Categoria: Sindacato
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OLI 422: ILVA – Landini, media assemblea
Un reporter riprende un lavoratore che fotografa un fotografo mentre scatta primi piani a Landini. L’immagine più evidente che si è nel cuore di una rappresentazione è data dal fatto che, ad un certo punto, due fotografi sistemano un casco ILVA proprio sopra i tubi innocenti che reggono il palco, come se quel casco fosse stato dimenticato da un operaio, ed iniziano a scattare foto.
Quella con Landini, non è, come promesso dal volantino affisso nelle bacheche aziendali, un’assemblea. Ma è incontro a porte spalancate, con stampa, lavoratori e cittadini. Un momento storico per l’ILVA di Cornigliano una giornata che ha dato alla siderurgia genovese visibilità, ma non un’assemblea che significa confronto, riflessione, condivisione di idee, tra lavoratori e sindacato.
Landini – dio lo benedica per il suo impegno politico – ha detto le cose che dice a Ballarò, Piazza Pulita, Servizio Pubblico, ma ha perso un’occasione importante: sentire le opinioni di chi in quella fabbrica lavora e di chi da quella fabbrica è stato messo in cassa integrazione. Dispiace che tutto diventi media, che in questo cacofonico rivolgersi all’esterno non ci sia più tempo per un ascolto autentico, il tempo per le parole. Anche scomode. Quelle che il sindacato non vuole sentir dire. I numeri, investiti in questa partita, sulla carta non permettono di immaginare grandi scenari sul fronte dei salari che drenano milioni di euro al mese. Un miliardo e duecento milioni dei Riva – ancora da rimpatriare – sono esclusivamente destinati alla legittima realizzazione dell’AIA e 556 milioni, provenienti dalle risorse della cassa depositi e prestiti oltre che dai soldi di Fintecna, sono una cifra che ILVA è capace di fumarsi in 6 mesi soprattutto alla luce dell’anticipata chiusura dell’altoforno 5 – indispensabile per la messa in sicurezza dell’impianto – che ridurrà ulteriormente la capacità produttiva del sito di Taranto già oggi, in perdita. I conti non tornano.
La Newco è ancora un soggetto molto magmatico. Si aggiunga che i Riva hanno fatto ricorso contro lo stato di insolvenza dell’Ilva lamentando che La mano pubblica potrà impunemente non eseguire quelle stesse misure per la realizzazione delle quali ha illegittimamente sottratto a degli imprenditori privati la propria fabbrica. E’ vero che nella fase più delicata della discussione del decreto legge, Claudio Riva aveva chiesto che si terminasse il ciclo delle audizioni in Commissione Senato, prima di procedere alla dichiarazione di insolvenza dell’ILVA, richiesta inascoltata. Che piaccia o meno – e la gestione Riva non è piaciuta affatto – a processo ancora da fare, le scelte strategiche che hanno riguardato l’Ilva rischiano di essere oggetto di ricorsi da molti fronti e sanzioni, comprese quelle della Comunità Europea.
Un ragionamento con Landini poteva mettere a fuoco dove trovare 150 milioni di euro per l’impianto della banda stagnata. Altro spunto di riflessione cosa ne sarà delle centinaia di lavoratori genovesi oggi “utile risorsa” degli enti pubblici, destinati però a rientrare a settembre 2015 con i contratti di solidarietà, e ancora cosa significa nel testo della legge, votata dal parlamento “garanzia di adeguati livelli occupazionali”.
Adeguati, rispetto a quale modello siderurgico? Sulla base di quale piano industriale?
Si fa strada il precedente Alitalia, e qualcuno, purtroppo, vuole afferrarlo al volo.
(Giovanna Profumo) -
OLI 417: REGIONALI 2015 – L’usato sicuro: il candidato sindacalista
“I sindacati li sento, li guardo, non so sinceramente cosa vogliano fare”, risponde serafico Sergio Cofferati a Lilli Gruber , su Ottoemezzo, il 4 novembre, come se a Roma a sfilare ci fosse stato il suo ologramma. Fa l’occhiolino a sinistra e si mette l’elmetto da pompiere, tante le sollecitazioni commoventi, come le definisce lui, a presentarsi alle primarie Pd, in vista delle elezioni regionali in Liguria.
Proprio non sa , ma pochi giorni dopo, dal foyer del teatro Carlo Felice lo comunica al mondo, per fare un favore alla comunità, pare sottendere il suo accettare la sfida. Non dice che il Pd genovese non sa più che a santo votarsi, a fronte della novella Lella di Spezia, una renziana della seconda ora come Pinotti e dintorni. E vorrebbe schierare un usato sicuro. Insomma, tutto un nuovo che avanza per la gioia degli affranti cittadini-elettori. Soltanto sei mesi fa, alla vigilia delle elezioni europee l’ineffabile Sergio dichiarava urbi et orbi (Oli 404): “Cinque anni sono molti, ma il mio lavoro dovrebbe ancora proseguire all’insegna della continuità dell’impegno” . Gulp, ma non era venuto a Genova per fare il papà?
Sarebbe stato interessante un suo commento alla Commissione in Comune per l’inserimento dei lavoratori Ilva, svoltasi il giorno prima dell’alluvione: sono 765 e la situazione si trascina dal 2005. “Ma non sono lavoratori che faranno corsi di formazione per essere ricollocati, ritorneranno all’Ilva”, afferma un rappresentante sindacale al grido di “tornate sul web” rivolto ai grillini, che chiedono chiarezza sui ruoli assegnati. Era per dare maggior dignità agli incarichi, spiegano i 5 Stelle e altri, ma i sindacati non l’hanno presa bene a sentire qualcuno che sindaca nelle loro proposte.
Come recita la delibera, “tra impiegati, operai e persone con conoscenze informatiche”, 163 sono gli assegnati alle manutenzioni, 131 al Verde, 99 ad Amiu “per ripristino ambientale”, 28 ad Aster “per attività specialistiche”, mentre 28 operai saranno nelle scuole “per lavori di pubblica utilità”, che non significa fare il bidello o aggiustare un banco.
Con il dovuto rispetto dei lavoratori, le collocazioni non appaiono del tutto congrue alle esigenze del Comune e della città, dai 42 uscieri, ai 58 per i cimiteri e altre decine di incarichi fumosi. E’ un accordo-pilota, il primo in Italia, eppure… Storia amara è quella dell’Ilva, ma forse i cinquecento euro oltre la cassa integrazione conforteranno un po’ i lavoratori: tanti ragazzi precari prendono quei soldi lì come stipendio globale, se mai lavorano.
Si capisce il furore dei dipendenti Ilva, cause note purtroppo, dai proprietari, ad una gestione dissennata, alla crisi del settore.Comunque i sindacati rassicurano, precisano che al Comune non costerà nulla, paga tutto la Società per Cornigliano. Che è una società nata con Statuto a firma del sindaco Pericu, per la bonifica delle aree siderurgiche, al 45% ne è proprietaria Regione Liguria e per l’altra metà Comune e Provincia, in una sorta di matrioske verso altri rami sempre pubblici, con finanziamenti governativi e poteri d’appalto. A retribuzione zero ne è presidente il vicesindaco di Genova, prima presidente di quel Municipio.
Solidarietà per i lavoratori, ma chi parla per loro ha un’aria fumosa, un’aria stizzita, un’aria feroce anche con chi cerca di dare un aiuto.Viene il dubbio se per davvero si sono avute a cuore le vite degli altri, il futuro delle persone, che magari in questi dieci anni di trattative avrebbero potuto ricollocarsi altrove, ancor prima della crisi economica globale, invece di far credere ad un posto di lavoro nell’acciaio, che non ci sarebbe stato più.
Ecco, questi sono i sindacati di cui anche Cofferati è stato per anni la guida, oggi più che mai sulla scena, al ricordo dei tre milioni in piazza di dodici anni fa, quando si approssimavano la globalizzazione moderna, il web e il cellulare – non per parafrasare Renzi, ci mancherebbe – ma perché nel bene e nel male, il tempo ha lasciato segni indelebili.
(Bianca Vergati) -
OLI 402: LETTERE – Caro Sergio, ecco l’equivoco
Caro Sergio,
In occasione dell’incontro su Conflitto e Capitale allo Zenzero, ho ricordato con emozione le mie tappe di iscritta Fiom all’Ilva, delegata e la decisione di dimettermi.
Era per me un privilegio parlare con te del bilancio, ancorché in perdita, di una militanza sindacale figlia della tua azione politica e della tua capacità di difendere diritti e lavoro.
Posso ammettere che se tu non fossi stato Segretario Cgil io, allora, non avrei nemmeno sperato in una svolta. Te ne sono grata.
Quello che volevo capire era con che occhi vedessi le piazze, il desiderio di cambiamento del 2002 legate al decennio che ci è piombato addosso dopo. Quali le tue emozioni di leader rispetto allo scarto tra l’occasione unica e la perdita dell’occasione stessa che, a mio parere, ha accelerato il declino di questo paese. Più semplicemente se ti capitava di ripensarci passeggiando con i tuoi figli, quale fosse il tuo bilancio interiore.
Hai risposto: Non equivocate un grande consenso sociale con un pari consenso politico e poi hai ammesso credo di aver sbagliato ad aver accettato la richiesta di fare il sindaco di Bologna, dovevo stare da un’altra parte a provarci.
Al tuo fianco Deborah Lucchetti – portavoce dell’associazione Abiti Puliti che si sta battendo per i diritti minimi dei lavoratori tessili in Bangladesh, in Cambogia e Vietnam – ci ha fornito dettagli inediti da un girone dantesco.
Allo stesso tavolo, parlavate di lavoro, ma si poteva percepire uno scarto tra il patrimonio emotivo di Deborah, che raccontava di svenimenti di massa sulle macchine da cucire e di come agire un cambiamento concreto, e il tuo patrimonio umano di una pacatezza vuota che mi è parsa distante dalla passione che aveva animato la tua azione sindacale anni fa. Come se la politica di questi anni avesse spento qualcosa in te. La tua analisi lucida sulla tua impossibilità di incidere in Europa per frenare il TTIP, sull’importanza del made in, e la storia del lavoro in questi anni in Italia e nel mondo si è conclusa con la previsione che le persone che lavorano rivendicheranno rispetto e lo faranno con strumenti inediti in condizioni mutate.
Mentre dal suo osservatorio Deborah raccontava di un conflitto solitario, aspro, che andrebbe appoggiato anche da noi, fatto di scioperi, arresti di lavoratori e della difficoltà di trattare con un padrone incorporeo come le multinazionali, sostenute da governi intenti ad ostacolare i diritti. Governi che decidono salari da fame e favoriscono la devastazione del territorio. Scelte globali che impattano in Italia con aziende che lasciano macerie e politiche che smantellano tutele sociali a favore della finanza, in un’assenza del conflitto capitale-lavoro. Il tutto favorito da una pericolosa incomprensione delle dinamiche della globalizzazione da parte di sindacati, partiti e società civile.
Deborah chiedeva se era possibile incrinare questa idea putrida di sviluppo e, nel riconoscersi minoranza, sollecitava una svolta seria ad una maggioranza di cui tu, in quel contesto, eri rappresentante. Ma a me non è parso che fossi particolarmente animato dalla volontà di essere parte di questa svolta.
Poi il dibattito è finito. Ed io ho compreso perché ho equivocato. Non si trattava di consenso sociale e nemmeno di consenso politico.
Si trattava di persone
(Giovanna Profumo) -
OLI 390: LAVORO – I mondiali del 2022 in Qatar, un calcio alla sicurezza dei lavoratori
Sono molte le vergogne del gioco del calcio, dalla violenza negli stadi agli stipendi miliardari dei calciatori, ma una delle più gravi è quella della morte di almeno un lavoratore al giorno fra quelli che stanno costruendo in Qatar gli stadi e le infrastrutture per i mondiali di calcio 2022. La CGIL e la Fillea/Cgil sono impegnate nella campagna promossa dalla Confederazione Internazionale dei Sindacati (Ituc) per denunciare le condizioni di semi schiavitù in cui sono costretti migliaia di lavoratori immigrati (1 milione e 200 mila, provenienti in gran parte dal Nepal, dall’India e dallo Sri Lanka, e si prevede che un altro milione raggiungerà il paese).
“L’assenza di tutele e di diritti causa una media di una morte al giorno”, dice Sharan Burrow, segretario generale della Confederazione Internazionale dei Sindacati. I lavoratori, secondo il quotidiano inglese The Guardian, vivono in comunità sovraffollate e in condizioni igieniche disastrose, che favoriscono il diffondersi di malattie e costringono alla ricerca disperata di cibo.In Qatar ma anche in Arabia Saudita e altri paesi del Golfo, le norme che regolamentano i visti di lavoro, il cosiddetto “kefala system” (in base al quale i lavoratori devono avere uno sponsor nel paese ospitante, in genere il datore di lavoro, che è responsabile per il loro status giuridico, per i visti d’ingresso e per i permessi di soggiorno) fanno sì che i lavoratori non possano cambiare impiego senza il permesso dei datori di lavoro né lasciare il paese senza il loro consenso firmato. C’è un controllo totale dei datori di lavoro sui loro dipendenti, tanto che “nessun lavoratore si sente libero di parlare senza condizionamenti a un ispettore del lavoro”. Una ricerca pubblicata nel giugno 2013 sul Journal of Arabian Studies dice che il passaporto del 90 per cento dei lavoratori monitorati è in possesso dei loro datori di lavoro. (Proprio in questi giorni sta girando su Youtube un video di un saudita che picchia selvaggiamente un operatore ecologico filippino).Se non si interviene subito il numero dei lavoratori che perderanno la vita sarà superiore a quello dei giocatori di tutte le nazionali che scenderanno in campo ai Mondiali. Occorre intervenire per fermare la strage dei lavoratori in Qatar e per cambiare le leggi sull’immigrazione in quel paese, in Arabia Saudita e gli altri paesi del Golfo del petrolio. Sia chiaro che non sono accettabili interventi militari, niente guerre e bombardamenti per favore. Ci sono tanti mezzi per intervenire senza esercitare violenza contro i popoli di questi paesi. Suggerisco: non tenere i mondiali 2022 in Qatar.(Saleh Zaghloul – immagine da internet)
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OLI 378: SINDACATO – Epifani e l’estetica della piazza
Da la Repubblica 20 maggio 2013
Alla Fiom invece Epifani rimprovera quella che definisce “l’estetica delle piazze”. Quando si hanno responsabilità di governo il punto non è tanto stare nelle piazze quanto risolvere i problemi che le piazze propongono, “perché l’estetica delle piazze, cioè stare lì e non risolvere mai i problemi, non funziona. La gente ti chiede soluzioni”
Guglielmo Epifani, nuovo segretario Pd, è stato alla guida della Cgil per otto anni (dal 2002 al 2008). Sergio Cofferati, suo predecessore nel sindacato, nonché membro del Parlamento Europeo per lo stesso partito, era a Roma in piazza sabato 18 maggio. C’è chi dice che il secondo avrebbe agito nello stesso modo fosse stato segretario del Pd e al posto del primo.
E’ evidente che esiste un problema di estetica nel Pd e nel sindacato.
Ma questa faccenda dell’estetica delle piazze non può e non deve essere liquidata come una boutade. Impone a chi fa politica o sindacato una riflessione: cosa si va fare in piazza? E soprattutto: per quale ragione negli ultimi dieci anni solo in Piazza sono state poste le richieste più urgenti ai governi del paese?
E’ stato per soddisfare un senso estetico che sono state occupate strade e piazze al G8 di Genova? Quanto compiacimento estetico muoveva i Girotondi? Quale sottile pulsione ha spinto i tre milioni che si sono riversati a Roma per l’articolo 18 nel marzo 2002? Cosa ha accompagnato i moltissimi che si sono ritrovati, in tante manifestazioni, contro le politiche di smantellamento di stato sociale e diritti?
Ma è sufficiente pensare alle donne: per quale pulsione estetica sono andate in tutte le piazze italiane il13 febbraio 2011? In nome di cosa si sono riviste quest’anno per ballare nel billion rising?
Certo, a Roma, il 18 maggio c’era la satira dei cartelli ed esasperazione, ma c’era anche sul palco il pacato disappunto di Sandra Bonsanti, la denuncia di Gino Strada e la rabbia di Fiorella Mannoia, che chiedevano per ogni persona presente di risolvere i problemi.
Nessuno di loro era lì per un esercizio di stile.
Ma questa faccenda dell’estetica delle piazze rivela l’uomo Guglielmo Epifani, la sua scissione tra partito e sindacato come se le due componenti non potessero stare insieme nella storia del leader.
E svela inoltre la difficoltà di sanare i dissidi di quella parte del Pd che è Cgil e che non incontra la Fiom di Landini, l’assenza di Susanna Camusso racconta anche questa storia, fatta di scissioni e tattiche interne di cui ai lavoratori e ai disoccupati non importa davvero nulla.
L’estetica delle piazze è un concetto che offende, evoca la perdita di tempo, il nulla di fatto. Se a dirlo è l’ex segretario generale della Cgil l’offesa ha un peso maggiore: rasenta il disprezzo.
Sabato 22 giugno a Roma ci sarà la manifestazione nazionale di Cgil, Cisl e Uil. La prima manifestazione unitaria dopo tanto tempo. In agenda parole d’ordine simili a quelle che sono state dette sabato: Lavoro, equità, contratti.
Cosa sceglierà il Pd? E che farà Epifani?
Rinunceranno all’estetica della piazza?
(Giovanna Profumo – galleria fotografica dell’autrice) -
OLI 376 – SINDACATO: La FIOM e la maggioranza politica senza diritti
L’unica vera maggioranza è la nostra: quella rappresentata dal 37% di giovani precari o senza lavoro: una percentuale che supera di gran lunga quella ottenuta dai partiti e dalle loro coalizioni durante l’ultima tornata elettorale (Marina Molinari – campagna Io voglio restare)
Bologna 30 aprile, Palazzo Re Enzo.
Il seminario FIOM, su reddito, salario, modello sociale – programmato a Marzo – diventa per molti luogo del nuovo progetto, quello dove rimettere insieme i pezzi di una sinistra devastata dalle larghe intese Pd e Pdl. L’enorme sala è piena. La ferita del governo di Letta e compagni, vista da qui, non si rimarginerà più.
Stampa e televisione restano per le prime ore dell’iniziativa – che si protrarrà fino alle 14 – e ci si avventano come su un buffet: a caccia del piatto forte, attratti dalla locandina che promette, oltre alla presenza di Landini, anche quelle di Barca, Rodotà, Revelli. L’informazione è lì per capire se la FIOM voglia fare sindacato o politica, come se l’uno escludesse l’altra.
Landini spiega che la FIOM ha un’idea precisa di società. No, non si sostituisce ai partiti, ma fa il proprio mestiere di sindacato e chiede a chi dovrebbe avere un ruolo di rappresentanza politica di tornare ad avere quel ruolo, ragionando, con umiltà, su lavoro e processi. C’è un’analisi da costruire, anche il sindacato deve cambiare atteggiamento ripartendo da cosa produci, perché lo produci e quale sostenibilità ambientale ha. Compito della Cgil è impedire in ogni modo che ci possa essere una competizione tra lavoratori e tra giovani e non giovani.
Landini parla della Federazione dei Sindacati dell’Industria che riunisce metalmeccanici, chimici e tessili a livello europeo e mondiale e della necessità di superare i 247 contratti nazionali. Poi di lavoro nero, reddito minimo garantito, finanziamento degli ammortizzatori sociali, devastazione dei diritti, in un contesto in cui il lavoro viene ridotto a merce, ad oggetto in cui viene comprato e venduto. Va costruito un nuovo modello sociale, imposta ai governi un’agenda che parta dal basso, e in Italia introdotto il reddito di cittadinanza per tutti.
Questo paese è il nostro, questo tempo è il nostro e intendiamo riprendercelo, dice Marina Molinari di Io voglio restare. E’ la voce di una generazione sulle cui spalle sono stati scaricate tutte le contraddizioni di un sistema economico in affanno: senza lavoro, senza casa, senza la tutela di un sistema di walfare. Quando abbiamo lanciato la nostra campagna avevamo un governo di larghe intese sostenuto dal Pd, dall’Udc, dal Pdl sotto l’egida del presidente Napolitano con il compito di realizzare in Italia le politiche dettate dalla Commissione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. Dopo sei mesi, ed elezioni politiche in cui la coalizione dell’austerity ha perso dieci milioni di voti siamo ancora lì con un governo di larghe intese sotto l’egida del presidente Napolitano. L’autoreferenzialità, la totale impermeabilità alle spinte che vengono dall’esterno della politica italiana è senza precedenti. Molinari ha aggiunto intendiamo riprenderci il sindacato per contribuire a farne uno strumento reale di partecipazione e rappresentanza generale anche e soprattutto per chi non ha un contratto di lavoro tradizionale, intendiamo riprenderci la politica. Alcuni dei promotori della campagna erano all’estero quando è stata lanciata, altri se ne sono andati dopo, altri saranno costretti a farlo. Bisogna parlare di casa, di equo compenso, reddito di base, sostegno universale alla paternità e maternità, diritti del lavoro, pianificazione di occupazione legata alla conversione ecologica e all’innovazione per ricostruire il paese, occupazione basata sui saperi e sulla centralità della ricerca pubblica. Per questo Io voglio restare il 18 Maggio sarà a Roma a manifestare accanto alla FIOM.
Marco Revelli – presidente della Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale (CIES) fino al 2010 – è implacabile, fornisce le cifre della catastrofe: i working poor, poveri al lavoro, esuli eterni sono il 10% in Italia. Tra chi ha un contratto a tempo determinato il 37% vanta un salario al di sotto della soglia tecnica di povertà. Parla di povertà assoluta tra laureati e diplomati. Grazie all’applicazione del paradigma neoliberista, dagli anni 70 ad oggi, il lavoro ha perso fino a dieci punti percentuali. Mentre 10 punti percentuali di PIL sono transitati dal lavoro al capitale. L’Indice GINI che registra quanto inegualmente si distribuisce il reddito, indica una crescita fortissima delle diseguaglianze. C’è stata una lotta di classe feroce, ha spiegato Revelli e come dice Luciano Gallino (OLI 352) è stato spolpato reddito e lavoro. Politica e sindacato non se ne sono accorti. L’Italia, Ungheria e Grecia gli unici tre paesi a non avere una garanzia universalistica del reddito. continua
(Giovanna Profumo – foto dell’autrice) -
OLI 362: RICORDO – Lorenzo Bozzo, nel silenzio e appartato.

Un’immagine di Lorenzo Bozzo Il 26 Novembre 2012 si sono svolti i funerali di un ottimo sindacalista, Lorenzo Bozzo, persona intelligente, riflessiva, colta, curiosa, onesta. E indipendente.
L’avevo conosciuto negli anni ’70, quando ero delegata di fabbrica, e lui era nella segreteria della FLM, il sindacato unitario dei metalmeccanici.
Dopo quella grande stagione aveva naturalmente continuato il suo impegno nel sindacato, ma ora pare impossibile ricostruirne il percorso: il tentativo di rintracciare in Cgil qualche dato sulla sua biografia è andato a vuoto. Solo un’amica è riuscita, con l’aiuto di un anziano pensionato, a trovare tracce dell’attività di Lorenzo, al di fuori però del mondo sindacale: una serie di articoli che spaziano tra temi molto diversi, a testimonianza della sua curiosa attenzione, pubblicati nel 2001 sul Corriere di Sestri Ponente.
E’ in questo modo che sono riuscita a ricuperare un suo ritratto. Al funerale, nella chiesa di Piazza Baracca a Sestri Ponente c’erano non più di venti persone, quasi tutti familiari. Tra loro l’amatissima nipote.
Fuori una decina di sindacalisti con le bandiere d’ordinanza. Molto dimenticato.
Lo ricorda qui un piccolissimo gruppo di persone che lo avevano conosciuto e apprezzato. Magari qualche lettore di Oli vorrà scriverci, e aggiungere i suoi ricordi.Da Andrea Tozzi: oggi pomeriggio, ho incontrato M. C. che mi ha dato la triste notizia della recente scomparsa di Lorenzo Bozzo, l’indimenticabile compagno di tante lotte e belle iniziative per la salute e il lavoro. Nel silenzio e appartato. E’ incredibile come sia facile scomparire, non lasciare tracce di sé! Non mi è venuto in mente alcun tangibile documento o foto con Lorenzo Bozzo. Spero che da qualche parte ce ne siano, chissà! Eppure resta per me indelebile la sua presenza negli anni del mio lavoro in Valpolcevera. Mi piaceva in lui la disponibilità all’ascolto, l’indipendenza di giudizio, l’interesse pragmatico per i risultati concreti. Era sempre attento al miglioramento delle condizioni di lavoro, non lo riguardavano gli stereotipi di sigla. Parlava lentamente, senza alzare la voce, dopo aver ragionato, insieme, sempre cercando una linea comune, aggregante. Apparentemente sommesso e appartato negli incontri, era però ben convinto e consapevole di cosa fosse corretto e utile. Sempre disponibile quando intravvedeva un’aggregazione attiva, per migliorare le cose. Disinteressato e sincero, sempre pronto ad aiutare a capire le cose del mondo per, se possibile, contribuire a migliorarle.
Da Claudio Calabresi: ero fuori Genova, vedo con tristezza la notizia. Non sapevo nulla di Lorenzo da tanto tempo, ne avevo perso le tracce ma non il ricordo, indelebile. Penso fosse molto vecchio, non so come è invecchiato negli ultimi anni ma forse posso immaginarlo, conoscendone un po’ il carattere. Rimangono i ricordi dei tanti anni in cui ci siamo incrociati, di molte cose fatte insieme (le appassionate e appassionanti giornate ai Giovi … ), il valore di una persona dai toni miti ma dalle idee forti. Un uomo di un sindacato lontano nel tempo (purtroppo), degli anni del secolo scorso; altri come lui ormai sono quasi tutti scomparsi, come sembrano scomparsi almeno alcuni dei valori sui quali ci si incontrava.
Da Antonio Manti: Un ricordo flash della sua attenzione e del suo rispetto per chi lavora. Durante un corso di formazione ai Giovi Lorenzo ammoniva: “Compagni, non buttate le cicche per terra e lasciate in ordine per rispetto delle compagne che devono rimettere a posto!”
Da Paola Pierantoni: ricordo un sindacalista intelligente e paziente, una persona colta, curiosa, che ascoltava davvero, e capiva. Interessato al sindacato, e a quello che si muoveva intorno al sindacato, e non a se stesso. Credo (anzi, sono certa) che sia l’unico uomo in Cgil ad aver letto nel 2008 le tesi di laurea sui Coordinamenti Donne Flm, poi pubblicate nel libro “Non è un gioco da ragazze”. Non mi sembra che ci siano più persone così.
(Paola Pierantoni – Immagine dal Corriere di Sestri Ponente) -
OLI 349: SINDACATO – Cgil, tra Mary Poppins e azione unitaria

(una scena dal film Mary Poppins) Forse non tutti gli iscritti alla Cgil si chiederanno cosa sia stato delle sedici ore di sciopero generale annunciate in marzo e mai effettuate.
Probabilmente solo in parte hanno cercato le ragioni della manifestazione romana con Cisl e Uil, in un sabato di giugno, in nome di un’unità sindacale umiliata nei fatti alla Fiat.
Ma risulta che molti tesserati si stiano chiedendo come la Cgil intenda proteggerli da un governo che ricorda nei metodi e nelle intenzioni il banchieri avidi del film Mary Poppins, pellicola tanto cara a Matteo Renzi che sull’articolo 18 – “utilizzando un tecnicismo giuridico” – dichiara: “non me ne po’ fregà de meno”.
Chi in Cgil afferma che da marzo ad oggi sono cambiate le cose dovrebbe cercare di spiegarlo agli iscritti che faticano a scorgere la nuova fase e non si illudono affatto che il decreto lavoro possa essere contrastato con dei presidi. Perché molti di loro fanno i conti con disoccupazione, cassintegrazione, licenziamenti, precariato, blocco del turn over e dei contratti con un governo che è passato dalla lotta allo spread alla spending review con risultati invisibili rispetto ai sacrifici richiesti.
Nemmeno la famiglia, ammortizzatore per vocazione – religiosamente evocata dagli squallidi governi precedenti – è rimasta in agenda. Anzi si avvia ad essere l’officina dove assenza di lavoro e tutele per giovani e meno giovani offrirà nuovi ruoli alla miseria. La notizia del vertiginoso incremento degli sfratti è già segnale.
Per queste e altre ragioni – aumento dei ticket, tagli alla spesa sanitaria, welfare al collasso – è doveroso chiedersi quando la forza dell’azione unitaria sindacale produrrà proposte concrete o quanto meno lo scatto in avanti che faccia sentire i lavoratori parte di un progetto di crescita e non vittime di una guerra.
Nel frattempo se i momenti di mobilitazione in agenda rimarranno quelli di un sabato romano di giugno e l’azione di contrasto al governo verrà lasciata alla sola Fiom, Monti e i suoi ministri potranno procedere senza timori, tenuti a rispondere anziché agli interessi dei cittadini, unicamente a quelli delle banche.
(Giovanna Profumo – foto da internet)







