OLI 267: SOCIETA’ – Uno sbarco tutto spagnolo

Dalla Nave dei diritti, la sera di sabato 26 giugno, scendono circa 600 persone, i partecipanti allo Sbarco, l’iniziativa di un gruppo di italiani residenti all’estero. Molti di loro sono migrati per trovare lavoro, altri per seguire un compagno, altri ancora perché è capitato così. Tutti insieme sono arrivati al porto di Genova, ad attenderli un altro gruppetto di italiani, quelli rimasti qui, meno di quanti fossero loro stessi: il primo specchio di quello che attende chi voglia cercare di smuovere l’Italia, una gran fatica per ottenere poco, forse se l’erano dimenticato, vivendo altrove.
Nelle piazze, di domenica, poche persone. I media hanno parlato quasi niente dell’iniziativa se non proprio all’ultimo, facendo mancare quel clima di aspettativa che è poi il successo degli eventi come questo. Suq, Festival della poesia, forse perché maggiormente supportati dalle istituzioni cittadine, sono stati spinti ovunque, e nonostante questo la presenza non è stata certo esplosiva come i primi tempi. Senza questo apporto, lo Sbarco ha sofferto, e molto. Un aneddoto per tutti: ad una settimana dalla data, la certezza della disponibilità di Commenda e Museo di Sant’Agostino era ancora dubbia.
Nella Piazza delle differenze, alla Commenda, dopo qualche ritardo organizzativo inevitabile quando le iniziative sono giovani o alla prima edizione, comincia la musica, le letture. Il pubblico la mattina era atteso molto scarso, dopo la notte di festa di sabato al Porto antico, ma lo stesso flusso di persone, se così possiamo chiamarlo, tende addirittura a scemare nel pomeriggio.
La sera a Matteotti, Rita Lavaggi, la “mamma” dello sbarco genovese, accusa senza mezzi termini. Accusa chi non ha voluto supportare l’iniziativa. Accusa, di fatto, gli italiani che non hanno capito. E ringrazia una per una le persone che hanno prodotto le due giornate.
Forse, quando non si vogliono cercare le cause all’interno delle proprie fila, si cercano fuori. Però c’è a mio avviso una chiave di lettura che apre uno spazio diverso, pensando come un Primo marzo sia riuscito a smuovere, solo a Genova, quasi 10 mila persone, delle quali ben più della metà stranieri extracomunitari, mentre l’iniziativa tutta italiana, tra italiani, non abbia raggiunto il tetto di partecipazione sperato: forse abbiamo davvero bisogno del lavoro degli immigrati, non solo nella produzione ma anche nella società civile.
(Stefano De Pietro)