OLI 332: POLITICA – Il Pd, le donne, gli uomini e la calza

In rete si trova un messaggio come questo:
“Ciao ragazze. Sono alle prime armi con il mio calzino. Lavoro con 4 ferri e sono arrivata a fare la parte che copre il tallone, quella che si lavora avanti e indietro. Il mio problema sorge nel fare la congiunzione della parte del dorso del piede con il retro… Premetto che sono autodidatta e sto studiando la costruzione del calzino dai calzini che faceva la mia nonna, ma purtroppo non sono riuscita a farmi insegnare come farli… e “l’inghippo” sta qui: la nonna lavorava tallone e dorso e congiunzione tutto insieme e poi separato faceva la suola e poi cuciva la suola al resto del calzino, mentre ora trovo tutti video che lavorano il calzino tutto intero… e io mi perdo…”
L’appello è di Serena83. Legittimo immaginare che si tratti di una mamma di ventinove anni perché accanto al testo c’è l’immagine di un bimbo o di una bimba di pochi mesi. Serena è una delle molte donne del paese, alla quale rispondono altre donne, che lavorano a maglia. Persone che trasmettono ricordi e tradizioni insieme alla possibilità di produrre le proprie cose in casa. Da sé. Non sappiamo se lavora o meno, ma non ci stupiremmo se fosse disoccupata o precaria come molte donne della sua età.
Sui quotidiani si trova un messaggio come questo
“Cosa farò? Non andrò certo a fare la calza”, la dichiarazione di Marta Vincenzi, rimanda ad un’idea precisa che impedisce alla donna di potere – forte, dinamica, consapevole – di essere felice in casa, di andare in “pensione”, magari a fare la maglia, mansione di nobilissima tradizione che nella calza esprime l’apice della conoscenza.
“Non andrò certo a fare la calza”, detta da un sindaco nella regione italiana con la maggior percentuale di anziani e con un discreto numero di senza lavoro è una frase che potrebbe essere percepita di disprezzo per chi, pensionato o disoccupato, si ritrova felicemente o infelicemente a casa.
Ma la calza di Marta solleva un problema non irrilevante nel Pd. Infatti, diversamente da coloro che perdono il posto, anche senza primarie, la sindaco in carica dichiara che adesso si sentirebbe pronta “per un ruolo politico” nel partito e precisa di non avere intenzione “di andare in pensione dalla politica”. Anche se si fatica a comprendere perché Marta Vincenzi voglia rimanere in un luogo in cui così elevato è il tasso di ostilità verso di lei.
Ma una soluzione per accontentare tutti potrebbe esserci: se Marta facesse la calza nel partito? Magari in compagnia di quei dirigenti maschi che ne hanno polverizzato eredità e tradizioni. E se tutti insieme tornassero a prendersi cura, nel senso più nobile del termine, della memoria della politica di sinistra e di quanto più prezioso custodisce?
Fare un buon partito non è come creare un calzino nel quale la lavorazione di dorso, tallone e piede stiano tutti insieme in armonia? Fare un buon calzino non vuol dire offrire a chi lo sceglie un oggetto caldo, protettivo, privo di insidie?
E se la buona, vecchia calza diventasse il nuovo simbolo del Pd?
Cercasi logo.
(Giovanna Profumofoto dell’autrice)