Categoria: OLI 366

  • OLI 366: ELEZIONI – Dai girotondi allo tsunami

    (Beppe Grillo a Genova il 17.2.13)

    Dice che è colpa dei giornalisti se la sua immagine sui quotidiani risulta brutta e distorta.
    Ma di tutti gli scatti fatti in piazza veramente pochi trasmettono la pacatezza che lui lamenta non venga inquadrata.
    Dice che la vecchia classe politica è al capolinea, che le cose devono cambiare anche se non sa dove andranno a finire.
    Parla dell’Italia, e delle famiglie di italiani che vanno alla mensa della Caritas, per certificare un baratro che forse, nella sua testa, poteva essere tollerato finché riguardava soltanto gli immigrati.
    Parla delle aziende che chiudono e della miseria.
    Devono andare a casa tutti. Tutti fuori. Destra, sinistra centro! – dice.
    E dice della guerra di oggi, delle macerie economiche, politiche e sociali, di cui l’Italia è piena.
    Nessuno deve rimanere indietro – urla.
    E aggiunge che loro se ne devono andare subito, ma prima che se ne vadano gli italiani hanno il diritto di fare una piccola verifica fiscale sui loro conti, come hanno fatto sui nostri!
    Al redditometro risponde con il politometro per certificare la congruità del patrimonio del politico prima, durante e dopo la sua presenza nelle istituzioni. In caso di incongruità, precisa, la magistratura interverrà affinché venga restituito agli italiani quello che è stato tolto. Noi dobbiamo dare il conto di come spendiamo i nostri soldi? Dobbiamo rovesciare l’onere della prova – urla – sono loro che devono dire come spendono i nostri soldi!
    Parla di riforme subito. Di reddito di cittadinanza. Dice che i soldi ci sono e che il movimento li prenderà – non ai paraplegici, alla Sla, alla sanità, alla scuola – ma dai rimborsi elettorali (tre miliardi e mezzo).
    Dice che i suoi capolista sono per la maggior parte donne. Non con le labbra di polistirolo e il culo di tungsteno, ma donne che lavorano che tirano su i figli, famiglia, donne che si fanno un culo così dalla mattina alla sera!
    Il punto g di Federica Salsi non è materia di comizio e nemmeno la sospensione dell’assessora di Mira,  Roberta Agnoletto, di cui si è scritto che sia stata allontanata perché incinta.
    Lui materializza il pensiero del cittadino medio dandogli corpo, riconosce la rabbia e l’angoscia degli italiani covata negli anni, elevandola. E lo fa con la precisione di un orologiaio svizzero mescolando i tempi della battuta scherzosa con quelli di incitamento alla ribellione. Nei suoi comizi, il canovaccio base si adegua al territorio, si piega alle attese della gente. I militanti sanno che lui è il movimento – padre padrone, cervello – e loro sono sangue pulito, cellule al lavoro veloci e solerti per l’Italia che vuole cambiare.

    (Candidati liguri del  M5Stelle alle elezioni politiche 2013)

    In tv i suoi candidati non appaiono, non perché non parlino nei comizi ma perché l’informazione non se li fila affatto tutta intenta ad inquadrare soltanto lui.
    Casini, con un approccio clinicamente schizofrenico, ha ammesso che Grillo è il termometro, non la causa della febbre. Che la causa è l’operato della politica degli anni.
    Anche il Nobel Dario Fo è andato in piazza Duomo a sostenerlo. E a me è venuta in mente piazza San Giovanni, il 14 settembre 2002, un milione di persone in movimento che chiedevano ai politici italiani una politica migliore, radicalmente diversa.
    E non si mandava affaculo nessuno.
    (Giovanna Profumo – foto dall’autrice)

  • OLI 366: PALESTINA – Open Shuhada Street

    Dal 22 al 25 febbraio in tutto il mondo si celebrerà la quarta azione globale per la riapertura della Shuhada Street di Hebron che è stata chiusa nel 1994 dopo il massacro di 29 palestinesi, che pregavano nella moschea Ibrahim, da parte del colono israeliano Baruch Goldstein.
    Shuhada street è la via principale del centro storico di Hebron, una volta la più importante via di comunicazione commerciale e molto affollata.
    Ora è deserta.
    I 500 negozi arabi di Shuhada Street sono stati sigillati e questo ha devastato l’economia locale, i palestinesi non sono autorizzati a percorrere “la strada dell’apartheid” e sono costretti a fare lunghe deviazioni per arrivare dall’altro lato della strada, solo gli israeliani possono transitarvi. Hebron è l’unica città della Cisgiordania dove 600 coloni, protetti da 2000 militari israeliani, vivono in cinque insediamenti all’interno della città vecchia. Inoltre è l’unica città in cui i check point ed i blocchi alla circolazione sono imposti all’interno del centro cittadino. Secondo il protocollo che definisce lo statuto di Hebron, la città è divisa in due parti: H1 sotto l’autorità palestinese e H2 sotto il controllo militare israeliano.
    La via del mercato arabo, parallela a Shuhada street, è coperta da una rete metallica che protegge i palestinesi da spazzatura, sputi, olio bollente, escrementi, che i coloni israeliani ogni giorno gettano dalle loro case sui passanti.
    La violenza fisica e psicologica da parte dei coloni è una tragica realtà, le libertà personali dei palestinesi sono ridotte al minimo, i controlli sono eccessivi e a causa della “closure” molti servizi, inclusi quelli sanitari, risultano di fatto inutilizzabili.
    L’imposizione ai palestinesi della chiusura della strada, dei coprifuochi, dei posti di blocco militari, la detenzione senza motivo delle persone e la mancanza di protezione dalle continue violenze ha spinto 15000 civili palestinesi a fuggire dalle loro case, trasformando il centro storico di Hebron in una città fantasma.

    Il 25 febbraio ad Hebron ci sarà una grande manifestazione organizzata da Youth against Settlements insieme ad attivisti internazionali e pacifisti israeliani per chiedere la riapertura di Shuhada Street e la fine dell’occupazione. In varie città del mondo ci saranno iniziative di solidarietà, Anche a Genova verrà ricordata l’iniziativa Open Shuhada Street durante l’incontro con la mamma di Vittorio Arrigoni, Egidia Beretta, che sarà al teatro della Tosse domenica 24 febbraio h.18,30 con Don Andrea Gallo.

    (Maria Di Pietro – foto da internet)

  • OLI 366: SICUREZZA – ASL 3, prevenzione in pericolo

    Mercoledì 13 febbraio, davanti alla prefettura di Genova si è tenuto un presidio dei dipendenti della ASL 3 incaricati di garantire la sicurezza e la prevenzione degli incidenti sul lavoro. Il volantino della RSU denuncia che blocco delle assunzioni, assenza di investimenti, accorpamento di presidi sul territorio, metteranno in serio pericolo i livelli minimi di prevenzione e sorveglianza sui luoghi di lavoro – piccole aziende, grandi fabbriche, porto e cantieri. In mancanza di personale diventa impossibile visitare le aziende. L’allarme si trasforma in grido quando si riflette sui controlli che devono e dovranno essere effettuati sui cantieri del nodo ferroviario o del terzo valico – con duemila lavoratori in campo e ben quattro miliardi di investimento, dei quali, lamentano i lavoratori della ASL 3, non si conosce la percentuale prevista per la prevenzione e la tutela della sicurezza. Al Capo Gabinetto del Prefetto di Genova è stata fatta presente l’urgenza della situazione e sollecitata la convocazione di un tavolo con Regione Liguria e ASL3 per affrontare rapidamente la situazione.
    Nessun può chiamarsi fuori da questo problema – è scritto sul volantino – Ognuno, a partire dalle Istituzioni, deve assumersi le proprie responsabilità.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)
  • OLI 366: ECONOMIA – Tares tra imposta e tariffa

    Il decreto “Salva Italia” del governo Monti ci regala una nuova tassa in sostituzione di Tarsu e Tia: la Tares. Si sentiva il bisogno di una rivisitazione della norma sui rifiuti, analizziamo insieme i punti salienti per scoprire cosa nasconda la cinquantina di commi di cui è composta.
    Il “Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi” è dovuto da chiunque utilizzi una superficie abitativa, commerciale, industriale o agricola a qualsiasi titolo, ha lo scopo di finanziare la raccolta e il trattamento dei rifiuti urbani ma anche la manutenzione della città, oltre che i costi di acquisto dei servizi (energia elettrica, acqua, gas). Sostanzialmente è pensata per trasferire ai comuni l’onere di incassare direttamente tali somme, sottintendendo che i trasferimenti da Roma saranno ridotti o eliminati, con l’obbligo di finanziare l’azienda incaricata della raccolta dei rifiuti secondo le sue necessità economiche, comprendenti anche gli investimenti. La tassa che riguarda i servizi si paga sempre a metro quadrato, e il valore va da 30 a 40 centesimi di euro, quindi non costosissima ma aggiuntiva a quanto il cittadino paga già di Imu e Irpef e pagava di Tarsu/Tia. Inevitabile pensare che presto questa tassa di superficie sarà aumentata per dar modo ai comuni di avviare le manutenzioni cittadine che attendono da anni di partire.
    Il tributo può essere trasformato in tariffa solo se l’azienda dei rifiuti inizia una misurazione “puntuale” del conferito, che ad esempio a Genova non avviene, anche se voci sindacali di Amiu spiegano che la direzione rassicura che l’azienda genovese continuerà a incassare direttamente la tassa. Il termine “puntuale” non viene definito esattamente, per cui ci si aspetta che sia oggetto di interpretazione da parte dei comuni con le inevitabili circolari interpretative del ministero: il solito tran tran legislativo.
    L’unico riferimento alla raccolta differenziata, per nulla tenuta in considerazione nella nuova norma, è per indicare l’obbligo di una diminuzione di tariffa in proporzione alla quantità di differenziata raccolta, nulla più. Molto interessante è invece il riferimento alla eventuale violazione di termini di legge, per cui il cittadino ha diritto a pagare un massimo del 20% della tariffa piena in caso di manifesta e grave violazione delle norme sui rifiuti: la fantasia insegna che se messo in relazione alle quantità di differenziata di legge e reali, in pratica quasi ovunque in Italia sarà possibile chiedere la riduzione. Si vede che il legislatore non conosce affatto la situazione italiana sui rifiuti e che la legge è stata scritta a tavolino solo per dare modo ai comuni di avere a disposizione una leva fiscale utile alla propria sopravvivenza.
    Rimandiamo un approfondimento ad alcuni prossimi articoli su Oli.
    (Stefano De Pietro – immagine da internet)

  • OLI 366: TEATROGIORNALE – Espulsione tra fuoco e fiamme

    Da la RepubblicaRoma, 19enne si dà fuoco a Fiumicino
     
    Il poliziotto:

    -A ridosso dell’ingresso adibito al personale dell’aeroporto di Roma Fiumicino, terminale3, settore partenze, alle ore 10.35 del 15 febbraio 2013, Il signor X di anni 19, di nazionalità Ivoriana, veniva accompagnato in maniera coatta verso il desk doganale per favorire le incombenze di rimpatrio. Chiesogli dal funzionario doganale se avesse qualcosa da dichiarare egli ha aperto la borsa estraendone una tanica di litri tre contenente benzina. Dopo che il signor X ha rovesciato la quasi totalità del contenuto della già citata tanica di liquido infiammabile sopra il di lui corpo, io mi sono avvicinato al soggetto. Il signor X ha dato fuoco alla di lui giacca, avvampando quindi nel corpo tutto. Essendo io collegato al di lui corpo tramite il mio braccio destro ho iniziato anche io a bruciare. La signora F.D., prontamente intervenuta, ha spento le fiamme con un estintore dato in dotazione all’aeroporto.

     La funzionaria della dogana: 

    -Stamattina, come sempre, ero al mio posto nel gabbiotto. A un certo punto un odore di benzina, un fumo, un ché di pollo arrosto. Una gran luce e poi le urla. Non so neanche perché sono uscita e ho preso l’estintore. Ma così, d’istinto. Non so neanche come ho fatto. Poteva pensarci qualcun altro. Appena li ho visti ho fatto fuoco. Cioè, non è che ho fatto fuoco, ho usato l’estintore: prima sul poliziotto che sembrava ballasse, con tutto il braccio luminoso. Pensavo: colpisci le fiamme, colpisci le fiamme. Quello ballava e io ferma con le gambe aperte, ben piantata sui miei tacchi, fino a quando il braccio si è tutto coperto di una spessa schiuma bianca. Intorno a me ancora urla: – Spe-gni-lo! Spe-gni-lo! Spe-gni-lo! Allargai le gambe, mi piantai sui tacchi, tirai su entrambe le braccia, presi la mira e feci fuoco, cioè non è che feci fuoco veramente, ma non mi fermai finché non finii tutta la schiuma dell’estintore. Li ho salvati? Non lo sapevo, me l’anno detto dopo.

    Un passeggero: 

    -E alla fine ci ha fatto perdere l’aereo, a me e a mia moglie. Dovevamo andare a Londra da mia figlia e con tutto questo macello non sappiamo neanche se potremmo partire. E adesso chi la sente mia figlia? Una puzza poi. Certo mi spiace per questo qui -diciamo- abbronzato, ma che ci posso io, se non c’è lavoro neanche per i nostri figli, non è che possiamo farli entrare così. Non si può mica, c’è la crisi e noi dobbiamo pensare ai nostri problemi. Che poi adesso: chi glielo pagava l’aereo a ‘sto qui? Noi; mentre il viaggio per Londra me lo pago da me. E ora che si è tutto bruciato, poveretto, chi gli paga l’ospedale? Sempre noi. Mentre l’altro giorno ho fatto un esame e sai quanti euri gli ho dato di ticket? Che io gli direi: – Senti, ti vuoi dar fuoco? Ma datti fuoco a casa tua che se c’hai dei problemi non è mica colpa mia.

    L’incendiario: 

    Ho 18 anni, a quindici ho perso mia madre e mia sorella. Sono scappato per il deserto. Ho lavorato in Libia. ‘E scoppiata la guerra anche lì. Ho preso una barca. Nessuno sapeva guidarla. Sono arrivato in Italia. Ho iniziato a lavorare, avevo una casa, avevo il cellulare, dei vestiti puliti, magari avrei potuto essere felice. Mi hanno arrestato. Mi volevano far tornare indietro. Ma indietro dove? Nella notte. E allora nella luce canto i versi di Dadié:

    “Sono l’uomo color della notte 

    Foglia al vento, vado in balia dei sogni. 

    Sono l’albero che germoglia in primavera 

    E rugiada che canta nel cavo del baobab.” 

    (da foglie al vento di Bernard Dadié.)

    (Arianna Musso)