Categoria: OLI 293

  • OLI 293: VERSANTE LIGURE – ANALFA(NO)BETISMO

    Fai un gesto scorretto
    o non solidale
    che a te dà diletto
    e a molti fa male?
    Avrai un bell’effetto
    col fard lessicale:
    di’ (trucco perfetto)
    “È un gesto epocale!”.

    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA
  • OLI 293: SOCIAL MEDIA – Cosa succede a 70 km dall’Italia

    Sono passati appena tre mesi dal suicidio del giovane Bouazizi, che ha innescato il domino che ha sconvolto il Nordafrica e fatto cadere un dittatore dopo l’altro. Eppure le sorti della Tunisia sono quasi completamente scomparse dalle pagine di cronaca.
    Un’eccezione che offre la possibilità di approfondire quello che è accaduto – e sta ancora accadendo – molto vicino a noi è l’istant book 70 Km dall’Italia. Tunisia 2011La rivolta dei gelsomini (Mehdi Tekaya e Global Voices online, ed. Quintadicopertina, http://www.quintadicopertina.com/?option=com_content&view=article&catid=54:70-chilometridallitalia&id=114:70-chilometri-dallitalia).
    La pubblicazione offre due punti di partenza per l’analisi dell’accaduto: in primo luogo espone le premesse storiche che hanno portato alla rivolta un paese considerato all’avanguardia per istruzione, diritti delle donne, sistema sanitario e con ottimi rapporti con l’unione europea. In seconda battuta, si interroga sul ruolo giocato dall’accesso ai social network (Twitter, Facebook, Youtube e blog) nella diffusione e nell’esito della rivolta.
    La prima considerazione è immediata: le persone che hanno spinto e sostenuto la rivolta sono proprio quelle cresciute sotto la dittatura di Ben Alì, spesso con un’istruzione avanzata e penalizzate dalla situazione economica del paese, dove il tasso di disoccupazione dei laureati arriva al 30% contro una media nazionale del 14%.
    L’analisi storica di Mehdi Tekaya, storico contemporaneo e ‘media-hacktivist’ di origine tunisina, prende inizio dalla figura di H. Bourguiba. Presidente della Repubblica e leader del Paese per oltre trent’anni, unisce una ventata innovatrice (specialmente nell’emancipazione femminile e nell’affermare la laicità dello stato) ad uno smodato culto della personalità, che finisce per degenerare in dittatura. Dal 1963 la Repubblica tunisina diviene un regime a partito unico e Bourguiba viene nominato presidente a vita. La situazione sembra cambiare con l’ascesa di Ben Alì, che il 7 novembre 1987 destituisce l’ormai anziano presidente e se ne proclama successore, intraprendendo una serie di azioni per una riforma apparentemente democratica dello stato. Ma, continua Tekaya, il curriculum del nuovo leader doveva indurre dal principio qualche preoccupazione: formatosi prima alla scuola militare di Saint Cyr, in Francia e poi alla Senior Intelligence School di Fort Holabird, nel Maryland, viene chiamato più volte ad intervenire in patria, per tenere sotto controllo i movimenti islamici e, nel 1984, per guidare la soppressione della rivolta del pane.
    Dopo tre anni di “primavera democratica”, avviene la svolta autoritaria.
    Negli ultimi dieci anni le uniche voci che si sono opposte al regime sono state quelle diffuse sul web, che ha veicolato le istanze dei cyber-attivisti e dei critici del regime, nonostante la legislazione repressiva e le gravi conseguenze (arresti, pressioni e difficoltà amministrative, difficoltà a trovare lavoro) a cui essi si esponevano.
    La seconda parte del libro parte appunto dalla ricchezza e dal peso che hanno avuto i social media nel contesto tunisino per tracciare un percorso attraverso gli articoli curati dalla redazione italiana di Global Voices Online(*) e da Voci Globali. E’ dato largo spazio alla voce diretta dei netizen, di cui si riporta il testo originale e la traduzione, ma anche i video e le fotografie che hanno fatto il giro della rete.
    Il progetto editoriale di 70 Km dall’Italia. Tunisia 2011 – La rivolta dei gelsomini è a cura di Maria Cecilia Averame, con la collaborazione di Bernardo Parrella (GVO).

    (*) Global Voices è “una rete internazionale di blogger che informano, traducono e sostengono i citizen media e i blog di ogni parte del mondo”( http://it.globalvoicesonline.org/).
    (Eleana Marullo)

  • OLI 293: SOCIETA’ – La crocefissione della laicità dello stato

    Il bassorilievo del processo a Giordano Bruno (Roma, Campo de’ Fiori)

    Nella foto, come viene erroneamente indicato nella didascalia, non vediamo il bassorilievo del processo a Giordano Bruno, bensì l’attuale situazione nei tribunali italiani. Non lasciatevi ingannare dai vestiti né dalle panche in legno, tantomeno dalle barbe fluenti o dal fatto che l’incriminato è costretto a restare in piedi di fronte alla corte. L’elemento che convince della modernità di questa immagine è la presenza importante e ribadita di un crocefisso sopra la capa del giudice.
    La sentenza della Cassazione di pochi giorni fa che ribadisce l’obbligo del crocefisso nei tribunali, parla chiaro: il nostro amico sofferente deve essere lasciato perché, se da una parte non si può escludere l’utilità dello stesso per i credenti all’interno di un’aula di tribunale, dall’altra non si può nemmeno consentire a tutti gli altri di entrarvi, quindi, la soluzione miracolosa è quella di lasciare tutto come sta. Insomma, mettere un simbolo ebraico accanto al crocefisso potrebbe essere lesivo per l’incompatibilità delle due dottrine, di levare il crocefisso non se ne parla perché un sano ladro cattolico potrebbe aversene a male, ecco il riassunto della sentenza, che conferma la radiazione del giudice di Camerino, Luigi Tosti, dalla magistratura per essersi rifiutato di tenere udienze all’ombra del simbolo cristiano. Cassazione dixit.
    Trovare una soluzione in ambito legislativo è impossibile, al momento, infoiati come saranno i nostri parlamentari a discutere già di sesso degli angeli (Ruby), presenza dell’anima nelle donne (regionalismo/de centralismo), discendenza divina dell’imperatore (processi vari al Presidente del Consiglio dei Ministri), non scordiamoci l’annoso problema dell’immagine dell’Italia nel mondo dopo il recente forfait della Nazionale di calcio in Sud Africa.
    Resta una sola speranza per salvare la Laicità dello stato: che a causa dell’inesistente manutenzione delle strutture pubbliche, qualche crocefisso decida che è arrivato il momento di staccarsi e di infilare i poveri piedi feriti nella testa del giudice sottostante. Forse, prendendola dal lato della sicurezza, qualcosa si muoverà finalmente, tra l’altro rivalutando l’importanza, in questo caso, della mansione di giudice “a latere”, così, giusto per salvarsi da uno spiacevole incidente.
    Adesso che abbiamo scherzato un po’, ritorniamo alle cose serie: qualcuno ha ancora voglia di parlare di nucleare?
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 293: CITTA’ – Domande dell’elettore, risposte della politica

    Alle lamentele del pubblico in sala – questa sinistra ha fatto errori eclatanti, e D’Alema e Bersani e vorrei che … – Concita de Gregorio, domenica 27 febbraio, replicava: Cosa ha da proporre in alternativa?
    A questa domanda corrispondeva il silenzio.
    Chi era intervenuto pareva devastato dal quesito.
    Forse non aveva ragionato sugli effetti.
    Oppure, più semplicemente, non aveva una vision politica. Privo di malizia, condivideva con la platea le proprie aspettative, più simili ad ansie calcistiche.
    Alla base – finiamo sempre lì – c’è l’assenza di corrispondenza. In sintesi la percezione che, chi è delegato a rappresentare l’elettore, non fa o non vuole fare quello per cui è stato votato.
    E se lo fa non è in grado di comunicarlo.
    E’ un problema nodale.
    Se la politica agisce bene deve condividere le proprie azioni con i cittadini. Se, invece, pare in balìa di interessi economici o di lobby deve avere il coraggio di replicare e difendersi.
    Assodato che la città di Genova e la Regione Liguria sono governate dal centro sinistra, prendiamo atto che è molto difficile per il cittadino digerire l’aumento del biglietto del bus a 1.50 euro insieme al taglio delle corse.
    A Milano il costo rimane di 1 Euro a fronte di un servizio assai maggiore. Inoltre è possibile utilizzare i biglietti vecchi ancorché scaduti.
    Non viene spiegata ai cittadini la scissione tra i consiglieri di maggioranza sull’Acquasola. E rasenta il ridicolo sapere che solo lunedì  7 marzo si è reso necessario un sopralluogo della Commissione urbanistica al parco per verificare soluzioni alternative alla revoca della concessione alla Sistema Parcheggi. Che la politica praticata sia frutto di paziente tessitura lo dimostrano in allegato i documenti sottoposti al voto in Consiglio comunale nelle ultime due settimane. Ma che la tessitura non sia sufficiente lo evidenzia il fatto che il caso Acquasola sia ancora all’ordine del giorno e fonte di scontro all’interno della maggioranza in comune.
    I soggetti politici coinvolti non hanno spiegato con sufficiente chiarezza le vicende Ist ed Ospedale Evangelico, insieme al buco di bilancio dell’Albergo dei poveri – stimato a 50 milioni di euro – con l’inchiesta sulla vendita delle case, e il nuovo progetto edilizio della Valletta Carbonara.
    Sul bilancio del Brignole ha gravato negli anni anche un’applicazione di tariffe per malato insufficiente a coprire i costi – OLI 13 maggio 2009 n. 225 – con tariffe di molto inferiori al quelle di altri istituti convenzionati.
    Cosa ha da proporre in alternativa? – chiedeva Concita de Gregorio – all’elettore deluso, tagliando la questione sul nascere.
    La politica della chiarezza, della coerenza e dell’ascolto – avrebbe potuto rispondere lui.
    Ci vuole così tanto?
    Documento 2
    (Giovanna Profumo)
  • OLI 293: PAROLE DEGLI OCCHI – Banchetto nuziale

    Foto di Giorgio Bergami ©

    Dopo un matrimonio, riso e petali di fiori.
    C’è chi ne approfitta, in buon ordine.
  • OLI 293: AUGURI – Buon compleanno, Giorgio


    Il 15 marzo Giorgio Bergami compie gli anni. Ci piace festeggiarlo presentando la sua prima tessera di “collaboratore fotografo” del quotidiano socialista Il Lavoro Nuovo.
    Da poco diciassettenne, era stato fermato dalla polizia mentre fotografava uno sciopero e portato in questura.
    Sandro Pertini, all’epoca direttore del giornale, non appena ne venne a conoscenza investì per telefono i responsabili dell’accaduto con una delle sue memorabili sfuriate, pretendendo – e ottenendo – l’immediato rilascio del suo fotoreporter.
    Per evitare il ripetersi di simili incidenti, fece preparare seduta stante questa tessera che reca la sua firma di vecchio antifascista, protagonista della Resistenza, futuro presidente della Camera dei deputati e della Repubblica italiana.

  • OLI 293: LETTERE – Il famigerato sonetto dello Pseudo Belli

    Anonimo ha lasciato un bel commento chiarificatore in merito al post
    OLI 287: POLITICA – Mignottocrazia alla romana
    Riteniamo che meriti visibilità e lo proponiamo quindi tra le Lettere, invece che relegarlo in calce a quell’articolo.

    Potenza del web! Il sonetto (in versione non corretta e originariamente senza alcun titolo) è di mio fratello M.G., il quale, in una mail inviata il 23 novembre scorso a 24 tra parenti stretti ed amici, aveva premesso scherzosamente le seguenti parole: “Carissimi, nelle mie peregrinazioni in vecchie biblioteche ho trovato un inedito belliano. Mi ha colpito subito il livello assai più basso del sonetto rispetto alla produzione del grande Belli, tant’è che ho pensato all’opera di un suo rozzo e tardivo imitatore. D’altra parte come si dice: ’Quandoque dormitat Homerus noster’ Dormicchia talvolta il nostro Omero; poteva dormicchiare anche il nostro infaticabile Belli. Comunque, al di là dell’attribuzione, ve lo mando, se non altro come testimonianza di un’epoca”.
    Poi tutto si è ampliato in progressione geometrica. Può interessare quanto ha scritto recentemente all’autore del sonetto uno dei più grandi studiosi di Belli: «Certo però evidentemente sei riuscito a intercettare un qualcosa che accomuna molte persone: di questo stavo scrivendo a una collega d’università, come cioè la diffusione ‘orale’ (in questo caso virtuale) e anonima sia irresistibile. Ed è buffo che adesso invece si sa chi è il famigerato anonimo… C’è da riflettere su quello che ti dicevo: perché una cosa come il tuo sonetto si è così diffuso, e anonimo, anzi gabellato per cosa di Belli? Perché riflette un “sentimento” comune e riesce a dire quello che tanti sappiamo? Perché la poesia, soprattutto quella in dialetto, “sembra” più libera di esprimersi? Perché l’anonimato (come succede per le favole, per le barzellette, e a pensarci bene anche per le parole) è più forte e potente?».
    Analogamente al Vero Belli che consegnò a Monsignor Vincenzo Tizzani i suoi sonetti romaneschi per custodirli in una cassetta, con la disperata richiesta di bruciare tutto ad una prima, improbabile occasione, anche lo Pseudo Belli continua a farlo con me, Novello Monsignor Tizzani, e mi chiedo perché non li diffonda o non li bruci lui stesso.
    Comunque, al di là degli altri 48 (più o meno su temi analoghi) che intercorrono tra quel primo equivocato sonetto che ha suscitato tante reazioni e il cinquantesimo, al di là della ventina di sonetti ancora successivi, preso atto che cercando con Google l’ultimo verso di quell’ormai famigerato primo sonetto vengono fuori, attualmente, circa 40.000 risultati, e constatando che c’è anche qualche pubblicazione cartacea che lo diffonde a firma Giuseppe Gioachino Belli, mi sembra doveroso rendere pubblico almeno il citato 50° sonetto:

    50 – L’equivoco

    Ce sta quarche cervello sopraffino,
    che letti du verzacci scritti in fretta,
    ha penzato, je piji na saetta,
    a la mano der Massimo Gioachino.

    Uno sbajo accussì, bestie da soma,
    è come scambià er giorno co la notte,
    come pijà le sante pe mignotte,
    come scambià la Lazzio co la Roma.

    A parte er fatto che sti pochi verzi
    a paragon de Belli è robba sciapa,
    li fatti che s’allude so diverzi.

    Na scusa c’è pe ste teste de rapa:
    osserveno, e pe questo se so’ perzi,
    che come allora ce comanna er papa.

    E questo,come diceva padre Dante, ” fia suggel ch’ogn’uomo sganni.”

  • OLI 293: LETTERE – Modena, pièce con sottotitoli

    “Sabato sera, di una settimana pesante. A sorpresa ricevo 2 biglietti omaggio per uno spettacolo al Teatro Modena, dove quest’anno ho trascorso delle belle serate, così accetto volentieri e coinvolgo un complice ad accompagnarmi; dopo alcune considerazioni sullo spettacolo (argomento “pesante”, attore in scena con accompagnamento musicale…) scappa la considerazione dovuta alla stanchezza: mal che vada ce ne andiamo prima, o ci riposiamo, e COMUNQUE è GRATIS! parolina magica che rimette in pari i piatti della bilancia.
    Mi informo comunque andando sul sito del teatro, e decido di correre il rischio: si va, consapevoli nel frattempo che probabilmente lo spettacolo avrà un unico tempo, e sfuma così la possibilità di una fuga anticipata, ché di andarsene durante non se ne parla.
    Giunti sul luogo del delitto…ops dello spettacolo, mi rendo conto che dovremo rinunciare anche alla possibilità di un eventuale riposino: di accoccolarsi in una avvolgente poltrona non se ne parla, a teatro ora si sta come sulla sedia della sala d’aspetto del dottore, e che non vi venga un colpo di sonno o il giorno dopo avrete bisogno dell’osteopata!
    Buio, musica.
    La prima frase recitata e penso:”non sarà mica tutto così?”
    E invece. La mente torna alla locandina, ma non trovo la frase fatidica “Spettacolo in lingua originale”…in questo caso il calabrese cosentino, che per me ligure, è un’altra lingua! Mi sarà sfuggito.
    Inizia tutto un lavoro di traduzione, mi perdo intere frasi che, anche se ripetute, restano suoni incomprensibili. Con animo colpevole allungo sguardi interrogativi alla mia destra e mi ritornano sorrisi imbarazzati e rassegnati, segno che probabilmente da quella parte si comprende ancora di meno…
    Alla fine dello spettacolo riguardo la locandina: nessuna menzione sulla scrittura e recitazione in lingua originale, anzi, proprio in calce ai premi e menzioni leggo:
    “La Borto (2010) scritto e diretto da Saverio La Ruina, premio UBU come migliore testo italiano….?
    Allora: se omesso deliberatamente sa di “inganno”, indigesto per i presenti paganti, e ancora di più per l’autore-attore; se dimenticato sa di lavoro fatto male, ma mi sembra improbabile.
    (Cristina Capelli)

  • OLI 293: LETTERE – Insegnare oggi in Italia

    Chi si dedica all’educazione, genitore o insegnante che sia, sa bene che i valori non si “inculcano”, ma si trasmettono con l’esempio e che i valori di rispetto dell’altro, di collaborazione per il perseguimento del bene comune, di eguaglianza tra i membri di una comunità, per essere trasmessi, vanno vissuti nella vita scolastica, familiare e sociale.
    Solo così potranno diventare patrimonio dei bimbi e dei futuri adulti.
    Nelle scuole pubbliche, frequentate dal 95% degli studenti, insegnanti sottopagati, ma rispettosi del mandato che hanno ricevuto dalla comunità secondo Costituzione, propongono percorsi di studio che richiedono impegno e fatica, presentano gli ideali che hanno costruito il nostro paese unito, per cui tanti giovani, provenienti da tutte le parti d’Italia,con grande generosità hanno messo a repentaglio la propria vita e sono morti.
    Insegnano a vivere il rispetto di sé nella relazione con gli altri, si trovano invece a combattere, non tanto contro le famiglie, ma contro i pessimi esempi di vita che vengono proposti da chi ci governa.
    Come si fa ad educare la coscienza dei giovani alla rettitudine, se chi avrebbe il dovere di rappresentarci e quindi essere di esempio per tutto il paese, frequenta lestofanti amorali e propone comportamenti che corrompono giovani vite?
    Come si fa ad insegnare la Costituzione e la nostra storia, quando Ministri della Repubblica, che pure hanno giurato sulla Costituzione, negano valore e significato al nostro stare insieme?
    I morti che ci sono stati, per costruire un’Italia unita, che senso hanno avuto? Come facciamo a spiegarlo nelle aule, ai nostri giovani?
    Sono le contraddizioni, l’ignoranza e la malafede dei nostri governanti, che rendono molto più difficile, oggi rispetto a ieri, il compito dell’educatore. Il Paese è debitore nei confronti della scuola e di tutti coloro che, se pur con bassa considerazione sociale e stipendi inadeguati, lavorano da sempre con impegno e dedizione, in collaborazione con le famiglie, per trasmettere conoscenza e contribuiscono a mantenere la coesione culturale e sociale.
    Il Capo di Governo ed il Ministro dell’Istruzione, invece di valorizzare la scuola italiana, in cui la funzione pubblica, ha svolto un ruolo fondamentale in questi 150 anni dal punto di vista linguistico, storico e sociale, ne sottovalutano l’importanza e continuano a perpetrare lo svilimento della cultura e della formazione giovanile, ritenute spese inutili, assumendosi così la pesante responsabilità di creare grave danno per i giovani e per il futuro di tutto il paese.
    (Carla Olivari – insegnante)