Pochi giorni fa è morto Paolo Arvati. Nell’articolo che gli dedica Luca Borzani su La Repubblica ed. Genova di mercoledì 9 novembre troviamo le parole che descrivono la sua opera: sociologo, direttore dell’Istituto Gramsci, esperto di statistica di livello nazionale, docente universitario, dirigente del Comune di Genova, intellettuale rigoroso, militante del Pci, ma, scrive Borzani: “soprattutto era la Cgil il suo riferimento”. Infatti era stato dirigente sindacale, nella Cgil Scuola e nella Camera del Lavoro, ma non era invecchiato nel sindacato, aveva saputo cambiare. Il suo legame col movimento sindacale e operaio però non si era mai interrotto, e si era espresso nella sua attività di ricerca storica e sociale.
Un rito laico lo ha salutato, come avevano chiesto lui e sua moglie. Il luogo, un piazzale all’aperto, quello della Camera del Lavoro di Genova.
La sfera del trascendente, del religioso, non era assente: la rappresentava un amico, sindacalista e membro della Tavola Valdese, ma si presentava sotto la forma della ricerca, della indagine etica e intellettuale, dell’interrogativo, e non sotto quella dell’affidamento e della fede.
E’ stato un rito semplice, che è riuscito a restituire l’immagine della persona che si stava salutando: una personalità limpida, e schiva, priva di qualsiasi boria; una grande intelligenza e uno stile di lavoro e di vita caratterizzato dal rigore; una inesauribile curiosità intellettuale e una costante disponibilità verso tutti.
Le persone che affollavano il cortile, dal racconto di questa vita che avevano avuto la fortuna di incrociare, ricevevano di riflesso frammenti della propria.
Nello spazio di un’ora la cerimonia si è conclusa. Tutto, mi pare, era in armonia col carattere di Arvati.
Nel momento del commiato incontro un compagno della Cgil, ora in pensione, che dice: “I riti bisognerebbe abolirli. Tutti i riti”. L’amica che è con me reagisce “No, i riti sono essenziali, anche per chi è laico. Non possiamo fare a meno dei riti!”.
Paolo Arvati ha potuto avere un luogo che ha accolto, con dignità e senso, il rito laico del suo commiato.
Ma questa è una possibilità rara, nata da una storia personale non comune.
Per la maggioranza non esistono luoghi in cui svolgere riti alternativi a quelli religiosi. Dovrebbero essere luoghi belli, diffusi in tutti i quartieri. Una città rispettosa delle storie, dei sentimenti e dei pensieri di tutti i suoi cittadini dovrebbe essere capace di crearli.
Hanno parlato di Paolo: Ilvano Bosco, segretario della Camera del Lavoro; Adriano Bertolini, membro della Tavola Valdese; Marco Doria, storico; Giorgio Ghezzi, presidente della Fondazione Di Vittorio.
(Paola Pierantoni)
Categoria: Sindacato
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OLI 320: PAOLO ARVATI – Un rito laico per il commiato
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OLI 314: TRASPORTI – Sciopero per chi e contro cosa?
Disegno di Guido Rosato Uno sciopero è un’astensione dal lavoro che dovrebbe “dare un danno” alla controparte. Il danno, nel caso di aziende manifatturiere in attivo di bilancio, si manifesta con la mancata produzione. Ma nel caso dell’azienda di trasporti pubblici Ipotetica Spa, tra l’altro in perenne deficit come Amt a Genova, che senso può avere un’astensione dal lavoro? Ragioniamo. Se ad esempio la nostra Ipotetica è un’azienda in passivo, questo significa in soldoni che gli attivi sono superati dai passivi. Tra gli attivi del servizio pubblico ci sono sicuramente i biglietti (A) e i finanziamenti (B). Tra i passivi, i costi del personale (C) e dei mezzi (D). La situazione di passività vuole che A+B sia minore di C+D. In caso di sciopero, la contabilità giornaliera di Ipotetica diviene quindi attiva: eliminando A, C e D resta B, quindi non solo si registra un risparmio sui costi, ma in più la voce B resta costante a rimpinzare le tasche dell’azienda. Si può quindi affermare che all’azienda Ipotetica Spa lo sciopero dei mezzi sia, in definitiva, conveniente. Poiché lo scopo istituzionale di una Spa non è lo stesso di una municipalizzata, la prima guarda al profitto, la seconda alla bontà del servizio, ed essendo evidente che di quest’ultimo fattore alla nostra Ipotetica non importa più molto e ormai da tempo (un po’ come accade a Genova), resta da trarne la conclusione che continuare a fare uno sciopero astenendosi dal lavoro sia obsoleto e illogico. Se si volesse davvero fare leva su quanto d’interesse all’azienda, darle il “danno economico”, uno sciopero dei controllori sarebbe più che sufficiente. I cittadini viaggerebbero gratis per un giorno, assaporando la felicità di un servizio pubblico come dovrebbe essere e sarà prima o poi, ossia pagato direttamente con una tassa da tutti e non solo dai pensionati che lo usano. Purtroppo occorre tenere conto della presenza di una normativa comunitaria voluta dagli stessi affaristi che si sono avventati sui servizi municipalizzati e che di fatto impedisce questa soluzione. Volendo aggiungere una nota sulla condizione drammatica dei mezzi, sarebbe apprezzato moltissimo dai cittadini anche uno sciopero bianco, dove gli autisti mettano in ginocchio per un giorno l’azienda denunciando alla motorizzazione civile i mezzi messi in marcia con le ruote lisce, le porte rotte, i sedili incrinati, le viti sporgenti. C’è la speranza che le vicende giudiziarie derivanti possano indurre il Comune a cambiare un po’ di dirigenza e a tornare ad un’organizzazione più interna del lavoro. Qualcosa di simile si era già visto in Amt con l’aria condizionata, solo che allora i sindacati degli autisti l’aria se l’erano venduta (insieme al fresco dei passeggeri) in cambio di promesse retributive di categoria.
(Stefano De Pietro) -
OLI 307: G8 / PUNTO G – Il femminismo secondo Marta Vincenzi
Poche ore dopo la conclusione del convegno internazionale “Punto G – Genere e globalizzazione” ricevo due mail relative all’intervento di Marta Vincenzi.
Provengono da due donne, divise da almeno trenta anni di età ma unite da livello culturale, capacità di pensiero ed una grande competenza e attenzione sui temi del femminismo e del rapporto tra donne e lavoro.La prima si dice “sgomenta” per quello che ha detto Marta Vincenzi. Le è rimasta impressa l’affermazione che sui temi del lavoro non è esistito un vero e proprio movimento autonomo delle donne, e che è ora che le donne comincino a darsi da fare per cambiare il mondo. Per fortuna Susanna Camusso nel suo intervento ha fatto notare che “le donne hanno sempre preso in mano la propria vita, anche lavorativa, al traino di nessuno, anzi, anticipando lotte e conquiste maschili … per esempio la giornata lavorativa di otto ore è stata conquistata dalle operaie tessili e dalle mondine, ben prima che dalle lotte dei metalmeccanici … interessante interesse delle donne per la vita oltre il tempo di lavoro!”
Peccato però che lei, la sindaco, se ne fosse ormai andata.
La mia amica aggiunge di non essere riuscita a prendere appunti, per cui nel ricordo ci può essere qualche inesattezza.L’altra amica gli appunti invece li ha presi, e precisa: “Marta Vincenzi non ha parlato del femminismo in generale, ma dell’impegno femminista rispetto alle tematiche del lavoro … Vincenzi ha fatto il seguente distinguo: l’elaborazione femminista su corpo, sessualità e salute è stata efficace ed è riuscita a passare anche alle nuove generazioni, viceversa l’elaborazione sui temi del lavoro sarebbe stata debole e scarsa (al traino delle proposte del movimento operaio – maschile) e questa sarebbe la ragione per cui oggi le donne della generazione del neofemminismo hanno difficoltà a confrontarsi con le giovani sui temi della precarietà …”
Naturalmente – annota l’amica – “E’ una lettura assurda e priva di qualunque fondamento storico. Camusso ha così dovuto ricordare che non è esistito un femminismo, ma sono esistiti diversi femminismi (ad esempio quello sindacale). E’ vero che il confronto tra generazioni sul lavoro (che non c’è, oppure è sempre più spesso precario, privo di tutele e prospettive) è difficile, ma le ragioni non sono certo quelle indicate dalla Sindaco!”.
Platea sbagliata per le approssimative affermazioni di Marta Vincenzi: una sala in cui di donne che hanno lottato per la loro autonomia nel lavoro e nel sindacato ce ne erano parecchie, insieme alle giovani autrici di “Non è un gioco da ragazze – Femminismo e Sindacato: i Coordinamenti Donne FLM” – Prefazione di Anna Rossi Doria – Ediesse 2008.
Le giovani lavoratrici di oggi, precarie e no, non erano lì per caso.
Non era un caso che ci fossero le cassintegrate della Omsa …
… e il gruppo “Generazioni di donne”.
Un passaggio di testimone nel movimento femminista è stato finalmente avviato.
Anche sui temi del lavoro.
E altrove?(Paola Pierantoni – Foto dell’autrice) -
OLI 297: DONNE – La parola agli uomini
Il 5 aprile il seminario previsto alla Sala Governato della Cgil di Genova viene spostato in un’aula più piccola. L’iniziativa “Donne e uomini di fronte al cambiamento tra potere e società” – relatore Stefano Ciccone dell’associazione Maschile Plurale – ha un’adesione al di sotto delle aspettative. Si potrebbe pensare all’orario, che copre l’arco di una mattinata lavorativa, ma c’è chi fa rilevare che molti non sono preparati per certe riflessioni.
Tra il pubblico parecchie donne e qualche uomo. Stefano Ciccone, che è anche delegato sindacale, spiega quanto gli stereotipi di rapporto tra i sessi siano una questione politica che incide su tutte le dimensioni, anche quella lavorativa. Ripercorre l’incapacità degli uomini ad avere le parole per raccontarsi e quanto siano invisibili a se stessi. Ricorda l’inconsapevolezza, per la quale in occasione della manifestazione del 13 febbraio, Bersani guarda alla piazza e giustifica la sua presenza accennando alle “nostre donne”. Mentre un sistema peggiore propone modelli desolanti: “meglio puttaniere che frocio” e colloca il corpo delle donne a merce di scambio, tangente. Chi non ricorda il centro massaggi del mitico Bertolaso? Insistendo sul modello del “simpatico puttaniere” a cui tutto è perdonato perché sta comunque nei confini della mascolinità dominante.
E’ una politica per la quale Marrazzo rimane “nell’indicibile”, mentre Berlusconi ricalca il modello tradizionale.
L’associazione Maschile Plurale parte riflettendo sul rapporto degli uomini con la violenza sulle donne. Fenomeno principalmente familiare che non ha nulla a vedere con la campagna sulla sicurezza con la quale destra, e sinistra che la insegue, stanno martellando gli elettori. Ciccone rileva che viene proposto un modello di sessualità maschile antropologicamente violento, esattamente come accade con il migrante che viene presentato come antropologicamente selvaggio.
Bisogna smontare questi stereotipi.
I detrattori della Merlin sostenevano la prostituzione come garanzia del controllo sociale sulla sessualità maschile. Ciccone insiste sulla necessità di costruire una parola pubblica degli uomini che dia legittimità al cambiamento delle donne e al superamento degli stereotipi. Parla di padri separati e di una società nella quale, se è storicamente definito che la madre debba accudire il figlio, il bambino difficilmente verrà affidato al padre.
Succede anche che per una ragazza il corpo diventi impaccio sulla valutazione delle sue capacità e che emerga la prospettiva della neutralità per fuggire allo stereotipo. Da qui l’idea di esserci come solo come “persone”, idea che dovrebbe “liberare” dalla propria connotazione sessuale. Ma di fatto la nega.
Come fossero i tasselli di un puzzle Ciccone evoca tutti gli elementi che hanno composto l’immaginario di relazioni tra uomini e donne, tra questi gli stupri etnici nella ex Jugoslavia e le trecentomila donne violate, come fossero un territorio, da decine di migliaia di uomini, per i quali il loro corpo è stato degradato ad arma di guerra.
Quale relazione affettiva con moglie, madre, figlia e sorella potranno aver instaurato dopo?
In un ideale che seduce gli uomini con difesa della patria, onore, esercizio virile della guerra, quale spazio c’è per ragionare su desiderio, affettività, libertà e propria identità di uomini e donne?
Ciccone ammette l’urgenza di un lavoro da fare qui ed ora. Senza limitarsi, solo con gli incontri nelle scuole, a delegare alle generazioni future di un compito che è anche degli adulti di oggi.
(Giovanna Profumo) -
OLI 292: 8 MARZO – Elsag 1977 – 2007: la quasi invarianza della discriminazione
Mi ritrovo tra le mani un opuscolo della FLM (Federazione Lavoratori Metalmeccanici) del 28 febbraio 1977. Il titolo dice “Dati organizzativi”; all’interno, fabbrica per fabbrica, il numero degli addetti, e degli iscritti al sindacato unitario.
Nella sola zona di Sestri Ponente le persone che lavoravano nel settore metalmeccanico erano 10814. Il totale generale per Genova, da ponente a levante, era di 52351 persone, iscritte al sindacato per più del 78%, operaie per il 68%, 2088 delegati sindacali.
Un altro mondo, un mondo scomparso: per chi ha oggi meno di trenta anni i nomi delle aziende che si susseguono sul ciclostilato ingiallito sono sigle senza senso, per chi ha più anni evocano un tratto di vita non solo lontano per lo scorrere del tempo, ma separato per una frattura netta, una cesura, che lo fa apparire un mondo a parte, in cui non siamo proprio noi ad aver vissuto, ma qualcuno che ci assomigliava, un nostro antenato.
Sulle due lontane sponde di questo abisso di tempo e di trasformazioni trovo – quasi invariata – la sigla di una azienda: Elsag in allora, Elsag–Datamat oggi.
E caso vuole che riesca ad avere sotto mano due indagini, una del 1977 ed una del 2008, due documenti che tracciano almeno un filo di continuità che attraversa questi trenta anni: il desiderio delle donne di capire come stanno le cose e di cambiarle, e la discriminazione che le colpisce.Nel 1977 fu il “Coordinamento donne” della fabbrica a fare una ricerca, utilizzando un “questionario professionale e sociale”: venivano analizzate le discriminazioni nelle assunzioni, nell’inquadramento professionale, e l’incidenza degli aspetti personali e privati: accesso alla istruzione, lavoro domestico, complicità e paure.
Nel 2008 le delegate sindacali hanno utilizzato una legge che è stata forse il frutto più tardivo delle lotte delle donne degli anni ‘70: la 125 del 1991, legge sulle “Pari Opportunità”, che impone alle aziende di stendere rapporti biennali sulla situazione occupazionale, professionale e retributiva delle donne (*).
Dalle due indagini risulta evidente che la barriera che sottrae lavoro alle donne è sempre in piedi: trenta anni fa erano il 16% degli occupati, ora il 25%, un incremento irrisorio se si tiene conto delle radicali trasformazioni culturali e sociali che hanno attraversato questo periodo. E non si tratta di un retaggio del passato: ancora nel 2007 le donne sono state solo il 21% degli assunti.All’interno di questi numeri ridicolmente minoritari, la distribuzione professionale è un po’ meno squilibrata, ma resta il fatto che il 95% dei dirigenti, l’80% dei quadri, il 75% dei due livelli impiegatizi più elevati è maschile e che, a parità di livello, le donne guadagnano il 20 % in meno dei colleghi.
Le delegate hanno svolto anche un sondaggio on line (**) sulla conciliazione dei tempi di vita e lavoro: esigenze, problemi, proposte. Il taglio non è più quello femminista del 1976, ma le cose emergono con chiarezza; tra queste la scarsa o insufficiente attenzione della azienda sul punto. Una grave arretratezza per un “centro di eccellenza” (***) votato all’innovazione.
* http://lofficina.altervista.org/elsagdoc/temi/20080909_analisi_po.pdf
** http://lofficina.altervista.org/index.php?option=com_content&task=view&id=254
*** http://www.elsagdatamat.com(Paola Pierantoni)
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OLI 284: DIRITTI – Appello per la FIOM
Una delle persone della redazione ha ricevuto nella sua posta personale una mail di Chiara Ingrao a sostegno dei diritti dei lavoratori della Fiat e della battaglia della FIOM. E’ una bella lettera, esplicitamente destinata alla diffusione, e abbiamo deciso di pubblicarla.
Cari tutti/e,
intanto buon anno, anche se l’anno non mi sembra cominciare sotto i migliori auspici. Tanto per citarne una, nei prossimi giorni lavoratori e lavoratrici della Mirafiori saranno costretti a votare su un quesito assurdo: o accetti orari di lavoro più pesanti, meno pause, più straordinario, turni di notte, malattia non pagata, rinuncia a diritti indisponibili come il diritto di sciopero e di rappresentanza sindacale democraticamente eletta, o la fabbrica chiude. Molti hanno sottolineato quanto il ricatto sia menzognero, oltre che ignobile: non è vero che sia così semplice per la Fiat andarsene dall’Italia, non è vero che i SUV (i SUV!!) che vuole produrre a Mirafiori si possono produrre ovunque e poi caricarli su navi o tir e portarli a scorrazzare in giro per il mondo, non è vero che dalla crisi Fiat si esce distruggendo il sindacato e spremendo i lavoratori oltre ogni limite, ma serve ricerca, nuovi prodotti e un nuovo piano industriale, riconversione ecologica e innovazione tecnologica, e così via.
Cose di buon senso, che invece vengono bollate come pericoloso estremismo, mentre sempre di più circolano fra noi interrogativi angosciosi: e se la prossima volta, per ottenere un investimento in Italia, chiedessero alle lavoratrici di rinunciare alla maternità, che per esempio non è garantita né negli Stati Uniti né in Cina? Se ci chiedessero di far cucire palloni ai bambini anche qui in Italia, anziché fare campagne internazionali contro il lavoro minorile? Se ci chiedessero di cancellare le ferie, le festività, di lavorare 18 ore al giorno? Nelle campagne di Rosarno già si fa: invece di indignarsi, perché non esportiamo quei modelli di lavoro anche in fabbrica? Dov’è il confine, di questa corsa al ribasso per inseguire un’idea di globalizzazione sempre più feroce? E non lo abbiamo già visto nella crisi finanziaria globale, quali risultati può portare dare mano libera totale alle imprese, senza alcun controllo né vincoli? … non rassegnarsi a un centrosinistra plaudente o “neutrale” di fronte al più grave attacco alla libertà, alla democrazia, alla dignità dei lavoratori, mai verificatosi negli ultimi 50 anni. Se siete iscritti o sostenitori del PD, andate nelle sezioni, scrivete ai vostri gruppi dirigenti, chiedete che il vostro partito ascolti e rifletta, che non si consegni inerme ai ricatti del più forte. Se come me sostenete SEL, o Italia dei valori, o la Federazione della sinistra, chiedete di non arroccarsi nelle proprie giuste scelte, ma invece di continuare a incalzare il PD e perfino “i moderati”, perché una violazione della democrazia come quella cui stiamo assistendo, probabilmente la DC non l’avrebbe mai accettata. Se siete impegnati nei movimenti nella scuola, nelle università, nella cultura, che tanta forza e speranza ci hanno comunicato in questi mesi, fate della vicenda Fiat uno dei temi centrali della vostra riflessione e del vostro lavoro. Infatti che speranza c’è per la cultura nel nostro paese, se vince la cultura della giungla? Che speranza c’è per i diritti di precari e migranti, se ogni idea di diritti viene spazzata via come un orpello inutile?”Su questa vicenda stanno circolando due appelli, uno di Micro Mega:
http://temi.repubblica.it/micromega-appello/?action=vediappello&idappello=391202e uno della FIOM: www.fiom.cgil.itSottoscriverli o meno è questione di scelta e orientamento personale. Conoscerne l’esistenza e poterli valutare è un diritto di informazione.
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OLI 282: ILVA – L’intensa giornata di Claudio Burlando
Burlando, 25/4/10 Lunedì 13 dicembre 2010 visita di Claudio Burlando all’Ilva di Genova.
E’ stato ricevuto, nel seguente ordine, da Emilio Riva e figlio per una “colazione”, il pranzo un tempo si definiva così. In seguito dalla RSU. E in fine da un gruppo di lavoratori – leggasi comitato – che nel mese di novembre ha condiviso con la stampa locale preoccupazioni sul futuro dello stabilimento siderurgico.
Giornata intensa quella del presidente della regione, accompagnato nella vista da un collaboratore e da una collaboratrice. Anche perché l’attacco dei 112 aderenti al comitato era assai puntuale e sollevava domande precise su futuro di aree, lavoro e fabbrica.
Giornata intensa poiché il presidente Burlando pareva avesse come obbiettivo quello di essere rassicurato sul lavoro svolto. Politicamente parlando.
Giornata nella quale il solco tra sindacati e comitato di cento dei lavoratori rientrati dagli enti pubblici si è fatto più profondo vista l’agenda del presidente e la distanza ormai certificata tra i due gruppi. Ma nei due mesi trascorsi, purtroppo, non è stato possibile fissare un’assemblea sindacale di tutti i lavoratori, strumento assai utile per sciogliere i nodi che man mano venivano al pettine.
Giornata inutile quella del presidente Burlando che occasioni di ascolto ne avrebbe potuto creare a dozzine nei cinque anni trascorsi e che si ritrova adesso a ricevere piccoli insiemi ognuno con le proprie verità.
Vero sarà infatti che il gruppo Riva ha intenzione di far ripartire ad aprile il quarto altoforno a Taranto, con conseguente incremento di attività produttive sullo stabilimento genovese.
Vera sarà la garanzia di salario – verificabile nei prossimi mesi – dei lavoratori rientrati dopo la loro attività in comune e provincia.
Vera la preoccupazione di chi – dichiarato “esubero temporaneo” – fatica a scorgere un futuro.
L’idea politica che è mancata a Burlando oggi – sono passate le stagioni elettorali di Maestrale – era quella di ricevere proprietà, RSU e comitato tutti insieme, pacatamente. Magari in una pubblica assemblea. Mettendo in condizione ogni gruppo di confrontare il proprio punto di vista. Valorizzando lo sguardo di ognuno. E fare sintesi.
Perché di temi in agenda ce ne sono parecchi, disposti a ventaglio a partire da tutte le aree di Cornigliano per arrivare a centrale elettrica, amianto e mobilità.
Scoraggiante, come delegata Fiom, è stato dover richiamare l’attenzione del presidente Burlando, che messaggiava sul suo cellulare mentre, in RSU gli esponevo il mio punto di vista.
Mi chiedo se ha fatto la stessa cosa durante la colazione con la proprietà.(Giovanna Profumo)
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OLI 279: IMMIGRAZIONE – Il permesso che vorrei
La settimana scorsa ha visto la realizzazione in numerose città italiane di iniziative di solidarietà con i migranti di Brescia e contro il lavoro nero dei migranti a Genova CGIL e ARCI hanno organizzato un presidio davanti alla prefettura giovedì scorso ed una delegazione ha incontrato il prefetto. Pare che la mobilitazione abbia avuto qualche risultato: il governo ha accettato venerdì scorso due ordini del giorno, uno firmato da deputati del centro sinistra e l’altro da deputati del centro destra, che chiedono di estendere la regolarizzazione anche ai lavoratori non domestici. Negli ordini del giorno accettati dal governo si chiede inoltre di estendere la durata del permesso per ricerca di lavoro (oggi è di appena sei mesi), per evitare che chi ha perso il posto a causa della crisi economica diventi irregolare e soggetto all’espulsione. I deputati del Pdl hanno chiesto inoltre al governo di rispettare i tempi per i rinnovi dei permessi di soggiorno, mentre il Pd ha chiesto di convocare un tavolo istituzionale sul tema delle truffe a danno degli immigrati e prevedere una normativa in tempi brevi che permetta a questi stranieri di denunciare la truffa subita senza il pericolo di essere espulsi dal territorio italiano.
Provvedimenti che se vengono realizzati migliorerebbero la situazione ma non bastano a risolvere i problemi della clandestinità e del lavoro nero. La Camera del Lavoro di Genova chiedeva infatti la regolarizzazione permanente (non dopo 5/6 anni di lavoro nero) dei lavoratori di tutti i settori lavorativi che dimostrano la sussistenza di un rapporto di lavoro; e, quando il datore di lavoro si oppone alla regolarizzazione, di rilasciare il permesso di soggiorno a chi denuncia e dimostra di essere impiegato in nero. Per la CGIL di Genova la lotta alla clandestinità va affrontata a monte, favorendo gli ingressi regolari attraverso quote flussi corrispondenti al vero fabbisogno del paese ed attraverso l’introduzione del permesso di soggiorno per ricerca lavoro ed il ripristino dell’ingresso per sponsor. Per evitare che chi è già regolare venga ricacciato nella clandestinità, viene richiesto di consolidarne la situazione attraverso l’abolizione del contratto di soggiorno e lo scioglimento di ogni legame tra durata di contratto di lavoro e durata del permesso di soggiorno.
In questa fase di dura crisi e con un governo insensibile alle tematiche dell’immigrazione, la CGIL propone la sospensione di questa norma o almeno il prolungamento da 6 a 12 dei mesi di disoccupazione. L’obiettivo però è l’abolizione del contratto di soggiorno che facilmente porta all’espulsione anche di chi è regolare in Italia da venti anni dopo 6 mesi di disoccupazione.
Il consolidamento della situazione dei regolari potrebbe avvenire facilitando e semplificando il rilascio del permesso CE (ex carta di soggiorno) a tempo indeterminato a tutti gli immigrati che ne hanno diritto, adottando interpretazioni meno restrittive e riformando la legge sulla cittadinanza: la più arretrata d’Europa ed applicata in modo molto restrittivo. -
OLI 274: ILVA – Perché quegli sguardi avviliti?
Mercoledì 13 ottobre. Fabbrica di Cornigliano, 8.30 del mattino.
Le macchine scivolano alla spicciolata nel grande parcheggio davanti alla portineria.
Si sono lasciate alle spalle un lungo percorso costeggiato da container colorati.
No. Non ci sono giornalisti della stampa locale a raccontare il fatto. Anche se la prima tranche di rientri in fabbrica – 55 dipendenti – dopo cinque anni di cassa integrazione, è di certo un evento cittadino. Occasione unica per chi vorrebbe occuparsi di cronaca del lavoro.Le facce, soprattutto donne, sorridono beffarde all’ineluttabile. Impiegate over quaranta che si salutano e si abbracciano per poi cercare nella borsa il badge, scovato nei cassetti e dimenticato per un lustro, puntualmente scambiato con l’addetto della proprietà con un pass più nuovo e meno ingiallito. Ma con la stessa foto vecchia di anni.
La fabbrica alla loro destra sembra inerte, come chiusa dentro il suo imballo azzurrino. Alla loro sinistra il cantiere è in movimento. Un pullman – sedili imbottiti e impolverati – le accompagnerà insieme ai colleghi alla scuola siderurgica per il loro primo giorno di lavoro. Che è poi formazione.
Nella catena di montaggio che li ha visti oggetto dell’accordo di programma donne e uomini si sono sentiti spostati come merce da una fase all’altra di un ciclo che li ha visti in azienda, poi in Comune e Provincia, ed oggi ancora in azienda. E il 13 ottobre non esitano a dichiararsi “merce di scambio”.
Dopo di loro, a scaglioni, entreranno gli operai. Per tutti è prevista una settimana in fabbrica e tre a casa. Con salario tutelato.
Con una proposta così di che si lamentano?
E perché quegli sguardi avviliti?
Gli hanno spiegato che lavoreranno meno che negli enti pubblici. Li hanno esortati a comprendere che questa è la madre di tutti gli accordi che verranno dopo. Hanno detto loro che l’offerta è talmente innovativa da essere stata d’ispirazione per il teatro dell’opera cittadino. E loro stessi hanno detto sì al contratto di solidarietà consapevoli che in cambio ci sarebbe stato il vuoto.
Capire perché sentano di non avere in mano nulla, e perché avvertano l’assenza totale di un progetto occupazionale serio è compito di sindacato e politica. Nessuno dei due ha affrontato la questione con serietà. Nessuno dei due ha registrato i picchi di un malessere molto diffuso che insieme al salario chiedeva l’impegno su un’occupazione vera.In immagine, la lettera che l’assessore Margini ha inviato in questi giorni ai cassintegrati ILVA rientrati in stabilimento in ottobre.(Giovanna Profumo)