Categoria: Animali

  • OLI 278: ZOOTECNIA – I maiali felici che vivono nel bosco

    Dario è un giovane uomo, titolo di studio Perito Agrario, scelta professionale allevatore sui monti nei dintorni di Mele. La casa è isolata nel bosco. Le persone a lui più vicine sono una giovane coppia che ha impiantato una attività di pensione, addestramento e rieducazione di cani. Una vasta estensione di bosco prima abbandonata al rischio di incendi ora è nuovamente sorvegliata e abitata da attività umane.
    Chi sia da tempo abituato a percorrere i sentieri del nostro entroterra avrà malinconica esperienza della sua trasformazione in landa desolata. Così l’impressione che si ha vedendo questi ragazzi è quella di trovarsi di fronte a dei pionieri.

    L’attività di Dario è al suo inizio, e per ora tra i castagni ci sono solo dieci maiali, ma aumenteranno e tra non molto arriveranno le scrofe e il verro che, oltre a fecondarle, col suo odore terrà lontani i cinghiali. Un’altra zona del bosco ospiterà le capre, si produrrà il formaggio, e poi alberi da frutto, e i piccoli frutti di bosco … Il terreno non appartiene a Dario, lui ci lavora. E’ l’amministratore delegato di una minuscola azienda, dove lavoreranno, oltre a lui, altri due giovani. L’impianto della attività è stato reso possibile da un finanziamento del Programma di Sviluppo Rurale 2007 – 2013, ma da ora in poi l’equilibrio economico l’azienda se lo deve costruire da sola. La scelta produttiva dei proprietari del terreno è coraggiosa: allevamento secondo criteri rispettosi del benessere animale. Ma il rapporto di “resa” tra un maiale libero di passeggiare tra i castagni e quello immobilizzato in un allevamento intensivo è senza confronto. A questo si aggiunge il grandissimo problema della distribuzione, soprattutto per la carne fresca: come farla arrivare agli acquirenti? A disposizione, per ora, ci sono solo piccole nicchie distributive come quella dei “GAS” (Gruppi Acquisto Solidale), che possono contare solo sulla loro auto-organizzazione.
    Mano a mano che Dario parla cresce un interrogativo: ma quale è, e quale potrebbe essere, la politica agricola regionale? E’ molto opinabile che – come ci dicono – entità, finalizzazione e durata dei finanziamenti siano indifferenziate rispetto alle tipologie aziendali. Ci vorrebbe una scelta politica per favorire la qualità sia dei prodotti che della vita animale, e per sostenere un sistema distributivo adeguato alle caratteristiche di queste produzioni. A maggior ragione per il fatto che la Liguria non è area per grandi allevamenti intensivi, e che andrebbero incentivate attività che contrastino il degrado del nostro entroterra.

    Invece queste imprese combattono da sole, e Dario mi cita esempi di “ritorni indietro”, cemento e recinti messi rapidamente a sostituire lo spazio libero che non fa ingrassare a sufficienza. Mi dice che se volesse guadagnarci sceglierebbe l’intensivo a stecca, perché “alla gente non importa nulla di comprare sotto costo i vestiti fatti sfruttando i bambini, cosa vuoi che gliene freghi di come campa un maiale? Guarda solo al prezzo e alla comodità”. Ma poi pensa alle scrofe che verranno, mi fa vedere come siano puliti i maiali se li si lascia vivere come dio comanda, mi spiega che sono molto intelligenti, che hanno imparato a schiacciare il bottone della fontanella in modo che il getto dell’acqua vada di lato a formare un piccolo stagno. I maiali ci circondano, curiosi.
    A quando una politica che sappia mettere insieme etica, sviluppo, capacità di prevedere e innovare il futuro?
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 278: INFORMAZIONE – Il consumatore etico tra inganni, seduzioni e scommesse

    Annibale Carracci, La bottega del macellaio, 1583 – 1585

    Il tema del consumo di carne (bovina) si è conquistato un richiamo sulla prima pagina di Repubblica del 10 novembre. Il titolo è rassicurante: “Bistecca, la seconda vita. Chi mangia carne non rovina l’ambiente – cibo e gas serra, un ecologista smonta le accuse”. L’occasione viene dal libro Meat. A benign extravagance, il cui autore, Simon Fairlie, ridimensiona l’entità dei danni ambientali (emissioni di gas serra e deforestazione) che “grandi organizzazioni internazionali”, tra cui la FAO, imputano alla zootecnia. L’articolo è corredato da una tabella secondo cui l’Italia, per consumo di carne bovina, è ottava tra undici nazioni, e da due incisi in grassetto: “Simon Fairlie invita a prendere con cautela le tabelle fornite da enti internazionali”, e “Il bestiame contribuisce all’inquinamento nella misura del nove per cento”.
    Il tutto trasmette al lettore un messaggio di sereno via libera.
    Per trovare qualche frase che segnali l’esistenza di punti critici bisogna spulciare tutto il lungo articolo: “Due terzi di quei 600 milioni di tonnellate di cereali vengono utilizzati negli allevamenti dei paesi industrializzati, a beneficio del 20 per cento della popolazione mondiale” … “Se un colpevole c’è, non è l’allevamento in genere, ma sono i metodi industriali ed intensivi”.
    Peccato però che la tranquillizzante tabella sia costruita in modo opinabile, perché l’Italia è confrontata con nazioni scelte “ad hoc” tra le più carnivore del pianeta, e si limita al consumo di carne bovina che costituisce meno di un terzo del consumo italiano di carne pro capite, il 42,3 % del consumo è carne suina – dati Eurostat 2006 (*). Così i dati europei ci vedono sì al nono posto, ma tra 39 nazioni (**).
    Peccato anche che non si dica che l’allevamento intensivo domina quasi totalmente il mercato della carne, in primissimo luogo quella suina.
    Tra disinformazione e un mercato che ti seduce con prezzi che Safran Foer definisce “artificialmente bassi” (aggiungendo: “quello che non compare sullo scontrino lo pagheremo per anni tutti quanti”) cosa può fare il consumatore “etico” che pure non intende rinunciare a carne, uova, latte, formaggi? Quanta fatica spende per trovare quello che cerca? E poi a cosa può servire la sua piccola goccia nell’oceano degli interessi di mercato?
    Foer osserva che “la carne etica è una cambiale, non una realtà”, e che “chiunque sostenga con serietà l’opzione della carne etica dovrà mangiare parecchi piatti vegetariani”. Ma dice anche che “mangiare con una tale intenzionalità esplicita” è una forza dal potenziale enorme, e che le nostre scelte quotidiane possono “plasmare il mondo”.
    Se ci guardiamo intorno, possiamo cogliere dei segnali: mercatini agricoli in città con banchetti di uova che espongono fotografie di galline libere, e banchi di salumi istantanee di maiali che grufolano all’aperto; il macellaio abituale che va a controllare che i bovini che compra vivano effettivamente all’aperto; Luciana Littizzetto che ringrazia a nome di galline ovaiole allevate a terra; il volantino della stessa catena distributiva che sottolinea l’adozione di “un codice etico teso a garantire il benessere animale” …
    Una clientela inizia ad esistere e il mercato tenta di rispondere.
    (*) http://www.saluteanimale.novartis.it/salute-benessere/suini/consumi-procapite.shtml
    (**) http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20090806101552AA8d3wt
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 277: AMBIENTE – Gli occhi della compassione

    Ero uscito per la solita passeggiata sulla costa di Arenzano. Il tramonto era passato da circa mezz’ora. L’aria era tiepida e molto gradevole. Non ti sbatteva in faccia i tuoi pensieri, li rimandava con benevolenza.
    Mi trovavo nella parte del golfo di Arenzano che guarda a ponente, dove la celebrata passeggiata a mare si incunea nel porticciolo, sotto il promontorio della straziata pineta, all’altezza di un moletto – messo in mezzo al mare per trattenere la sabbia – che divide lo sbocco di un torrente dalle onde del mare e dalla spiaggia che le accoglie.
    Sul lato della strada resiste un’antica baracchetta, luogo di ristoro per avventori occasionali e per un gruppo di amici serali, fra i quali diversi noti cacciatori.
    Come al solito, mentre la mente vagava ai quatto angoli del mondo, un essere animato, sulla spiaggia accanto al moletto, catturò la mia attenzione.
    Avvicinandomi e mettendo meglio a fuoco i miei occhi fragili, vidi che era un uccello dalle piume color malva, imponente, grosso quanto un grasso gabbiano, dal portamento elegante, con un collarino nero, la testa più rosata e due occhietti molto vispi che esploravano terra ed aria in ogni direzione. Accanto stazionavano pigri gabbiani, mentre non c’era l’amico airone cinerino che in coppia con un altro spesso occupa la punta del moletto e che puntuale quando cala la sera va a dormire nel parco.

    Non avevo mai visto un simile uccello! Ero meravigliato dalla sua bellezza. Una vampata di curiosità si accese in me. Chiesi ad un amico se confermava quello che io vedevo e se ne sapeva qualcosa. Condivise subito la mia emozione ma non ne sapeva nulla. Chiedemmo al gestore della baracchetta che invece sapeva tutto: si trattava di un oca migratrice, dal nome irricordabile, arrivata con un compagno nei giorni di tempesta e probabilmente dispersa.
    Il compagno era stato ucciso da un cacciatore qualche sera prima sulle allegre colline di Arenzano.
    Si era vista ogni sera e anche durante il giorno ogni tanto arrivava.
    Provai grande dolore e grande rabbia. Mi sembrò che con quel roteare di capo e di occhi continuasse a cercare il suo compagno. Mi venne in mente un racconto di Maupassant, letto tempo fa e mai più dimenticato, in cui un colombo, che vola felice nel cielo, impazzisce di dolore perché gli viene ucciso il compagno con cui divideva la felicità e con il movimento delle ali ci racconta tutta la sua disperazione.
    Pensai alla perdita di compassione che sta uccidendo il mondo e alla amputazione della pietas che sta desertificando il nostro convivere, prosciugando le sorgenti della nostra democrazia.
    Ammenocché!
    Gli uccelli, tutti, riuniti in consiglio non decidano di vendicarsi e ci diano una dura lezione.
    (Angelo Guarnieri)

  • OLI 275: ALIMENTAZIONE – I vegetariani, gli acritici e gli onnivori selettivi

    Un’amica, a commento degli articoli finora usciti su Oli (*) a proposito del mangiar carne, degli allevamenti intensivi e del libro “Se nulla importa” di Safran Foer, mi chiede: “Bene, e ora? Che si fa?”
    La via più facile è non fare proprio niente e continuare a “mangiare come tutti gli altri”. A stare ai dati (**) parrebbe a prima vista che la direzione sia proprio questa: in USA siamo ad un consumo di 125 kg. annui di carne pro-capite, in Europa la Danimarca va anche oltre con i suoi pazzeschi 145 chili, e anche in Italia, con tutta la nostra dieta mediterranea, siamo passati dai 57 kg annui pro-capite del 1972 agli attuali 90 / 92 chili, una media di due etti e mezzo di carne tutti i santi giorni. E quasi tutta questa carne viene da allevamenti intensivi.
    Ma, dice Foer, “questa che fino a poco tempo fa, e quasi ovunque, era un’ottima idea, ora non lo è più”, perché aggiunge gocce su gocce ad un vaso prossimo a traboccare. Oltre all’aspetto etico delle condizioni di vita degli animali, l’agroindustria influenza infatti pesantemente inquinamento, salute, consumo di acqua, condizioni di lavoro, declino delle comunità rurali e povertà globale.
    Per quello che lo riguarda lo scrittore Safran Foer, dopo i tre anni passati a raccogliere informazioni per il suo libro, ha deciso che “non vuole avere niente a che fare con l’allevamento intensivo”, e che astenersi dalla carne è per lui l’unico modo realistico di farlo.
    Però le strade possibili sono più di una, e a volte si intersecano.
    Dice Foer “I rancher possono essere vegetariani, i vegani possono costruire mattatoi, e io posso essere un vegetariano che appoggia il meglio della zootecnia”.
    Così agli acritici e ai vegetariani si affiancano i carnivori moderati che, senza azzerarlo, riducono il proprio consumo di carne, e gli “onnivori selettivi” che evitano di acquistare prodotti (carne, uova, latte, formaggi) provenienti da allevamenti intensivi. Cosa che può essere parecchio complicata.
    Naturale essere assaliti dai dubbi: ma davvero scelte di questo tipo possono avere una influenza concreta sulle pratiche agricole globali? Lo scrittore americano osserva che “non possiamo evitare, nutrendoci, di irradiare un’influenza anche nostro malgrado”, e che quindi questa influenza esiste, ed è sorpendente.
    Negli USA (****) il numero di vegetariani nel 2008 era il 3,2% della popolazione, mentre un altro 10% denunciava una dieta orientata in senso vegetariano. Le previsioni sono in crescita.
    Più difficile – immagino – valutare l’entità della platea dei carnivori moderati e degli onnivori selettivi, ma di certo l’industria alimentare inizia a tenerne conto.
    Sarebbe interessante capire cosa sta avvenendo da noi: condizione degli animali negli allevamenti, impatto ecologico, conseguenze sanitarie, orientamento dei comportamenti alimentari, influenza di questi sul mercato. Chissà che qualche giornalista – prima o poi – lo faccia.
    * La forza dei paradossi http://www.olinews.info/2010/10/oli-274-alimentazione-la-forza-dei.html
    Quanta sofferenza sei disposto ad accettare? http://www.olinews.info/2010/10/oli-272-alimentazione-quanta-sofferenza.html
    OLI 271, “Se nulla importa” http://www.olinews.info/2010/09/oli-271-informazione-se-nulla-importa.html
    ** vedi il sito http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=30646 e i molti altri rintracciabili cercando su Google con parole come: consumo / carne / pro capite / dati
    *** http://trashfood.com/2009/12/carnivori-moderati.html
    **** http://www.articlealley.com/article_1351542_23.html
    Altri link:
    http://www.eat-ing.net/getpage.aspx?id=73&dx=2&m=2&pf=f&sez=carne#1
    http://www.ecowiki.it/allevamenti-sostenibili-il-parere-dei-produttori-e-la-figuraccia-di-fazio.html

    (Paola Pierantoni)

     
  • OLI 274: ALIMENTAZIONE – La forza dei paradossi

    Un capitolo di “Se niente importa”, il libro di Safran Foer sugli allevamenti intensivi, si intitola: “In difesa della cinofagia”. L’autore osserva che negli Stati Uniti “mangiare il migliore amico dell’uomo è un tabù come lo è mangiare il proprio migliore amico umano”. Però aggiunge che “i maiali sono altrettanto intelligenti e sensibili in tutto e per tutto, secondo ogni ragionevole definizione dei termini. Non possono saltare nel bagagliaio della Volvo, ma sono capaci di riportare oggetti, correre e giocare, fare i dispetti e ricambiare affetto”.
    Foer si dedica a smontare le razionalizzazioni che supportano il nostro tabù del mangiare cani o gatti.
    Se si vuole porre lo sbarramento sul non mangiare gli animali da compagnia, la controdeduzione è che, laddove vengono mangiati, i cani non sono animali da compagnia. Se lo si vuole porre sul non mangiare animali con capacità mentali ragguardevoli , Foer controbatte che molti altri animali lo sono: il già citato maiale, ma anche le mucche, gli asini o i polli (conoscerli intimamente per convincersi: da ragazzina mi avevano regalato una bianca gallina livornese che mi correva incontro e mi saltava sulle spalle quando tornavo da scuola), nonché diversi animali marini (molti pescatori subacquei vi diranno della loro particolare difficoltà ad uccidere un polpo).
    Del resto, sottolinea malignamente Foer, ce li mangiamo già, i cani e i gatti perché diventano “cibo per il nostro cibo”: un processo industriale chiamato rendering permette di riciclare le proteine animali inadatte alla alimentazione umana facendone mangimi per il bestiame, e così finiscono cani e gatti soppressi nei centri di ricerca.
    L’impegno di Foer a sbarrarci tutte le possibili le vie di uscita ha lo scopo di condurci alla osservazione conclusiva del capitolo: “Se hai difficoltà a vedere qualcosa, discosta un po’ lo sguardo … Mangiare gli animali ha un che di invisibile. Pensare ai cani, rispetto agli animali che mangiamo, è un modo per guardare di sbieco e rendere visibile l’invisibile”
    (Paola Pierantoni)

  • Oli 268: PUBBLICITA’ – Un altro punto di vista

    Partendo e arrivando nelle stazioni ferroviarie d’Italia da circa un mese ci si sente inspiegabilmente osservati. Sono esseri viventi, in gruppo o da soli, che ci guardano da cartelloni pubblicitari dallo sfondo cupo, senza ammiccare. Uomini e donne, nudi, o forse cani e gatti per via della maschera che indossano? Nessun golden retriever che ispira tenerezza o mellifluo gatto che annusa un patè raffinato, nessun bikini o jeans attillato in zona pubica, ad ostentare i gioielli di famiglia. Semplicemente, naturalmente nudi. Al punto che ci si sorprende a domandarsi chi guardi chi, animale-uomo, uomo-animale. Un ambiguità che nulla ha a che vedere con i baci saffici di alcune patinate pubblicità, che corre invece sul sottile confine tra uomo ed animale. 

    Si tratta di una campagna pubblicitaria di alimenti per animali firmata da Oliviero Toscani. Forse basta quest’ultimo particolare a dar adito a polemiche, insieme alla nudità dei soggetti fotografati. Il Secolo XIX ha recentemente pubblicato una lettera di un gruppo di studentesse e professoresse dell’Istituto Duchessa di Galliera di Genova, infastidite dall’esibizione strumentale del nudo femminile. Su facebook è apparso qualche sparuto gruppo che si oppone all’oscenità della campagna, il dibattito è poi attivissimo sulla pagina facebook della stessa azienda che l’ha commissionata. 
    Proviamo però a guardare la questione da un altro punto di vista, parafrasando lo slogan di questa pubblicità. Senza chiederci quale messaggio Toscani voglia trasmetterci, se le sue immagini ci piacciano o meno, se siano in linea con il prodotto o ci sia invece una relazione strumental-provocatoria. Domandiamoci la ragione profonda del fastidio che evocano. Difficilmente si potrà ravvisare nell’ostentazione di un corpo nudo, quando ormai curve ed avvenenza, nel bene e nel male, sembrano diventate essenziali elementi del successo in ogni campo. Il turbamento nasce laddove scorgiamo in quei corpi con i volti coperti una naturale ferinità che ci appartiene, ma che rifuggiamo. Perfettamente complementare alla pratica quotidiana dell’umanizzazione degli animali domestici, la ferinità, nella sua accezione positiva, non feroce, è un punto di incontro tra noi e loro, una comunanza sulla quale fondare il rispetto della natura e degli esseri che reciprocamente la abitano. 
    La maturità, non solo sessuale, par essere inversamente proporzionale alla sua esibizione…
    (Maria Alisia Poggio)
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