Categoria: Urbanistica

  • OLI 358: URBANISTICA – Com’era moderna Genova

    Uno dei più significativi risultati dell’urbanistica italiana dell’Ottocento è a Genova ed è la grande strada panoramica che ne attraversa le alture, andando da un capo all’altro della città vecchia.
    All’epoca questa strada attraversava orti e campi, perciò era “una strada di circonvallazione”. Oggi ha conservato il nome, ma è diventata il passaggio obbligato di chi vuole conoscere Genova nel suo insieme ed è uno dei luoghi più pregiati per abitare questa città.
    Il libro “La Circonvallazione a Genova” percorre i quaranta anni di questa leggendaria impresa iniziata quando c’era ancora il Regno di Sardegna e terminata ai primi del Novecento. Descrive tutti i passaggi di uno sforzo collettivo che mise alla prova l’ingegneria tecnica, quella finanziaria e quella del diritto patrimoniale e che tuttavia furono anche l’esercizio pratico delle prime tecniche urbanistiche, dal risanamento del centro storico alla nuova edilizia popolare, dai trasporti urbani meccanizzati all’intermodalità delle merci.
    Questa ricerca non ha precedenti nella storia della città e si presta per innumerevoli altre esplorazioni poiché è basata sui documenti originali dell’epoca, tutti ancora disponibili. Un’ enorme massa di informazioni che permette di analizzare i comportamenti delle persone: anche allora, come oggi, c’erano quelli che volevano le infrastrutture e quelli che le osteggiavano.
    Il libro è illustrato con le fotografie dell’epoca e con le planimetrie dei piani di ingrandimento urbano. In questi piani si vede anche la Genova che non è stato possibile realizzare, perché la straordinaria bellezza della sua giacitura è anche il limite ai sogni dell’uomo.
    Nei cinquanta anni (tra il 1848 ed il 1898) durante i quali il Comune di Genova ha costruito la Circonvallazione a Monte, gli uffici dell’epoca hanno conservato una rilevante quantità di documenti, ora custoditi dall’Archivio Storico del Comune, non solo progetti, contratti, dispute legali, ma anche appunti, volantini, manifesti. I materiali si presentano commisti ad altri, senza un perentorio ordine cronologico o di genere, nello stesso ordine in cui vennero assiemati all’epoca dell’archiviazione, che spesso risale a più di centotrenta anni fa.
    Per riuscire a collegarli sequenzialmente è sufficiente metterli in ordine cronologico e questo è abbastanza facile perché in massima parte sono datati. Per riuscire a capire la strategia comunale è però necessario leggere simultaneamente i documenti dello stesso periodo, benché rivolti a gestire situazioni differenti sia sul piano locale che sul piano giuridico. Confrontando queste “mosse” con ciò che accadeva in contemporanea in Italia e in Europa, si riesce a comprendere il valore di questa imponente impresa stradale, urbanistica ed edilizia.
    (Rinaldo Luccardini)

  • OLI 354: MEDIO LEVANTE – Passerà la trasparenza?

    Dalla mozione per Accesso agli atti amministrativi dei progetti edilizi in Municipio: “Da molto tempo ci sono contestazioni e lamentele che sfociano in iniziative di singoli privati o comitati contro le decisioni dell’Amministrazione in materia urbanistica. Le proteste sono purtroppo spesso motivate perché si compromettono salute, ambiente, beni pubblici, beni culturali e artistici o anche la semplice quotidianità. Le Istituzioni devono perseguire il bene della collettività e questo fine va salvaguardato, anche a costo di decisioni impopolari o non condivise da tutta la cittadinanza. In ambito urbanistico si rileva che in più occasioni è stato invece privilegiato maggiormente l’interesse privato rispetto agli interessi della Comunità. Chiunque può constatare di persona l’iter macchinoso per accedere agli atti, tanto che non è possibile figurarsi come possano riuscirci dei semplici cittadini che non ricoprano ruolo istituzionale o facciano parte di Associazioni accreditate. Per evitare conflittualità “a posteriori”si ritiene dovere dell’Amministrazione impegnarsi per semplificare l’accesso agli atti amministrativi e renderli davvero “pubblici”. Sempre nel pieno rispetto degli operatori e degli investimenti. Oltre a tale sostanziale inaccessibilità per i cittadini, si constata che anche gli uffici del Municipio non sono in grado di fornire informazioni, vuoi per eccesso di burocratizzazione, vuoi perché non se n’è sentita la necessità. Né quindi di far sì che si possa esercitare alcun controllo sistematico sui progetti di pertinenza del territorio municipale. Risulta infatti sovente disatteso “ il passaggio” dei Progetti presso il Municipio interessato: benché il parere del Municipio non abbia “Carattere Vincolante”, esso potrebbe avere comunque valenza positiva per la conoscenza del territorio, supportare il lavoro degli uffici preposti, senza per questo intralciare i tempi di approvazione. Sarebbe quindi più che opportuno rendere “obbligatorio” e puntuale tale passaggio “prima” dell’approvazione degli Uffici e ovviamente, rendere in primis “obbligatoria l’informazione” degli uffici del Municipio, nonché del Consiglio in toto”. (Continua)
    (Bianca Vergati)
  • CARTOLINE 2012 – URBANISTICA: IL MITOLOGICO MUNICIPIO SCOMPARSO

    L’occupazione da parte dei giovani dei centri sociali di alcuni alloggi sfitti nel centro storico sta suscitando non poche polemiche tra chi manifesta solidarietà nei confronti degli occupanti e chi ne stigmatizza l’illegalità dell’azione. Tuttavia, ciò che sembra mancare è una seria riflessione su quello che, in fondo, rappresenta il nocciolo del problema: quante sono le case vuote in città?
    A questo proposito, sono stati dati letteralmente i numeri: in un intervista a la Repubblica (25 luglio 2012) i giovani occupanti hanno parlato di 15 mila appartamenti sfitti, diventati poi 20 mila nella ripresa dell’articolo fatta da un sito locale legato a Rifondazione Comunista. Non si tratta di cifre indebitamente gonfiate: appena qualche mese prima (febbraio 2012) il segretario locale del SUNIA in un’intervista a Primocanale aveva quantificato l’ammontare dello sfitto in città a 25 mila abitazioni, mentre in un documento ufficiale del Comune, redatto nel quadro del Patto dei Sindaci, l’entità delle abitazioni non occupate era stimata in 28.088 unità.
    Genova è una città strana, in cui frange (poco) eversive provenienti dai centri sociali si rifanno cifre assai meno preoccupanti di quelle snocciolate in tutta tranquillità dalla pubblica amministrazione; ma la cosa più curiosa è che, incrociando i dati provenienti dagli enti ufficialmente preposti alla quantificazione dei beni immobiliari e della popolazione urbana (l’Agenzia del Territorio e l’Ufficio Statistica comunale) il panorama dello sfitto cittadino appare ancora peggiore. In effetti, le Note Territoriali dell’OMI per il II semestre del 2009 valutavano lo stock immobiliare genovese in 325.069 unità immobiliari a destinazione residenziale, mentre la voce Aspetti Demografici della Descrizione Fondativa del PUC riporta la cifra di 280.095 abitazioni occupate da famiglie al 31 dicembre 2008: con una certa approssimazione si otterrebbe allora una stima di 44.974 case vuote, pari al 13,77% del totale. Sono dati di quasi quattro anni fa, ma l’andamento dei principali indicatori economici e demografici cittadini non lascia intendere che la situazione sia cambiata in modo sostanziale.
    Per rendersi meglio conto di cosa significhino queste cifre, basti pensare che 45 mila abitazioni corrispondono più o meno alla consistenza dello stock immobiliare di uno qualsiasi dei municipi cittadini: co un’esagerazione basata però su dati concreti, si potrebbe dire che Genova ha nove municipi, ma solo otto di questi sono effettivamente abitati.

    Vale la pena fermarsi un attimo a riflettere sul reale significato di queste cifre, dato che, se fossero vere, significherebbe che le case vuote a Genova sono più di una su dieci e che allora bisognerebbe cominciare a ripensare l’intero assetto urbanistico della città.
    Fino al 2011, il regime fiscale vigente rendeva conveniente il possesso ma non la messa a reddito delle abitazioni: si è perciò assistito ad un dilagare di nuove costruzioni il cui unico scopo era quello di essere acquistate e rivendute, ma non quello di essere abitate. Ne derivava un controsenso per cui un bene sovrabbondante (le case) invece di veder diminuire il proprio valore, lo aumentava. II costi ambientali di questo scempio sono sotto gli occhi di tutti; pensiamo non solo alla cementificazione delle colline, ma anche alla profonda crisi dell’Azienda Municipalizzata Trasporti, costretta a ramificare capillarmente il proprio raggio d’azione senza che la città potesse vantare un numero di passeggeri tale da sostenere questa espansione: il risultato è che AMT deve oggi per contratto garantire l’erogazione di 477 milioni di posti annui a fronte dell’effettivo trasporto di 157 milioni di passeggeri, non c’è da meravigliarsi che i conti non tornano. E questo è solo uno dei numerosi esempi di come l’espansione incontrollata del tessuto urbano abbia portato all’ “implosione” delle infrastrutture collettive.
    Con l’introduzione della nuova IMU e l’aumento della tassazione per gli immobili sfitti, il panorama è cambiato e il surplus delle unità abitative rischia di rivelarsi un boomerang per l’intero apparato economico: gli immobili sfitti finiranno per essere messi precipitosamente in vendita e questo porterà ad una drastica contrazione dei valori di mercato. Basta dare un’occhiata alla vicina Spagna per rendersi conto che quest’eventualità non porterà affatto ad un più facile accesso alla prima casa dei soggetti economicamente più deboli, ma che piuttosto sarà causa di una drastica diminuzione del valore del risparmio delle famiglie, spesso e volentieri investito nel mattone, per non parlare della crisi dell’intero sistema creditizio nazionale, ugualmente sovraesposto sul mercato immobiliare. Insomma, par di capire che gli irsuti punkkabbestia anarcoidi delle frange più estreme dei centri sociali sono ingenui ottimisti se pensano di poter danneggiare il sistema economico più di quanto non abbiano già fatto i solerti funzionari delle pubbliche amministrazioni assentendo inutili operazioni urbanistiche in nome di un fantomatico sviluppo di cui, a tutt’oggi, praticamente non v’è traccia.
    Che fare? Innanzitutto sollecitare la pubblicazione di dati ufficiali più precisi sul tema, anche sulla scorta dei rilevamenti effettuate durante l’ultimo censimento; poi mettere una croce sopra gran parte degli interventi che tendono a disperdere piuttosto che a concentrare le risorse cittadine: nuovi centri commerciali o nuovi quartieri residenziali. Infine, quando è possibile, privilegiare il potenziamento piuttosto che la sostituzione delle infrastrutture, tanto in termini di assi di attraversamento quanto in quelli di polarità urbane. Considerazioni in fondo già largamente condivise e fatte proprie tanto dalla Descrizione Fondativa del PUC – e purtroppo messe in sottordine nelle sue parti attuative – quanto da gran parte dell’opinione pubblica. In caso contrario, il volume dello sfitto della nostra città potrebbe trasformarsi nella fatidica “pietra al collo” destinata a trascinare a fondo le speranze di un rilancio cittadino.
    (Alessandro Ravera)

  • OLI 348: CITTA’ – Abbazia di S.Giuliano, un angolo d’illegalità

    Spicca nel tramonto il decoro a righe dell’abbazia di S.Giuliano, finalmente liberata almeno dalle transenne che la circondavano da anni, così da goderne la visuale intera, pur se i lavori sono fermi e incompleti. Il sagrato è abbandonato con macerie a vista e più degradato ancora appare l’accesso, un pezzo di strada dall’asfalto rabberciato e il piccolo piazzale ingombro di auto e motorini. Siamo sul Lungomare Lombardo, riqualificato dalla parte a levante con un camminamento di sanpietrini, che conduce all’unica spiaggia libera della promenade più preziosa della città, un biglietto da visita per chi percorre la passeggiata dalla Fiera a Boccadasse, su cui si affacciano manufatti silenziosamente allargati, sopraelevati, con aggiunte di piani terrazzati, scalette intricate: il tutto in mascherata illegalità, accanto all’antica chiesa, dove un tempo sposarsi era oltremodo chic.
    Lungo la discesina verso monte spiccano un piccolo cubo in cemento serrato da una stonata saracinesca in alluminio, giardinetti fioriti dall’aria più campestre che marina, di sicuro niente che assomigli ad un’insolita nicchia di “borgo marinaro”.
    Vedere il mare è un’impresa perché gli stabilimenti hanno eretto palizzate, manufatti scadenti: altro che “cannocchiale vista mare”, in barba alla Variante di salvaguardia di litorale del Levante del 2010, che prescriveva anche precise norme di “decoro di arredo urbano”.
    Lungomare Lombardo è segnalata come “zona pedonale”.
    Ci si ferma a guardare l’ingombro di veicoli, che quasi non permette il passaggio.
    Ecco arrivare una signora a rimuovere le sbarre, che dovrebbero impedire l’accesso ai motorizzati, comincia ad inveire contro quel parcheggio selvaggio, dirigendosi verso una Smart: non è anziana, non ha il bastone, insomma non sembra bisognosa del parcheggio sotto casa mentre a pochi metri su corso Italia ci sono gli spazi autorizzati zona blu per residenti.
    Sarà lei la titolare del passo carrabile con autorizzazione dal numero cancellato?
    No, il permesso gliel’hanno dato i Beni Culturali e lei non lavora ai Beni Culturali, abita lì da tempo, indicando le casette all’interno del cortile dell’abbazia. Dunque sono abitazioni private le piccole costruzioni. Chi mai avrà dato il permesso di costruire nel perimetro di un edificio tutelato, di trasformare in residenze quelle che un tempo forse erano capanni per gli attrezzi, magari per la cura del giardino e dell’orto?
    Probabilmente la Soprintendenza non ha avuto il tempo di verificare, fa fatica a distinguere tra sacro e profano, tra beni pubblici e interessi privati, tra precari abusivi e beni comuni.
    Così l’abbazia aspetta il completamento dell’infinito restauro, le risorse con il contagocce.
    Forse non è un caso perché avrebbe dovuto ospitare gli uffici della Soprintendenza suddetta, ma i dipendenti hanno fermamente respinto l’ipotesi di trasferimento: troppo lontana dal centro, troppo scomoda rispetto a via Balbi per treni e bus. Forse la vista mare non è gradita, forse non sanno che qui passa l’autobus 31, poche fermate e capolinea alla stazione Brignole.
    Intanto in Municipio il rappresentante della Lega si lamenta della mancata realizzazione del Lido, dove avrebbe dovuto trovare spazio “un asilo per nonni” e auspica che all’interno dell’abbazia possa trovare ospitalità un centro per anziani, ”come onere di ritorno sul quartiere”, già richiesto a suo tempo dal Municipio in cambio della cessione perpetua di un altro bene comune, il litorale.
    (Bianca Vergati, foto da Internet)

  • OLI 345: BENI PUBBLICI – Tra burocrazia e disincanto

    “Hanno tirato via il grottesco!” Di questi tempi era ora, si potrebbe dire.
    Dallo Zingarelli ed. del ’37 il grottesco è “dipinto decorativo … capriccioso, licenzioso o ridicolo” o, citando la Treccani, “deriva da raffigurazioni astruse, strambe, scoperte a Roma sui muri di antiche terme chiamate grotte”.
    Concitati cittadini confinanti di Villa Raggio in via Pisa hanno chiamato le Istituzioni per denunciare l’oltraggio del grottesco, i rumori preoccupanti di calcinacci, ma hanno voluto restare anonimi: sfiducia, timore di essere coinvolti, il committente pare sia un potente armatore.
    Intanto proseguono i lavori per le residenze superlusso, e infatti lo studio immobiliare interpellato pubblicizza appartamenti “in grezzo” ad ottomila euro al metro quadro, poi a seconda delle rifiniture chieste il prezzo si vedrà, e gli alloggi saranno una decina in tutto. Orgogliosamente si reclamizzano piscina e spogliatoi, decine di posti auto mascherati da pergolati e siepi: che fine faranno il parco, i suoi prati e i suoi alberi?
    Sul Permesso di costruire le unità abitative sono però il doppio, con l’ampliamento volumetrico a livelli sottostanti, demolizione e ricostruzione della dépandance, mentre il tetto verrà modificato per l’ampliamento dei volumi dell’attico e vi si realizzeranno giardini pensili: un incremento di superficie abitabile del 20 per cento, come consente la legge. Trattasi però di un complesso monumentale con vincolo, secondo il Decreto Legislativo n. 42 artic. 136, su ville giardini e parchi che si distinguono per la loro evidente bellezza…
    “Si costruirà nel pieno rispetto del luogo”, dichiara il titolare che gentilmente acconsente a fare visitare la villa e sa già degli allarmi. “Abbiamo aspettato un sacco”.
    Mica tanto: nel giro di due mesi pareri e permessi, in tempo prima dell’approvazione del nuovo Puc, assai restrittivo per il Sistema delle Ville Storiche.
    Nessuno mette in dubbio la correttezza dell’intervento, per carità.
    Non è chiaro però di che natura saranno gli interventi.
    Il percorso per capire tutto ciò come comune cittadino è costituito da telefonate per sapere come sia rintracciabile la delibera citata sui cartelli esposti, delibera fantasma, che si scopre poi essere Permesso a costruire, reperibile al Matitone. Telefonate a più riprese in giorni diversi e finalmente un indirizzo di posta elettronica, una mail che vale come domanda scritta all’ufficio competente. Nessuna risposta.
    Dunque incursione al Matitone e ricerca della mail a suo tempo inviata.
    Evviva! Rilasciata la copia del Permesso al progetto in questione.
    Non è finita: nel provvedimento si cita il Parere della Soprintendenza per i Beni Architettonici, diventato prevalente rispetto alle obiezioni della Sezione Tutela e Pianificazione del Paesaggio, la quale si è occupata della sistemazione del verde e per cui si prospetta “eventuale conseguente variante”.
    Il numero della Soprintendenza citato sull’elenco telefonico pare non funzioni. Dopo quattro passaggi ecco l’ufficio competente: alla citazione di Villa Raggio viene passato il funzionario, pur essendo dato in un primo momento assente. Mail con richiesta di verifica sulla villa.
    Ci si presenta di persona alla Soprintendenza, dove si riceve soltanto il lunedì mattina, in tempo per depositare invece la richiesta di copia del Parere: per la consegna fra qualche giorno, chissà.
    Nel libro “ Paesaggio, Costituzione Cemento” Salvatore Settis denuncia come in Italia si violi sistematicamente la Costituzione rispetto alla tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, fra il caos urbanistico e legislativo, nel labirinto di competenze fra Stato, Regioni, Comuni.
    Mentre si piangono gli operai morti sotto i capannoni crollati perché mal costruiti in Emilia e si contano i danni infiniti sul patrimonio artistico, che nessuno ci restituirà più.
    (Bianca Vergati – foto dell’autrice)

  • OLI 318: CITTA’ – Immigrati e casa, come passare dal sogno all’incubo

    Disegno di Guido Rosato

    Il Dossier Statistico Immigrazione, 21° rapporto della “Caritas Migrantes”, è stato presentato a Genova lo scorso Giovedì 27 ottobre.
    Sulla stampa cittadina ha trovato spazio soprattutto il tema degli effetti della crisi su occupazione e rimesse degli immigrati.
    Ora, proprio a proposito di conseguenze della crisi, nelle 500 pagine del rapporto c’è un capitolo (“Crisi economica e condizione abitativa degli immigrati in Italia”) che meriterebbe di trovare largo spazio nella discussione sulla città, in questa epoca di bilanci, progetti e PUC, alla vigilia di un appuntamento elettorale.
    Ne cito alcuni frammenti:
    “Negli ultimi anni gli immigrati sono stati una quota sempre più incisiva e vitale della domanda abitativa … sia nel mercato delle locazioni sia in quello delle compravendite”, ma: “Dobbiamo segnalare un’assenza di strumenti di welfare abitativo … oltre all’inefficacia delle politiche sociali della casa attuate in ambito nazionale e locale”.
    Gli immigrati, osserva il rapporto, sono discriminati nell’accesso ad un mercato degli affitti fortemente subalterno a quello della compravendita. In Italia “l’offerta di case in locazione è scarsa, e quella a canoni accessibili e a canoni sociali è estremamente ridotta”. La quota di case in affitto in Italia, pari al 18,8 % delle abitazioni totali “è nettamente inferiore a quella degli altri Paesi europei: Germania 57,3%; Olanda 47,3%; Francia 40,7%”.
    La quota di edilizia sociale da noi è pari al 4,5% sul totale delle abitazioni, undicesima posizione in Europa.
    In questa situazione molti immigrati hanno giocato la carta dell’acquisto, con mutui totali. Ma già dal 2008, a causa del cambiamento di strategia dei prestiti bancari, questo spiraglio si è chiuso, e gli acquisti da parte di immigrati sono scesi dal 16,7% sul totale delle compravendite nel 2007, all’8,7% nel 2010. Non solo, ma molti tra coloro che avevano tentato questa strada, si sono presto trovati nella impossibilità di pagare i mutui, per cui “Il sogno di integrazione legato all’acquisto della casa di proprietà diviene in breve tempo l’incubo dell’insolvenza”.
    Non trascurabile, in questo quadro, lo stretto rapporto dimostrato dal rapporto Caritas tra tasso di delittuosità e impossibilità di accedere a una casa.
    In Italia abbiamo quattro milioni di case sfitte, una lista di attesa per l’edilizia popolare di 650mila alloggi, e il paradosso per cui mentre “non rallentano le nuove edificazioni”, non aumenta affatto “L’offerta alloggiativa per le fasce deboli della popolazione”.
    L’assurdo di una “epocale” ondata migratoria che si andava compiendo in assenza di una politica abitativa fu inutilmente sollevato in tutta Italia dall’associazionismo dai primi anni ’90, ed è questo il tema su cui nacque a Genova l’esperienza del Forum Antirazzista.
    Nei prossimi giorni Genova ospiterà “L’assemblea annuale di Eurocities” che ha come slogan: “Planning for people”, progettare per la gente.
    Venerdì si svolgerà un dibattito sul tema: “Trasformazione urbana – impatto sulla coesione sociale e sull’immigrazione in una prospettiva mediterranea”.
    Ne verranno fuori delle idee? Per saperlo si può seguire l’assemblea di Eurocities in streaming sul sito http://www.liveurocities2011.eu/
    Queste idee si trasformeranno in politica?
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 315: CITTA’ – Cittadini nei fortini

    Disegno di Guido Rosato

    Primo mercoledi di ottobre, sala rossa in gran fermento di pubblico e politici per le audizioni dei comitati dei cittadini in Commissione urbanistica, spesso deserta.
    Le elezioni sono vicine.
    Non è una disfida tra contrade, tra Ponente e Levante, si sottolinea, quasi a cercare sponda fra anime diverse, insieme ad elogiare quel tanto che basta il nuovo Puc, per attaccarlo poi a testa bassa.
    Sfilano gli Amici del Chiaravagna, quelli di Vesima fino al Levante cittadino, ognuno con le sue ragioni, da chi vuol dire addio alle fabbriche dismesse, e no ad altre residenze, a chi lamenta troppi box; chi il velenoso traffico, ma grida no alla Gronda, chi dice basta alla rumenta: neppure si prevedono aree per la trasformazione rifiuti o isole ecologiche, ma già si è scelto il sito per il gassificatore.
    Un futuro più sostenibile per il Ponente, attaccando concessioni ricattatorie per Erzelli e Fincantieri: quanti costruttori si sono arricchiti senza vantaggi per la comunità?
    Le osservazioni sono puntuali, accurate e accorate, anche l’Università ha partecipato con i dottorandi in geografia storica, presenti in aula. Rilevanti le contraddizioni quando si dichiara di subordinare gli interventi sul patrimonio edilizio al perseguimento del rilancio della produzione agraria.

    Chi coltiva la terra però per fare la cascina deve seguire regole rigorose e raggiungere dimensioni aziendali elevate, mentre se il terreno è in abbandono liberi tutti.
    Un invito al roveto e a progettare villette non destinate a chi si dedica ai campi.
    Invece i ragazzi di Vesima vogliono preservare le loro piccole aziende, auspicano un Parco Agricolo, è un bollettino di guerra il loro: pari a centomila campi da calcio gli ettari agricoli spariti in trent’anni in Liguria, sopravvissute 20mila aziende su 80mila.

    Il futuro? Una Vesima agricola. Che buona notizia, qualcuno progetta per il domani.
    Segnali anche dalla Regione, il cui l’assessore regionale all’ambiente dichiara “Stop ai porticcioli, alla cementificazione selvaggia costiera, più agricoltura e incentivi ai giovani coltivatori” (la Nazione)
    Ma dov’è stata finora? Forse si dovrebbe accordare con l’urbanistica, vista la nuova proposta di legge che recita : “… Quale forma di ristoro compensativo i comuni avranno fino al 5% dall’incremento di valore ricavato dal cambio di destinazione d’uso, se si renderanno disponibili a farlo” (la Repubblica, 6/10). Dalla Regione infatti, a breve, sul mercato immobili da valorizzare e rendere appetibili per cento milioni di euro, incombe il deficit della Sanità. Siamo in decrescita ma per aggiustare i conti si vuole il via ad altre trasformazioni.
    Serve a poco auspicare adesso dai cittadini del Levante la funzione alberghiera nella villa ottocentesca del Cenacolo a Quarto, ex pensionato, destinato ormai a residenze.(Corriere Mercantile, 8/10). Ora che nel Puc si prospetta un albergo sul promontorio di fronte al Monumento, si vorrebbe l’hotel di lusso nell’antica villa.

    Doverosa la preservazione del paesaggio, dei parchi, dei centri e dei porticcioli storici: un caloroso grazie a chi si preoccupa e se ne occupa. L’impressione però è che si abbia nel cuore il preservare e basta, non s’intravvede una visione di come la città possa trarre vantaggio dalla fortuna di avere mare e paesaggio incantevoli nel Levante, magari favorendo nuova occupazione in questo momento così tragico di crisi.

    (Bianca Vergati, fotografie di Giovanna Profumo )

  • OLI 310: CITTA’ – Il Puc e l’urbanistica di mezza estate

    Sconti di fine stagione alla commissione urbanistica del comune, dove arriva tutto o quasi e non si decide niente, fra pretestuose polemiche che si concludono spesso al grido di “aula”, ovvero decisione in consiglio quando la sinistra voterà come da maggioranza e l’opposizione contro, in un tedioso dejà vu: qui il voto conterà e non si filosofeggia. E poi le ferie incalzano.
    In nome di parole abusate come riqualificazione e preoccupazione per il lavoro che non c’è, si susseguono infaticabili funzionari con pratiche su aree ex industriali, centri commerciali, residenze, parcheggi.
    Il nuovo Puc incombe e così c’è fretta d’approvare progetti che non rientrerebbero nelle suggestioni dell’agognato piano: per chi è seduto in Sala Rossa una palla di neve, ricordi di bambino.
    Work in progress è stato definito, in realtà un caleidoscopio d’immagini diverse ogni volta, con modifiche al documento iniziale; variazioni – si ribadisce – “rigorosamente suggerite dal territorio”, cioè dai nove Municipi che altrettanto rigorosamente consulteranno i cittadini dopo l’approvazione in consiglio comunale, in virtù di una partecipata partecipazione, peraltro non di legge, ma sempre annunciata.
    Forse visitando la mostra sul Puc alla Loggia di piazza Banchi la gente saprà se vicino a casa passerà una nuova strada o ci saranno altri palazzi.
    Intanto si esamina quello che nel Puc non c’è, ma conta.
    Così all’ex Verrina di Prà per combattere il degrado – contro cui protestano a gran voce circa 120 cittadini – si faranno un grattacielo vista mare di 25 piani in cambio di un asilo per 50 alunni (due classi), un centro commerciale con tetto a verde piantumato: il campetto da tennis, peccato, non ce l’ha fatta, non sarà regolamentare e poi chi gioca a tennis ormai.
    Le aree ferroviarie di Trasta, Fegino e Mura Zingari ospiteranno residenze, uffici, alberghi con modifiche di destinazione d’uso da subito, poichè gentilmente Ferrovie concederanno nuovi binari e fermate per metropolitana di superficie con trattative in atto dal 2000 circa.
    Nel frattempo Esaote per andare agli Erzelli avrà garantito per la sede che dismetterà un indice di edificabilità di 2 per mq, mentre all’Expò di Milano si concede lo 0,57: si spera garantisca davvero l’occupazione, con il Municipio che parla di trenta milioni di oneri di urbanizzazione per il suo quartierino, ma non si occupa di come arriveranno in collina lavoratori, studenti di ingegneria e abitanti. Per un ascensore o una nuova fermata di treno s’interpellerà Roma, per ora strada allargata e una nuova fermata di treno bus ad hoc, investendo ecologicamente su gomma.
    Agli incontri sul Puc si alterna pure l’architetto del Lido, che presenta la sua fresca fatica, il progetto dell’ospedale Galliera, per il quale la Regione darà un terzo di 180 milioni di euro, un altro terzo lo si ricaverà dalle dismissioni di immobili e l’ultimo terzo da un mutuo che si ripagherà con i risparmi logistici e quelli energetici. Si propone infatti una centrale di cogenerazione, che probabilmente avrà la potenza di quella in porto, visti i risparmi… Bocche cucite per il residenziale della curia, zero soldi per l’ospedale a Ponente con sede fantasma.

    Circa la mobilità suggerimenti di Puc alla grande, con la tramvia in Val Bisagno, il cui costo è di 15 milioni a chilometro, due nuovi ponti e via il vecchio di Sant’Agata. Per ora ci sono soltanto 14 milioni, che serviranno per questioni idrogeologiche, ma ci si sta attrezzando. Per le autorimesse grandi progetti per dove farle, vedi lo stadio Carlini, vagheggiando la dismissione di quella della Foce, con Boccadasse ancora in “pre scavi”.
    E i parcheggi dove li mettiamo? Popolazione invecchiata ma agguerrita pare, dato il numero di box proposti in tutta la città, tante pantere grige al volante o collezionisti di auto i nostri concittadini.

    Si può scegliere: dai cinque piani di via Dino Col, in faccia al matitone, a stretto contatto con la galleria del treno e palazzi sovrastanti, ai box del muraglione del convento vincolato, nei pressi degli Emiliani a Nervi, passando per Quarto Castagna con riqualificazione di ex fabbrica (Till Fisher): case e box, e che importa se si massacrano ciottoli di creuza in contesto millenario.
    Centomila euro a box in vicoli stretti a levante o a Castelletto, in via Preve. Indovina chi investe.
    Come dice il vice sindaco: “Ci hanno messo i loro soldini, i costruttori, bisogna aiutarli se non vendono…” Perciò non prezzi più bassi per i cittadini, ma una bella variante perchè diventino pertinenziali i box a dieci chilometri da casa per pagare meno tasse. Danno erariale? Fuffe. A settembre i particolari sulle delibere passate a ferragosto.
    (Bianca Vergati)