Categoria: OLI 318

  • OLI 332: LAVORO – Omsa, e l’eleganza delle operaie

    Il 19 febbraio “Presa Diretta” su Rai3, aveva per titolo “Recessione”, ed era dedicata alle strategie aziendali di fuga dall’Italia, per realizzare maggiori profitti all’estero. Tra i casi quello della Golden Lady Company, proprietaria dell’Omsa di Faenza, che tutt’ora sbandiera l’italianità del marchio: “Omsa, marchio storico nel settore della calzetteria Italiana”, magnificando le proprie campagne pubblicitarie, che dallo storico “Omsa, che gambe!” ad oggi, sono sempre state “ispirate alla raffinatezza e all’eleganza”.
    Da molto tempo però la vera eleganza è quella delle sue operaie, trasformate in attrici da Living Theatre per denunciare la loro condizione, così rappresentativa della devastazione che l’economia globale porta nei paesi che non hanno strategie economiche ed industriali da contrapporre. Dal 2010 sono in cassa integrazione senza prospettiva, perché l’azienda, tutt’altro che in crisi, si è “delocalizzata” in Serbia, dove gli stipendi vanno dai 200 ai 250 euro al mese, e le operaie vengono scelte tra le donne sole, separate, con figli a carico, e quindi nella impossibilità di sottrarsi al ricatto di un lavoro sottopagato, anche rispetto alla media di quel paese.

    Noi le avevamo viste a Genova in occasione del convegno “Punto G, genere e globalizzazione” (vedi Oli 325), emozionandoci a quella rappresentazione, scandita dal ritmo di un fischietto, che terminava nella “esecuzione”, una per una, di quelle vite di lavoro. Sei mesi dopo, il 27 dicembre, come da previsioni, sono tutte poste “in mobilità” verso il nulla. Ora c’è una trattativa, e un primo risultato strappato dal sindacato: il proprietario della Golden Lady chiederà la prosecuzione della cassa integrazione “in deroga”, per “superare la procedure di mobilità” e dare una prospettiva ai “negoziati con alcuni investitori per l’acquisizione dello stabilimento di Faenza”. Prossimo incontro domani 22 febbraio: speriamo.
    Intanto, nei giorni scorsi, aveva preso vita un vivace dibattito tra le donne della rete “blogfemministi” (vedi Oli 318 ) a proposito della campagna “Boicotta Omsa”, a sostegno delle lavoratrici. E’ Lorella Zanardo (*) a sollevare dei dubbi: “La situazione è complessa e un boicottaggio portato avanti con successo può avere come risultato anche la volontà di spostare la produzione ancora più rapidamente … il mercato è globale. E’ giusto chiedere all’imprenditore di non licenziare ma non credo basterà”.
    In alternativa propone il messaggio in “Ti compro se non licenzi”, mirato ad un patto con l’imprenditore: “se la produzione non viene spostata, ci impegniamo in una campagna di promozione del marchio”.
    In rete corrono i pareri: “Tra gli imprenditori c’è anche brava gente, che non ce la fa materialmente più, con il costo del lavoro esistente in Italia, a mandare avanti un’azienda”; “Noi non possiamo sostituirci ai sindacati o alle stesse donne che stanno contrattando da anni per andare a interloquire con il padrone della fabbrica”; “Credo che la vera risposta sia un’organizzazione di lavoratori internazionale che si coordini e faccia richieste all’unisono”.

    Le donne in rete cercano strategie, ma la realtà oppone una durezza che non favorisce le speranze. In quel territorio non è solo l’Omsa a chiudere, tutti i calzifici sono stati chiusi, delocalizzati. Persi più di 1000 posti di lavoro, e altro non c’è. Tutto intorno è un deserto. Da un lato la politica del governo serbo, che attira gli industriali italiani con incentivi che azzerano per tre anni il già bassissimo costo del lavoro, dall’altra l’assenza di qualunque politica industriale italiana.

    (*) Sul sito di Lorella Zanardo la sua posizione sul caso Omsa, e il video della performance delle operaie Omsa
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice)


  • OLI 318: VERSANTE LIGURE – SCRIPTA MANENT

    In testa mi bolliva
    un magma di pensieri
    fra sogni con la bava
    e assurdi desideri
    un po’ quella dell’uva
    un po’ furori veri:
    trascritto ho questa lava
    poi, all’Europa, ieri
    spedito ho la missiva
    (lo fanno, i Cavalieri).

    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA

    .

  • OLI 318: CITTA’ – Immigrati e casa, come passare dal sogno all’incubo

    Disegno di Guido Rosato

    Il Dossier Statistico Immigrazione, 21° rapporto della “Caritas Migrantes”, è stato presentato a Genova lo scorso Giovedì 27 ottobre.
    Sulla stampa cittadina ha trovato spazio soprattutto il tema degli effetti della crisi su occupazione e rimesse degli immigrati.
    Ora, proprio a proposito di conseguenze della crisi, nelle 500 pagine del rapporto c’è un capitolo (“Crisi economica e condizione abitativa degli immigrati in Italia”) che meriterebbe di trovare largo spazio nella discussione sulla città, in questa epoca di bilanci, progetti e PUC, alla vigilia di un appuntamento elettorale.
    Ne cito alcuni frammenti:
    “Negli ultimi anni gli immigrati sono stati una quota sempre più incisiva e vitale della domanda abitativa … sia nel mercato delle locazioni sia in quello delle compravendite”, ma: “Dobbiamo segnalare un’assenza di strumenti di welfare abitativo … oltre all’inefficacia delle politiche sociali della casa attuate in ambito nazionale e locale”.
    Gli immigrati, osserva il rapporto, sono discriminati nell’accesso ad un mercato degli affitti fortemente subalterno a quello della compravendita. In Italia “l’offerta di case in locazione è scarsa, e quella a canoni accessibili e a canoni sociali è estremamente ridotta”. La quota di case in affitto in Italia, pari al 18,8 % delle abitazioni totali “è nettamente inferiore a quella degli altri Paesi europei: Germania 57,3%; Olanda 47,3%; Francia 40,7%”.
    La quota di edilizia sociale da noi è pari al 4,5% sul totale delle abitazioni, undicesima posizione in Europa.
    In questa situazione molti immigrati hanno giocato la carta dell’acquisto, con mutui totali. Ma già dal 2008, a causa del cambiamento di strategia dei prestiti bancari, questo spiraglio si è chiuso, e gli acquisti da parte di immigrati sono scesi dal 16,7% sul totale delle compravendite nel 2007, all’8,7% nel 2010. Non solo, ma molti tra coloro che avevano tentato questa strada, si sono presto trovati nella impossibilità di pagare i mutui, per cui “Il sogno di integrazione legato all’acquisto della casa di proprietà diviene in breve tempo l’incubo dell’insolvenza”.
    Non trascurabile, in questo quadro, lo stretto rapporto dimostrato dal rapporto Caritas tra tasso di delittuosità e impossibilità di accedere a una casa.
    In Italia abbiamo quattro milioni di case sfitte, una lista di attesa per l’edilizia popolare di 650mila alloggi, e il paradosso per cui mentre “non rallentano le nuove edificazioni”, non aumenta affatto “L’offerta alloggiativa per le fasce deboli della popolazione”.
    L’assurdo di una “epocale” ondata migratoria che si andava compiendo in assenza di una politica abitativa fu inutilmente sollevato in tutta Italia dall’associazionismo dai primi anni ’90, ed è questo il tema su cui nacque a Genova l’esperienza del Forum Antirazzista.
    Nei prossimi giorni Genova ospiterà “L’assemblea annuale di Eurocities” che ha come slogan: “Planning for people”, progettare per la gente.
    Venerdì si svolgerà un dibattito sul tema: “Trasformazione urbana – impatto sulla coesione sociale e sull’immigrazione in una prospettiva mediterranea”.
    Ne verranno fuori delle idee? Per saperlo si può seguire l’assemblea di Eurocities in streaming sul sito http://www.liveurocities2011.eu/
    Queste idee si trasformeranno in politica?
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 318: AMBIENTE – Salviamo le CinqueTerre

    Nicolae, 37 anni, falegname; Marian, 31 anni, muratore; Rita, 60 anni, insegnante. E poi Paola con il padre Aldo, Dante con sua moglie Adriana e Sandro, papà di un bimbo di otto anni, volontario della Protezione civile, visto per l’ultima volta mentre cercava di aprire i tombini, un momento prima della piena, dopo aver messo in salvo alcuni turisti. Non sarà più in prima linea per un incendio, per una frana, per la mareggiata.
    Ora il presidente Napolitano lo ha insignito della medaglia d’oro
    Non dimentichiamoli. E non dimentichiamo quel fango che arriva sino al primo piano delle case, che si è portato via un mondo incantato, le stazioncine piene di turisti che sciamavano per i vicoli, entravano a frotte nel panificio per la focaccia, curiosando tra i souvenir.

    Quell’esplosione di colori delle facciate delle case che sembrava si tuffassero in mare: volevano forse ritrovarlo nella grezza piastrellina di ceramica, che finivano per portare a casa.
    Non era un turismo di lusso quello delle Cinque Terre, anche se alcuni ristoranti e locande di pregio vi lavoravano bene, era una coesistenza pacifica tra pesce del golfo e pane burro e acciughe, tra danarosi sandali – calzini e zainati giramondo, tutti con un solo grande amore: le Cinque Terre. Vecchi e giovani.
    Li vedevi inerpicarsi per sentieri, affacciarsi tra le vigne, provare il brivido di quelle onde là in fondo, che schiumano placide e poi quasi di corsa percorrere la strada principale del paese per arrivare alla spiaggetta, spogliarsi in fretta e tuffarsi o almeno bagnarsi i piedi anche se era inverno. Bastava un po’ di sole, il paesaggio faceva la sua parte.
    Ora sembra scomparso tutto ciò ma noi non vogliamo crederlo, i ragazzi che sono lì a spalare non lo credono e diciamo loro grazie, pagheremo volentieri tasse in più, non faremo come lo stravagante scrittore del giornale cittadino, che rifiuta il suo contributo perché il troppo turismo avrebbe distrutto quei luoghi.
    Forse l’artista, ha brama di riservatezza o è soltanto spocchia di esclusività.

    Qui c’era un turismo rispettoso e le Cinque Terre uno dei siti più curati in Italia, certo non immune a vogliosi appetiti di cementificazione, finora repressi. Vi lavoravano tanti ragazzi all’accoglienza, alle stazioni, nei bar e ristoranti. Come in tutti i paesi della Liguria scorrono rii e torrenti talvolta imbrigliati sotto le strade del paese e probabilmente a Monterosso si è costruito un parcheggio di troppo, accusa pure Legambiente (Repubblica, 31 ottobre). Da ricordare quello di Fontanavecchia alle spalle della stazione di Vernazza, (Secolo XIX, 28 ottobre) o il villaggio Europa fra Corniglia e Vernazza, vecchi bungalow da ristrutturare e fermati a metà dalla magistratura, o ancora la collina di Pianca, scavata per fare posto a una scuola che non ha mai visto la luce, tra Riomaggiore e Vernazza, liberando così spazi appetibili nel paese.
    Ma il punto è un altro: lavorare la terra non conviene più, lo stato dimentica il suo territorio, aiuta pochissimo chi lo preserverebbe. Incentivi e credito solo per grandi aziende e i microagricoltori si arrendono. Tanti muretti a secco si reggono a stento, il bosco avanza, le vigne incolte rendono la natura fragile. Chi vendemmia, lo fa spesso per passione e ostinazione, porta l’uva alla cantina sociale, che almeno te la paga.
    Poche in giro le bottiglie di vero sciacchetrà, intanto sono sotto il fango i luoghi dove lo gustavi, speriamo davvero di ritrovarli di nuovo, insieme ai viaggiatori globetrotter.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 318: FINCANTIERI – Sestri Ponente tra passato, presente e Renzi

    Davanti ai cancelli, oltre ai volti di molti operai italiani, anche quelli degli immigrati.
    Si scostano appena vedendo la macchina fotografica. Come a lasciar spazio all’inquadratura che sembra mirare allo striscione dietro di loro. Landini asseconda paziente il rituale della stampa, mentre i cartelli – NON CHIUDETE SESTRI PONENTE – sono la colonna visiva della manifestazione.
    Sestri Ponente il 27 ottobre fa quadrato attorno ai suoi cantieri e chiude. Chiude l’edicola e Bagnara, chiudono i bar, e il negozio che vende borse di Braccialini e nel corteo che conduce a Piazza Baracca la serrata è totale. Una serrata che abbraccia tutti coloro che in Fincantieri a Sestri Ponente lavorano.
    A vederle a distanza di pochi giorni, le immagini della manifestazione di Fincantieri, viene in mente Matteo Renzi che a Firenze, insieme a molti altri del PD e dintorni, hanno parlato di assenza di “dinamismo” nel mondo del lavoro. Nella scenografia dove si è svolta l’iniziativa del sindaco di Firenze un frigorifero, un tavolo con un cesto di frutta, ad incarnare che di politica si può tornare a parlare anche nelle case. C’era anche Baricco a nobilitare l’evento.
    A Sestri Ponenti di politica e futuro del lavoro si parla in piazza. E non c’è frigorifero, ma il caldo dei presenti che invocano un pezzo di nave a dar lavoro ai molti che rimarranno senza. E non c’è cesto di frutta, ma l’incontro di Fincantieri con le altre aziende.
    In anni di berlusconismo e di silenzio dell’opposizione non è la prima volta che in questo accade in Italia. E Renzi, che non è veltronianio, ma appare arrivato da Marte, sembra sia lui solo con la sua gente a chiedere un cambiamento della sinistra.
    Ma non è una richiesta nuova. Si tratta invece della pretesa ostinata e contraria di chi ha fatto politica in questi anni e l’ha fatta partendo dalle piazze, dai nodi della globalizzazione e della pace, dall’assenza di lavoro e dalla richiesta del riconoscimento di diritti per tutti. In questi anni si sono presidiate sanità, scuola, lavoro, immigrazione, costituzione. La strada, partita da Genova nel 2001, è costellata da migliaia di facce note e anonime che, inutilmente, hanno invocato il cambiamento.
    Sestri Ponente e la Fincantieri tutta, Fiat, l’isola dei Cassinitegrati, Termini Imerese, le operaie della Omsa, le manifestazioni dei precari, degli immigrati, degli studenti, della scuola, sono il passato e il presente di questa domanda. Domanda alla quale Renzi, negli ultimi dieci anni non ha dato contributo rilevante. Esattamente come i dirigenti del suo partito, quelli che lui vorrebbe rottamare.
    Nessuna differenza tra lui e gli altri. Solo la scenografia e la scelta delle canzoni e una certa furbizia che con l’età ingrigisce o viene meno.

    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 318: DONNE – A Torino per il Feminist Blog Camp

    Sono giovani. Giovanissime. Una di loro, sedici anni, è arrivata da Roma. Altre dalla Sicilia, Sardegna, Pisa, Bologna ed anche da Berlino. Si dividono i turni dei pasti e invitano chi è presente a lavarsi piatti, forchette e bicchieri stando attente a non intasare con gli avanzi lo scarico del lavandino.
    Il sole bianco torinese scivola sulla grande sala dove sedie e lunghi tavoli sono circondati da muri dai toni gialli e azzurri, manifesti e striscioni. E’ l’ambiente più luminoso di questa antica palazzina a Torino, sede del Centro Sociale Occupato Autogestito Askatuasuna che ospita dal 28 al 30 ottobre il Feminist Blog Camp .
    Tre giorni intensi con spettacoli, incontri, workshop, seminari caratterizzati dalla volontà di riflettere e comunicare idee e informazioni sulla cultura sessista che prescrive a uomini e donne ruoli imposti da altri. Il web diventa così risorsa, luogo reale dove l’azione delle blogger può emergere, senza essere soffocata dalla rete.
    Sono consapevoli da anni che i server possono essere traditori ed invitano le persone presenti a cliccare su google il sostantivo donna e vedere cosa accade. Da qui la necessità di rendere proprio le donne capaci nel ICT (Information and Communication Technologies), nella ideazione e nella gestione di software. Segnalano un dominio maschile, una visione distorta del femminile legata ad un’immagine della donna incentrata su corpo e sesso.
    Sanno che un altro mondo esiste e gli offrono spazio in un server autogestito www.women.it, sul quale lavorano da anni. Una mappa di idee, indirizzi, siti, proposte, video con una sezione cercatrice  che alla parola donna e a molte altre parole offre una serie di nessi costruttivi, seri e di riflessione.
    Vogliono un web diverso, coscienti che è da lì che bisogna partire, smascherandone trappole e utilizzandone risorse.
    Traducono libri e, durante il pranzo, parlano della sindrome di PAS (Parental Alienation Syndrome) – patologia inventata ad hoc negli USA per criminalizzare le madri, nelle cause di separazione.
    La locandina dell’evento riproduce la sagoma di una donna che con un cavo usb doma l’universo davanti a sé. Parlando con loro non si tratta solo di una metafora, ma è l’intenzione.
    Alla politica, soprattutto se donna, l’invito a seguirle e ascoltarle. Anche solo per cogliere, oltre i contenuti, l’energia genuina, giovane e consapevole di queste donne.

    (Giovanna ProfumoFoto Paola Pierantoni)

  • OLI 318: IMMIGRAZIONE – Meglio in un campo di prigionia che in un CIE?

    Può un libro che narra fatti avvenuti 60 anni fa suscitare riflessioni su fatti attuali? Può accadere, leggendo I diavoli di Zonderwater, di Carlo Annese (Sperling & Kupfer, 2010): l’autore, giornalista de La Gazzetta dello Sport, descrive il campo di Zonderwater, in Sudafrica, a 43 km da Pretoria, dove, tra il 1941 ed il 1947, vissero complessivamente 94mila prigionieri italiani. Zonderwater, un altopiano disseminato di tende che diventò, nel corso di quegli anni, una vera città, dove erano funzionanti due ospedali da 3000 posti letto gestiti da ufficiali medici italiani, 15 scuole, 22 teatri, campi da calcio, da tennis, laboratori artistici, chiese, biblioteche. Grande merito di tale trasformazione ebbe il comandante del campo, il colonnello Hendrik Fredrik Prinsloo: volle che “uomini costretti all’esilio in una terra lontana lavorassero, pensassero, studiassero, giocassero, per non farsi sopraffare dalla propria condizione”. Consola leggere in queste pagine come sia stato possibile conciliare una situazione umana estrema, quale può essere la mancanza di libertà, con condizioni di vita sia materiale che spirituale, tollerabili, al punto che non mancò chi, al termine della guerra, scelse di rimanere in Sudafrica, come Gregorio Fiasconaro, cantante lirico, padre di Marcello, atleta primatista mondiale negli anni ’70.
    La dignità umana, questa la condizione che a Zonderwater fu mantenuta: venendo all’oggi, come non confrontare le condizioni offerte dall’Italia a richiedenti asilo e migranti? Come non fare un parallelo con i nostri simpatici Centri di Identificazione ed Espulsione, dove già il nome equivale ad un programma? In Italia, secondo il rapporto annuale 2011 di Amnesty International (*), “richiedenti asilo e migranti hanno continuato a essere privati dei loro diritti, in particolare per quanto riguarda l’accesso a una procedura di asilo equa e soddisfacente”, ma critiche al nostro paese sono venute anche dall’Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, dal Comitato europeo dei diritti sociali, dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa: proprio da quest’ultimo comitato arriva un appunto particolarmente pesante, l’assenza di una norma sulla tortura nel nostro codice penale: ciliegina (*) su una torta di cui possiamo essere grati ai nostri “padani”, da non confondere con la generalità dei civilissimi abitanti della pianura Padana.
    (Ivo Ruello)

    (*) http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=46728

  • OLI 318: PAROLE DEGLI OCCHI – Bambini bene educati

    Foto di Giorgio Bergami ©

    Una mamma a spasso con i figli: il più piccolo in carrozzina; gli altri due dietro a imitarla, spingendo ciascuno un minuscolo passeggino. Anche il maschietto apprende giocando che pure un uomo può occuparsi con la massima naturalezza dell’accudimento dei piccoli, senza prefissate distinzioni di ruoli legate al genere, come troppo spesso ancora accade.