Categoria: Cultura

  • OLI 289: ARTE – Disegnare l’acqua per i bambini

    Hai visto? Ha disegnato sull’acqua!
    E’ la voce di una bambina – quattro anni – che condensa lo spettacolo di Gek Tessaro a Palazzo Ducale sabato 5 febbraio.
    No, non è certo una folla oceanica quella che assiste alla magia. Ma un pubblico sofisticato di adulti e bambini – il piccolo accanto a me ha appena 6 mesi – che in silenzio si fanno portare in un mondo incantato.
    Lui di certo è uno che la magia la pratica, e gli basta poco: un telo bianco, l’acqua, i colori, un proiettore e il buio, nel quale tuffarsi insieme ai suoi spettatori.

    E tutto parte dalla storia che Tessaro racconta accompagnato dal gruppo musicale Extrapola che ritma con suoni africani gli istanti della narrazione. Gek mescola i colori, li stende nell’acqua e dà loro forma. E uccelli e alberi si trasformano in villaggi, cacciatori in nuvole e vento che scivolano sotto lo sguardo e mutano intensità e sfumature. E’ un mondo di grazia, suono, e colori mostrati sul grande telo.
    Gek Tessaro proietta le sue immagini mentre le dipinge e le racconta, come un cartone animato fatto all’istante, ma senza tv o case di produzione. Quindi la maga cattiva della sua storia “L’albero della strega” prende corpo in un istante sotto il pennello, gli occhi spietati, per poi sparire rabbiosa soffocata dalla pennellata successiva che la riduce in nuvola e pioggia.
    In una vaschetta d’acqua galleggiano e mutano colori e cose. E lo stupore dei bambini seduti in terra è identico a quello degli adulti.
    Peccato per chi non c’era.
    L’invito a chi ha figli, alunni, nipoti o solo fantasia è di tener d’occhio questo artista.
    http://www.gektessaro.it/
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 284: NUCLEARE – La lista che mancava

    Deve essere stato davvero un gran lavoro quello di chi ha tradotto in italiano la lunga lista di incidenti che hanno a che fare con il nucleare, civile o militare, dalla fine del 1800 ad oggi. E’ stato pubblicato in forma completa su http://www.mongiello.it/chernobyl/elenco-incidenti-nucleari, e si può passare qualche minuto a scorrerlo cercando la parola Italia, che compare 42 volte per altrettanti articoli inerenti il nucleare. L’origine del post è il sito progettohumus.it, che a sua volta fa riferimento al sito svizzero del servizio geologico nazionale (il link indicato in Progetto Humus è però obsoleto e non funziona).
    Nella lunga lista si legge che il Giappone, nel 1945, fece esplodere in Corea un ordigno nucleare di prova. E’ una notizia che lascia perplessi: possibile che in tutte le cronache di guerra non ne sia mai stata fatta menzione?
    Ecco il testo dell’articolo: “11 Agosto 1945 – Corea. Due giorni dopo la bomba atomica di Nagasaki, gli scienziati giapponesi di stanza a Konan (il maggiore complesso industriale sotto il controllo nipponico) ed ignari della decisione presa dall’imperatore di arrendersi evitando ulteriore morte e devastazione, eseguono un test nucleare: il lancio partì dal bacino di Konan, fu guidato nel mare del Giappone per entrare nel porto di una piccolissima isola. Per diversi giorni relitti di imbarcazioni e altre vecchie navi furono portate sull’isola che era talmente piccola da non risultare su molte mappe. I pochi abitanti furono evacuati. Venti miglia dall’isola gli osservatori aspettavano e pregavano che gli assidui sforzi avrebbero prodotto il risultato che tanto speravano: una forza di distruzione enorme da poter usare nell’autunno sulle forze alleate in procinto di un’invasione. Il risultato fu sorprendente: sotto la nube radioattiva le imbarcazioni erano affondate o bruciavano mentre della vegetazione sulle colline ne rimaneva solo le ceneri. Un fungo atomico che probabilmente era molto simile a quello di Hiroshima e Nagasaki. Ma tutto fu inutile per la presa di posizione dell’imperatore di cessare i combattimenti. Pertanto, una volta a conoscenza dell’imminente resa, gli scienziati giapponesi si diedero da fare per distruggere tutti i loro documenti nonché tutto l’equipaggiamento e strumentazioni possibili (incluse altre bombe atomiche quasi completate) perché i russi ormai avanzavano verso il complesso di Konan dalle montagne nel nord della Corea. Tutta l’apparecchiatura non distrutta finì in Russia assieme agli scienziati che furono torturati, interrogati e cancellati dalle pagine della storia”.
    Ci sono anche spiegazioni sul caso Ilaria Alpi e sulle molte mancanze di sicurezza in centrali italiane e straniere. Ad esempio, a Caorso ci furono fughe radioattive, di cui la stampa non diede notizia.
    Nella lista manca il caso del furgone con materiale radioattivo spedito in giro per lo stivale senza misure cautelative e alcuna informazione all’autista (http://www.bur.it/sezioni/Foglietto_numero_0801.pdf, pagina 2).

    (Stefano De Pietro)

  • OLI 284: CULTURA – Poeti a confronto

    A SILVIA

    Silvia, rimembri ancora
    quel tempo della tua vita mortale,
    quando beltà splendea
    negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
    e tu, lieta e pensosa, il limitare
    di gioventù salivi?

    Sonavan le quiete
    stanze, e le vie d’intorno,
    al tuo perpetuo canto,
    allor che all’opre femminili intenta
    sedevi, assai contenta
    di quel vago avvenir che in mente avevi.
    Era il maggio odoroso: e tu solevi
    così menare il giorno.

    Io gli studi leggiadri
    talor lasciando e le sudate carte,
    ove il tempo mio primo
    e di me si spendea la miglior parte,
    d’in su i veroni del paterno ostello
    porgea gli orecchi al suon della tua voce,
    ed alla man veloce
    che percorrea la faticosa tela.
    Mirava il ciel sereno,
    le vie dorate e gli orti,
    e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
    Lingua mortal non dice
    quel ch’io sentiva in seno.

    Che pensieri soavi,
    che speranze, che cori, o Silvia mia!
    Quale allor ci apparia
    la vita umana e il fato!
    Quando sovviemmi di cotanta speme,
    un affetto mi preme
    acerbo e sconsolato,
    e tornami a doler di mia sventura.
    O natura, o natura,
    perché non rendi poi
    quel che prometti allor? perché di tanto
    inganni i figli tuoi?

    Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
    da chiuso morbo combattuta e vinta,
    perivi, o tenerella. E non vedevi
    il fior degli anni tuoi;
    non ti molceva il core
    la dolce lode or delle negre chiome,
    or degli sguardi innamorati e schivi;
    né teco le compagne ai dì festivi
    ragionavan d’amore.

    Anche perìa fra poco
    la speranza mia dolce: agli anni miei
    anche negaro i fati
    la giovinezza. Ahi come,
    come passata sei,
    cara compagna dell’età mia nova,
    mia lacrimata speme!
    Questo è il mondo? Questi
    i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
    onde cotanto ragionammo insieme?
    questa la sorte delle umane genti?
    All’apparir del vero
    tu, misera, cadesti: e con la mano
    la fredda morte ed una tomba ignuda
    mostravi di lontano.

    Giacomo Leopardi
    da I Canti

    A SILVIO

    Vita assaporata
    Vita preceduta
    Vita inseguita
    Vita amata
    Vita vitale
    Vita ritrovata
    Vita splendente
    Vita disvelata
    Vita nova

    Sandro Bondi
    dalla rubrica Versi diversi del settimanale Vanity Fair

    Un’antologia di liriche del ministro poeta
    http://gamberorotto.com/miscellanea/sandro-bondi-poeta/


    (a cura di Ferdinando Bonora)

  • OLI 284: PAROLE DEGLI OCCHI – Ricordando il Poeta

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    Dall’8 Dicembre al 10 Gennaio le notti di Strada Nuova sono state illuminate dalla poesia di Edoardo Sanguineti.
    Il 9 dicembre il Poeta avrebbe compiuto 80 anni e 80 sono i suoi versi proiettati sulle facciate dei palazzi e sul selciato con straordinario effetto, trasformando lo spazio urbano in pagina poetica.
    Le fotografie di Giorgio Bergami (GB) e Paola Pierantoni (PP) colgono e rappresentano l’evento con sensibilità diverse.

    Per saperne di più:
    http://www.marconereorotelli.it/home
    http://www.viveregenova.comune.genova.it/content/genova-si-illumina-di-poesia-0

  • OLI 283: PAROLE DEGLI OCCHI – Buon 2011


    Foto di Giorgio Bergami ©
    Specchio dei tempi: calendari in esposizione dal giornalaio.
  • OLI 282: CULTURA – La notte più lunga dell’anno

    David Grossman racconta di quando, il 21 dicembre di molti anni fa, mettendo a letto suo figlio Yonathan, di tre anni, gli disse che quella sarebbe stata la notte più lunga dell’anno. Solo un’informazione curiosa per l’autore, ma di impatto enorme per il bambino che il giorno dopo mostrò grande sollievo per la fine di quel lungo buio.
    Al salone del Maggior Consiglio lunedì 13 dicembre 2010 David Grossman racconta di favole e paure alla grandissima platea. Spiegando quella dimensione incantata che si interpone tra giorno e notte e che permette a chi vuol essere genitore di cogliere la magia della narrazione di una favola al proprio bambino. E’ il momento in cui il bimbo non deve mettere in ordine, rispondere alle regole, fare questo o quello, ma andare in un posto altro e godere di fantasia e immaginazione. Occasione unica per genitori e figli. L’autore mette a fuoco le ombre che nel chiaroscuro della stanza scivolano sugli oggetti trasformandoli agli occhi dei bambini in mostri, e narra delle voci distanti e ovattate che provengono dalle alte stanze. Racconta delle paure dei bambini e reclama per loro la massima attenzione. Nel Talmud si racconta che quando il primo uomo vide il sole che tramontava divenne isterico, pensò che quella fosse la punizione all’oscurità voluta per lui da dio perché aveva mancato in qualcosa. Solo nei giorni successivi comprese che il tramonto faceva parte del ciclo della vita.
    Il bambino è come quell’uomo primordiale. Quando gli viene detto “papà domani vola in America”, non capisce, cerca di immaginarne le ali, il bambino è come un emigrante nel nostro mondo. Per questo l’universo dei bambini va preservato dalla brutalità. Non si può raccontare ai bambini qualsiasi orrore.
    Si ha la percezione che la notte più lunga, nell’incontro di Grossman con i genovesi, sia anche quella tra palestinesi e israeliani, votati alla guerra perché incapaci di immaginare la pace. E per questo condannati a sopravvivere e basta. Quando vengo in Europa – racconta l’autore – respiro a pieni polmoni. Quando sono in Israele respiro a metà. Sono sempre all’erta.
    Dalla letteratura per l’infanzia a quella per adulti si passa in batter di ciglia e nell’incontro, come per magia, si è trasportati nella narrazione del suo ultimo romanzo, dove guerra e destino del figlio al fronte spingono una madre alla fuga dalla propria la casa. La donna infatti scappa dall’unico luogo nel quale le può essere recapitata l’eventuale notizia della morte del giovane. E in questo viaggio i ricordi narrati ad un amico ripercorrono gli istanti di vita del figlio, fin dalla prima poppata e dai primi passi, dando voce alla fatica di forgiare un essere umano. Dando corpo alla facilità assurda con la quale un essere umano possa soccombere per la guerra.

    (Giovanna Profumo)

  • OLI 282: SOCIETA’ – Buon Compleanno, Italia Nostra!

    La sezione genovese di Italia Nostra, nata nel 1960, compie 50 anni. Auguri!
    Il compleanno è stato festeggiato sabato scorso alla Biblioteca Berio, in una gremita sala dei Chierici, con la partecipazione di Alessandra Mottola Molfino, presidente nazionale, e dei responsabili locale e regionale, Alberto Beniscelli e Roberto Cuneo. Giovanna Rotondi Terminiello, già soprintendente per i Beni artistici e storici della Liguria nonché figlia di quel Pasquale Rotondi cui la nazione deve molto per la salvezza dei propri capolavori durante la seconda Guerra mondiale, ha espresso grande stima e affetto in una dissertazione sul tema “I Beni culturali per l’Italia”.
    La benemerita associazione aveva visto la luce a Roma nel 1955, creata da uomini di lettere, artisti, storici, critici d’arte, architetti e urbanisti che si unirono a difesa del patrimonio culturale e delle bellezze naturali sempre più minacciate, con un largo seguito di iscritti via via più numerosi. All’inizio fu una specifica azione per contrastare e sventare uno dei tanti scempi urbanistici nella Capitale, da cui prese il via un’attività di attento monitoraggio, conoscenza e salvaguardia che continua tuttora sull’intero territorio italiano.

    La stessa Biblioteca Berio ospita nella Sala lignea, fino a sabato 18 dicembre, un’esposizione di documenti, ritagli di giornali, manifesti, fotografie, pubblicazioni e altri materiali che testimoniano il mezzo secolo di attività di Italia Nostra in Liguria, tra battaglie vinte e sconfitte, ma in ogni caso producendo aumento di consapevolezza e partecipazione tra i cittadini.
    Una mostra “povera”, visitabile ogni giorno dalle 15,30 alle 18,30, messa su grazie al volontariato e con pochi mezzi, senza effetti speciali ma non per questo meno degna di essere visitata di tante altre. In una ventina di bacheche è presentata una rassegna di argomenti che non riguardano solo gli addetti ai lavori ma toccano tutta la società.
    Lo stesso ex Seminario arcivescovile, che oggi ospita la Berio, sarebbe stato distrutto e sostituito da un grattacielo ben più redditizio per la Curia che aveva intrapreso l’operazione, se Cesare Fera, Bruno Gabrielli e altri di Italia Nostra non si fossero messi in gioco investendo tempo, energie e competenze. Così per molte altre vicende, come ad esempio lo smisurato Cono di Portman che sarebbe dovuto sorgere al centro del porto antico ed è fortunatamente rimasto sulla carta, o il Palazzo dei Pagliacci a Sampierdarena, testimonianza di un bel liberty di primo Novecento destinata alla demolizione e invece salvata. Oppure, una decina d’anni fa, il mantenimento a liberi usi pubblici della Loggia di Banchi, in sinergia con altre associazioni coordinate nel Forum dei cittadini e delle associazioni del Centro storico.
    Più in generale, non si oppongono solo dinieghi ma soprattutto si propongono alternative concrete e ben argomentate alle attuali prassi in tema di mobilità dei cittadini e delle merci, gestione dei rifiuti, arredo urbano e via dicendo.

    Di fronte a tanto impegno civile, monta però una certa amarezza considerando quanto sta accadendo negli ultimi anni, con la ripresa alla grande del saccheggio del territorio e degli sfregi a quanto ereditato da chi ci ha preceduto. Come se anni di lotte non fossero serviti a nulla. Anzi, rispetto a mezzo secolo fa la situazione è ancor più grave: se un tempo poteva esserci almeno la scusa dell’ignoranza, oggi la speculazione procede arrogantemente tra mistificazioni e manipolazioni della verità, con normative compiacenti e incurante della crescita culturale e delle sensibilità sviluppatesi grazie anche a Italia Nostra e ad altre analoghe realtà. Sarà opportuno che tutta la società non stia a guardare ma riprenda la battaglia, in prima linea al fianco di Italia Nostra.
    (Ferdinando Bonora)

  • OLI 281: PAROLE DEGLI OCCHI – Beni culturali

    Periodo natalizio. In piazza Ferretto è apparso uno zampognaro, dall’Aquila terremotata. Un tempo se ne incontravano a gruppi, nelle strade del centro e nei quartieri. Ora questo si aggira da solo per la città e Piera, giornalaia di via dei Giustiniani, lo festeggia.

    Anche le tradizioni popolari, come il suonar la zampogna, sono beni culturali da conoscere, tutelare e salvare dalla scomparsa, alla pari del paesaggio, dei centri storici, delle architetture, dei dipinti, delle sculture, dei documenti scritti, dei resti archeologici e di quant’altro resta a testimoniare la nostra storia.

    Foto di Giorgio Bergami ©
  • OLI 280: CULTURA – Mercanti nel Tempio


    Gran bella mostra, quella inaugurata venerdì scorso a Genova nell’Appartamento del Doge.
    Mediterraneo. Da Courbet a Monet a Matisse allinea circa ottanta opere provenienti da una quarantina di musei e collezioni private, con capolavori di Courbet, Cézanne, Monet, Renoir, Van Gogh, Munch, Braque, Matisse e molti altri, in un viaggio appassionante attraverso i diversi modi di sentire e rappresentare la Francia mediterranea, dalla metà del Settecento fino ai primi decenni del Novecento, con un solo sconfinamento in Liguria nella Bordighera di Claude Monet.
    Che non vi sia nulla di genovese poco importa. Anzi: si è finalmente superata quella trita concezione che per anni ha preteso eventi incentrati solo su realtà locali, come se Genova, prima ancora di essere dov’è e com’è, non appartenesse al mondo intero e come tale non potesse essere in grado di ospitare ciò che in varie parti del globo è stato prodotto nei secoli.
    Per informazioni e approfondimenti si vedano le pagine dedicate all’evento (e alla splendida mostra collaterale di Piero Guccione: una vera scoperta) sull’elegante sito di Palazzo Ducale:

    Il tutto è stato curato da Marco Goldin, direttore di Linea d’ombra, la società da lui fondata nel 1996, con sede a Treviso. Una ben organizzata – e ben promossa – azienda che produce da anni mostre di successo – da Treviso a Brescia, da Torino a Rimini, da Passariano a San Marino e ora anche a Genova – con un abile marketing che attira folle di visitatori e rende i beni culturali risorsa innanzitutto economica.

    Goldin, ottimo affabulatore, ha illustrato nell’affollato salone del Maggior Consiglio cosa aspettava di lì a poco il pubblico, insistendo in particolare sull’ultima stanza che offre tre meraviglie di Monet, Van Gogh e Cézanne a colpire e emozionare.
    Ma la visita in realtà non finisce lì: al termine del percorso espositivo si arriva come di consueto al breve angusto passaggio che immette nella cappella dogale, che si percorre sempre con la curiosità di scoprire come i responsabili dell’allestimento hanno trattato tale spazio straordinario: se lasciato sgombro a farsi ammirare nella sua sontuosità carica d’arte e di storia, o arricchito invece da altre opere che dialogano con esso in accordo o per contrasto.
    Niente di tutto ciò! Per la prima volta (e si spera sia l’ultima) la cappella è diventata la bottega della mostra. Tutta ingombra di vetrine, scaffali e banconi dove si espongono e vendono libri, tazze, borse e altri gadget di Linea d’ombra, con gli affreschi di Giambattista Carlone e Giulio Benso seminascosti e la Madonna Regina, di Francesco Schiaffino, che fa capolino soffocata sullo sfondo. Nella parete d’ingresso, la scena con Cristoforo Colombo che cristianizza l’America è scomparsa, occultata dalla struttura cui è appeso il campionario delle riproduzioni in vendita. Al centro del vano troneggia un espositore, quasi un moderno badalone sul quale, invece di antifonari per il canto dei religiosi, son poggiate copie del catalogo da sfogliare per invogliarne l’acquisto.

    Un pugno nello stomaco. Un vero peccato che una positiva esperienza di visita debba concludersi per molti (anche se non per tutti: le sensibilità individuali variano da persona a persona) nello sconcerto e nell’irritazione.

    Nulla da eccepire sulle attività commerciali a integrazione e contorno di eventi culturali, ma fa specie che chi fa professione di cultura – e chi dovrebbe presiedere e chi dovrebbe sovrintendere – non colga la barbarie di un liberismo sempre più spinto che consente di far tutto dappertutto nella massima naturalezza, quando vi sono invece posti che per i loro caratteri non lo consentono. La cappella del Ducale è uno di questi ed è davvero indecente organizzarvi un mercato che si potrebbe tenere altrove (nel senso etimologico del termine: in decens, non decente, che offende il decoro del luogo).
    E sarà anche il caso, più in generale, di avviare una riflessione pubblica sull’ineluttabilità o meno degli attuali modi di fruizione di Palazzo Ducale a fini espositivi: in particolare, sul tamponamento “provvisorio” del loggiato che da ormai troppi anni ne preclude la godibilità e sulle invadenti pannellature che nascondono le ricche pareti dell’appartamento dogale, mortificandone la dignità.
    Per ora rassegniamoci (e indigniamoci): fino a maggio, per contemplare la cappella non ci resta che la realtà virtuale…

    Illustrazioni tratte dal sito http://www.palazzoducale.genova.it

  • OLI 279: CULTURA – Venere, Marte & Bondi

    A questo punto – dopo i lazzi dei comici e la cospicua serie di articoli comparsi a stampa e on line in Italia e all’estero, a partire da quello di Carlo Alberto Bucci su La Repubblica dello scorso 18 novembre – il ministro Bondi dovrebbe avere un sussulto di dignità e, senza aspettare l’imminente mozione parlamentare a suo sfavore, rassegnare finalmente le dimissioni. Non tanto per il crollo di Pompei, di cui continua a proclamarsi innocente e di cui in effetti non è colpevole, pur essendone responsabile in quanto titolare del dicastero. Ben più grave della rovina della Domus gladiatorum è l’uso disinvolto e protratto nel tempo del nostro patrimonio culturale per arredare di volta in volta sedi istituzionali o padiglioni per incontri internazionali, sottoponendolo a spericolati lifting.
    Questa è la vera indecenza: che il ministro per i Beni e le attività culturali continui ad avallare i capricci del premier e del suo architetto prediletto Mario Catalano, che considerano i musei non come pubblici luoghi di educazione, crescita civile e benessere collettivo, ma come magazzini di antiquariato di lusso da cui prelevare a piacimento pezzi con cui far bella figura con gli ospiti o per il proprio godimento. Per giunta, se il tempo edace ha deteriorato nei secoli qualche opera, la si rimette a nuovo in barba a ogni criterio di restauro contemporaneo, incuranti dell’indignazione degli addetti ai lavori. Del resto, tale approccio non riflette l’atteggiamento che Berlusconi e altri vecchi hanno nei confronti del proprio corpo, grottescamente modificato e imbellettato nel patetico tentativo di annullare i segni degli anni?
    Se a parziale giustificazione del recente trasferimento a Palazzo Chigi di antiche sculture romane dal Museo delle Terme ci poteva essere la prospettiva altrimenti di un loro ricovero in deposito durante la ristrutturazione del museo, del tutto inaccettabile resta il “restauro” di Venere e Marte, che al prezzo di 70 mila euro ha rifatto mani e membro perduti, esponendoci al sarcasmo internazionale.
    Non è un caso isolato, ma l’ultimo atto di una lunga serie. Non dimentichiamoci, ad esempio, dell’hollywoodiano-disneyano padiglione approntato da Catalano per il vertice Nato a Pratica di Mare nel 2002, arredato con una ventina di capolavori sottratti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. O del vistoso orologio dorato conservato nella sala del trono del Palazzo Reale di Genova, di cui Berlusconi si innamorò all’epoca dello sciagurato G8 del 2001, disponendone il trasferimento a Palazzo Chigi. Sarebbe ancora a Roma, se con abile mossa il direttore del museo, intervistato allo scoppio del caso, non avesse dichiarato candidamente che il pezzo era stato soltanto prestato alla Capitale per un brevissimo periodo, costringendo alla restituzione.
    Ministro Bondi, se nei confronti dei beni culturali questo continua ad essere l’indirizzo del governo di cui lei è membro e che lei continua a sostenere, per favore si dimetta. Farà cosa gradita innanzitutto alla stragrande maggioranza di coloro che lavorano – a ogni livello – nel ministero da lei presieduto e poi alla gran parte di tutti noi cittadini italiani. Grazie.

    (Ferdinando Bonora)