Categoria: Lettere

  • OLI 425: LETTERE – Cara Paita, l’opinione di una candidata

    La signora Lella Paita in questi giorni ci comunica alcune cose della sua visione del mondo attraverso le migliaia di manifesti elettorali che impestano la città. Il suo slogan “La Liguria va veloce” ben si presta però a completamenti ironici di vario genere su internet o sugli stessi manifesti (“La liguria va veloce a bagno/contro un muro/alla morte/alla cementificazione…oppure “La Liguria va veloce. Anche il Bisagno non scherza” del comico Daniele Raco, tanto per fare alcuni esempi…)
    Ironie a parte, questo slogan sa proprio di vecchio! Mi ricorda lo zang tumb tumb di Marinetti e i futuristi, roba di 100 anni fa ormai più che superata, oppure mi ricorda i progetti insensati dell’alta velocità che sperperano miliardi di euro per portare merci cinesi da Genova a Tortona impiegando qualche minuto in meno, mentre i pendolari viaggiano come bestie sui pochi treni rimasti e le nostre fabbriche chiudono.
    Allora cara Lella te lo dico, stai sbagliando tutto: il vero cambiamento, la vera rivoluzione è lo slow: cibo, turismo, tempo libero… Basta correre! Basta correre verso l’ormai pressoché irrimediabile disastro climatico e ambientale. Adesso, se vogliamo dare ancora una speranza di futuro ai nostri figli, è ora di rallentare, anzi inchiodare la macchina distruttrice del falso progresso.
    Le persone più sagge oggi cercano uno stile di vita più a misura d’uomo, a contatto con la natura, trovando in questa dimensione i ritmi adeguati per se stessi e i propri cari, una vita rallentata che ci liberi da ansia e stress imperanti. “Più orti e meno lexotan!” Ecco il mio slogan se avessi i soldi per farmi i manifesti.
    La politica oggi dovrebbe impegnarsi per migliorare la qualità di vita dei cittadini, dovrebbe preoccuparsi, e molto, della sostenibilità ambientale, dovrebbe prediligere e favorire attività economiche che valorizzino il territorio e lo salvaguardino, così come le sue produzioni tipiche, agricole, artigianali e industriali locali. Sempre più giovani e adulti ad esempio sognano di tornare alla terra, ad una dimensione di vita più autentica, recuperando anche valori come la condivisione e la solidarietà con i vicini e la comunità locale. E tanti vi riescono, anche se con grande fatica e nessun aiuto dalle istituzioni.
    L’Italia e ancor di più la Liguria, hanno tra i loro punti di forza il turismo, l’arte, l’agroalimentare e la gastronomia. Il turista (ma anche il cittadino) cerca il buon cibo locale e ambienti naturali incontaminati.
    Su queste cose deve puntare la nostra bella regione rovinata dal cemento.
    Dai viadotti non nasce niente, dalle fasce nascono i fior (e le olive, le verdure, il basilico…)
    (Silvia Parodi, ingegnere ambientale, candidata con Progetto Altra Liguria)
  • OLI 422: LETTERE – G8, Toccofandi. Un medico dice no

    09/04/2014
    I consiglieri comunali Leonardo Chessa, Pier Claudio Brasesco, Clizia Nicolella e Paolo Repetto hanno inviato una lettera al presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Genova, Enrico Bartolini, per esprimere la loro approvazione sul licenziamento da parte di Asl 3 di Giacomo Toccafondi, medico responsabile dell’infermeria della caserma di Bolzaneto durante il G8 e per chiedere – in qualità di medici e di rappresentanti delle istituzioni – che venga immediatamente aperta la procedura per la radiazione di Toccafondi dall’Ordine stesso.
    In quei giorni del luglio 2011,150 persone fermate dalla polizia subirono violenze fisiche e psicologiche da parte di poliziotti, guardie penitenziarie e personale medico. La Corte di Appello di Genova, in una sentenza del 2010 le ha definite “trattamenti inumani e degradanti o azioni di tortura” che esprimono “il massimo disonore di cui può macchiarsi la condotta del pubblico ufficiale”.
    Giacomo Toccafondi, che secondo i giudici “agì con particolare crudeltà” fu accusato di omissione di referto, violenza privata, lesioni, abuso d’ufficio e condannato a 1 anno e 8 mesi e al risarcimento delle vittime. Il 12 marzo scorso, 12 anni e 8 mesi dopo e terminato l’iter giudiziario, il medico è stato licenziato dalla Asl 3 genovese con decorrenza immediata.” (dal sito del Comune di Genova)

    Genova, 8 marzo 2015
    Purtroppo i vertici dell’ordine dei medici di Genova prima di lasciare il posto al nuovo consiglio eletto hanno “evitato” ciò che avrebbe dovuto essere scontato: la radiazione del Toccafondi, disonore per qualsiasi medico che prenda sul serio la propria professione. Sono allibito e scandalizzato da tale scelta e mi chiedo: cosa deve fare un medico per essere radiato? Sarebbe almeno un minimo riparatorio sottoscrivere un appello : NON POSSO ACCETTARE DI FAR PARTE DI UN ORDINE DI CUI FA ANCORA PARTE IL DOTT.GIACOMO TOCCAFONDI
    (Dott. Pier Claudio Brasesco)

  • OLI 408: LETTERE – TASI a Genova: more than this?

    Abbiamo provato per Voi, in anteprima, un nuovo gioco di ruolo per PC… GENOA TAXPAYER TASI.
    Sono sul sito internet del Comune di Genova, sezione Tasse e Tributi, sul foglio per calcolare TASI e IMU 2014… Un’istigazione al turpiloquio e/o alla bestemmia.
    Leggo le istruzioni. Provo a calcolare la TASI. Imposta da pagare: ZERO EURO.. Belin… neanche a Fantasy Landia!
    Devo riuscire ad arrivare in fondo entro il 16/6/2014… Dovrei farcela.
    Ritorno alle Istruzioni. Ho capito:  indicano un’aliquota dello 0,33 per cento, mentre nel foglio di calcolo l’aliquota da indicare è per mille cioè 3,3… Rifaccio il calcolo. Ora ci siamo. Forse
    Recensione: gioco non complicatissimo per chi ha dimestichezza con i numeri. Per altri, se non supportati dal Mago CAAF, equivale a schiacciare tasti in una Slot-Machine.
    Parliamoci chiaro… Signor Sindaco,  con il nuovo logo GE NO VA more than this, abbiamo un pochino sbulaccato… siamo d’accordo… non dobbiamo camallare un frigo!
    Però, il tempo che ho impiegato poteva metterlo il Comune ed inviarmi il conto a casa.
    OK. Capisco la sprescia di stabilire l’Aliquota… ma almeno…FEME U CUNTU!
    (Pinicchi – immagine da internet)

  • OLI 389: LETTERE – Italia, il paese da ri-fare

    C’era chi scriveva della terra dei cachi e chi scrive del Paese del non fare….Tutto cominciò una mattina del lontano 2009 quando mi sono trasferito con la mia compagna in quel monolocale, che diventerà un castello (come cantava Lorenzo Cherubini), in una popolosa periferia della mia città, ricevo la prima delle tante proposte che “non avrei proprio potuto rifiutare”……
    Mi ero appena svegliato, preparato il caffè, quando sentii il campanello suonare..Chi è? Chiesi, Enel! Rispose la voce squillante! Aprii fiducioso di trovarmi di fronte un agente del noto Gruppo Energetico e cosi fu; il tipo, piuttosto spigliato e disinvolto, mi disse che erano cambiate le tabelle bio-orarie (ancora oggi devo capire cosa vuole dire) e che aveva bisogno di una bolletta per aggiornare la mia “vetusta” tabella ormai cara e inefficiente… Così feci e, sempre fiducioso nel futuro e nel progresso, firmai per il cambio di tabella, ringraziai di cuore il tipo ben vestito e mi ritrovai con un contratto nuovo di zecca e svantaggiosissimo per le mie tasche!!! Da lì imparai la prima lezione del Paese del non fare: “Non aprire mai agli sconosciuti”.
    Poi fu la volta della linea Internet, per quanto fosse solo un monolocale volevo che avesse tutte le comodità di un castello (la mia principessa lo meritava) così decisi di installare la velocissima linea a fibre ottiche di Fastweb… mi assicurai che il palazzo fosse cablato cosi mi recai tronfio dal primo rivenditore di zona, mi informai con successo presso un tipo dall’aspetto affidabilissimo, firmai il mio nuovo contratto internet e mi ritrovai con una deliziosa adsl lontanissima dalle prestazioni della fibra ottica ma, pensate, pagata quanto la prima cioè carissima!! Che meraviglia eh? Imparai la mia seconda lezione: “Non fidarti mai degli sconosciuti dall’aspetto affidabile”.
    Decisi così che era il momento di avere un contratto con una delle tre o quattro famosissime compagnie telefoniche che noi tutti conosciamo, basta con le solite ricaricabili! Hai visto la pubblicità? Anche Totti lo dice: passa a Vodafone e vedrai! E infatti ho visto! Bollette triple o quadruple rispetto a ciò che mi era stato promesso, e udite udite, una volta data la disdetta non potevo andarmene perchè il codice fiscale fornito risultava difforme…quindi finché pagavo nessun problema, anche se formalmente pagava un altro, ma se dovevo rescindere guai che si facesse torto ad un codice fiscale errato…. rimasi 5 mesi imprigionato in una ragnatela di reclami, segnalazioni e prelievi bancari non più autorizzati…. Imparai la mia terza lezione …Non fidarti mai dei volti noti dall’aspetto affidabile…..
    Poi venne il tempo della garanzia del Computer alla quale seguì quella dell’auto…peccato che nulla rientrò realmente in garanzia e dovetti sempre sborsare quattrini dalla mia tasca, pensate che una volta uno sconsolato operatore mi confidò: “si comportano così solo qui, nel Paese del non fare”…
    Imparai un’altra lezione …. non esiste un altro Paese del non-fare. Bene, tirando le somme, riconoscete il nome del Paese? Ma soprattutto conoscete anche Voi qualche sconosciuto dall’aspetto affidabile di cui diffidare? Sarà mica che il Paese del non fare sarà mica da Ri-fare?

    (Riccardo Badi)

  • OLI 365: LETTERE – Vaccinarsi contro il fascismo

    Un compagno venticinquenne mi parla dell’ANPI, del circolo di Pegli in particolare, mi dice di quello che fanno, delle cose che organizzano, di quanto ci sia partecipazione e voglia di fare. Mi chiede qualche tempo fa – visto che quest’anno l’ANPI si impegna in particolare rispetto ai temi della legalità e della violenza maschile contro le donne – se mi interessa intervenire, che ha fatto il mio nome alla presidente del circolo. Io non esito, mi sento contenta, mi piace molto questa proposta.
    Chiedo come mi devo vestire, quanto devo parlare, quanta gente ci sarà e tutto quanto. Poi arriva sabato pomeriggio, il posto è carino, sul lungomare di Pegli, c’è aria di sagra, c’è da bere e da mangiare, in brevissimo la sala si riempie, c’è calore e grande attenzione.
    La presidente introduce, cantano due canzoni, il gruppo musicale dell’associazione Multedo 1930, due canzoni che parlano di donne, poi tocca a me.

    Sono emozionata e felice, prendo il microfono, tutto rimbomba e appena inizio a parlare non ho più freddo. La sala mi ascolta e mi guarda con grande attenzione, mi aspettavo tanti uomini – pregiudizi – all’ANPI e invece per la maggior parte sono donne.
    Fanno sì con la testa, quando dico che violenza maschile contro le donne è anche il silenzio in cui sono state schiacciate le partigiane, accusate anziché onorate, di non esser state al loro posto. Dicono “è vero!”, e battono le mani.
    Dico cos’è per me, parlo di responsabilità, parlo del fatto che non è e non può essere un problema delle donne. Dico che finchè non cambierà la cultura, finchè non si smetterà di accettare che violenza e possesso siano scambiati per amore ci sarà spazio per una cultura maschilista e prevaricatrice.
    Poi interviene Andrea – il compagno di cui sopra – parla di legalità, di eroi, dell’impossibilità di costruire “a compartimenti stagni”, dell’urgenza di attivarsi sui valori, senza scivolare nei personalismi, del fatto che il 25 aprile non è una festa facile perché ci ricorda che lì, allora, è stata fatta una scelta, si è scelto da che parte stare e non tutt* hanno scelto allo stesso modo. Gli battiamo le mani, sorride, contento.
    Il coro riprende, ci si ristora con il “rinfresco partigiano”, si fanno le tessere, si ascoltano le canzoni vecchie e nuove, note e meno note. È la festa del tesseramento, la festa dell’inizio delle attività previste per l’anno, è una festa calda, forse un po’ malinconica, ma forte, viva. Mi siedo e compilo la tessera, mentre si intonano canzoni e ci si passa vassoi di focaccia e di emozioni, una signora mi bacia sulla testa, mi viene vicino, mi dice “brava, hai detto delle cose giuste”, e parla un po’ genovese e un po’ in italiano e poi si scusa che è emozionata e ci soffermiamo un po’, e mi chiede, e poi un’altra, e un’altra, e mi danno la mano e mi dicono che se ci siamo noi c’è speranza, e io mi confondo e sono più emozionata di loro.
    Finchè non cantiamo tutt* Bella ciao, e mentre ci si avvia all’uscita un’altra signora, commossa, con chi le diceva “ma no, ma dai, non si piange!”, sempre in genovese, dice che queste cose non si possono, non si devono dimenticare, che lei l’ha visto com’è, che noi giovani non dobbiamo permetterlo, che non dev’essere mai più. Mi prende sotto il mento, piano, con la mano leggera, mi guarda negli occhi con un’intensità rara “sei bella!” “anche lei, bellissima!”, rispondo, e piango anch’io di quell’emozione. Le do la mia parola: non lo permetteremo.
    (Valentina Genta)

  • OLI 361: LETTERE – Mio padre all’ILVA di Taranto

    Mentre passavo da piazza Corvetto osservando la disperazione e la rabbia degli operai dell’ILVA, ho pensato a quando, nel 1967 a Taranto, mio padre mi disse che costruire in quel modo lo stabilimento siderurgico preludeva a disastri ambientali e sociali. E che la colpa era della politica, dell’avidità, dell’ignoranza e dell’infernale combinazione di questi tre elementi. Oggi avrebbe usato il termine collusione. L’Italsider aveva trasferito Giovanni Sissa a Taranto nel 1966. Dottore in Chimica, siderurgista, aveva lavorato prima alla SIAC (Società Italiana Acciaierie Cornigliano) e poi all’Italsider. Era un quadro (anche se allora l’espressione non usava), ma soprattutto era un tecnico. Bravo. Conosceva i processi industriali e chimici, ma anche la realtà del lavoro in officina, che aveva seguito come responsabile a Campi, prima e dopo la Guerra. La fabbrica aveva contribuito a salvarla da partigiano durante la resistenza in città. E poi, dopo la fine della Guerra, in fabbrica ci stava e tanto, con gli operai nei reparti della lavorazione a caldo.

    La SIAC fu assorbita dall’Italsider a metà degli anni ’60. Forse i suoi eroici trascorsi da partigiano di Giustizia e Libertà non gli giovarono in un’Italia dove solo chi era democristiano o comunista aveva dei punti di riferimento e sostegno. Essere un bravo tecnico, competente, indipendente, coraggioso e senza copertura politica non era il mix vincente. Appena entrato all’Italsider fu spedito a Taranto, quando si stava costruendo appunto lo stabilimento.
    In quanto siderurgista e innovatore, con anche una ottima conoscenza dell’inglese, spesso era stato a contatto con tecnici del settore di altri paesi, in particolare giapponesi e russi. Era stato Bruxelles presso la CECA. Conosceva i processi di produzione dell’acciaio, capiva la dinamica industriale internazionale. Insomma conosceva bene il settore ed era dotato di una buona capacità previsionale, come dimostrato in altre occasioni. Antifascista della prima ora, aveva infatti perso i diritti politici per aver detto in fabbrica nel 1939 che se l’Italia fosse entrata in Guerra l’avrebbe persa perché l’esercito non era equipaggiato (la Guerra però la fece ed in Africa, salvandosi per puro miracolo).
    Quella di Taranto fu per lui un’esperienza devastante, perché sentiva che nessuna ascoltava il suo parere ed i timori di quanti non accettavano di chiudere gli occhi. Ma i giochi erano troppo grossi per permettere ripensamenti. Sentiva che restando in servizio si sarebbe reso complice di quello che lui aveva previsto sarebbe stata una catastrofe industriale ed ecologica. Accettò dunque nel 1968 un prepensionamento forzoso, molto penalizzante.
    Trascorsi con lui a Taranto solo un breve periodo, durante le vacanze scolastiche. Era una città lontanissima da Genova nel 1967. Ricordo la meraviglia nello scoprire come fosse il mare al Sud. Nata e vissuta Genova, non avevo mai visto tanto pesce, tante conchiglie, tanti coralli, e su una spiaggia così bianca. Proprio in città. Era davvero un viaggio andare da Genova a Taranto, in auto, quando ancora l’autostrada fra Sestri Levante e La Spezia non c’era. Si iniziava con il Passo del Bracco e poi via, fino a perdersi sui monti dell’Irpinia. Si arrivava dopo decine di ore. Di aerei neanche a parlarne (forse i treni invece erano meglio di adesso).
    Era là che tutto era diverso. Era un territorio che non aveva alcuna tradizione industriale, quindi né una cultura né una coscienza collettiva pregressa. Senza esperienza di incidenti sul lavoro, di lotte per il lavoro, di sviluppo industriale e di sue contraddizioni, mancano gli anticorpi sociali sul territorio per reggere l’impatto di un’industrializzazione improvvisa di quella portata.
    Oltre all’ambiente marino, bellissimo, dove sembrava il tempo di fosse fermato, c’era intorno alla città una campagna splendida, con caratteristiche di armonia arcaica. Era inimmaginabile che le pecore delle masserie locali sarebbero state un giorno abbattute perché contaminate della diossina.
    Nonostante questa immagine “da cartolina” della Taranto di allora, era però possibile prevedere. Se era stato in grado di farlo mio padre, al punto di preferire di chiudere malamente la sua carriera piuttosto che rendersi connivente dello scempio in nuce, evidentemente era possibile.
    Mi domando oggi cosa penserebbe oggi se fosse vivo. Di almeno una sua considerazione sono certa: che per non ripetere gli errori vanno comprese le cause. Non dimenticare per non ripetere gli errori.
    Il conflitto fra potere esecutivo e potere giudiziario in atto su questa vicenda è troppo pesante perché si possa sperare che il Decreto “tutti contenti” sia davvero risolutivo. Il groviglio istituzionale è enorme, le implicazioni giudiziarie anche. Io non ho né titolo né intenzione di aggiungere altro su questo.
    Su ieri però i giudizi si devono dare. Giudizi politici. Una delle peggiori brutte abitudini della nostra vita democratica è quella, inaugurata nei primi anni ’90 e mai abbandonata, di togliere alla politica la funzione di giudicare scelte e relative conseguenze e di scaricare sulle spalle della magistratura anche oneri che non le spettano. Di affidare al potere giudiziario quanto dovrebbe invece essere invece squisitamente politico (e non penale): valutare le responsabilità. Questo è il grumo paradossale, inestricabile, perché sbagliato nei termini. Stiamo parlando di vicende iniziate mezzo secolo orsono, forse un tempo sufficiente perché almeno la Storia possa esprimersi. Genova ha avuto una parte così importante, prima durante e dopo, nelle vicende di Taranto che forse gli storici potrebbero iniziare a leggere i fatti di allora. Anche per stabilire finalmente le responsabilità, quelle storiche almeno.
    Non per allungare la lista degli indagati, ma per non ripetere gli errori. I disastri ambientali hanno origini lontane e se vogliamo capirci qualcosa dobbiamo guardare molto indietro.
    (Giovanna Sissa)

  • OLI 351: LETTERE – Le ragioni di un appello: mai più senza (primarie)!

    Italia 2012: uno stato democratico, con una costituzione democratica. Chi viene scelt* per rappresentare la popolazione negli organismi di governo dovrebbe avere il reale appoggio, l’elezione di poch* dovrebbe essere la partecipazione, la messa in discussione, la presenza, di tutte e tutti. Come è noto non stiamo parlando di una democrazia piena e soddisfacente, stiamo parlando di una democrazia incompiuta. Le scelte di chi candidare avvengono a cura delle segreterie dei partiti, le liste sono bloccate, la possibilità di far sentire la propria voce è troppo spesso direttamente proporzionale alla disponibilità di denaro (pubblico e non solo) e di potere.
    Finché potere significherà scelte ad uso e consumo di chi governa, finché la popolazione non verrà rappresentata per intero (le donne sono più della metà della popolazione, negli organi di governo invece…), finchè nel momento del voto molt* sceglieranno di astenersi o di orientarsi verso quella che viene definita “antipolitica”, troppo spesso protesta anche legittima che però si limita alla distruzione, senza proporre reali alternative, la nostra sarà una democrazia incompiuta. In mancanza di una legge che lo preveda la Rete delle donne per la rivoluzione gentile chiede che tutti i partiti adottino volontariamente il meccanismo delle elezioni primarie al fine di garantire trasparenza e reale possibilità di partecipazione nella scelta di chi si candida per le cariche elettive.
    Questa richiesta prevede un impegno: sostenere solo quei partiti che si prodigheranno in tal senso. La distanza percepibile, tangibile, tra chi governa il nostro paese, a tutti i livelli, e la popolazione, fa emergere con sempre maggior forza l’esigenza di prendere la parola, di proporre, di contare. Solo alimentando la consapevolezza delle persone, solo disseminando, a partire dai gesti più piccoli fino agli incarichi di maggior responsabilità, una cultura della legalità e della trasparenza si innesterà un circolo virtuoso che permetterà l’emersione del merito e dell’autorevolezza (a discapito finalmente di raccomandazioni e scorciatoie), e la possibilità di prendere decisioni condivise e autenticamente volte al bene comune. Se lasciamo tutto nelle mani di pochi(ssimi), chiudendo gli occhi, le loro ruberie, le loro inadempienze, il loro mancato rispondere agli oneri, agli impegni, ci sembrerà a poco a poco normale. La società si va assuefacendo, le responsabilità sono molto chiare, tuttavia è preciso dovere delle persone, di tutte e di ciascuna, vigilare, proporre, partecipare.
    Diversamente è quasi legittimo pensare che l’interesse non sia reale, che si possa fare di noi tutto ciò che si vuole. Le giovani generazioni, si dice e si sente dire, sono disilluse, lontane dalla politica (istituzionale e non). Come potrebbe essere diversamente? Si può rimediare proponendo alternative. Esprimersi e sentire di poter autenticamente cambiare lo stato delle cose è un possibile rimedio, politico e culturale. Passo passo. Le giovani generazioni non sono vuote o sciocche, se mai sono sotto shock, comprensibilmente. Gli strumenti ci sono, adoperiamoli e invitiamo tutte e tutti ad adoperarli.
    Per firmare l’appello l’indirizzo è:
    http://firmiamo.it//mai-piu-senza-scegliere—primarie-ovunque#petition 

    (Valentina Genta – Rete delle donne per la rivoluzione gentile)

  • OLI 345: LETTERE – Caro Sindaco

    Caro Sindaco,
    stanotte ho fatto un sogno, ti presentavo i tuoi cittadini, la squadra che ti accompagnerà in questi cinque anni, temo non sarà in giunta, ma è la squadra sulla quale puoi contare. Sono i cittadini che domenica scorsa si sono raccolti attorno all’iniziativa “Ogni spazio pubblico nasconde un tesoro!”. In mezzo a loro architetti, storici, giornalisti, pensionati, studenti, artigiani . Nessuno li ha pagati, ma il piacere li ha sicuramente ripagati. Il piacere di tornare a godere di spazi pubblici che le passate giunte hanno sequestrato a tutti noi. Così è stata fatta merenda nei giardini Babilonia, spazio riaperto in centro storico dagli studenti di architettura, così si è tornati a percorrere un tratto di salita della Misericordia. Sono i cittadini che hanno capito che le risorse economiche, a volte distolte per interessi non sempre pubblici e divenute oggi quasi inesistenti, vanno ora sostituite da risorse umane. I cittadini che domenica hanno cucinato merende, pulito spazi da siringhe e spazzatura, organizzato giochi per i bambini, saranno i tuoi più interessanti alleati. A vederli, posso immaginare, non molti ti abbiano votato, ma di sicuro sanno mettersi in gioco, offrire fatica, denaro e tempo proprio. Rivolgiti a loro hanno idee, intelligenza, e la giusta dose di rabbia, in breve, vogliono che Genova torni ad essere res publica .
    Buon lavoro,
    (Maria Profumo, foto di Ivo Ruello)

  • OLI 344: LETTERE – Caro Marco

    Caro Marco,
    qualche pensiero immaginando la città che andrai a governare.
    Se arrivi in cima a via Serra potrai vedere che a distanza di pochi centimetri uno dall’altro vi sono due targhe di marmo con scritto ‘ VIA SERRA’.
    Di sicuro sono due costi, di sicuro sono due i tempi di montaggio, di sicuro non è ad alcuno venuto in mente che forse sarebbe bastato un poco di smalto per rinfrescare la scritta della prima targa.
    Poco più avanti salita della Misericordia chiusa da anni .
    L’interesse di pochi è costato e sta costando disagi a molti.
    Il primo tratto, è in ordine e pulito e serve l’accesso al Tennis Club, il successivo, se pur non esattamente concesso, serve d’accesso a tossici e disperati.
    Sarebbe un sogno poterla ancora utilizzare come comoda scorciatoia, facile anche per passeggini per bimbi e sedie per invalidi.
    Poi il problema dei mezzi pubblici in città.
    Quando nevica, o a causa di altre forze maggiori, è possibile attraversare la città da Nervi a Sampierdarena in pochi minuti.
    Già, perché quando nevica le auto private non vi sono.
    Sicuramente sarebbe all’inizio scelta impopolare, ma se la città venisse inibita al traffico privato…
    Ti ricordi come è insorta quando è stato deciso di pedonalizzare via San Vincenzo, via San Lorenzo o Via Cairoli? Ed ora pensi che qualcuno vorrebbe tornare indietro su queste scelte?
    La città che andrai a governare ha necessità di scelte coraggiose che ci permettano di tornare a sentire questa, come la nostra città.
    Ha bisogno di un governo agito con buon senso, di buon senso che torni ad essere senso comune.
    Ti auguro buon lavoro,
    (Maria Profumo)

  • OLI 339: LETTERE – Genova, l’Europa e il software libero

    Ho letto con molto interesse il programma della coalizione di centrosinistra presentato da Marco Doria e ho apprezzato la sua dichiarazione che si tratta di un punto di partenza. Al riguardo ci sono due punti che, sembra, siano stati sottovalutati: il rapporto con l’Europa e l’adozione del software libero.
    Genova è la porta dell’Europa sul Mediterraneo. Il rapporto della nostra città con l’Europa e con il Mediterraneo resta di cruciale importanza. Basti pensare a Genova 2004 Capitale Europea della Cultura, alla rete di città europee Eurocities e ai relativi progetti comunitari (Cascades, Mixities, Pepesec, Smart City solo per citarne alcuni), ai Caffè Europei con gli eurodeputati che riportano sul territorio le attività del Parlamento europeo, al Festival Musicale del Mediterraneo, al Suq, e a molte altre iniziative che vedono la nostra città come crocevia politico e culturale tra i paesi del Nord Africa e del Sud Europa. Rileggere il programma con uno sguardo cosmopolita può aiutarci a collocare i problemi della nostra città nella giusta dimensione.
    La promozione e l’uso del software libero nel Comune, nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle strutture sanitarie e negli enti amministrativi genovesi consentirebbe un notevole risparmio economico e una ricaduta occupazionale per le realtà locali che sviluppano con le piattaforme floss (free and libre open source software). Il passaggio dal software commerciale al software libero presenta dei vantaggi quali l’assenza di costo di licenza e, in riferimento al sistema operativo Linux, una maggiore sicurezza da virus e da attacchi informatici. Molte amministrazioni comunali del Trentino – per fare un esempio concreto – hanno scelto di passare dall’Office di Microsoft a Open/Libre Office con risparmi annuali di decine di migliaia di euro. Per il passaggio si sono organizzati corsi di formazione con aziende locali piuttosto che pagare licenze proprietarie a multinazionali che fatturano in altri paesi. Senza contare che, anche a livello locale, avremmo l’esempio virtuoso dell’ospedale Galliera che ha migrato da diversi anni al software libero.
    [Web: www.mfe.it www.softwareliberoliguria.org]
    (Nicola Vallinoto)