimi cinque anni.
    La pièce è anticipata da un video – davvero modesto rispetto a lei – dedicato ad un auspicato senso civico ed etico dei genovesi, uno spottone elettorale che ha come refrain “qui a Genova, noi facciamo così”, citando Pericle.
    Teatro Modena, mercoledì 18 gennaio ore 17.00: per Marta Vincenzi platea al completo, insieme ad una parte di palchi.
    Nell’attesa dell’attrice, dagli altoparlanti, un rassicurante Lucio Battisti garantisce un tuffo nel passato preceduto da “La donna cannone” di De Gregori che – si è autorizzati a pensare – sarà stata messa in scaletta da un antagonista politico.
    Marta Vincenzi leggerà per un’ora e oltre quella che appare più una memoria difensiva che un progetto amministrativo per il futuro. Leggerà per smontare, una ad una, le prove di accusa di un’area di partito che non ha esitato a metterla sul banco degli imputati.
    Di fatto, la Prof. propone un ripasso che spazia dalla cultura ai sacrifici dei dipendenti comunali, per toccare le risorse dell’ente falcidiate da “cinque manovre in quattro anni, tutte durissime”. Ne emerge una giunta che ha dovuto opporre “una resistenza strenua per obbiettivi minimi continuamente messi in discussione”, un gruppo che “le ha prese tutte in faccia” con risorse, conti alla mano, passate dai duecento milioni del 2007, ai poco più di quaranta del 2012 “che possono diventare ottantatre o ottantacinque solo con l’incremento della tassazione”.
    Traguardare il futuro era ed è il desiderio della Sindaco e farlo riappropriandosi di un’utopia urbanistica concretamente realizzabile. Da qui il nuovo Puc secondo Marta.
    Consapevole che Genova è la città meno accessibile d’Italia, la Sindaco ricorda il nodo ferroviario già iniziato, un nuovo passante autostradale (senza chiamarlo Gronda) le infrastrutture cittadine, la strada di Scarpino “che è finita”, e tutto quello che è a progetto.
    Marta accenna ai quattro milioni di visitatori e spettatori tra musei, acquario e Ducale, teatri e Porto Antico nel 2011, e il fatto che oggi “il Carlo Felice c’è” anche grazie allo sforzo e ai sacrifici dei lavoratori del teatro.
    In costruzione, ancora, quattro asili nido e aumentati di seicento i posti disponibili.
    Ridotti debito e costi dell’amministrazione di quello che nel 2007 “era uno dei comuni più indebitati d’Italia”.
    Il teatro di Marta vede in scena una tigre disposta, per difendere il cucciolo della sua politica, a tirar fuori artigli e denti. E’ la parte migliore di lei. Quella in cui si vorrebbe credere, nonostante la stanchezza di chi in platea sonnecchia un po’, nonostante gli anni passati senza comunicare nulla al cittadino, nulla che non attenesse a Notte Bianca.
    Certamente Marta è migliore di molti del suo partito. Più sincera e ostinata. Se non altro nel ricostruire una storia che, trasmessa nel tempo, avrebbero dato un senso al suo essere la Sindaco.
    Ma il teatro di Marta è fedele ai tempi della politica.
    Finita la campagna elettorale, purtroppo, abbandona il cartellone.
    Peccato. Per cinque anni si recita a soggetto.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 327: PRIMARIE – Doria, che differenza c’è?


    – Perché dovrebbero votarti? – chiede il direttore del Secolo XIX a conclusione dell’intervista al cinema Ritz lunedì 16, e Marco Doria risponde: “Perché la mia è una storia diversa, faccio il docente universitario, sono contento del mio lavoro mentre le signore candidate la politica la fanno di mestiere”.
    Nessuna replica da parte del giornalista, apparso eccitato alle parole del candidato “indipendente” sulla Gronda, rimessa in discussione da Doria come risoluzione della mobilità a ponente, a suo dire un problema di traffico cittadino e non di chi corre da La Spezia a Savona.
    Genova turistica come Nizza o no? incalza l’intervistatore, riferendosi alla liberalizzazione degli orari dei negozi, ma riceve come risposta: “Sogno una città diversa”, e un “no” ad una città all’americana: le piccole imprese, come i negozi, vanno salvaguardati, fanno parte del tessuto sociale; si riveda invece la politica del centro commerciale: follia prevedere due megastore nel nuovo Piano urbanistico come a Sestri, al posto di aree produttive, là dove c’è un vecchio centro storico. Non si parla solo del  centro storico dei Rolli, ma pure di altri presenti a Genova, da Nervi a Voltri, assurdi i percorsi obbligati dei turisti in via Garibaldi e non alla Maddalena o in via del Campo.
    Perplessità nel pubblico mentre “Il sogno di una città diversa” appena s’intravvede, delineata nel pomeriggio nell’incontro sul Piano Urbanistico Comunale: tra i relatori, ex di qualcosa, forse in attesa di ricollocamento.
    La città com’era, da ritrovare, da presidiare, pare un refrain di Doria, il solo candidato che parli con numeri alla mano, dal calo e invecchiamento demografico, ai 90mila addetti dell’industria negli anni ’70, ridotti alla metà nel 2001 e ancor meno nel 2011. Si deve dunque cercare lavoro “di qualità”, rifiutando l’idea però che comandino soltanto bilancio e mercato; l’Italia e Genova non avranno più i ritmi passati di sviluppo industriale, bisogna prenderne atto, ma si devono comunque salvaguardare eccellenze come Ansaldo Energia e Fincantieri, aiutandole come Comune a ritrovare spazi e sinergie.
    Favorire il lavoro d’innovazione e di ricerca, cercando di attirare nuovi abitanti e nuove imprese, offrendo loro spazi e agevolazioni. Basta territorio a centri commerciali, così si cambia il tipo di lavoro, non lo si aumenta, si dirotta semplicemente il consumatore verso altra direzione.
    Ah, se al posto della Fiumara e dei grattacieli si fosse dato lo sbocco a mare all’Ansaldo, sospira qualcuno.
    Argomenti che toccano le corde degli astanti nell’incontro al PalaQuinto, venerdì 14, dove più che delle solite manutenzioni si parla ancora di occupazione e tanto di salvaguardia del territorio e del verde. – Non sono troppi però i numeri degli addetti all’azienda Aster, non c’è invece verifica di quanto viene fatto e di come si lavora – Preziosa e da recuperare la partecipazione dei cittadini, vero presidio della città.
    Anche qui sala gremita di persone di mezz’età, che in attesa del candidato davanti ai giardini sentono dire da giovani passanti: – Ma chi è ‘sto Doria? –
    E alla domanda di un cittadino al direttore del Secolo XIX se abbia ricevuto da Roma o da Piazza De Ferrari l’input ad una campagna pro Roberta Pinotti nemmeno tanto velata, il giornalista risponde che “l’attuale sindaco e i suoi assessori paiono l’armata Brancaleone e poi c’è già la Repubblica pro Vincenzi”
    Siamo contenti per l’informazione democratica.
    (Bianca Vergati)