Lunedi: come si sa, giorno dell’ottimismo e delle buone intenzioni. Poiché non fumo e non sono sovrappeso, non mi resta che ripromettermi di affrontare l’impegno di una prenotazione al Cup.Intanto ho già fatto una telefonata per scoprire che l’esame che devo fare non è prenotabile per telefono e un’altra per chiedere a un istituto privato il prezzo da pagare per intero: 350 euro superano il mio budget mensile. E anche una inutile corsa all’ufficio Asl che nel frattempo scopro che si è spostato in un’altra sede, con orario solo mattutino. Stamattina alle 8,10 mi presento alla nuova sede.Un atrio di ingresso di appena 10 metri quadrati chiamato “ufficio prenotazioni”, qualche sedia sparsa in bel disordine sul passaggio, un cartello che avvisa dello sciopero di domani che accolgono i soliti pensionati in attesa del turno, già una decina. Il distributore di numeri nuovo di zecca (come tutto il resto) è già restio a distribuire, e mi assegno automaticamente l’epiteto di “ultima della fila”.Una signora si accorge che a lei non serve il numero, e “molto” democraticamente lo cede all’ultimo arrivato (…), che dal 14 fa un balzo in avanti all’8. Ho già un sussulto di ingiustizia.L’impiegata, barricata dietro un “paravento” improvvisato, evidentemente non avendo altro modo si alza 3 volte per chiedere alla collega della stanza di fronte informazioni utili alla prenotazione (“ma tu quando vai in ferie?”) portando con sé la borsa, casomai uno degli astanti avesse intenzione di portargliela via, di fronte a una decina di testimoni …Comincio il conto alla rovescia: se fra 15 minuti devo andare a lavorare, e in 7 minuti solo una persona è riuscita ad avere la sua prenotazione, che ci sto a fare qui? A parte il signore poco udente che continua a chiedermi quando tocca a lui, ormai sappiamo tutti qualcosa di più del fortunato arrivato ultimo e passato per primo, del tipo tipo “quando dovrà fare le analisi, quali, quanta pipì dovrà portare, che è diabetico e cosa gli ha detto il dottore”, e anche della sua signora, perchè con un numero regalato sono riusciti a passare in due, tra gli sguardi per niente rassegnati di chi era arrivato lì un’ora prima.Basta, non ce la faccio più.Non ho più tempo, non ho voglia di conoscere le malattie di altre 9 persone, e tantomeno di far conoscere le mie.Finirà come al solito che dovrò rimandare le visite mediche perché chi ha la fortuna di lavorare in proprio deve aspettare di poter prendere mezza giornata libera per pagare un ticket esoso per una prestazione che aspetterà per mesi.
(Cristina Capelli)
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OLI 311: LETTERE – Cup, lo sfacelo organizzativo della Asl 3
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OLI 301: LETTERE – La libertà di scelta resta fuori dalla porta. Della scuola.
Quando penso “mensa scolastica” la mia memoria olfattiva torna al profumo di cibo che accoglieva bimbi e genitori all’ingresso della scuola materna, odore di minestrone la mattina e budino al cioccolato all’uscita. Ora quando entri in una scuola oggi, non ti accoglie nemmeno più l’odore di disinfettante, perché se non lo portano i genitori da casa le pulizie si fanno all’acqua, senza sapone. Eppure, visti i costi, la mensa dovrebbe essere di buona qualità, anche se non è comprensibile come sia possibile che un ottimo menu biologico a Bologna costi 6,24 € a pasto e a Genova, non biologico, 6,50 €. In entrambi i casi si tratta di “pasti veicolati”, cioè prodotti e consegnati da aziende esterne, solo che a Genova sono private mentre a Bologna il comune è socio maggioritario.
Ma veniamo alla libertà. In anni di asilo nido, scuola d’infanzia e primaria ho visto il menu scolastico peggiorare in qualità e penso che a farne le spese sono migliaia di bambini ogni giorno. Ho tentato di entrare nella commissione mensa, ma di solito ci vanno genitori che sono liberi all’ora di pranzo o che per particolari esigenze devono assistere il figlio diabetico per essere sicuri che abbia l’assistenza necessaria.
Quest’anno però mio figlio mi mette con le spalle al muro: “ma perché non mi posso portare il pranzo da casa? Perché devo mangiare un pezzo di pesce congelato che viene chissà da dove, di solito pesce halibut, che come si legge anche su Wikipedia, viene pescato nel Pacifico del nord, dalla Russia al Giappone…. ma mamma saranno radioattivi!”
Figlio mio, perché hai la sfortuna di essere allergico alle porcherie che le industrie mettono nel tonno in scatola, o meglio hai la fortuna di esserlo, così non te lo mangi. E hai anche il permesso di non mangiare quel povero pezzo di pesce morto lontano, per niente, visto che non puoi sostituirlo con altro ma puoi lasciarlo nel piatto.
Però lui vorrebbe portarsi il pasto da casa, anche un pezzo di formaggio. Solo che non si può: puoi chiedere al comune un menu differente per allergie, per motivi religiosi o etici e sperare che sia disponibile: il menu o l’incaricato a compilarlo. Far da sé non è più una pratica prevista, ma non se ne comprende il motivo.
Proporrei un questionario di valutazione della qualità da far compilare ai bambini, in fondo sono loro che mangiano a scuola tutti i giorni.
(Cristina Capelli) -
OLI 293: LETTERE – Modena, pièce con sottotitoli
“Sabato sera, di una settimana pesante. A sorpresa ricevo 2 biglietti omaggio per uno spettacolo al Teatro Modena, dove quest’anno ho trascorso delle belle serate, così accetto volentieri e coinvolgo un complice ad accompagnarmi; dopo alcune considerazioni sullo spettacolo (argomento “pesante”, attore in scena con accompagnamento musicale…) scappa la considerazione dovuta alla stanchezza: mal che vada ce ne andiamo prima, o ci riposiamo, e COMUNQUE è GRATIS! parolina magica che rimette in pari i piatti della bilancia.
Mi informo comunque andando sul sito del teatro, e decido di correre il rischio: si va, consapevoli nel frattempo che probabilmente lo spettacolo avrà un unico tempo, e sfuma così la possibilità di una fuga anticipata, ché di andarsene durante non se ne parla.
Giunti sul luogo del delitto…ops dello spettacolo, mi rendo conto che dovremo rinunciare anche alla possibilità di un eventuale riposino: di accoccolarsi in una avvolgente poltrona non se ne parla, a teatro ora si sta come sulla sedia della sala d’aspetto del dottore, e che non vi venga un colpo di sonno o il giorno dopo avrete bisogno dell’osteopata!
Buio, musica.
La prima frase recitata e penso:”non sarà mica tutto così?”
E invece. La mente torna alla locandina, ma non trovo la frase fatidica “Spettacolo in lingua originale”…in questo caso il calabrese cosentino, che per me ligure, è un’altra lingua! Mi sarà sfuggito.
Inizia tutto un lavoro di traduzione, mi perdo intere frasi che, anche se ripetute, restano suoni incomprensibili. Con animo colpevole allungo sguardi interrogativi alla mia destra e mi ritornano sorrisi imbarazzati e rassegnati, segno che probabilmente da quella parte si comprende ancora di meno…
Alla fine dello spettacolo riguardo la locandina: nessuna menzione sulla scrittura e recitazione in lingua originale, anzi, proprio in calce ai premi e menzioni leggo:
“La Borto (2010) scritto e diretto da Saverio La Ruina, premio UBU come migliore testo italiano….?
Allora: se omesso deliberatamente sa di “inganno”, indigesto per i presenti paganti, e ancora di più per l’autore-attore; se dimenticato sa di lavoro fatto male, ma mi sembra improbabile.
(Cristina Capelli)