Categoria: Valentina Genta

  • OLI 368: GENOVA – C’è chi dice casiNo


    28 febbraio, ore 14 e 55, pubblico sul mio profilo Fb.
    Facile dire “a Zena se ciamman bagasce”, facile anche scriverselo sulla maglietta. Facile gridarlo a Nicole Minetti, troppo facile. Il problema a mio avviso è che sarebbe superficiale, machista, ipocrita. Non esiste un corrispettivo maschile: insultate un uomo corrotto, marcio, approfittatore etc., cosa gli dite? Minetti è donna, si è comportata in un certo modo, quindi è bagascia. Bene. Se anche fosse il problema non è lì ma in chi fa l’investimento per quel luogo in cui di sano, economicamente e non solo, ci vedo ben poco. Possiamo anche prendercela con lei ma lo trovo miope: chi ha i capitali per fare una cosa del genere? A chi importa che cosa si farà lì dentro? Chi controllerà che la gente non ci si rovini? Sapremo da dove arriva il denaro che ci circola, lì come in tutte le altre sale e salette spuntate come funghi ovunque? Non sempre (secondo me quasi mai) il bersaglio più facile è quello giusto. Per fortuna ci sono persone lungimiranti che si fanno le domande giuste e che non mollano. Per fortuna l’antimafia a Genova non sono parole al vento.
    1 marzo 2013, sera, dopo il presidio CASI-NO a Genova Pegli.

    Passo in moto, c’è già una folla pochi minuti dopo le 18, sorrido, qualche faccia nota, attraverso veloce il traffico e il ponte per parcheggiare e partecipare. Bandiere, di partito e non, striscioni con slogan, volantini, si aspetta Don Gallo, intanto prendono la parola il presidente del municipio, Domenico Chionetti, di San Benedetto, detto Megu  , una cittadina di Pegli… Ciascun* esprime gratitudine rispetto alla partecipazione della gente – quante e quanti lo lascio dire a chi sa fare queste stime, a me sembravamo un bel po’ – e cerca di sensibilizzare sulla problematica del gioco d’azzardo e delle ludopatie, del dilagare degli investimenti poco puliti, in particolare negli ultimissimi tempi e approfittando del periodo di crisi. Don Gallo arriva annunciato e abbandona l’auto in mezzo al traffico, provocato dalla folla che attraversava di tanto in tanto la strada mostrando i cartelli (casi-NO) e invitando chi passava a restare e manifestare, raggiungendoci a piedi, circondato da foto ed entusiasmo. Prende la parola – “una sedia per il Gallo!” passa sulle nostre teste – soffermandosi sulle lotte del ponente, sulla dignità di queste lotte, sulla tenacia e sulla rilevanza politica e pubblica della partecipazione della gente, sul coinvolgimento, sull’esserci e sul contare. “Nicole Minetti vada a mostrare tette e culo altrove” – scivola, la gente si infiamma, troppo facile, continuo a pensare che il problema non sia la scelta della “madrina” per l’inaugurazione. Don Gallo prosegue, gli interventi si alternano e si respirano interesse, passione. Ascolto e ragiono: non si è fermata l’apertura del casinò: a detta di chi vive a Pegli e ne è al corrente, come racconta una signora, “la sera ci sono macchine ovunque, in terza e quarta fila, pullman addirittura, e poi, si sa, come dire, l’indotto di questi affari… prostituzione, spaccio”. Si è in qualche modo rimandata l’inaugurazione grazie alla mobilitazione cittadina e all’intervento del comune che ha voce in capitolo per quanto riguarda i permessi necessari per l’apertura e la gestione del locale. Quello che ci si aspetta ora e per cui si auspica una partecipazione e un’attenzione costante è il seguito: riciclaggio di denaro, traffici illeciti e ottime coperture, famiglie rovinate e attività commerciali che vengono sostituite da casinò, la gente è stufa, la partecipazione di oggi l’ha dimostrato: “siamo qui, torneremo!” chiude Megu di San Benedetto, applausi, speranza, desiderio di cambiare, coraggio!
    (Valentina Genta – foto di Marco Pelizza)

  • OLI 365: LETTERE – Vaccinarsi contro il fascismo

    Un compagno venticinquenne mi parla dell’ANPI, del circolo di Pegli in particolare, mi dice di quello che fanno, delle cose che organizzano, di quanto ci sia partecipazione e voglia di fare. Mi chiede qualche tempo fa – visto che quest’anno l’ANPI si impegna in particolare rispetto ai temi della legalità e della violenza maschile contro le donne – se mi interessa intervenire, che ha fatto il mio nome alla presidente del circolo. Io non esito, mi sento contenta, mi piace molto questa proposta.
    Chiedo come mi devo vestire, quanto devo parlare, quanta gente ci sarà e tutto quanto. Poi arriva sabato pomeriggio, il posto è carino, sul lungomare di Pegli, c’è aria di sagra, c’è da bere e da mangiare, in brevissimo la sala si riempie, c’è calore e grande attenzione.
    La presidente introduce, cantano due canzoni, il gruppo musicale dell’associazione Multedo 1930, due canzoni che parlano di donne, poi tocca a me.

    Sono emozionata e felice, prendo il microfono, tutto rimbomba e appena inizio a parlare non ho più freddo. La sala mi ascolta e mi guarda con grande attenzione, mi aspettavo tanti uomini – pregiudizi – all’ANPI e invece per la maggior parte sono donne.
    Fanno sì con la testa, quando dico che violenza maschile contro le donne è anche il silenzio in cui sono state schiacciate le partigiane, accusate anziché onorate, di non esser state al loro posto. Dicono “è vero!”, e battono le mani.
    Dico cos’è per me, parlo di responsabilità, parlo del fatto che non è e non può essere un problema delle donne. Dico che finchè non cambierà la cultura, finchè non si smetterà di accettare che violenza e possesso siano scambiati per amore ci sarà spazio per una cultura maschilista e prevaricatrice.
    Poi interviene Andrea – il compagno di cui sopra – parla di legalità, di eroi, dell’impossibilità di costruire “a compartimenti stagni”, dell’urgenza di attivarsi sui valori, senza scivolare nei personalismi, del fatto che il 25 aprile non è una festa facile perché ci ricorda che lì, allora, è stata fatta una scelta, si è scelto da che parte stare e non tutt* hanno scelto allo stesso modo. Gli battiamo le mani, sorride, contento.
    Il coro riprende, ci si ristora con il “rinfresco partigiano”, si fanno le tessere, si ascoltano le canzoni vecchie e nuove, note e meno note. È la festa del tesseramento, la festa dell’inizio delle attività previste per l’anno, è una festa calda, forse un po’ malinconica, ma forte, viva. Mi siedo e compilo la tessera, mentre si intonano canzoni e ci si passa vassoi di focaccia e di emozioni, una signora mi bacia sulla testa, mi viene vicino, mi dice “brava, hai detto delle cose giuste”, e parla un po’ genovese e un po’ in italiano e poi si scusa che è emozionata e ci soffermiamo un po’, e mi chiede, e poi un’altra, e un’altra, e mi danno la mano e mi dicono che se ci siamo noi c’è speranza, e io mi confondo e sono più emozionata di loro.
    Finchè non cantiamo tutt* Bella ciao, e mentre ci si avvia all’uscita un’altra signora, commossa, con chi le diceva “ma no, ma dai, non si piange!”, sempre in genovese, dice che queste cose non si possono, non si devono dimenticare, che lei l’ha visto com’è, che noi giovani non dobbiamo permetterlo, che non dev’essere mai più. Mi prende sotto il mento, piano, con la mano leggera, mi guarda negli occhi con un’intensità rara “sei bella!” “anche lei, bellissima!”, rispondo, e piango anch’io di quell’emozione. Le do la mia parola: non lo permetteremo.
    (Valentina Genta)

  • OLI 359: ILVA – Trasversalità

    Sono stata contenta di aver fatto un giro insensato per tornare a casa in motorino. Averci impiegato troppo tempo. Così ho potuto assaporare il desiderio di arrivare a casa presto per scrivere, e ho colto davvero il senso di quella piazza bloccata per l’intera giornata, con la voce che gridava forte dentro di me: “perché con loro non si è fermata e non si ferma l’intera città?” Loro sono gli operai dell’ILVA. 
    Di questi minuti il “decreto salva Ilva” che Monti ha definito più ampiamente “salva ambiente, salute, lavoro”. Hanno battuto le mani, quando Grondona ha detto – la voce distorta dalle casse – che c’era il decreto, che si tornava a lavorare. Hanno fischiato e cantato, io con loro, il corteo studentesco partito da Caricamento e solidale alla loro lotta, con loro. Sono arrivata passando sotto i fili di plastica bianchi e rossi della polizia, ho camminato in piazza Corvetto con la mia idea romantica della fabbrica, della lotta. Ho le mani pulite, le fabbriche le ho visitate con la scuola, da bambina. Uno di loro potrebbe essere mio padre? Potrebbe essere mio fratello, un amico, un compagno? Certo. Lo sono, o sento come se lo fossero, forse con idealismo ed emozione, senz’altro senza retorica. 
    Solo uomini davanti alla prefettura, e un odore acre di bruciato che mi è rimasto impigliato nel maglione, che non si addice alla piazza di una città. Due cassonetti sono capovolti. Chiedo cos’hanno bruciato, mi dicono “carta”, mi dicono “per scaldarci”. Certo. È freddo. Parlo con alcuni di loro, sono in imbarazzo, io, loro non mi pare, parlano a capannelli, le ruote delle macchine alte come me, fischiano e gridano. Chiedo se li stanno ascoltando. Un signore grande, con le mani in tasca, gli occhi stanchi, mi dice “certo che no, ci stanno prendendo per il culo”. 
    Nel suo sguardo c’è anche un “come sempre”, ma non lo pronuncia, lo sento io. Cammino con le mani in tasca anch’io, tra quell’umanità a cui non sono avvezza ma a cui mi sento legata. Arriva il corteo, piccolo ma determinato, slogan e solidarietà: “il nostro futuro, non si tocca, studenti e operai, uniti nella lotta”! Banale, certo. Ma sta accadendo, è una dimostrazione, siamo qui, sono qui. Si può essere, mi chiedo, femminist* senza essere contro il razzismo? Si può essere ambientalist* senza lottare contro l’omofobia? Ci si può spendere per i propri diritti pensando esclusivamente a quelli? Si può essere contro la mafia e non contro il sessismo? Il concetto di trasversalità è scivoloso a volte ma in questo senso, in questo caso, nel non lottare cioè “a compartimenti stagni”, considerando con coscienza che ciò che viene tolto ad un compagno (che sia il nostro migliore amico o un perfetto sconosciuto) viene tolto, in quell’esatto istante, anche a noi, forse è uno strumento chiave. Credo che il cambiamento reale possa avvenire, di qualunque lotta si tratti, quando ogni persona si sente realmente coinvolta. Gli operai hanno bloccato la città, il disagio che manifestavano non ha niente a che vedere con il disagio che ha avuto chi ha fatto tardi, o ha faticato a rientrare a casa. Perché? Perché il primo – e la lotta che ne consegue – ci ricorda che nessun diritto è per sempre e che se non poniamo attenzione e scrupolo ogni giorno un mattino potremmo non aver bisogno di arrivare in orario da nessuna parte, tanto meno al lavoro, poiché – nell’assordante silenzio che a volte si sente – ci avranno tolto anche quello.

    (Valentina Genta – Foto dell’autrice)

  • OLI 358: MAFIA – La Liguria, la mafia, e il ruolo delle donne

    Ho preso il quaderno prima di uscire, ho pensato che avrei avuto qualcosa da scrivere: Anna Canepa, Enza Rando, Nando Dalla Chiesa. Titolo dell’incontro: “Contro la mafia perché donne”. Troppe poche sedie, un orario diverso da quello stabilito, un’accoglienza fredda, ma c’era ben altro a cui prestare attenzione.
    Partiamo dall’importanza della consapevolezza, del quanto sia rischioso credere di essere immuni.
    Anna Canepa ci ricorda: due comuni liguri sciolti per mafia, qualche problema c’era e c’è. Le mafie al nord si manifestano soprattutto nell’ambito di riciclaggio, reinvestimento e reimpiego di denaro sporco, derivante da traffici illeciti. Si vede meno, insomma, ma non esiste pensare di essere immuni.
    Così come, prosegue la magistrata, non esiste pensare, dopo gli anni ’70, che le donne non abbiano un ruolo, non abbiano niente a che fare, non c’entrino nulla, negli affari delle mafie. Le donne si occupano dell’educazione dei figli, in particolare hanno il ruolo di trasmettere loro il codice “dell’onore”, quello che impone la vendetta rispetto ad un torto subito. Inoltre, quando gli uomini ai vertici delle organizzazioni criminali si trovano in carcere sono le donne a prendere in mano il potere. Sono state considerate da sempre affidabili e precise, scrupolose.
    Anche per questo, quando qualcuna decide che “non ci sta più”, se il sistema la riporta a sé spesso la fa scomparire, sciogliendo il corpo nell’acido, perché della persona non resti più traccia, come si diceva fosse accaduto a Lea Garofalo, testimone di giustizia vittima di un omicidio mafioso i cui resti, la notizia è di questi giorni, sarebbero invece stati in parte ritrovati. La figlia potrebbe piangere su qualcosa, finalmente.
    Le donne sono nella mafia, con ruoli spesso chiave, le donne sono contro la mafia, spesso invisibili, lo sono come magistrate, come avvocate, come amministratrici. Cercano di fare il loro dovere. Enza Rando, avvocata dell’associazione Libera, rievoca con parole dense e pesantissime la sua esperienza, parla di Canepa “giudice ragazzina”, parla della conquista delle scuole, della lotta per presidiare il territorio, della palestra bruciata come ammonimento, della continua tensione, della partecipazione della gente. Tutta.
    Nando Dalla Chiesa parla di un’altra palestra bruciata. Ma a Milano. Uno sgarbo fatto dalla nuova amministrazione, un’assegnazione “malfatta”, la ‘ndrangheta si fa sentire.

    Ci dicono che dove non si spara non c’è mafia, si festeggiano le assoluzioni degli imputati per mafia nei processi, si dice che finché le sentenze non confermeranno la presenza della criminalità organizzata “anche al nord” la conclusione sarà semplice: la mafia non c’è”.
    Mai – Canepa chiude, ho passato un’ora e mezza attentissima, senza perdere una parola – pensare che in mancanza di sentenze ci si possa sentire tranquilli. La criminalità organizzata, parliamo del nord, si fa vedere quando accade qualcosa, l’invisibilità significa solo collusione e infiltrazione, dunque, per loro, non certo per noi, tranquillità. La gente comune, al di là degli errori o del non voler guardare della magistratura, dovrebbe non chiudere mai gli occhi, essere consapevole, partecipare e riconoscere. Solo attraverso il riconoscimento si può ovviare all’insufficienza culturale che porta ad un silenzio che prestissimo diventa omertà.
    Solo la responsabilità condivisa e la presa di parola forte e solidale con chi e di chi ha scelto di stare “dalla parte della parte offesa” potranno cambiare radicalmente le cose, giorno per giorno.
    Ho fatto bene a prendere il quaderno…
    (Valentina Gentaimmagine da internet)
     

  • OLI 351: LETTERE – Le ragioni di un appello: mai più senza (primarie)!

    Italia 2012: uno stato democratico, con una costituzione democratica. Chi viene scelt* per rappresentare la popolazione negli organismi di governo dovrebbe avere il reale appoggio, l’elezione di poch* dovrebbe essere la partecipazione, la messa in discussione, la presenza, di tutte e tutti. Come è noto non stiamo parlando di una democrazia piena e soddisfacente, stiamo parlando di una democrazia incompiuta. Le scelte di chi candidare avvengono a cura delle segreterie dei partiti, le liste sono bloccate, la possibilità di far sentire la propria voce è troppo spesso direttamente proporzionale alla disponibilità di denaro (pubblico e non solo) e di potere.
    Finché potere significherà scelte ad uso e consumo di chi governa, finché la popolazione non verrà rappresentata per intero (le donne sono più della metà della popolazione, negli organi di governo invece…), finchè nel momento del voto molt* sceglieranno di astenersi o di orientarsi verso quella che viene definita “antipolitica”, troppo spesso protesta anche legittima che però si limita alla distruzione, senza proporre reali alternative, la nostra sarà una democrazia incompiuta. In mancanza di una legge che lo preveda la Rete delle donne per la rivoluzione gentile chiede che tutti i partiti adottino volontariamente il meccanismo delle elezioni primarie al fine di garantire trasparenza e reale possibilità di partecipazione nella scelta di chi si candida per le cariche elettive.
    Questa richiesta prevede un impegno: sostenere solo quei partiti che si prodigheranno in tal senso. La distanza percepibile, tangibile, tra chi governa il nostro paese, a tutti i livelli, e la popolazione, fa emergere con sempre maggior forza l’esigenza di prendere la parola, di proporre, di contare. Solo alimentando la consapevolezza delle persone, solo disseminando, a partire dai gesti più piccoli fino agli incarichi di maggior responsabilità, una cultura della legalità e della trasparenza si innesterà un circolo virtuoso che permetterà l’emersione del merito e dell’autorevolezza (a discapito finalmente di raccomandazioni e scorciatoie), e la possibilità di prendere decisioni condivise e autenticamente volte al bene comune. Se lasciamo tutto nelle mani di pochi(ssimi), chiudendo gli occhi, le loro ruberie, le loro inadempienze, il loro mancato rispondere agli oneri, agli impegni, ci sembrerà a poco a poco normale. La società si va assuefacendo, le responsabilità sono molto chiare, tuttavia è preciso dovere delle persone, di tutte e di ciascuna, vigilare, proporre, partecipare.
    Diversamente è quasi legittimo pensare che l’interesse non sia reale, che si possa fare di noi tutto ciò che si vuole. Le giovani generazioni, si dice e si sente dire, sono disilluse, lontane dalla politica (istituzionale e non). Come potrebbe essere diversamente? Si può rimediare proponendo alternative. Esprimersi e sentire di poter autenticamente cambiare lo stato delle cose è un possibile rimedio, politico e culturale. Passo passo. Le giovani generazioni non sono vuote o sciocche, se mai sono sotto shock, comprensibilmente. Gli strumenti ci sono, adoperiamoli e invitiamo tutte e tutti ad adoperarli.
    Per firmare l’appello l’indirizzo è:
    http://firmiamo.it//mai-piu-senza-scegliere—primarie-ovunque#petition 

    (Valentina Genta – Rete delle donne per la rivoluzione gentile)