Categoria: Lo Sbarco

  • OLI 287: PAROLE DEGLI OCCHI – Oppio dei popoli

    Foto di Giorgio Bergami ©

    Foto di Paola Pierantoni ©

    Nelle foto di Giorgio Bergami, Venerdì 28 gennaio 2001: locandine in edicola e manifestanti per strada.
    Lo sciopero indetto dalla Fiom contro le politiche di Fiat e governo e a favore dei diritti dei lavoratori ha mobilitato molti settori della società civile e dell’associazionismo, con affollate manifestazioni in diverse città, tra cui Genova. Oltre a tale evento, molte emergenze e criticità stanno investendo l’Italia e il resto del mondo, ma invece di promuovere conoscenza e riflessione su questi temi vitali, la stampa preferisce attirare l’attenzione (e vendere di conseguenza più copie) evidenziando soltanto quanto attira il grande pubblico, in questo caso il calcio. Si perpetua così quell’azione di anestetizzazione e stordimento delle coscienze in atto da tempo attraverso la carta stampata e la televisione.
    Ma non tutti ci cascano…

    Nelle foto di Paola Pierantoni, tre manifestazioni degli ultimi mesi: 27 gennaio 2011, flash mob delle donne alla Stazione Brignole per le dimissioni di Berlusconi; 11 novembre 2010, manifestazione a De Ferrari in difesa delle politiche sociali; 6 giugno 2010, lo sbarco della Nave dei Diritti.

    P.S.: Ecco una perla del Secolo XIX online del primo Febbraio. I tre sondaggi hanno ovviamente un’importanza paragonabile.
    (segnalato da Stefano De Pietro)

  • OLI 267: INFORMAZIONE – Lo Sbarco e la pigrizia dei giornali

    Parliamo di come i giornali locali hanno parlato dello “Sbarco”. Prima di tutto una incredibile “avarizia”: mettendo  insieme Secolo XIX, Repubblica, Corriere Mercantile e Gazzetta del Lunedì abbiamo trovato –  oltre al “Lanternino” di Enzo Costa – solo cinque articoli per i due giorni dell’evento. Avevamo a Genova tante persone giovani, molte delle quali vivono una esperienza di studio, vita e lavoro in altri paesi europei, tante altre venute da altre città italiane, una gran parte portava con sé inedite forme di impegno intellettuale, artistico, politico. Era l’occasione, assolutamente straordinaria per una città vecchia come Genova, per svolgere una inchiesta su quello che fa, spera e pensa una generazione giovane interessata ad agire nel mondo per trasformarlo.
    E invece i giornali ci hanno offerto nel migliore dei casi il minimo di una informazione appena dignitosa.  

    Nel caso di Repubblica (“La protesta sbarca in Piazza”, articolo del 28 giugno), vorremmo poi capire la logica di dedicare più della metà del testo all’intervento in piazza di Don Paolo Farinella, indicato come colui che è “alla testa” del movimento. Don Farinella ha dato il suo contributo aderendo, esponendosi, come ha fatto Moni Ovadia, o Don Gallo, e i moltissimi altri, intellettuali o gente comune che si trovano elencati sul sito dello “Sbarco. L’intervento in piazza di Don Farinella è stato uno dei tanti. Non il migliore dei suoi interventi. Di certo non il migliore, né il più significativo, degli interventi  che si sono ascoltati in queste due giornate. Ma Don Farinella è  finito nel ruolo del “personaggio”, e parlare dei personaggi costa meno impegno e fatica di andarsi a cercare la realtà tra le persone.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 267: POLITICA – Il tempo di naufragare è terminato

    Buongiorno Genova, buongiorno minoranza degli italiani,
    desidero ringraziare gli organizzatori e tutti coloro che hanno lavorato per rendere possibile questa grande manifestazione. Ringrazio, inoltre, quegli italiani e tutti coloro che dall’estero hanno sentito la necessità di tornare per ricordarci il nostro dovere civile, quello di vegliare e difendere i diritti sanciti dalla nostra Costituzione.
    La nave dei diritti è sbarcata ieri sera. La zattera italiana, invece, naufraga ancora in mezzo al Mediterraneo, confusa tra i flutti schiumosi. Vi stanno aggrappati alle sartìe milioni di italiani, tutt’altro che preoccupati, anzi, apparentemente felici.
    Felici perché incoscienti. Ojetti scrisse che l’ignoranza è la palpebra dell’anima: le cali e puoi dormire; le cali e puoi persino sognare.
    Ed è proprio una condizione di felice torpore quella in cui ci vogliono spingere, tagliando i fondi all’istruzione pubblica, inondando i media di ottimismo, imbavagliando ed aggredendo l’informazione indipendente.
    In questo modo possono raccontare senza timore che l’Italia è un’isola d’oro, che la crisi l’abbiamo superata in autostrada. Evitano di dire, invece, che in questi ultimi due anni abbiamo perso quasi un milione di posti di lavoro, portando la disoccupazione al 9,1%, con prospettive di crescita fino al 9,6% per la fine del 2011.
    E come in ogni buon Paese d’oro, serviva un capro espiatorio: prima i clandestini, poi i magistrati, sono diventati bersagli dei media. Così i naufraghi si sono stretti all’albero della zattera ed hanno acclamato prima il pacchetto sicurezza, poi – quasi si sentissero troppo sicuri – hanno chiesto di tagliare le intercettazioni per difendere la loro privacy.
    Proprio loro, coi vestiti a brandelli. Loro che, in questa deriva, hanno chiuso entrambe le palpebre e non si sono accorti di essere rimasti nudi. Hanno creduto ingenuamente a ciò che gli è stato raccontato dalle televisioni, felici di stare su una zattera che – senza saperlo – portava la zavorra di uno dei più alti debiti pubblici al mondo. Questi sognatori, non si sono nemmeno resi conto dell’aumento dell’evasione fiscale, assestata a 124,5 miliardi di euro. Un’evasione che è cinque volte quei 24 miliardi di euro di sacrifici che il governo ha deciso di imporre alle nostre buste paga, proprio mentre regala agli evasori un nuovo condono edilizio.
    Non c’è dubbio che tra Paese virtuale e Paese reale si sia creato un gap incolmabile. In 1984, di Orwell, il Ministero della Verità riduceva l’espressività della lingua per evitare che qualcuno parlasse. Nel 2010, in Italia, si limita direttamente la percezione per evitare che qualcuno pensi.
    La gente che oggi protesta per le vie di Genova non esiste nei media. Gli studenti, i ricercatori, gli operai, gli statali, i cassintegrati e i disoccupati sono fantasmi, cancellati sia dalle chiacchiere dei bar che da quelle del Parlamento.
    La fabbrica del consenso funziona. Funziona anche grazie ad un’opposizione senza carattere, senza corpo né voce. Un’opposizione che dovrebbe avere il diritto – ma ancor più il dovere – di rappresentarci in questo momento difficile. La fabbrica del consenso è vincente, ma non deve diventare convincente.
    Mentre la ciurma felice continua a galleggiare, dondolata da onde attente che nessuno si lamenti, si va incontro a quello che Eco ha definito uno “struscìo di Stato”, una graduale erosione della democrazia che, un passo alla volta, ci porterà ad una dittatura, che nessuno sarà più in grado di riconoscere perché assuefatto.
    Qualche giorno prima di morire, José Saramago, autore portoghese e premio Nobel nel 1998, ha aderito allo “Sbarco” affermando: “Stiamo tutti soffrendo quel che succede in Italia col popolo italiano, che in questo modo sta negando la propria storia e la propria cultura. E io cosa c’entro alla fine? Non sono neanche italiano. Ebbene, sì che c’entro. Perché sono una persona a cui interessa tutto ciò!”.
    Questo è il motivo che ha spinto anche me e tutta la redazione della rivista Aeolo a venire qui. Mai come oggi ci siamo ritrovati nel motto che ci mosse in quell’aprile 2008: “Aeolo nasce per spazzar via la bonaccia che domina nella cultura contemporanea: come i venti soffiano da parti diverse ed anche opposte, noi vogliamo divergere, essere d’accordo, scontrarci, per creare nuovi luoghi d’incontro, nuovi punti di vista, nuovi modi di comunicare”.
    Ed eccoci qui, a soffiare. Soffiare per agitare queste acque, soffiare per scuotere la zattera e le coscienze, soffiare per strappare quei naufraghi felici dal torpore che li coccola, prima che sia la zattera stessa a trascinarli nell’abisso.
    Siamo qui perché l’Italia è il Paese che tocchiamo ogni giorno con mano, è il profumo del pane che ci ha cresciuti, è la rabbia di un padre che perde il lavoro. L’Italia è questo, non quello che ci raccontano, non quello che vogliono farci credere.
    Oggi non vogliamo riprenderci Genova. Oggi vogliamo riprenderci la lente del dubbio. Oggi vogliamo che la gente sollevi le palpebre e valuti coi propri occhi la ruvidezza del legno che li trascina a fondo.
    Perché il tempo di naufragare è terminato.
    (Enrico Santus – Direttore editoriale della rivista culturale Aeolo)

  • OLI 267: SOCIETA’ – Uno sbarco tutto spagnolo

    Dalla Nave dei diritti, la sera di sabato 26 giugno, scendono circa 600 persone, i partecipanti allo Sbarco, l’iniziativa di un gruppo di italiani residenti all’estero. Molti di loro sono migrati per trovare lavoro, altri per seguire un compagno, altri ancora perché è capitato così. Tutti insieme sono arrivati al porto di Genova, ad attenderli un altro gruppetto di italiani, quelli rimasti qui, meno di quanti fossero loro stessi: il primo specchio di quello che attende chi voglia cercare di smuovere l’Italia, una gran fatica per ottenere poco, forse se l’erano dimenticato, vivendo altrove.
    Nelle piazze, di domenica, poche persone. I media hanno parlato quasi niente dell’iniziativa se non proprio all’ultimo, facendo mancare quel clima di aspettativa che è poi il successo degli eventi come questo. Suq, Festival della poesia, forse perché maggiormente supportati dalle istituzioni cittadine, sono stati spinti ovunque, e nonostante questo la presenza non è stata certo esplosiva come i primi tempi. Senza questo apporto, lo Sbarco ha sofferto, e molto. Un aneddoto per tutti: ad una settimana dalla data, la certezza della disponibilità di Commenda e Museo di Sant’Agostino era ancora dubbia.
    Nella Piazza delle differenze, alla Commenda, dopo qualche ritardo organizzativo inevitabile quando le iniziative sono giovani o alla prima edizione, comincia la musica, le letture. Il pubblico la mattina era atteso molto scarso, dopo la notte di festa di sabato al Porto antico, ma lo stesso flusso di persone, se così possiamo chiamarlo, tende addirittura a scemare nel pomeriggio.
    La sera a Matteotti, Rita Lavaggi, la “mamma” dello sbarco genovese, accusa senza mezzi termini. Accusa chi non ha voluto supportare l’iniziativa. Accusa, di fatto, gli italiani che non hanno capito. E ringrazia una per una le persone che hanno prodotto le due giornate.
    Forse, quando non si vogliono cercare le cause all’interno delle proprie fila, si cercano fuori. Però c’è a mio avviso una chiave di lettura che apre uno spazio diverso, pensando come un Primo marzo sia riuscito a smuovere, solo a Genova, quasi 10 mila persone, delle quali ben più della metà stranieri extracomunitari, mentre l’iniziativa tutta italiana, tra italiani, non abbia raggiunto il tetto di partecipazione sperato: forse abbiamo davvero bisogno del lavoro degli immigrati, non solo nella produzione ma anche nella società civile.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 267: POLITICA – “Le” e “Gli” extraparlamentari dello Sbarco



    Dopo un anno di lavoro, alla fine, “Lo Sbarco” è avvenuto, e un vento di idee, speranze, intelligenza e passione per ventiquattro ore ha sollevato mulinelli qua e là nella città.

    Al Terminal traghetti, quando la lunga fila (circa seicento) di questi messaggeri della politica ha cominciato a percorrere la passerella, i visi erano ancora indistinti, ma mentre si avvicinavano tra sventolii di mani e lanci di grida di benvenuto, chi aspettava si è accorto che entro breve sarebbe stato investito da un’ondata di giovinezza e di speranza, che portava con sé l’invito pressante a riprendere in mano la politica.
    Sul sito (http://www.losbarco.org/), negli striscioni, nei volantini, nei discorsi si dice di che si tratta: è necessario, urgente “contrastare le derive culturali, politiche, sociali” che stanno affondando il nostro paese. Ma come? Quale è la strada?
    Domenica pomeriggio in Piazza Matteotti, al momento dei saluti, salta fuori un indizio.   
    Andrea de Lotto, l’italo-barcelloneta a cui un anno fa, nel giorno di San Giovanni, è venuta in mente l’idea dello “Sbarco”, prende la parola e ripete quello che aveva già detto ventiquattro ore prima, nel momento dell’arrivo: “L’ottanta per cento delle persone che hanno dato vita a questa impresa sono donne”, e aggiunge che l’intensità dell’impegno per tutti, donne e uomini, è stata tale in quest’anno di lavoro che c’è voluta molta arte per non mettere a rischio gli equilibri familiari, e in alcuni casi l’arte non è stata sufficiente.
    Ma come? Non c’era una distanza, una estraneità crescente, tra donne e politica? Cos’è questa politica che attira una percentuale talmente sproporzionata di donne? Cosa si propone, cosa spera di ottenere, su cosa spera di agire?
    Alla Camera le donne vanno dal 10 % circa di IDV e UDC, al vertiginoso 27 % del PD, transitando per il 18% di PDL e Lega. Poi, improvvisamente, ecco che per l’avventura politica dello sbarco c’è un incredibile affollamento di donne.  

    L’esperienza dello sbarco è di quelle che lasciano intravvedere la possibilità che uomini e donne trovino insieme modalità inedite per fare politica. I titoli delle piazze organizzate in città domenica 27 giugno (Diritto alla pace, al sapere e alla bellezza, alla cura dell’ambiente e al futuro, alla differenza, alla dignità del lavoro) non parlano solo al maschile. 
    (Paola Pierantoni)