Categoria: Cultura

  • OLI 303: CURIOSITA’ – La foto più grande del mondo

    La foto navigabile di Sevilla: 111 Gigapixel.

    http://www.sevilla111.com è il sito della foto più grande del mondo, circa 111 miliardi di pixel, ottenuta con un collage di migliaia di foto scattate mediante l’uso di una postazione robotizzata. Il sito propone anche la storia di come sia nata l’iniziativa, la scelta del posto per installare la macchina, la tecnologia usata per la riduzione degli errori. Non occorrono molte parole ancora, seguendo il link ci si troverà immersi nella giornata tranquilla dei pescatori, di un cane che segue il proprio compagno in bicicletta o di un monumento che svetta a decine di metri d’altezza da sempre, sulla cima di un campanile. Que viva Sevilla!
    (Siamo in attesa della seconda foto più grande del mondo: Milano, resa nuovamente vivibile da Pisapia)
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 303: PAROLE DEGLI OCCHI – Il silenzio della città parlante

    Foto di Giorgio Bergami ©

    Genova narra se stessa senza bisogno di parole. Basta salire sul belvedere di Castelletto, inerpicandosi su per antiche creuze o coi più comodi ascensori pubblici, per godere una vista in cui epoche e stili si rincorrono dando luogo a uno stupefacente spettacolo senza fine. Con la buona stagione, sempre più numerosi sono i cittadini e i forestieri che vengono ad assistervi incantati.

  • OLI 302: CEMENTO – La rapida demolizione degli scalini della Tosse


    Dal 29 marzo 2011 la scalinata di Salita della Tosse (Via San Vincenzo), da tempo danneggiata e pericolante, è in (ri)costruzione.
    Gli scalini sono stati del tutto rimossi e la demolizione è stata completata rapidamente. Gli operai (comunali/aster/privati?) hanno poi proceduto ad armare il fondo in terra posizionando una rete metallica e modellando con opportune cassettature i tratti della scalinata. Al momento risultano completati, partendo dal basso, il primo e secondo tratto. L’impresa ha informato che la scala sarà dotata di gradoni.
    Dunque avremo una nuova scalinata di robusta e sana costituzione e di grande avvenire.
    Tutto bene?
    Non proprio.
    La scalinata in questione si trova alla fine di una delle rarissime “creuze” genovesi del centro, percorsa da tanti cittadini e da moltissimi giovani (siamo in prossimità di un centro universitario).
    La scalinata era realizzata con gradoni in pietra incastrati nei muri laterali, gravanti direttamente sul terreno: un’opera di notevole pregio artigianale.

    Spero vivamente che non si impieghi la tipologia di lastre abitualmente in uso in questi anni: pessima qualità, breve durata. Di queste basta guardarsi in giro, la città ne è piena: sono in effetti piastrelle comuni (San Vincenzo) o piastre (Caricamento), nulla a che vedere con il materiale impiegato negli anni ‘60 e negli anni precedenti, quando si impiegavano pietre massicce lavorate con scalpello.Domanda: non si poteva procedere ad un semplice restauro senza coinvolgere un squadra di demolitori senza arte e mestiere risparmiando magari qualche soldino?

    I lavori, dopo il completamento della gettata in cemento, sono stati fermi per tre settimane. Si è innescata una disputa (di quelle destinate a durare): sulla necessità o meno di tagliare il grosso albero sul lato della scalinata le cui radici tendono a rigonfiare il sotto scala. Ad oggi sembra che l’albero non si taglierà in quanto, pare, l’operazione sarebbe molto costosa.
    Nel frattempo la Salita della Tosse è diventata, dal momento che non è più frequentata, la salita della “cacca”. Rimosse dagli addetti comunali e puntualmente ricollocate da cani di tutte le taglie: con pieno consenso dei padroni .
    Oggi, 20 maggio 2011, sono ripresi i lavori: stanno riverniciando la ringhiera – lavoro che dovrebbe essere fatto in coda a tutti gli altri lavori – mentre la pavimentazione finale è ancora in sospeso.
    Un altro piccolo sassolino di Genova sparisce, ancora una volta si è fatto sbrigativamente ricorso al cemento
    (Giovanni Canepa, foto dell’autore_4 Aprile 2011)
  • OLI 299: EVENTI – Will & Kate, papa beato e mondo senza Dio

    Nei giorni scorsi si sono prodotti gli show planetari del royal wedding di William Windsor con Kate Middleton e della beatificazione di Karol Woitiła, eccellentemente orchestrati tra folle in delirio e sventolii di bandiere. Tanto di cappello per le spettacolari scenografie, i costumi, le coreografie e gli accompagnamenti musicali frutto di saperi accumulati in secoli di esperienza.

    Ottimi pretesti per tentare un rilancio, con eventi di grande impatto emotivo, di due istituzioni – la monarchia britannica e la chiesa cattolica romana – che negli ultimi tempi non pare godano di ottima salute presso l’opinione pubblica mondiale e in particolare delle rispettive nazioni, nonostante – per quanto riguarda il nostro paese – le continue e ostentate genuflessioni delle autorità civili ai poteri religiosi.
    Nello spettacolo papale, la perla è stata l’entrata in scena – dopo il lento sollevarsi del sipario che ha scoperto l’effigie del nuovo beato – di due suore recanti il reliquiario del suo sangue: una provetta di un prelievo ematico effettuato a suo tempo al malato pontefice, previdentemente messa da parte e ora incastonata in una preziosa montatura esposta alla feticistica venerazione dei fedeli.
    A fronte di tanta commozione e devozione, c’è un’Italia miscredente e laicista che sta per tenere a Genova “In un mondo senza Dio” (“In a Godless World”), convegno internazionale sulle concezioni etiche non confessionali, che si terrà a Palazzo Ducale e al Politeama Genovese dal 6 all’8 maggio 2011.
    Un’importante opportunità di conoscenza e riflessione sulla possibilità – e il dovere – di condurre la propria vita elaborando la propria morale in modo autonomamente responsabile, a prescindere da quanto preconfezionato e imposto da altri presumendo che esista una divinità di cui si debbano esaudire i voleri.
    L’iniziativa è stata organizzata – nell’ambito della Federazione Umanista Europea – dall’Uaar, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, che “ha scelto la città di Genova per lo spirito laico che l’ha sempre caratterizzata e per la benevola accoglienza che l’amministrazione pubblica ha sempre dimostrato nei confronti delle sue iniziative”.
    Conferenze, dibattiti, tavole rotonde e seminari vedranno impegnate personalità del calibro di Giulio Giorello, Telmo Pievani, Paolo Flores d’Arcais, Margherita Hack, Nicola Piovani e molti altri.
    Un’occasione da non perdere.

    Il volantino-programma:

    Il programma dettagliato:
    Il sito dell’Uaar, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti:
    Il sito della Federazione Umanista Europea:
    I momenti salienti della cerimonia di beatificazione (15’02’’):

    La videocronaca completa del matrimonio reale (1h42’18’’):


    (Ferdinando Bonora)

  • OLI 298: CULTURA – La barriera di Palazzo Ducale

    Giovedì 14 aprile alle 21 nel salone del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale c’è stato un concerto bellissimo, parte del calendario de “la Storia in Piazza”.
    Titolo del concerto “Musica Al Hurria”, direzione musicale di Davide Ferrari che ha riunito cinque musicisti di nazionalità egiziana, marocchina, tunisina, algerina ma che vivono in Italia, per un progetto in cui l’espressione musicale diventa veicolo per un rapporto con il Nord Africa, e con la sua aspirazione alla libertà e alla democrazia.

    La sala del Maggior Consiglio era piena, il rapporto tra musicisti e pubblico molto caldo, la qualità della musica e degli artisti davvero alta, gli applausi tantissimi. La cortesia dei musicisti aveva inserito nel programma una canzone napoletana, Dicitencello vuje, cantata in arabo, ma non era solo la lingua a cambiare, anche la melodia aveva subìto una trasformazione, si colorava di scale e di ritmi che non erano nostri, ma richiamavano antiche radici comuni. Un’altra musica conteneva indiscutibili echi di flamenco, altre avevano suoni e ritmi non arabi, ma decisamente africani. La musica parlava di contatti, di legami, di spostamenti, di commerci. Di storia, appunto.
    Nel corso del concerto più volte i musicisti hanno fatto riferimento agli avvenimenti del Nord Africa, alla speranza di un cambiamento che è ancora sospeso nell’incertezza. Hanno detto che la prossima volta tra loro avrebbe dovuto esserci qualche musicista libico. Gli applausi del pubblico hanno sostenuto con calore queste frasi. Solo che in sala, salvo due o tre persone chiaramente nordafricane, c’erano solo italiani.

    C’è una barriera anche nella nostra città, e il Salone del Gran Consiglio di Palazzo Ducale, per gli immigrati, è al di là di questa barriera. Potremmo definirla, in senso lato, una barriera di classe.
    Immagino la sala se la barriera non fosse esistita, immagino le danze che sicuramente si sarebbero accese, la commozione che ci sarebbe stata, il filo invisibile che – come dice Calvino per una delle sue città – avrebbe allacciato per un attimo, in quella sala, un essere vivente ad un altro.
    Ma la barriera c’era eccome, visibilissima attraverso le assenze. Per superarla ci sarebbe voluta una precisa azione ed intenzione politica da parte di chi gestiva gli eventi, che invece è mancata.

    I nomi degli artisti: M’Barka BEN TALEB Tunisia: voce; Samir ABDELATY ELTURKY Egitto: voce – darbouka – daf – riqq – bendir; Marzuk MEJRI: Tunisia voce -darbouka – ney; Abbes BOUFRIOUA: Algeria voce – oud – chitarra; Abdenbi EL GADARI: Marocco voce – guinbri – qarraqeb – t’bel
    (Paola Pierantoni – foto Ivo Ruello)

  • OLI 297: STORIA – Per non dimenticare Sarajevo

    Foto di Giorgio Bergami ©

    Giovedì 14 aprile si apre a Genova, nel loggiato del cortile minore di Palazzo Ducale, una mostra fotografica (rimarrà fino a domenica 17, nell’ambito di La Storia in piazza) con il reportage che Giorgio Bergami effettuò nella capitale della Bosnia-Erzegovina e dintorni nei giorni 1 e 2 Gennaio del 1993, per conto dell’Arci su invito dell’Onu.
    In 51 pannelli riemergono memorie di una guerra che è bene non dimenticare.
    Nel cimitero militare, una accanto all’altra sotto la neve, croci e mezzelune, tombe cristiane e tombe musulmane.
    A manifestazione conclusa, l’autore donerà tutto il materiale alla Vijećnica, la Biblioteca Nazionale e Universitaria di Sarajevo, che ha perso ogni documentazione sul drammatico periodo dell’assedio.

    Per il programma de La Storia in piazza
    http://www.palazzoducale.genova.it/pdf/2011/storia_in_piazza.pdf

    (Ferdinando Bonora)

  • OLI 297: CULTURA – Enzo Costa, a teatro

    Genova ha la fortuna di avere un gruppo di artisti di alto livello capace anche della dimensione dell’amicizia, della semplicità e della gratuità, così lunedì 4 aprile c’era aria di famiglia sul palco del Duse. Chissà quante altre città possiedono questo piccolo tesoro, e chissà se Genova sa fino in fondo di averlo. Forse no, perché altrimenti la sala anziché essere piena per i due terzi, lo sarebbe stata per intero, con la gente in piedi, e la coda fuori a premere per entrare.

    Il titolo dello spettacolo era “Quanto Costa!”, e ruotava intorno alle rime e agli aforismi di Enzo Costa. Chi legge La Repubblica e Oli, attraverso i “Lanternini” e il “Versante” ne conosce bene dimensione etica ed ironia, ma questa è solo una parte dei regali che ci vengono dalla “passione-ossessione di giocare con la lingua” che anima dal 1988 il nostro amico scrittore. Sul palco recitazione e musica l’hanno fatta brillare per intero, cosicché si è riso e applaudito molto in sala, e di cuore, e si è andati via segnando questa serata tra quelle da ricordare, come era stata poco tempo fa, il 27 gennaio, un’altra splendida serata “familiare”, quella del “DeScalzi’s Restaurant”, al Genovese.
    I nomi sul palco vanno detti, segnati e ricordati: Enrico Campanati, Carla Peirolero, le ragazze e ragazzi del Suq, Gian Piero Alloisio, Roberta Alloisio, Claudio Pozzani, Andrea Possa (dei Soggetti Smarriti), e gli artisti-giornalisti Giuliano Galletta (Il Secolo XIX) e Stefano Bigazzi (La Repubblica).
    In alto, dalla galleria, la voce di Enzo Costa medesimo, intenzionalmente robotica e straniante, riportava a intervalli l’emozione del pubblico dalla spensieratezza a quel di molto serio e poco allegro che sta al fondo delle sue rime.
    A testimonianza di questa dimensione, ancora sotto l’impressione della malinconica manifestazione dei precari di venerdì scorso a S. Lorenzo, scelgo la poesia “L’uomo flessibile” (da “Rime Bacate e aforismi da Banco”, Enzo Costa – Editori Riuniti, 2010) che Costa pubblicò su Cuore nel lontano 1995, quando ancora in molti – anche a sinistra, anche nel sindacato – esaltavano la modernità del lavoro flessibile e il suo gradimento da parte di giovani che in un lavoro stabile – si diceva – si sarebbero sentiti in gabbia. Sic.
    (Paola Pierantoni)

    L’uomo flessibile
    ti prego, scusami
    se son volubile
    e dall’umore
    piuttosto instabile
    per cui risulto
    così fuggevole
    che sfioro il limite
    dell’ineffabile.
    Scusami tanto
    se son mutevole
    se ho questo fisico
    ipersnodabile
    per niente rigido
    ma ultraflessibile
    ben più che duttile
    direi plasmabile.
    Scusa se oscillo
    a mo’ di pendolo
    se mai sto fermo
    ma sempre vagolo
    se uso solo
    le sedie a dondolo
    e se di notte
    sono nottambulo
    giammai riposo
    bensì deambulo
    se sembro in preda
    ad un delirio
    di chiaro stampo
    psicomotorio
    giacché il mio scopo,
    quello primario,
    è deragliare
    da ogni binario.
    sarò ridicolo
    ma avrò un salario
    ecco il miracolo:
    sono precario.
    Enzo Costa, da Cuore 1995
  • OLI 295: UNIVERSITA’ – Auguri Mohamed

    In controtendenza con il resto d’Italia l’Università di Genova aumenta gli iscritti del 5% ma la Facoltà di Ingegneria dimagrisce per effetto della riforma Gelmini, pur aumentando del 10% le matricole.
    Diminuiscono non gli alunni ma i professori, ne mancano oltre sessanta fra pensionati non più sostituiti e mancate assunzioni: chissà se la sentenza del tribunale di Genova farà testo ora che il Ministero della P.I. è stato condannato a risarcire i precari poiché di fatto “Sussiste un fabbisogno certo e non episodico della prestazione”, visto che i docenti anno dopo anno vengono riconfermati nell’incarico (Il Sole 24 Ore, 26 marzo).
    Anche i corsi si riducono, alcuni rischiavano di sparire, non raggiungendo il quorum dei cento iscritti, come elettronica ad esempio, e così sono stati accorpati. Si darà maggior spazio alla tecnologia dell’informazione insieme all’elettronica: forse non sarà studiato il caso Mediaset con meno spettatori e sempre più pubblicità. Si istituisce una laurea in yacht design a La Spezia, di cui ne esiste soltanto un altro esempio a Southampton, forse perché sono aumentati i ricchi vogliosi di mega-imbarcazioni, pur essendo in crisi il mondo, cantieri compresi.
    Già funzionano corsi in inglese a Savona per l’energia, e a Genova per la robotica.
    Insomma una proposta culturale nuova per internazionalizzare l’offerta e attrarre studenti dall’estero perché è proprio all’estero che i nostri laureati piacciono e anche le nostre lauree.
    Auguri ragazzi, intanto facciamo il tifo per Mohamed Z., cittadino marocchino, che si laureava in questi giorni nella triennale di Ingegneria Meccanica. Non era partito bene cinque anni fa e al primo corso aveva copiato un compito di disegno, mettendo nei guai un altro studente: compagni e professore però avevano capito e lui, che masticava un franco-italiano stentato, è arrivato al traguardo. Chissà se continuerà gli studi, se rimarrà in Italia, magari tornerà al suo paese e cercherà di essere parte attiva di quel mondo, che ha tanto bisogno di tutto. Ma c’è un futuro là per chi ha fatto tanti sacrifici per studiare?
    Ci consolerebbe sapere che dall’Occidente potessero arrivare nel Nord Africa in tumulto, giovani preparati per aiutare il proprio paese, nuovi cittadini che sappiano far progredire queste giovani società.
    La colpa più grande dell’Europa è quella di non aver aiutato le sue ex colonie a formare nuove classi dirigenti, a rafforzare il tessuto sociale, la cultura del diritto e delle tecnologie: comodo il rais di turno.
    Faticosamente istruzione e cultura si sono fatti strada e con la Rete si è fatta la rivoluzione.
    Troppe le diseguaglianze, la povertà e l’anelito di democrazia.
    Certo viene alla mente il ricordo di un altro Mohamed, disoccupato, ambulante occasionale per sopravvivere, datosi fuoco in Algeria perché la polizia aveva distrutto il suo carretto di merci. Mohamed Bouaziz era laureato in economia.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 294: CULTURA – UNITA’ D’ITALIA E TAGLI ALLA CULTURA

    da Repubblica.it del 17/03/11: Il Nabucco in differita, niente diretta per il maestro Muti

    Rai3, nella giornata dei 150 dell’Unità d’Italia, ha trasmesso il Nabucco diretto dal maestro Riccardo Muti. Il concerto non è stato però trasmesso in diretta, nella serata che vedeva presente il premier Silvio Berlusconi (fischiato e contestato all’ingresso nel teatro n.d.Aglaja), ma è stata mandata in onda la replica del 15 marzo scorso, nel corso della quale il maestro Muti, come aveva già fatto nel corso della prima serata alla presenza di Giorgio Napolitano, aveva nuovamente coinvolto il pubblico nel bis di ‘Va pensiero’ (qui nel video)

    Muti ha spiegato: “Per l’unità non basta un coro, quattro manifesti e un tricolore”. Dopo l’esecuzione del notissimo brano e un lunghissimo applauso da parte del pubblico, il maestro ha interrotto l’opera e ha spiegato che avrebbe fatto partecipare tutti al coro, perché non si pensasse che la sera della prima era diversa dalle altre
    “E’ solo un invito e non un’imposizione – ha però precisato, concedendosi poi una battuta – quindi chi soffre d’asma può tranquillamente restare seduto”. Dopo una lunghissima risata del pubblico e un nuovo applauso, Muti ha detto: “Però non vorrei che le celebrazioni per l’Unità d’Italia fossero semplicemente qualche manifesto, il tricolore e dopo aver fatto la festa torna tutto come prima. Serve altro. Quindi, se noi facciamo Va pensiero insieme, è perché non vorremmo che domani, passando qui davanti, troviate un cartello ‘Teatro chiuso’”
    Quindi il maestro si è girato dal podio e ha diretto un coro collettivo, a cui diversi spettatori hanno partecipato alzandosi in piedi. Al termine, di nuovo applausi scroscianti. Da qualche palco sventolio di tricolori e tante grida: “Grazie, maestro”. (Autore Anonimo)


    (a cura di Aglaja)