OLI 366: TEATROGIORNALE – Espulsione tra fuoco e fiamme

Da la RepubblicaRoma, 19enne si dà fuoco a Fiumicino
 
Il poliziotto:

-A ridosso dell’ingresso adibito al personale dell’aeroporto di Roma Fiumicino, terminale3, settore partenze, alle ore 10.35 del 15 febbraio 2013, Il signor X di anni 19, di nazionalità Ivoriana, veniva accompagnato in maniera coatta verso il desk doganale per favorire le incombenze di rimpatrio. Chiesogli dal funzionario doganale se avesse qualcosa da dichiarare egli ha aperto la borsa estraendone una tanica di litri tre contenente benzina. Dopo che il signor X ha rovesciato la quasi totalità del contenuto della già citata tanica di liquido infiammabile sopra il di lui corpo, io mi sono avvicinato al soggetto. Il signor X ha dato fuoco alla di lui giacca, avvampando quindi nel corpo tutto. Essendo io collegato al di lui corpo tramite il mio braccio destro ho iniziato anche io a bruciare. La signora F.D., prontamente intervenuta, ha spento le fiamme con un estintore dato in dotazione all’aeroporto.

 La funzionaria della dogana: 

-Stamattina, come sempre, ero al mio posto nel gabbiotto. A un certo punto un odore di benzina, un fumo, un ché di pollo arrosto. Una gran luce e poi le urla. Non so neanche perché sono uscita e ho preso l’estintore. Ma così, d’istinto. Non so neanche come ho fatto. Poteva pensarci qualcun altro. Appena li ho visti ho fatto fuoco. Cioè, non è che ho fatto fuoco, ho usato l’estintore: prima sul poliziotto che sembrava ballasse, con tutto il braccio luminoso. Pensavo: colpisci le fiamme, colpisci le fiamme. Quello ballava e io ferma con le gambe aperte, ben piantata sui miei tacchi, fino a quando il braccio si è tutto coperto di una spessa schiuma bianca. Intorno a me ancora urla: – Spe-gni-lo! Spe-gni-lo! Spe-gni-lo! Allargai le gambe, mi piantai sui tacchi, tirai su entrambe le braccia, presi la mira e feci fuoco, cioè non è che feci fuoco veramente, ma non mi fermai finché non finii tutta la schiuma dell’estintore. Li ho salvati? Non lo sapevo, me l’anno detto dopo.

Un passeggero: 

-E alla fine ci ha fatto perdere l’aereo, a me e a mia moglie. Dovevamo andare a Londra da mia figlia e con tutto questo macello non sappiamo neanche se potremmo partire. E adesso chi la sente mia figlia? Una puzza poi. Certo mi spiace per questo qui -diciamo- abbronzato, ma che ci posso io, se non c’è lavoro neanche per i nostri figli, non è che possiamo farli entrare così. Non si può mica, c’è la crisi e noi dobbiamo pensare ai nostri problemi. Che poi adesso: chi glielo pagava l’aereo a ‘sto qui? Noi; mentre il viaggio per Londra me lo pago da me. E ora che si è tutto bruciato, poveretto, chi gli paga l’ospedale? Sempre noi. Mentre l’altro giorno ho fatto un esame e sai quanti euri gli ho dato di ticket? Che io gli direi: – Senti, ti vuoi dar fuoco? Ma datti fuoco a casa tua che se c’hai dei problemi non è mica colpa mia.

L’incendiario: 

Ho 18 anni, a quindici ho perso mia madre e mia sorella. Sono scappato per il deserto. Ho lavorato in Libia. ‘E scoppiata la guerra anche lì. Ho preso una barca. Nessuno sapeva guidarla. Sono arrivato in Italia. Ho iniziato a lavorare, avevo una casa, avevo il cellulare, dei vestiti puliti, magari avrei potuto essere felice. Mi hanno arrestato. Mi volevano far tornare indietro. Ma indietro dove? Nella notte. E allora nella luce canto i versi di Dadié:

“Sono l’uomo color della notte 

Foglia al vento, vado in balia dei sogni. 

Sono l’albero che germoglia in primavera 

E rugiada che canta nel cavo del baobab.” 

(da foglie al vento di Bernard Dadié.)

(Arianna Musso)