OLI 263: EUROPA – In Italia la violenza è doppia

Talvolta si riesce ancora a percepire la distanza che ci distacca da una gestione europea dello Stato. In materia di diritti civili l’Italia è uno dei fanalini di coda dell’Unione, impegnata com’è negli scandali dei sederini rosa e degli appartamenti romani di ex ministri nuclearisti. Questa volta il campanello è stato suonato da una sentenza del Tribunale di Torino, grazie all’intervento in materia di risarcimento danni di uno studio ben informato in materia, Ambrosio e Commodo di Torino (1*). Nella lunga lista di interventi e pubblicazioni riscontrabili sul loro sito, risalta l’impegno profuso sul problema dei risarcimenti, visti da diversi punti di vista e in molti settori della società.
La sentenza in oggetto (2*), alla quale l’Unità ha dedicato un articolo (3*), riguarda la mancata applicazione di una direttiva europea che obbliga gli stati membri a creare dei meccanismi di protezione sociale in materia di violenza intenzionale, ad esempio una stupro. Il caso al quale si riferisce la sentenza è quello di una ragazza che aveva subito un violenza sessuale da parte di due ragazzi, i quali, condannati, sono però risultati nullatenenti e quindi non in grado di risarcire la vittima. In questo caso, secondo la direttiva europea, il sistema leglislativo italiano dovrebbe prevedere un risarcimento da parte dello Stato. Però fino ad oggi l’Italia ha ignorato la chiarezza della direttiva, adducendo varie motivazioni e anzi creando una limitata “lista di reati” (che non comprendevano lo stupro) per i quali intervenire. Una “doppia violenza” per la vittima, che oltre a subire quella diretta dei suoi aguzzini, resta poi incastrata nella burocrazia che distingue tr a chi ha subito una violenza mafiosa (coperta dal diritto attuale) o uno stupro, non presente nella lista. Invece questa sentenza ha finalmente riassestato la giustizia, assegnato alla vittima un risarcimento di 90mila euro che dovranno essere necessariamente versati dal Governo italiano.
Si crea adesso un precedente che dovrebbe suggerire di predisporre una norma di legge e costituire un fondo economico per le numerose richieste che saranno avanzate da parte di molte altre vittime. Infatti, al momento, per poter usufruire dei vantaggi dettati dalla direttiva occorre citare in causa il Governo per ogni singolo caso, avvalendosi della giurisprudenza creata da questa sentenza, con la conseguenza d’aumentare l’intasamento dei tribunali di mezza Italia.
Sono però aperte le ipotesi su cosa realmente accadrà: qualsiasi scommettitore londinese darebbe dieci a uno la soluzione “ignorare la legge pagando molto di più però tra cinque anni”, vincente sul “pochi, maledetti, subito di uno stato civile”, che sarebbe una soluzione più auspicabile. Tanto, le spese aggiuntive le pagheremo sempre noi, cittadini-Pantalone. E’ il sistema in uso da parte di moltissimi comuni italiani per il caso dell’Iva sulla bolletta dell’acqua. E’ il carpe diem al quale lo Stato ci ha ormai abituato da tempo, come la norma sulla “tortura” che manca nel nostro ordinamento e per la quale la UE attende pazientemente un intervento risolutore.
(s.d.p.)