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Categoria: OLI 350
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OLI 350: URBANISTICA – Il Puc di Italia Nostra riparte dai Parchi Storici
Occorre inserire all’interno del Puc molte cose che sono state dimenticate, primi fra tutti i parchi storici, che nel progetto presentato sono mappati come semplici aree verdi. Questo uno dei commenti che Italia Nostra ha avanzato all’incontro sul Puc a Tursi, giovedi 28 giugno, presente il vice sindaco Bernini, in qualità di assessore al territorio. E in effetti la lacuna è evidente e davvero sensazionale, ma non è l’unica.
Andrea Bignone, che espone le osservazioni al Puc con la preparazione di chi riesce a far immaginare le slide che si rifiutano di uscire dal suo computer (come si vedrà nel video), parla di tanti altri particolari, di edifici storici spariti dall’ultima versione, della Valletta Carbonara che diventa un parcheggio, della torre saracena di Sampierdarena scomparsa in mezzo alle case che hanno distrutto il suo centro storico, e tante altre ferite inflitte a Genova da una gestione superficiale dell’argomento.Bignone si ribella alla direzione che il Puc pretende di far prendere a Genova, una città multicentrica con tanti centri storici, dimenticati a vantaggio dell’unico riconosciuto come tale, quello del porto antico. La confusione che viene fatta nei termini “viabilità” e “mobilità” disegna una città fatta di auto e arterie di scorrimento veloce, di cittadini indaffarati tra semafori e doppie corsie che si muovono da casa a un centro commerciale, ad un centro divertimenti, ad un giardino di plastica sovrastante un posteggio, con alberi “finti” che non avranno modo di crescere nella poca terra che sarà loro destinata. E tanti distretti di trasformazione che sono sinonimo di ulteriori centri commerciali con nuove edificazioni. Nessuna attenzione alle vie ciclabili, un’idea di città antiquata e per niente in linea con i nuovi sentieri dell’urbanistica partecipata.Alessandro Ravera, esperto urbanista indipendente legato al Movimento 5 Stelle, fa invece un’analisi sulla popolazione, per dimostrare che la presenza del Comune ha creato danni ingenti in quei quartieri dove gli interventi come Fiumara hanno di fatto svuotato Sampierdarena della sua natura di microcittà indipendente, facendolo diventare una “downtown” da periferia americana, per effetto della caduta a precipizio dei valori immobiliari a causa delle nuove edificazioni accanto al centro commerciale.Altri interventi completano il quadro della sostanziale sconfitta della sfida lanciata da Marta Vincenzi alcuni anni fa, con la costituzione dello staff di Urban Lab. Scherzando con il Prof. Diego Moreno dell’Università di Genova, intervenuto ricordando che Genova è prima di tutto una città rurale, agricola, e solo dopo marinara, faccio notare che “da una barca in mezzo al mare non avremmo certo potuto attenderci che a Genova si parlasse di verde e di agricoltura”. Ride, ci salutiamo, finisce la conferenza. E si spera anche questo Puc.(Stefano De Pietro – disegno di Guido Rosato) -
OLI 350: EUROPEI – Vince la Spagna, il calcio italiano deve cambiare
Nessuno dei molti esperti e giornalisti sportivi di calcio aveva previsto che la nazionale italiana sarebbe arrivata alla finale degli europei, seconda in una competizione alla quale hanno partecipato 53 nazionali europee. Ora invece, dopo la sconfitta contro la Spagna, è facile criticare le scelte finali del commissario tecnico Prandelli. Il motivo principale della sconfitta, a mio parere, è quello di non aver avuto il coraggio di non fare giocare quei giocatori che avevano già dato tutto e che erano così stanchi ed acciaccati da non poter più giocare. Immaginate se fossimo partiti con Ogbonna, Maggio, Nocerino e Diamanti (Di Natale o Borini) fin dall’inizio. L’unico che era in grado di correre fino all’ultimo era Balotelli. Super Mario, ci ha fatto sognare, riuscendo a finalizzare il bel gioco di squadra, segnando due splendidi gol contro la Germania. Super Mario Balotelli è risultato essere insieme all’inesauribile Pirlo il migliore calciatore della nazionale. Dopo la sconfitta nella finale Prandelli ha detto: “Siamo un paese vecchio, abbiamo metodi e mentalità vecchie, dobbiamo cambiare”. Dopo i goal di Balotelli contro la Germania si è improvvisamente parlato di calcio multietnico, i commentatori sportivi più bravi (ad esempio Mario Sconcerti su Sky) dicevano che se non abbiamo molti Balotteli nella nostra nazionale è soltanto perché la Germania ha accolto gli immigrati almeno quarant’anni prima dell’Italia. Che dobbiamo solo aspettare ed avremmo anche noi, come i tedeschi, i nostri vari Ozil, Khedira, Boateng, Klose e Podoski, giocatori tedeschi di origine turca, araba, africana e polacca. In verità, ci sono altri motivi. In particolare è che la legge tedesca permette ai figli degli immigrati di diventare cittadini tedeschi con pari diritti ed opportunità anche nell’accesso al gioco del calcio. Da noi la legge non c’è. Inoltre come scrive il docente universitario Mauro Valeri le norme di gran parte delle federazioni sportive italiane “sono concepite per impedire o comunque rendere particolarmente difficile la carriera agonistica per uno straniero e per i suoi figli, pur se nati e cresciuti in Italia”. “Si tratta di una discriminazione a tutti gli effetti – dice Valeri – e gran parte delle federazioni non solo non hanno provato a cambiare la situazione, ma hanno inteso la tutela dei vivai come la tutela dei soli italiani, e non di tutti coloro che sono presenti nei vivai”. Istituzioni dello Stato hanno mostrato molta simpatia per la nazionale di calcio durante questi europei, c’è stata la presenza del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio alla prima ed all’ultima partita; ci sono stati lo scambio di lettere e gli elogi reciproci. Ora Napolitano, Monti, Prandelli, Balotelli e Pirlo, potrebbero fare un appello per una rapida approvazione della proposta di legge di iniziativa popolare che dà la cittadinanza ai figli degli immigrati. Sarebbe un ottimo epilogo della bella avventura europea della nazionale di calcio.
(Saleh Zaghloul – fotografia di Giovanna Profumo) -
OLI 350: CULTURA – TERRA DI FATE
Quasi sulla vetta della Collina di Castello, dove venticinque secoli fa nacque Genova, nel medioevo la famiglia Embriaci eresse torri e case fortificate, trasformate a metà Quattrocento nel monastero di Santa Maria delle Grazie la Nuova, ridotto nell’Ottocento a usi civili, tra cui un teatro nella chiesa preziosa di affreschi barocchi, la quale oggi – ben restaurata dopo decenni di degrado – ospita la cosiddetta “Casa Paganini”, sede di InfoMus, centro di ricerca internazionale di incontro tra ricerca scientifica e tecnologica e ricerca e produzione artistica e culturale, a cui partecipano l’Ateneo genovese, Regione Liguria, Provincia e Comune di Genova.
Il 15 giugno scorso vi è stata presentata TERRA DI FATE, un’affascinante creazione di Attilio Caffarena – regista, attore, studioso che da diversi anni svolge intensa attività nel campo del teatro, delle arti visive e della performance, in riferimento e in contatto con alcuni tra i massimi rappresentanti del teatro contemporaneo, quali Jerzy Grotowski, Heiner Müller, Robert Wilson, Gerhard Bohner – prodotta nell’ambito della 18ª edizione del Festival Internazionale di Poesia.
TERRA DI FATE si basa su una poesia di Edgar Allan Poe, Fayryland, del 1829, bruciata dal primo editore al quale fu sottoposta in quanto giudicata un nonsenso, poi pubblicata sulla Yankee and Boston Literary Gazette e definita uno “squisito nonsenso” che evidenziava la capacità di Poe di creare un linguaggio e una dimensione poetica di altissimo livello.
La rappresentazione è stata la prima fase di PROJECTPOE, un più ampio progetto dello stesso Caffarena sulla sinergia tra forme espressive e linguaggi differenti. L’opera di Poe è parsa territorio adatto per una ricerca che si propone di integrare in un evento performativo linguaggi diversi, in quanto è stata spesso punto di riferimento in molteplici ambiti, da quello della letteratura a quello delle arti visive, alla musica, al cinema.
La realizzazione di TERRA DI FATE ha avuto alla base una sperimentazione che ha integrato musica, teatro, arti visive, con un’analisi del coivolgimento del pubblico verso una dimensione scenica aperta a prospettive e paradigmi che non sono quelli consueti. La scelta del testo poetico di Poe per una sperimentazione performativa nei termini indicati è motivata non solo dal fatto che esso si configura come struttura ritmica e sonora, ma anche che vi si rileva una semantica del vedere e dell’ascolto nello spazio e nel tempo, in senso fisico.
Il risultato per gli spettatori è di un notevole, spiazzante coinvolgimento emotivo, di raffinata intensità.
Il testo viene letto da un performer, inizialmente nel modo in cui, consuetamente, un attore leggerebbe una poesia di fronte a un pubblico che ascolta. Poi, in modo inatteso, questa situazione inizia a trasformarsi: il testo letto dal vivo viene fatto reagire con interventi elaborati in tempo reale la cui natura può essere percepita dal pubblico in maniera a volte anche ambigua o misteriosa, il testo poetico progressivamente esplode, si dissolve in diversi piani e livelli espressivi. L’azione del performer entra in relazione con gli altri elementi, testuali, visivi e sonori, permettendo a chi assiste di partecipare all’evento creativo nel tempo reale di un percepire attivo, all’interno di un dispositivo d’interpretazione aperto su diversi piani. Non ci si trova quindi semplicemente davanti alla rappresentazione scenica di un testo poetico, ma questo si evolve in immagine, a una figura si sovrappone il linguaggio delle parole e della musica. La poesia di Edgar Allan Poe può essere percepita come fatto visivo, figura/paesaggio di parole. Il testo scritto entra quindi a far parte di un’unità definita attraverso una poetica che fa nascere la tensione espressiva dalle relazioni tra elementi diversi: immagini, suono, oggetti e persone, acquistando una nuova valenza drammaturgica, scenica e visiva.
Ci si augura ora che TERRA DI FATE – prodotto e realizzato grazie alla sinergia creatasi tra realtà di rilevanza internazionale presenti sul territorio quali il Festival Internazionale di Poesia e Casa Paganini-InfoMus di Genova – possa essere riproposto in altre sedi e occasioni, consentendo il godimento di questa inusuale esperienza a un maggior numero di persone rispetto a quelle – peraltro non poche – che ebbero la fortuna di assistervi.TERRA DI FATE è stato realizzato con il progetto drammaturgico e la regia di Attilio Caffarena; il progetto visivo e scenografico sono di Riccardo Dapelo e Attilio Caffarena, il progetto sonoro di Giacomo Lepri e Riccardo Dapelo. Il lavoro del performer è stato affidato ad Andrea Nicolini, l’elaborazione Live Audio a Giacomo Lepri e quella Live Video a Riccardo Dapelo.
Gianfranco Pangrazio ne ha realizzato una documentazione video.
(Ferdinando Bonora – foto di Giorgio Tagliafico) -
OLI 350: SOCIETA’ – Cartolina dalle Fiandre
La partita è rigorosamente al pub fra amici-colleghi belgi, tedeschi, inglesi, italiani, davanti a una birra, fieri di una Nazionale di calcio, che ridà l’orgoglio di appartenenza, con il timore della sconfitta, la speranza segreta della vittoria. La telecronaca è in una lingua gutturale, quasi cacofonica e si sta assiepati, spiando i vicini di bancone.
Esulteranno per gli errori dell’Italia o applaudiranno comunque il bel gioco?
Sono lì in attesa trepidi, i ragazzi migranti dall’Italia, laurea in tasca e una punta di nostalgia per le pizzate durante le partite di calcio in tv, quando facevano l’università. Ora sono lontani, in giro per l’Europa, non quella del club Med, ma quella del Nord, che li cerca, li recluta, li paga generosamente.
Mentre qui l’Istat sforna le sue statistiche sempre più desolanti sull’occupazione, un giovane su tre senza lavoro, il 36 per cento dei ragazzi disoccupati, il dato più dato di sempre, come recitano i tg, in qualche parte del vecchio continente c’è ancora posto per la nostra gioventù.
Così a Genova si disquisisce da anni sugli Erzelli, solo mattone o altro, andrà o no Ingegneria, ma il Piano scientifico qual è: una favola meravigliosa di cittadella tecnologica come l’isola che non c’è e forse mai ci sarà.Intanto la terra di Rubens e della sua pittura cupa, chissà perché, forse dipingeva soltanto d’inverno e ignorava volutamente quei cieli azzurri, luminosi, lo smeraldo dei suoi boschi e la lavanda tanto violetta da sembrare finta, ecco, questa terra accoglie e coccola con garbo i talenti venuti da lontano.
Nel verde del parco le palazzine del campus, camerate o piccoli appartamenti, ben attrezzati, internet compreso. A disposizione la club house con terrazza vista lago e impianti sportivi: campi da tennis, calcio, beach volley, palestra e campetto al chiuso. Lungo il canale e nel parco piste ciclabili, che conducono ai laghetti, uno dalla spiaggetta in fine sabbia bianca e l’altro, quasi un chilometro di diametro, ospita le barche a vela.
Chiunque lavora nel Centro di Ricerche può accedere a tutto ciò, biciclette incluse, si organizzano regate, gare di atletica, tornei e i bambini hanno la european school.
Proprio come in Italia, come per l’IIT (Istituto italiano di tecnologia) di Genova, collocato a Morego, in un palazzone in cima ad una landa desolata con intorno un po’ di spazio di strada sbertucciato per posteggiare..
“Un modello per il rilancio del Paese, che interagisce e funziona con l’Università, un grande inseminatore e integratore della ricerca italiana”: così i tre ministri dell’Istruzione, dell’Economia, dello Sviluppo, in visita il 23 aprile di quest’anno.
E pensare che magari lo si sarebbe potuto collocare in uno splendido campus negli spazi dell’ex ospedale di Quarto, ospitando degnamente le centinaia di ricercatori di tutto il mondo che vi lavorano, un attrattore per venire ad abitare a Genova, per far rivivere questa città comunque bella, nonostante l’arida lungimiranza dei suoi Amministratori.
Persino Angela Merkel si è fatta fotografare accanto ad un robottino dell’IIT
(Bianca Vergati – foto dell’autrice) -
OLI 350: LAVORO – La riforma Fornero è legge, migliorano le regole per i migranti
Dalla settimana scorsa la riforma del lavoro è diventata legge dello Stato. E’ una legge certamente migliorabile: occorre lavorare ancora per un contrasto più efficace alla precarietà del lavoro, per un regime universale di ammortizzatori sociali e per la certezza della tutela contro i licenziamenti illegittimi, ma la sua approvazione rappresenta una grande conquista per i cittadini immigrati: non perderanno più il permesso di soggiorno sei mesi dopo aver perso il lavoro. A causa di una norma irrazionale e dannosa che condizionava il rinnovo del documento di soggiorno al possesso di un contratto di lavoro, accadeva che, annualmente, centinaia di migliaia di immigrati regolarmente soggiornanti (anche da vent’anni) non riuscissero a rinnovare i loro permessi di soggiorno. Venivano cacciati nella clandestinità, costretti a lavorare in nero con gravi danni all’economia del Paese già a corto di risorse e già fortemente colpito dall’evasione fiscale e venivano vanificati, con molta superficialità, percorsi di integrazione faticosamente intrapresi. Ora, questa norma non esiste più, è stata modificata dalla riforma Fornero, e il disoccupato immigrato avrà diritto alle stesse prestazioni di sostegno al reddito cui ha diritto il disoccupato italiano; nel frattempo la regolarità del suo soggiorno è garantita, comunque per un periodo non inferiore a dodici mesi. Inoltre, al termine di tale periodo, è prevista la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno anche in assenza di contratto di lavoro, a condizione che il cittadino immigrato dimostri la disponibilità di un reddito sufficiente proveniente da fonte lecita. Il grave danno all’integrazione ed all’economia del paese era noto, da quindici anni, ai vari governi politici di centro destra e centro sinistra ma essi non sono stati capaci di rimuoverlo. Al governo tecnico sono bastati sette mesi. Per sfortuna prima o poi torneranno a governare i politici.
(Saleh Zaghloul – disegno di Guido Rosato) -
OLI 350: CITTA’ – Maddalena la bella
Nel cuore del cuore di Genova si estende la zona della Maddalena, ricchissima di motivi d’interesse storico, ambientale, urbanistico, architettonico, artistico, alla pari del resto della città antica, ma da tempo in condizioni di grave sofferenza.
Da un lato la crisi e la chiusura di esercizi commerciali, gallerie d’arte e altri luoghi d’incontro, sovente conseguenza di richieste d’affitto esorbitanti da parte di proprietari più sensibili al proprio portafoglio che all’interesse collettivo, dall’altro la presenza di malavita più o meno organizzata legata soprattutto a una diffusa prostituzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti, non riescono però ad aver la meglio sulla volontà degli abitanti – sia d’antica data, sia recenti – di resistere e continuare a risiedervi, godendone il fascino che vi si respira.
Da alcuni anni la civica amministrazione, d’intesa con soggetti pubblici e privati e con la partecipazione attiva della popolazione, sta promuovendo una serie di iniziative concrete col Patto per lo sviluppo della Maddalena, che vede facilitazioni per l’apertura di nuove botteghe e attività (tra cui In sciä stradda, “Per la strada”, che vende prodotti di Libera e della comunità di don Gallo in locali confiscati a un condannato), il cantiere per la costruzione di un asilo nido al posto di spazi mal frequentati, la realizzazione di laboratori sociali a disposizione di tutti, interventi di ripavimentazione stradale, arredo e segnaletica, organizzazione di eventi, studio di percorsi di visita e di occasioni di conoscenza rivolti in primo luogo ai genovesi, la maggior parte dei quali ignorano la straordinarietà del patrimonio presente in quest’area tagliata fuori dai grandi flussi di traffico pedonale che la circondano.
Sabato 16 giugno s’è inaugurata la mostra Maddalena la bella, costituita da foto attuali di Giorgio Bergami, ingigantite su teli appesi per tutto il quartiere. Partendo dalla Loggia di Banchi – dov’è in corso fino a tutto luglio Emozioni dal Centro storico, un’altra mostra di immagini dell’intera città antica scattate nei decenni scorsi dallo stesso fotografo, integrata dalla proiezione del suo filmato Genova alla finestra, del 1977, vincitore del Premio Qualità – si è passeggiato per i vicoli e le piazzette alla loro scoperta, alternando spiegazioni e narrazioni con le esibizioni della squadra de I Raccogeiti, provenienti da vari gruppi di Trallallero, la forma di canto polifonico esclusivamente maschile (ma da un po’ di tempo con qualche eccezione) tipica del Genovesato, con i canterini rigorosamente in cerchio.
Il giro si è concluso nel laboratorio di una coppia di giovani falegnami, all’angolo tra via delle Vigne e vico Lepre, che da poco hanno scelto di investire nella zona – grazie anche alle facilitazioni disponibili – e che hanno offerto un rinfresco a tutti i partecipanti, esponendo anche scorci di altre botteghe nei dintorni, opera dello stesso Bergami che instancabile continuava intanto a fotografare l’intera manifestazione.
(Ferdinando Bonora – foto di Giorgio Bergami e Maria Deidda)







