Categoria: OLI 290

  • OLI 290: VERSANTE LIGURE – SE NON ORA, QUANDO? 2 (LA BURLETTA)

    Si sono sollevati
    per un morale sprone
    ciò che li ha risvegliati
    è fiera indignazione
    non son più rassegnati
    a questa situazione
    ma tosti e motivati
    nell’etica passione:
    tifosi blucerchiati
    contestano Garrone.
    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA
  • OLI 290: 8 MARZO – Costanza e le compagne

    De Ferrari in rosa contro i femminicidi in Messico. Foto P.P.

    Sms di Costanza (*) : Ho chiamato per sapere come stai. Io sono alle prese con lo studio di altri concorsi e la prossima settimana andrò a Roma per le prove preselettive del concorso per le segreterie dei tribunali. A presto e un abbraccio a tutti.
    Sentita al telefono dice che studia di notte e nei week-end, quando non lavora. Sabato ha saltato il pranzo per non interrompere la concentrazione. Aspetta i risultati dei cinque scritti del concorso fatto per il Senato. L’accento morbido del sud adesso vira allo stanco. Ma non si arrende. Meta un lavoro vero a tempo indeterminato, con continuità di salario e contributi.
    Di Matilde la madre mi dice che ha perso il posto nella cooperativa dove ha lavorato per cinque anni. La società ha chiuso baracca. Burattino, forse lei. Matilde, laureata in psicologia, ha una bimba all’asilo e un bimbo alla scuole elementari. Unico salario quello del marito, impiegato in un ente pubblico. Da leccarsi le dita.
    Ilaria, laureata anche lei, un lavoro a tempo interminato adesso lo ha. Lavora in un ristorante sessanta ore a settimana per milleduecento euro al mese. E’ giovane. E’ rimasta un po’ indispettita da una domanda del suo capo che le ha chiesto, sornione, se si sentisse più vacca o più porca. Ultimamente orari di lavoro e stanchezza hanno avuto la meglio. Non ce l’ha fatta a partecipare alla manifestazione del 13.
    Carmen, laurea e dottorato di ricerca, ha lavorato tutto il mese di dicembre in un negozio, promuove prodotti locali in molti eventi, quando la chiamano. Il 13 è tornata da un viaggio di lavoro, non ha potuto partecipare alla manifestazione.
    Marie ha un contratto di lettrice in un’università toscana. Sono stati ridotti salari e ore a tutti i lettori della facoltà. Quando non insegna, traduce cataloghi e libri. Ha lavorato a Natale e Capodanno. La pagano con molto ritardo e candidamente afferma: “Il lavoro c’è. Sono i soldi che non ci sono più”. Il 13 traduceva.
    Del calo di attenzione rispetto al tema lavoro parla il documento dell’associazione Lavoro e Libertà, primi firmatari Cofferati e Bertinotti, che si dicono indignati dalla “continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di espressione e di realizzazione di sé”. Chiedono come sia “possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all’altezza della sfida”.
    La parabola delle donne attraversa il lavoro. Di fabbrica, ufficio, professionale o artigianale, oggi sempre più precario. Al quale si somma quello di cura in famiglia. Una sconfitta che si consuma in silenzio nelle nostre case, nei giardinetti con i figli, nell’accudire genitori anziani. Una sconfitta che disegna il profilo di una donna che non rivendica più nulla. Troppo affannata per essere in piazza. Aggiornata dall’sms dell’amica, della madre, della figlia. Che le raccontano la meraviglia di una piazza piena il 13 febbraio.
    Il prossimo appuntamento è per l’otto marzo, 8ma occasione per parlare con forza di donne e lavoro. La libertà, per troppe, ha da venire.
    Sito di Se non ora quando
    (*) Oli 273 
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 290: LAVORO E LIBERTA’ – Uomini dal pensiero scisso

    Il 10 febbraio alle 17 il Teatro della Corte era affollatissimo per la presentazione, a Genova, della neonata associazione “Lavoro e Libertà” (*).
    Il titolo dato all’evento, “Lavoro e/o vita”, era tale da sollevare forti aspettative in un animo femminile. Certo, sullo sfondo c’erano la vicenda della Fiom e la tragedia della Thyssen, perno del lavoro teatrale “La menzogna” di Pippo del Bono, programmato a completamento dell’evento: ma l’antitesi tra vita e lavoro non è rappresentata solo dalla radicalità della morte sul lavoro.
    Nel coniugare i termini “lavoro” e “vita” il pensiero femminile corre infatti immediatamente al conflitto tra lavoro retribuito e lavoro di cura: un tempo si diceva tra produrre e riprodurre, dove riprodurre non si riferiva solo alla maternità, ma alla riproduzione sociale, alla cura del mondo. Erano temi centrali nelle lotte di qualche decina d’anni fa, e oggi sono il nucleo duro e irrisolto nelle vite di giovani donne che appena messa fuori la testa dal mondo degli studi si ritrovano investite da una disparità che non avevano supposto.
    Invece questa questione, che fonda tutt’oggi organizzazione sociale, economia, organizzazione del lavoro, e rapporti nella famiglia non ha trovato alcuno spazio negli interventi.
    C’era di che andarsene più che deluse: tutto quel che ha saputo offrire l’autorevole palco totalmente maschile (Cofferati, Bertinotti, Landini, Del Bono, Gad Lerner) è stato – a tratti – l’uso di un linguaggio politicamente corretto (lavoratori e lavoratrici … ecc.).
    C’è da interrogarsi seriamente su questa scissione del pensiero, per cui un elemento di analisi della realtà centrale per qualsiasi donna che ci abbia pensato un po’ su, non riesce a farsi strada nelle parole di uomini che hanno praticato per tutta la vita il sindacato e la politica, e che non possono ignorare i molti pensieri prodotti su questo nodo di fondo da donne sindacaliste, politiche e pensatrici.
    Di lì a tre giorni il richiamo delle donne avrebbe portato in piazza un milione di persone, trentamila o più a Genova. Cofferati, dicono le pochissime che nella gran folla hanno potuto accorgersene, sale (impropriamente) sul palco. Davvero, non è quello che serve.
    (*) http://www.lavoroeliberta.it/
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 290: MIGRANTI – Quanto (ci) costa il reato di clandestinità

    Gli sbarchi di giovani in fuga dal Nord Africa in fiamme si susseguono giorno dopo giorno, sulle isole italiane che punteggiano il tratto di mare tra Maghreb e Italia.
    Una testata locale, News dall’Isola di Pantelleria, in data 15 febbraio racconta un caso tra i tanti che si verificano quotidianamente. Come noto il reato di clandestinità prevede che chi sia entrato illegalmente in Italia sia immediatamente processato presso il giudice di competenza per il territorio in cui è avvenuto lo sbarco. Il 25 gennaio su un barcone proveniente dalla Tunisia sono arrivati a Pantelleria 6 giovani, tra cui un minorenne. Quattro tra questi sono stati immediatamente trasportati al Cie (Centro di identificazione ed espulsione) Corelli di Milano. Qualche giorno dopo sono stati accompagnati da cinque agenti su un volo li che li ha ricondotti a Pantelleria, per affrontare il processo per il reato di clandestinità. Nel pomeriggio sono stati ricondotti a Milano, accompagnati dalla scorta, dopo essere stati condannati al pagamento di cinquemila euro e delle spese processuali, come previsto dal decreto Maroni. Condanna severa e pesante dal punto di vista economico ma che, probabilmente, non sarà mai pagata.
    E’ prevedibile che la trafila (trasferimento aereo verso un Cie, ritrasferimento all’isola di arrivo e ritorno al Cie – con l’accompagnamento di un numero congruo di forze dell’ordine) si debba ripetere per tutti coloro che sono arrivati in Italia nelle ultime settimane (200 a Pantelleria, 5mila a Lampedusa). Con una spesa enorme per lo Stato, in termini di denaro e di risorse umane e, soprattutto, senza alcun ritorno di utilità sociale. La legge, che fu di grande impatto demagogico al momento della sua introduzione, diede lustro al pugno di ferro del ministro dell’Interno. Ma, all’atto pratico della sua applicazione, si rivela – come previsto – costosissima, inadeguata e vagamente surreale. Come affrontare uno tsunami con un cucchiaino. D’argento.
    (Eleana Marullo)
  • Oli 290: MIGRANTI – Nato in Italia, genitori stranieri, 18 anni? Attenzione …

    Foto Paola Pierantoni

    Tutti concordano (ancora a parole) che la legge sulla cittadinanza (91/92) è da riformare. Nata in piena crisi della prima repubblica non poteva che essere la più arretrata d’Europa. La legge richiede dieci anni di residenza quando negli altri paesi europei bastano cinque anni di semplice soggiorno regolare. L’aspetto più arretrato però è che si segue il diritto di sangue: soltanto chi è figlio di italiani ha diritto alla cittadinanza per nascita.

    La cosa scioccante è che fino al 1983 si seguiva il diritto di sangue maschile, ovvero solo i figli dei maschi italiani avevano il diritto alla cittadinanza per nascita. Soltanto con la riforma del 1983, i figli delle donne italiane nati da matrimoni con cittadini stranieri hanno avuto il diritto alla cittadinanza per nascita e non dovevano più fare le code davanti alle questure per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno. Nazionalismo, autoritarismo, razzismo e maschilismo convivono felicemente e si alimentano a vicenda. Ancora più scioccante è che fino al 1975 le donne italiane che si sposavano con cittadini stranieri perdevano la cittadinanza italiana. Ci è voluta una sentenza della Corte Costituzionale (87/75) per dichiarare illegittima la norma, risalente alla legge del 1912, che prevedeva la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna.

    Dunque, oggi, i figli degli immigrati nati in Italia non hanno diritto alla cittadinanza per nascita come accade in tutti i paesi europei e in tutte le moderne democrazie del mondo. Soltanto al compimento della maggiore età, la legge in vigore prevede per loro un percorso facilitato per ottenere la cittadinanza a patto che presentino domanda entro un anno. Una finestra aperta per soli 12 mesi, compiuti i 19 anni senza aver fatto domanda, questo opportunità sfuma e si rientra nel calvario burocratico al quale sono costretti i richiedenti la cittadinanza, un odissea interminabile piena di ostacoli e varie stregonerie.

    Per questo l’assessore al welfare della regione Toscana, e contemporaneamente anche il sindaco di Reggio Emilia, hanno avviato una campagna informativa: i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, che abitano in Toscana e Reggio Emilia, e che stanno per compiere 18 anni, riceveranno una lettera che ricorderà loro la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana attraverso un percorso semplice e veloce. Col pensiero che va a chi arriva in Italia da bambino per cui i dodici mesi non esistono ed attendendo tempi e leggi migliori per questo nostro disgraziato/meraviglioso paese, proponiamo questa ottima iniziativa all’assessore regionale all’immigrazione Enrico Vesco ed alla nostra sindaco Marta Vincenzi.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 290: REGIONE – Casa dolce casa

    Valletta di Rio Penego, uliveti che spariranno. Foto Stefano Stefanacci.

    Pare al via il Piano Casa finalmente, finisce un tormentone e si è trovata pace in maggioranza. O magari più semplicemente si vuole evitare di approvarlo con pericolose intese trasversali, con i voti dell’opposizione freschi e pronti. Però ci si sta lavorando. Il Giornale del 22 febbraio annuncia il “possibile accordo tra i poli”, e a Savona ha organizzato un convegno tra il chiacchierato ex sindaco di Alassio – inquisito più volte per reati amministrativi (vedi blog di Marco Preve), ora consigliere regionale Pdl – il capogruppo Pd in Regione, amministratori locali, come il senatore Pdl Franco Orsi e addetti ai lavori: tra i relatori Marylin Fusco, assessore all’urbanistica Idv.
    Tanti insoddisfatti, pigolamenti a raffica da tutte le categorie del settore e “Ira dell’assessore per i mesi di lavoro buttati al vento”, come titolava giorni fa il maggiore quotidiano cittadino.
    Commenti positivi da sinistra. Resta da capire come “una coalizione della legalità” possa permettere ampliamenti sugli abusi, per minimali che siano, tipo “modello Puglia”. E allora?
    Di sicuro il cittadino rispettoso delle regole si attrezzerà per il futuro.
    Forse i cittadini avrebbero gradito sentire dagli operatori una proposta di piccola edilizia diffusa, di interventi per ripristinare davvero un territorio disastrato: opere subito cantierabili e non soltanto box o nuove case.
    Argomento serio, che il vincolo di quota social housing non appaga. Con le grottesche storie di Affittopoli nazionali e i lasciti per i poveri, che lasciano l’amaro in bocca e repulsione per caste varie, dai vip ai politici, ai raccomandati d’ogni tipo, quando c’è gente che non mangia pur di avere un tetto.
    Forse rivoluzione sarebbe anticipare un cambio di mentalità e di metodo per dare ossigeno ad un settore in difficoltà, per sperare che la politica si occupi di lavoro, di futuro, dei luoghi che abitiamo o della casa che non c’è, specialmente per chi è solo e per giovani coppie.
    Intanto in città la Linea Verde di Urban Lab ha il singhiozzo per far spazio a nuove palazzine di cooperative “bianche e rosse” al posto di un bosco, con la scusa di una nuova e costosa strada come in via Shelley. Imperversa pure il Piano-manutenzioni e per dimostrare efficienza e amore al Progetto Genova il rimedio trovato è un valzer di assessori, pescando in rive opposte, come se proclamando autonomia, tutto il resto non contasse, con rispetto dell’esperienza del prescelto e senza il rispetto di chi ha votato una parte e non l’altra. Tanti esperti nel fare il salto della quaglia, con il rodimento comune delle elezioni amministrative che incalzano.
    E’ partita anche la crociata degli albergatori, stufi d’essere vincolati, che reclamano il diritto a trasformare gli hotel in case: ma è appena finito Sanremo, non ci si lamentava di così poche strutture ricettive per questo povero turismo bistrattato e che potrebbe dare tanto? Tranquilli, si sta studiando una legge ad hoc, come per le aree produttive, l’unico tema, che forse davvero interessava ai cittadini, gli ampliamenti industriali., che vincolati in modo serio, avrebbero costituito magari uno sviluppo importante. Cassati. Probabilmente con il Piano Casa poco pertinenti, ma Regione e Comuni non sono sempre a proclamare d’ essere all’eterna ricerca di spazi per le aziende?
    Forse il lavoro non c’è più, inutile rincorrere gli spazi.
    L’impressione purtroppo è che in Liguria bastino colf, badanti, e baristi e voi ragazze e ragazzi adeguatevi: questa pare l’idea di lavoro che passa il convento.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 290: SOCIETA’ – Quando l’opposizione telefonica è azzoppata

    La Homepage del sito

    Il Governo ha appena lanciato il Registro delle opposizioni (http://www.registrodelleopposizioni.it/). Si tratta di uno strumento per evitare di farsi chiamare dalle aziende di marketing, previsto da un recente decreto, che inserisce anche l’obbligo da parte dei call center di farsi riconoscere all’atto della chiamata con il numero di telefono in chiaro. Analizziamo il suo funzionamento.
    Gli operatori che intendono avvalersi della telefonia (fissa) per fare marketing, dal 1° di febbraio 2011 devono prima far filtrare le proprie liste al Registro delle opposizioni, con cadenza quindicinale. L’operazione ha un costo, che varia da pochi euro fino a centinaia di migliaia, a seconda del numero di contatti da controllare: il listino ne prevede fino a 25 milioni, mezza Italia.
    Al registro, lato abbonato, possono iscriversi solamente gli aventi diritto, che poi sono le persone e le aziende che sono presenti in elenchi telefonici pubblici. Esclusi quindi i cellulari (sic) e chi fino ad ora ha cercato di difendersi dal martellamento mediatico richiedendo un numero riservato, che non ha diritto di registrazione: il legislatore ritiene che per questa tutela basti la legge sulla privacy, la quale in teoria dovrebbe impedire di chiamare gli utenti non in elenco. Si tratta quest’ultima di una limitazione non da poco, vista l’amara realtà della situazione reale. Inoltre il decreto non copre l’opposizione per chi avesse dato il consenso su un modulo o un contratto, con una ics apposta senza pensare. Completamente introvabile l’articolo sulle multe per chi violasse il sistema.
    Porto l’esempio di un abbonato che ha ricevuto il numero di telefono che precedentemente era assegnato ad un’azienda. Per un errore sugli elenchi, il malcapitato riceve chiamate destinate all’azienda, e a nulla serve cercare di far desistere gli operatori. Avendo richiesto un numero riservato, non può accedere al Registro, quindi di fatto l’unica soluzione resta la vecchia classica segreteria telefonica casalinga, per filtrare le chiamate.
    Non si capisce poi “che c’azzecchi” la riservatezza del numero con il disturbo marketing: infatti per potersi difendere da una parte si deve rinunciare dall’altra ad essere introvabile su un elenco, cosa sicuramente molto utile in questo mondo di matti. Poi la cadenza quindicinale permette in realtà di “fare i furbi” in mezzo ai due periodi, annullando di fatto l’effetto del decreto. Sarà che il Registro sia stato fatto per funzionare proprio così, ossia male?

    Il call center del Registro, interpellato col form del sito, risponde la prima volta con una email istituzionale (con gli articoli di legge e la descrizione di una situazione bucolica dove non esistono gli errori e i furbi), e una seconda per telefono, dove una gentilissima operatrice mi suggerisce di “scrivere” alle aziende, di “pregare” il call center di cancellarmi, di “sperare” e, insomma, alla fine, si arrende e mi spiega che la normativa è spuntata, che il Registro non è stato fatto come era logico fosse, ma ha seguito logiche legate alle necessità degli operatori telefonici. “E i riservati? Perché escluderli?”, affermo, “Guardi, hanno fatto tutto nei palazzi della politica e ci siamo ritrovati un decreto che serve a poco”. La soluzione tecnologica, ultimo modello, come detto, è una segreteria telefonica, con il messaggio di farsi riconoscere per gli amici e un invito a cancellare il numero negli altri casi.
    Una soluzione razionale sarebbe quella di usare la stessa tecnica delle chiamate internazionali con il numero verde. Si chiama un numero senza addebito, aggiungendo in coda il numero di telefono del paese straniero, in questo modo si usa la rete fissa per fare chiamate internazionali a basso costo e con compagnie telefoniche diverse da quelle che gestiscono la tesserina prepagata. Un sistema simile avrebbe funzionato molto bene anche per le Opposizioni. Il Registro, diventato una centrale telefonica di smistamento, avrebbe verificato dal numero di telefono la possibilità della chiamata, respingendola se necessario. Gli operatori avrebbero pagato “per chiamata”, senza bisogno di anticipare somme per far depurare le loro liste, e soprattutto con effetto immediato per l’abbonato che si registra. Sogno un software che consenta all’abbonato di filtrare diversamente a seconda della merceologia, perché adesso, ovviamente, il sistema è on/off (o chiama chiunque o non chiama nessuno).
    “Ma noi, qui in Italia, facciamo cosà”, direbbe un moderno Pericle romano. 

    Per concludere in bellezza, l’email fornita da Telecom sul sito del Registro per comunicare con loro al riguardo è riservata ai loro clienti registrati: dare per avere
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 290: PAROLE DEGLI OCCHI – Non toccate il cantiere di Riva

    Lotta e solidarietà per il futuro dei Cantieri di Riva Trigoso.
    Foto Giorgio Bergami.