Categoria: OLI 263

  • OLI 263: VERSANTE LIGURE – L’insaputello

    Beccato sei in flagrante?

    La colpa tua si fiuta?

    L’hai fatta strabordante?

    Perché non si discuta

    di’ (splendida scusante)

    “È stato a mia insaputa!”.

    Versi di ENZO COSTA

    Vignetta di AGLAJA

  • OLI 263: POLITICA – Una data che ci contenga tutti

    C’è qualcosa che non funziona in questa nostra ostinazione a presidiare.
    Lunedì 31 maggio due piazze a Genova erano occupate da dimostranti contro la legge sulle intercettazioni telefoniche e contro il recente attacco di Israele su pacifisti inermi.
    Ma queste due manifestazioni che si sono ricongiunte in corteo, sono solo un tassello di un mosaico che si va costruendo dal 2001 senza che se ne vedano né il risultato, né l’impatto concreto sulla cittadinanza.
    Dopo nove anni sarebbe lecito chiedersi cosa si vuole fare di tutte le energie di chi organizza e di chi partecipa.
    Forse è arrivato il momento di esserci, come diceva Rita Borsellino due anni fa in Piazza Navona, “uno ad uno e tutti insieme”.
    Per raccogliere in un unico grande momento tutti coloro che non credono più che l’Italia sia “in buone mani”.
    Si avvicina il 12 giugno, data della manifestazione della Cgil.
    Può essere un giorno squisitamente sindacale.
    Ma potrebbe essere il giorno in cui chi non è d’accordo si ritrova.
    E allora ci potrebbero essere precari, ricercatori, studenti, insegnanti e magistrati, operai, con la funzione pubblica tutta, medici e pensionati con giornalisti, preti di strada, stranieri e pacifisti.
    Gay, lesbo, trans e etero.
    E sindaci e presidenti delle Regioni che ultimamente si sono visti poco.
    E l’opposizione.
    E ci potrebbero essere Saviano, Dandini, Santoro e Gabanelli. Con Travaglio, Vauro e Busi.
    E Fazio con Litizzetto. E Rai3 e tutti i “Raietti”.
    Poi San Marcellino. E i Viola. E i Rossi. E i Bianchi. Con Emergency e Medici senza Frontiere. E Libera.
    Poi il Pd: chi c’è, c’è; chi non c’è, non c’è.
    E Italia dei Valori. E sinistra a sinistra, ecologica voltando a sinistra.
    Tutti noi, con i nostri impegni, la nostra delusione e l’infinito di disincanto, senza un tema in agenda, potremmo esserci.
    Esserci con il nostro disgusto. Che è parte del mosaico.
    Esserci perché Libero distribuisce i discorsi del Duce. E lo fa senza parlare delle vittime che il fascismo e il nazismo hanno prodotto.
    E se non sarà il 12 giugno la data, se ne fissi un’altra.
    Ma per cortesia… Che ci contenga tutti.
  • OLI 263: GAZA – Questa volta ha vinto Golia?

    Questa volta ha vinto Golia. E Golia, contraddicendo il mito fondativo e il libro dei libri, ha preso le sembianze del governo e del potentissimo esercito israeliano.
    Davide erano i 700 pacifisti, partiti dalla Turchia con un naviglio di 7 navi, arrivati da 50 nazioni, portatori di storia, sentimenti e culture diverse, intenzionati decisamente e sospinti da motivazioni profonde a portare un non più differibile soccorso alle donne, agli uomini e ai bambini di Gaza, rinchiusi da mesi dalla prepotenza di Golia in un lager senza possibilità di scambi con l’esterno e ormai incapaci di reggersi in piedi. Insomma Davide era la freedom flotilla.
    Anche questa volta aveva le fionde. Le abbiamo viste tutti, ben inquadrate e diffuse al mondo dalle telecamere dell’esercito israeliano. Ma cosa potevano contro un gigante armato in ogni parte del corpo, coperto in ogni frammento di pelle, con il capo fasciato come un mostro inconoscibile, senza occhi da poter guardare e dotati di raggi accecanti che sfregiavano l’alba, rendendola ancora più tragica?
    Un gigante incattivito dalla sua stessa prepotenza, dai 1500 morti lasciati sul terreno a Gaza, dai 350 bambini recisi come fiori di campo, dai lutti e dalle sofferenze che ha continuato a generare dopo, lasciando il nemico a penare e marcire nel suo stesso dolore e nella sua stessa sete di vendetta. E si sa, il gigante lo sa, che la vittoria e il male che comporta può anche darti una certa euforia, ma alla lunga ti consuma, ti attrae nell’abisso che tu stesso hai scoperchiato.
    Il gigante ha colpito, ha sparato con precisione, come gli allenati sanno fare, ma anche con una certa incauta frenesia, come fanno gli impauriti, anche da sé stessi. Almeno nove vite umane sono rimaste sul campo, anzi sul ponte sopra il mare.
    Silenzio e censura su tutte le operazioni. Sei ore di silenzio e buco informativo; una strana umiliazione per una delle più potenti reti informative del mondo: quella dell’esercito israeliano e dei media israeliani. Non sapevano cosa dire, dovevano ricostruire, preparare verità adulterate. Oppure provavano vergogna, imbarazzo paura per le conseguenze che ci sarebbero state.
    Come i cittadini di Israele e gli Ebrei del mondo, orgogliosi in gran parte per le gesta del loro governo, ma in parte sempre più in difficoltà per le sofferenze che stanno infliggendo al popolo palestinese, al sentimento della pace e alla necessità della convivenza.
    Condanna, riprovazione, richiesta di verità da parte di tutto il mondo. Immediate mobilitazioni dei pacifisti ovunque a tutela della pace e della verità. A chiedere ancora condanna della violenza e che, nonostante tutto, due popoli e due stati possano convivere in parità di diritti e doveri, senza muri e senza ingiustizie, senza eletti e senza sottomessi.
    Poi lunghissima riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che, fra retorica e burocrazia e qualche sacrosanto furore, si è concluso con una risoluzione di condanna che reclama un’inchiesta per chiarire fatti e responsabilità.
    A tutt’ora non si è capito se l’inchiesta sarà neutrale, come ragione vorrebbe, o se sarà affidata ai generali israeliani, magari accompagnati da qualche ministro anche straniero!
    Intanto il megafono mediatico per banalizzare e sterilizzare quanto è accaduto è già in funzione.
    (Angelo Guarnieri)
  • OLI 263: CULTURA – Un altro maestro è andato via

    Ad un anno di distanza se ne sono andati uno di seguito all’altro due grandi maestri che hanno insegnato a Genova. Maggio ha portato via nel 2009 Claudio Costantini, dopo un anno ha chiesto nuovamente pegno con Edoardo Sanguineti. Una strana coincidenza che si affianca a quella dell’avvicendarsi dei loro ritiri dall’Università, Sanguineti nel 2000, Costantini nel 2001. Si sono lasciati alle spalle un mondo che stava cambiando e il declino dell’università italiana.
    I fondi sono sempre più scarsi, i criteri metrici con i quali vengono assegnati ciechi delle contestuali particolarità ed eccellenze, pur volendo rispondere alla “meritocrazia”. Su questa progressiva depauperizzazione, o forse oculata scelta di non investire nella cultura e nella ricerca come nostro futuro, si innesta anche l’italianità, magagna dalla quale l’università stessa non è esente. È però un’italianità strumentale, diffusa in maniera infestante nella sfera degli statali, contro la quale si sta combattendo la crociata del terzo millennio (*). In realtà l’ultimo capitolo di un tentativo di disgregazione sociale imbastito, volontariamente o no, un po’ da tutti i fronti di rappresentanza. Basti pensare alla contraddittoria accoglienza del movimento dei precari e ricercatori a contratto in ambito universitario.
    Costantini e Sanguineti non appartenevano ad una casta. Praticavano la loro professione quotidianamente con criterio di trasmissibilità, non gelosi dei loro segreti. Quanti tra i docenti di letteratura italiana abbandonavano l’antologia per un programma che vedeva Dante accanto a Tiziano Scarpa e Alberto Arbasino, e facevan metter mano ad un libro, lavorarne un capitolo e metter le note da bravo curatore? Quanti tra i tanti maestri di storia scendevano dalla cattedra, partivano dal significato delle parole, la contaminazione tra le discipline, facendo maturare le domande e gli strumenti per la ricerca, dirottando la veemenza post adolescenziale?
    Chissà se la direzione aziendalista e il timido fund raising con cui le università tentano di tappare la falla piacerebbero loro. La pezza tiene per un po’, ma il buco tende ad allargarsi, le differenze ad acuirsi. Il rischio è la deriva di tanti isolotti.
    (Ariel)
  • OLI 263: EUROPA – In Italia la violenza è doppia

    Talvolta si riesce ancora a percepire la distanza che ci distacca da una gestione europea dello Stato. In materia di diritti civili l’Italia è uno dei fanalini di coda dell’Unione, impegnata com’è negli scandali dei sederini rosa e degli appartamenti romani di ex ministri nuclearisti. Questa volta il campanello è stato suonato da una sentenza del Tribunale di Torino, grazie all’intervento in materia di risarcimento danni di uno studio ben informato in materia, Ambrosio e Commodo di Torino (1*). Nella lunga lista di interventi e pubblicazioni riscontrabili sul loro sito, risalta l’impegno profuso sul problema dei risarcimenti, visti da diversi punti di vista e in molti settori della società.
    La sentenza in oggetto (2*), alla quale l’Unità ha dedicato un articolo (3*), riguarda la mancata applicazione di una direttiva europea che obbliga gli stati membri a creare dei meccanismi di protezione sociale in materia di violenza intenzionale, ad esempio una stupro. Il caso al quale si riferisce la sentenza è quello di una ragazza che aveva subito un violenza sessuale da parte di due ragazzi, i quali, condannati, sono però risultati nullatenenti e quindi non in grado di risarcire la vittima. In questo caso, secondo la direttiva europea, il sistema leglislativo italiano dovrebbe prevedere un risarcimento da parte dello Stato. Però fino ad oggi l’Italia ha ignorato la chiarezza della direttiva, adducendo varie motivazioni e anzi creando una limitata “lista di reati” (che non comprendevano lo stupro) per i quali intervenire. Una “doppia violenza” per la vittima, che oltre a subire quella diretta dei suoi aguzzini, resta poi incastrata nella burocrazia che distingue tr a chi ha subito una violenza mafiosa (coperta dal diritto attuale) o uno stupro, non presente nella lista. Invece questa sentenza ha finalmente riassestato la giustizia, assegnato alla vittima un risarcimento di 90mila euro che dovranno essere necessariamente versati dal Governo italiano.
    Si crea adesso un precedente che dovrebbe suggerire di predisporre una norma di legge e costituire un fondo economico per le numerose richieste che saranno avanzate da parte di molte altre vittime. Infatti, al momento, per poter usufruire dei vantaggi dettati dalla direttiva occorre citare in causa il Governo per ogni singolo caso, avvalendosi della giurisprudenza creata da questa sentenza, con la conseguenza d’aumentare l’intasamento dei tribunali di mezza Italia.
    Sono però aperte le ipotesi su cosa realmente accadrà: qualsiasi scommettitore londinese darebbe dieci a uno la soluzione “ignorare la legge pagando molto di più però tra cinque anni”, vincente sul “pochi, maledetti, subito di uno stato civile”, che sarebbe una soluzione più auspicabile. Tanto, le spese aggiuntive le pagheremo sempre noi, cittadini-Pantalone. E’ il sistema in uso da parte di moltissimi comuni italiani per il caso dell’Iva sulla bolletta dell’acqua. E’ il carpe diem al quale lo Stato ci ha ormai abituato da tempo, come la norma sulla “tortura” che manca nel nostro ordinamento e per la quale la UE attende pazientemente un intervento risolutore.
    (s.d.p.)
  • OLI 263: FINANZIARIA – Non è più di moda l’operaio?

    Secondo l’Osservatorio sulla gestione delle famiglie europee, curato dal PwC, Price waterhouse Coopers e dall’Università di Parma, per i paperoni d’Italia, quelli che possono contare su patrimoni superiori ai 500mila euro investiti in attività finanziarie, titoli o liquidità, esclusi gli immobili, la crisi sembra alle spalle. La ricchezza di 640mila famiglie appartenenti al campione, è salita fra il 2008 e il 2009 del 19%, grazie anche allo scudo fiscale con 85 miliardi di euro rimpatriati e nel 2010 avrà un trend di crescita del 5,3%.
    Così il Sole 24 Ore del 10 marzo, mentre il 23 febbraio erano sbarcati all’Asinara gli operai della Vinyls di Porto Torres, che ancora stanno là, non sono l’isola dei famosi, ma quella dei cassaintegrati e protestano vivendo nell’excarcere. Perchè se in questi giorni di finanziaria si parla, non senza ragione, del pubblico impiego tartassato, ci si dimentica dei tanti Cipputi che neppure la sinistra menziona più di tanto.
    Un mondo di invisibili condannati alla visibilità in occasione delle morti bianche.
    Lotte che non fanno rumore, dal petrolchimico ai call center che delocalizzano, le vittime della crisi sono simili: giovani o di mezz’età, precari, operai. Non solo perchè sono i più deboli ma perchè rappresentano, contrariamente a quanto si crede, gran parte del mondo del lavoro. Altro che razza in via di estinzione.
    L’Istat certifica che su 17,2 milioni di lavoratori dipendenti più di 8 milioni hanno la qualifica di “operaio”, cioè quasi uno su due. Quasi tre milioni appartengono all’industria, un milione all’edilizia, quasi un milione sono nel commercio, 700mila nella ristorazione, mezzo milione nei trasporti, gli altri in attività minori, dove a volte piccoli imprenditori muoiono perchè non riescono a pagare più i loro operai. Con paghe da operaio e non a vita, come i dipendenti pubblici, che almeno lo stipendio lo avranno sempre, con aumenti magari irrisori, ma mai in dubbio, anche se non c’è di che stare sereni con una famiglia e 1500 euro medi al mese.
    Gli operai però e i loro confratelli così catalogati sono dovuti salire sulle torri per farsi ascoltare da tv e giornali e neppure è servito. Un milione e mezzo i lavoratori toccati dalla cassa integrazione. La lista delle vertenze è lunghissima. Dall’inizio del 2009 aperti al ministero dello Sviluppo 150 tavoli. Senza dimenticare quelli che la cassa integrazione come ad esempio i collaboratori a progetto proprio non l’hanno vista, se va bene soltanto l’una tantum pari al 30% del reddito percepito e poi a casa.
    Finanziaria ingiusta, che appena sfiora i politici o i grand commis, che colpisce sempre gli stessi, quelli che le tasse le pagano e prima. Provvedimento che non colpisce gli evasori.
    O i paperoni di cui sopra. Da schiumare. Ma i lavoratori che hanno perso o perderanno il posto?
    Ricorrono i 40 anni del loro Statuto e non hanno di che festeggiare.
    Pare che gli operai siano di moda ormai soltanto nella moda. Infatti l’abbigliamento Caterpillar è passato davanti ad Armani e Levi’s nella classifica dei migliori brand globali per i suoi scarponcini, magliette e cappellini. La multinazionale ha fatto centro non solo con le storiche macchine da cantiere e trattori, ma con la sua tenuta da lavoro divenuta trendy. Forse un sapore vintage il suo logo, una nostalgia di Cipputi in via di estinzione.
    (b.v.)
  • OLI 263: SPORT – Vince il calcio sentimentale e multietnico

    In tempi di migrazione consistente e di fronte ad un paese di fatto già multietnico il calcio italiano è in ritardo così come la politica e l’informazione: il commissario tecnico della nazionale italiana di calcio ha solennemente dichiarato qualche mese fa: “È bellissimo lo spirito di questi giocatori con il doppio passaporto che avvertono questo richiamo verso la maglia azzurra, ma non vogliamo fare una Nazionale con tantissimi elementi con queste caratteristiche”. E recentemente parlando dell’Inter, Lippi ha detto che è una “grandissima squadra, ma non è italiana”.

    Malgrado la chiusura e il “nazionalismo” del calcio italiano e di chi lo governa, malgrado un ambiente ostile e qualche volta corrotto (vedi calciopoli), l’Inter non ha rinunciato al suo carattere multietnico: giocatori italiani e di tante altre nazionalità (argentina, brasiliana, romena, serba, olandese, colombiana, ecc.), africani, zingari e musulmani (prima di Muntari c’è stato l’algerino Madjer (*) il “Tacco di Allah”). Squadra vincente e piena di “stranieri”, squadra lombarda e “badana”, esempio della forza vincente dell’integrazione e della convivenza multietnica è una presenza che, in modo naturale ma molto efficace, rende felici gli antirazzisti e disturba, sconcerta e da fastidio a nazionalisti, xenofobi e razzisti.
    Non occorreva la vittoria in Champions, la tripletta o i cinque scudetti vinti di fila per capire la grandezza dell’Inter. Da piccoli ci insegnavano che nello sport, come nella vita, è importante la partecipazione e non la vittoria sempre ed a qualunque costo. Rispetto alle altre squadre c’è qualcosa di diverso nell’Inter, un qualcosa che rende più umano un calcio degenerato: qualcosa di sentimentale, di gentile, di rispettoso, di generoso e di sportivo ed è rappresentato da Massimo Moratti. Una figura unica nel calcio italiano, c’era soltanto un altro che gli assomigliava: Paolo Mantovani il presidente della Sampdoria che ha vinto lo scudetto.
    * Nella stagione 1988/89, l’acquisto di Rabah Madjer, è ufficiale, con tanto di presentazione alla stampa e foto ricordo. Ma dalle visite mediche emerge un infortunio grave che fa saltare l’ingaggio.
  • OLI 263: CITTA’ – Ritardi e noia per un sommergibile

    Venerdì 28 maggio, presentazione alla città del sommergibile Nazario Sauro, evento – spettacolo organizzato dal Galata Museo del Mare e da Costa Endutainment. Seducente il programma: “Una serata di musica e danza con fuochi d’artificio finali. Allo spettacolo è invitata tutta la cittadinanza: si parte alle ore 20.00 con il ritmo swing della NP Big Band, in concerto sulla terrazza della chiatta dell’Urban Lab. Dalle ore 21.00, proiezione di immagini e filmati riguardanti passato e presente del Nazario Sauro su due maxischermi e, a seguire, danze acrobatiche sull’acqua e spettacolo pirotecnico.”
    La cittadinanza si fa sedurre, e a partire dalle otto di sera inizia a prendere posto sulle gradinate. Alle 20.30 i posti sono già quasi tutti presi, l’ottima orchestra suona uno splendido repertorio di musica americana anni ’30 e ’40, la temperatura è perfetta e due gentili assistenti gestiscono con efficienza la sistemazione nei pochi posti ancora liberi delle persone pazientemente in coda all’esterno.
    E’ una festa popolare e il quartiere tutto partecipa, il pubblico è più misto che in altre occasioni, la presenza di cittadini immigrati folta e visibile; molti, naturalmente, i bambini.
    Fino alle 21 tutto perfetto, allegria, bambini eccitati e contenti, chiacchiere.
    Poi inizia l’attesa: 21.15, 21.30, 21,45, 22 … l’orchestra continua a suonare solo per colmare un vuoto e l’entusiasmo iniziale per la bella musica ad ogni nuovo pezzo volge in nervosismo, le persone più anziane abbandonano, si infittiscono i commenti irritati, i bambini si agitano, nessuno dice che sta succedendo. Bisogna arrivare alle 22.20 perché Campodonico, direttore del Mu.Ma, annunci trionfalmente che lo spettacolo ha inizio. Va beh, si pensa, pazienza, magari qualche problema tecnico … ma ora ci siamo, arriva il momento atteso, i bambini che hanno resistito saranno finalmente contenti.
    Invece dalle 22.20 alle 23.10 sono stati discorsi. Hanno parlato uno dopo l’altro tutti gli attori del progetto: Campodonico, Maria Paola Profumo, Costa, Fincantieri, Sindaco, Presidente della Regione, Marina Militare … Qualcuno parlava nel microfono, qualcuno no, e alle gradinate arrivava solo una informe poltiglia verbale. A intervalli un filmato che intendeva illustrare diversi momenti della vita del Nazario Sauro, ma erano film muti, zero parole, nessun contenuto informativo, che hanno inflitto al pubblico il sommergibile in tutte le salse: fermo, in navigazione, di profilo, di fronte, dall’alto, dal basso, con tutte le inclinazioni possibili, di giorno, all’alba, al tramonto, con sfondo di immutabile musica trionfale. Una noia apocalittica. Intere famiglie si alzano e se ne vanno portandosi via bambini stanchi e delusi.
    Poi dalle 23.10 alle 23.30 un po’ di “Son et lumière” ha addolcito l’animo dei più indulgenti.
    Magari l’episodio è marginale, però è metafora di sordità politica, incapacità di relazione, narcisismo e – perdonate – maleducazione: non ci si fa aspettare per quasi un’ora e mezza da più di mille persone, a meno di non offrire al termine della lunga attesa qualcosa di veramente strepitoso.
    Ricordo un concerto del 1989 allo stadio di Albenga, dove Miles Davis si fece attendere fino alle 23: narcisista anche lui, figuriamoci, ma …
    (p.p.)
  • OLI 263 – PAROLE DEGLI OCCHI – I tramonti non sempre sono romantici

    © foto: Giorgio Bergami
    I tramonti non sempre sono romantici.
    In Italia il sole che si abbassa sempre più su cultura, università e scuola fa solo malinconia.
    Lista dei 232 istituti culturali a rischio taglio finanziamenti che il Quirinale ha rimandato all’esame del ministro Bondi