Da un sogno, forse una speranza, parte il nuovo Piano Urbanistico Comunale di Genova: un Puc che ha impegnato più di 60 fra tecnici e architetti, come ha sottolineato la sindaco in sala rossa, per arrivare alla conclusione di un impegno preso in campagna elettorale, messo in cima alle priorità del suo mandato, tanto da tenere a sé la delega all’Urbanistica.Genova si dovrà preparare ad accogliere quasi un milione di persone, 320 mila “city users”, in più, “nomadi”, che verranno magari a lavorare di passaggio per realizzare le grandi opere previste, persone che per scelta o necessità trascorreranno a Genova parte della loro vita.
-Non si pensi ad un aumento di abitanti ma di avere una fascia di persone che gravitano sulla città , spiega la Vincenzi,- l’esempio sono i ricercatori dell’Iit, 600 ricercatori di altissimo livello, che si fermano qui per cinque-sette anni al massimo.
E già verrebbe da chiedersi perché se ne vanno invece di fermarsi.
Così pur partendo da un’analisi del Censis, che conferma per i prossimi vent’anni i 600mila abitanti attuali, si elabora un’ipotesi di città che dovrà espandersi nei servizi, ma non nel consumo di suolo, una città “compatta”, che costruisce sul costruito. Meno male. Peccato che si continui a costruire, vedi i grattacieli di S.Benigno a Ponente o il palazzone di via Rossetti a Levante.
Sono sempre tutte eredità ?
Eppure il Censis parla chiaro: una città-elefante, non gazzella, che crescerà di poco, Anzi entro il 2025 si avrà desolatamente un meno 19% di under 14 , arrivando ad essere soltanto il 10% degli abitanti, mentre gli over 65 saranno un terzo della popolazione: secondo Anci ( Corriere della Sera, 14 marzo) nel 1951 Genova aveva 80mila abitanti in più.
Auguri alla sindaco per un sogno che si vorrebbe disperatamente condividere. Mancano gli attori però per questa città futuribile, la politica e l’economia.
La politica, che si è mossa soltanto con la grande crisi, cieca al declino della città già in atto da molto tempo prima, preoccupandosi poco delle aziende che si rattrappivano, quando non chiudevano o si trasferivano.
Liberando così spazi ghiotti come l’ex Boero, l’ex Verrina, l’ex Italsider, l’ex Saiwa, l’ex, l’ex… e via alla riqualificazione con palazzine, grattacieli, su cui ha investito “la meglio imprenditoria” e le banche.
E al Cardinale che al te deum di fine d’anno tuona: – le risorse ci sono, è imperativo morale metterle in circolo – (Secolo, 2 genn 2011), risponde Viziano, leader dell’omonimo gruppo di costruzioni: – ma la città non sostiene chi fa investimenti.
Mentre il petroliere Garrone scrive una lettera a Il Secolo il 4 marzo 2011: – Abbiamo dovuto sempre lottare in questa città sì bellissima ma così ostile e difficile … Il motivo del lamento? Non riesce a costruire lo stadio. Tutta roba che dà lavoro.
Inutile affannarsi per un Malacalza che se ne va o ad un Ansaldo che chiede da anni lo sbocco a mare e a cui ancora pochi giorni fa è stato chiesto di aspettare altri tre anni, senza appoggiare mai di fatto il lavoro di eccellenza che rappresenta. Così la Silicon Valley degli Erzelli pare più un’operazione immobiliare che “la cittadella della conoscenza” tanto auspicata: si spera non sia così, anche se il Politecnico che lì doveva nascere e che non si è fatto, politica e imprese l’avevano molto tiepidamente appoggiato.
L’unico affare l’ha messo a segno l’imprenditore della siderurgia, che non lo si riesce a schiodare dagli spazi, datigli in omaggio dalla politica appunto.
La sindaco vagheggia – una città capace di accogliere e di attrarre grazie alle nuove infrastrutture ma anche ad uno sviluppo promesso dal rilancio del porto e dalla nascita di nuove attività sulle aree già oggi libere, oltre un milione di metri quadrati censiti e registrati.
Dunque imprese e lavoro cercasi per un milione di spazi e di persone. Intanto ci si accontenterebbe di un lavoro per quelli che già ci sono.
(Bianca Vergati)
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OLI 294: CITTA’ – Il nuovo Puc, lecito sognare
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OLI 292: REGIONE – Ingresso libero
Frizza la primavera e la stagione del “mare d’inverno” sta finendo. S’intravede qualche vela solitaria che corre sulle onde e pochi appassionati passeggiare lungo la riva.
Se possono, perchè spesso non si può.
In tanta parte di Liguria il mare pare una meta irragiungibile, al più lo puoi guardare dall’alto, dalla strada, ma scendere in spiaggia no: cancelli, sbarre, alte palizzate che nascondono allo sguardo, barriere impenetrabili. Lontano il ricordo delle mani nella sabbia, delle pietre tirate nell’acqua, come si faceva da bambini.
Stupisce la vista di oasi di spiagge libere, ma suscitano incredulità i cartelli che puoi incontrare in certa parte della Riviera di Ponente, magari meno pregiata o non divorata dai porticcioli. I cartelli recitano: Spiaggia comunale e, in più lingue, “ingresso libero”. Ingresso libero?
Dal Secolo XIX del 15 febbraio si apprende che gli stabilimenti balneari comunali genovesi aumenteranno il prezzo d’ingresso giornaliero del 23,5% e le attrezzature del 17%, ovvero ai bagni Scogliera di Nervi di domenica si pagheranno 10 euro per entrare e 10 euro per l’ombrellone e 8 euro nei giorni feriali, come ai S. Nazaro.
Ma l’assessore precisa che gli abbonamenti diminuiranno “Per assicurarsi la fidelizzazione dei clienti …” Il minimo dell’abbonamento è di 30 ingressi, ma quanti si possono permettere di andare trenta volte al mare? Per le finalità sociali, (che dovrebbero avere gli stabilimenti comunali), cioè agevolazioni per disabili o centri estivi, ci si è presi ancora del tempo per decidere.
E ancora l’assessore assicura: “Più spiagge libere in corso Italia”.
Intanto sono state aumentate le tessere invernali quasi del 50% : gli Scogliera alzano da 270 a 400 euro e l’estivo è di 1095 euro, mentre si scopre che il suo canone annuale allo Stato è di 8mila e 500 euro.
Ma non soltanto i canoni degli stabilimenti comunali stupiscono: il Nuovo Lido paga la bellezza di 38mila euro, quando una cabina mediamente costa sui 3mila euro.
Ed è notizia dell’8 marzo (Secolo XIX e Mercantile) che il progetto del Lido ha avuto il placet della Provincia.
Si capiscono ora le proteste degli imprenditori del settore presso il Governo per l’imposizione della Ue di mettere a gara le concessioni. Con tutto il rispetto di chi fa impresa.
Una pacchia, e appena una briciola delle succose entrate, il 10%, ricade sul territorio.
Sarà per questo che non si vedono serie opere strutturali a mare? Le suddette sono riservate soltanto ai porticcioli , anche se qualche Comune un po’ di “pennelli” li ha costruiti.
Intanto è passato a settembre il federalismo demaniale. Che non vorrebbe dire soltanto fare cassa vendendo caserme, forti o colonie in riva al mare.
La Regione dovrebbe chiedere per il futuro il rispetto delle leggi Ue e verificare se oggi davvero si osserva la quantità di libere spiagge come è già nelle sue facoltà e senza mettersi a contare gli scogli come ha fatto finora per far quadrare le cifre, imponendo magari una nuova regola: che almeno in tutti gli stabilimenti pubblici si possa entrare gratuitamente come già avviene in alcuni casi in Liguria.
(Bianca Vergati) -
OLI 291: POLITICA – Quant’ è bello il “millederoghe”
Approvato il “milleproroghe”con iter ormai consolidato, ovvero il Governo ha blindato il Parlamento, che a sua volta ha sequestrato il Presidente della Repubblica, pena scadenza dei termini per tempi ristretti, e il decreto è quindi passato. A nulla serve denunciare che fondi dall’assistenza ai malati di cancro sono stati spostati per accontentare gli evasori quote latte (e già la Ue annuncia altre sanzioni), che gli abitanti delle regioni alluvionate o terremotate potranno essere più tassati per la ricostruzione, che slitterà ancora la dismissione delle partecipate pubbliche (ma solo per i Comuni con meno di 50mila abitanti, gli altri continueranno e così vedi a Roma Parentopoli), che in Campania si potrà aumentare la benzina per problema rifiuti (sic!) e dove per un sussulto di decoro non si sono rinviati gli abbattimenti di abitazioni abusive…
Tanti sono i “desiderata” di Governo e Parlamento: uno sfacciato millepiedi.
Sembrerebbe più omogeneo il materiale come voleva il Capo dello Stato, ma comunque non sfugge che il placet ultimo pare ormai un timbro notarile, nonostante gli sforzi del saggio Presidente.
E non solo deputati e senatori si sfregano le mani, pure in festa i Comuni, che fino al 2012 potranno utilizzare ancora il 75% degli oneri di urbanizzazione per la copertura di spese correnti ordinarie, cioè spendere come si vuole tali entrate, risorsa essenziale per gli enti locali, che si affannano a rivedere piani urbanistici, cercano projet financing per aree dismesse, porticcioli, alberghi, box: un gran da fare per il mattone insomma. Altrimenti, a sentire gli amministratori, nisba opere pubbliche, visti i tagli e la scoppola dell’Ici sottratto.
Però. Nel decreto mille proroghe si è introdotta anche una nuova scadenza per denunciare le famose case fantasma, segno che i cittadini non sono tanto solerti a rendere noto il rustico.
O i Comuni a cercare. Secondo l’Agenzia delle Entrate si sono recuperati 115 milioni di euro (Sole 24 ore , 23 febbraio 2011) con i 450mila accertamenti effettuati, che hanno permesso di censire al catasto edilizio 570mila unità immobiliari, precedentemente dichiarate “fabbricati rurali”. In termini di Ici un incremento per i Comuni, considerando che ben poche sono prime case e che gli immobili certi da verificare sono quasi un milione.
Forse il “premio” è un po’ bassino: se oggi infatti per gli enti locali il gettito spettante dal recupero è al 33%, con il Federalismo dovrebbe salire al 50% e addirittura al 75%, se derivante dall’accatastamento di immobili fantasma. Che dire, impegnatevi, Comuni, il gioco vale, un bocconcino che dovrebbe far gola ma non per tutti è così.
Sembra a tutt’oggi che i Comuni appaiano quasi “svogliati”nella lotta all’evasione in generale, secondo un monitoraggio delle azioni intraprese sul territorio. Nel Nord Ovest ad esempio soltanto 13 comuni del Piemonte e nessuno in Valle d’Aosta, hanno siglato un’intesa con l’Agenzia delle Entrate, mentre in Liguria solamente 34 comuni su 235 hanno partecipato ai corsi formativi, nonostante l’accordo fra Anci ed Entrate.
Fa eccezione Genova, passata dai 9 milioni del 2008 agli 11 milioni attuali di recupero Ici e che comunque con la futura imposta unica municipale del Federalismo perderebbe il 22% delle entrate perchè avrebbe meno trasferimenti dallo Stato: in cifre assolute oggi al capoluogo ligure arrivano 261 milioni di euro, la nuova Imu ne produrrebbe 204.(La Repubblica , 27dicembre 2010)
Così se le altre città del Nord saranno premiate Genova piangerà, mentre ride Imperia, seconda a Olbia a livello nazionale: sul suo territorio c’è tra l’altro una forte presenza di seconde case, che producono reddito, tanto da arrivare con la nuova legge ad un incasso maggiore del 122% , avvantaggiata per l’alta base di quota immobiliare della nuova imposta.
I cittadini genovesi continueranno a pagare la stessa irpef sul reddito da fabbricati, imposta di registro, ipotecarie ed eventuale cedolare sugli affitti e se vorranno mantenere gli stessi servizi probabilmente dovranno sborsare di più.
Intanto il “nero” corre in Italia, 132 miliardi di evasione, dal commercio all’edilizia, dieci finanziarie e si blinda in Parlamento anche il Federalismo.
(Bianca Vergati) -
OLI 290: REGIONE – Casa dolce casa

Valletta di Rio Penego, uliveti che spariranno. Foto Stefano Stefanacci. Pare al via il Piano Casa finalmente, finisce un tormentone e si è trovata pace in maggioranza. O magari più semplicemente si vuole evitare di approvarlo con pericolose intese trasversali, con i voti dell’opposizione freschi e pronti. Però ci si sta lavorando. Il Giornale del 22 febbraio annuncia il “possibile accordo tra i poli”, e a Savona ha organizzato un convegno tra il chiacchierato ex sindaco di Alassio – inquisito più volte per reati amministrativi (vedi blog di Marco Preve), ora consigliere regionale Pdl – il capogruppo Pd in Regione, amministratori locali, come il senatore Pdl Franco Orsi e addetti ai lavori: tra i relatori Marylin Fusco, assessore all’urbanistica Idv.
Tanti insoddisfatti, pigolamenti a raffica da tutte le categorie del settore e “Ira dell’assessore per i mesi di lavoro buttati al vento”, come titolava giorni fa il maggiore quotidiano cittadino.
Commenti positivi da sinistra. Resta da capire come “una coalizione della legalità” possa permettere ampliamenti sugli abusi, per minimali che siano, tipo “modello Puglia”. E allora?
Di sicuro il cittadino rispettoso delle regole si attrezzerà per il futuro.
Forse i cittadini avrebbero gradito sentire dagli operatori una proposta di piccola edilizia diffusa, di interventi per ripristinare davvero un territorio disastrato: opere subito cantierabili e non soltanto box o nuove case.
Argomento serio, che il vincolo di quota social housing non appaga. Con le grottesche storie di Affittopoli nazionali e i lasciti per i poveri, che lasciano l’amaro in bocca e repulsione per caste varie, dai vip ai politici, ai raccomandati d’ogni tipo, quando c’è gente che non mangia pur di avere un tetto.
Forse rivoluzione sarebbe anticipare un cambio di mentalità e di metodo per dare ossigeno ad un settore in difficoltà, per sperare che la politica si occupi di lavoro, di futuro, dei luoghi che abitiamo o della casa che non c’è, specialmente per chi è solo e per giovani coppie.
Intanto in città la Linea Verde di Urban Lab ha il singhiozzo per far spazio a nuove palazzine di cooperative “bianche e rosse” al posto di un bosco, con la scusa di una nuova e costosa strada come in via Shelley. Imperversa pure il Piano-manutenzioni e per dimostrare efficienza e amore al Progetto Genova il rimedio trovato è un valzer di assessori, pescando in rive opposte, come se proclamando autonomia, tutto il resto non contasse, con rispetto dell’esperienza del prescelto e senza il rispetto di chi ha votato una parte e non l’altra. Tanti esperti nel fare il salto della quaglia, con il rodimento comune delle elezioni amministrative che incalzano.
E’ partita anche la crociata degli albergatori, stufi d’essere vincolati, che reclamano il diritto a trasformare gli hotel in case: ma è appena finito Sanremo, non ci si lamentava di così poche strutture ricettive per questo povero turismo bistrattato e che potrebbe dare tanto? Tranquilli, si sta studiando una legge ad hoc, come per le aree produttive, l’unico tema, che forse davvero interessava ai cittadini, gli ampliamenti industriali., che vincolati in modo serio, avrebbero costituito magari uno sviluppo importante. Cassati. Probabilmente con il Piano Casa poco pertinenti, ma Regione e Comuni non sono sempre a proclamare d’ essere all’eterna ricerca di spazi per le aziende?
Forse il lavoro non c’è più, inutile rincorrere gli spazi.
L’impressione purtroppo è che in Liguria bastino colf, badanti, e baristi e voi ragazze e ragazzi adeguatevi: questa pare l’idea di lavoro che passa il convento.
(Bianca Vergati) -
OLI 289: LETTERE – Donne in piazza
13 febbraio, Piazza De Ferrari, Genova, un boato accoglie la dichiarazione dal palco – Siamo in trentamila – Allegria ed entusiasmo elettrizzanti pervadono la folla di donne, neanche tante le giovani, qualche ragazzo e alcuni capelli grigi, ma pure mamme con carrozzine, striscioni e foglietti sventolanti una D: Dimissioni o Donna? Interpretazione a scelta.
A condurre la kermesse è l’animatrice del suq, che si esibisce in pezzi letterari e invita a parlare persone “non note”, precisando che si deve dare spazio a chi normalmente non l’ha.
Nel “recinto” accanto al palco intanto arrivano assessori, deputati… Personaggi pubblici insomma, soltanto tre donne con incarichi politici fermamente ne restano fuori.
Si recita l’elenco delle donne per cui “se non ora quando”, da Rita Levi di Montalcini, a Sibilla Aleramo, Grazia Deledda, Nilde Iotti, Eleonora Duse, Serena Dandini… Sguardi un po’ interdetti. Serena Dandini? E le ricercatrici della Sapienza sul tetto, le operaie della Omsa, le badanti clandestine, le laureate medico che fanno le segretarie dal notaio e le donne, cui lo Stato ha delegato il welfare familiare, le lavoratrici tutte e le ragazze che non trovano lavoro?
Sale sul palco, dopo aver scalpitato nel recinto, l’ideatrice ( insieme ad un uomo) di una manifestazione che si svolge tutti gli anni con grande successo. Donna in gamba, di solida carriera, da segretaria personale a direttrice di eventi, che arringa la folla con parole “di pancia”, chiedendo all’Innominato di dimettersi, che non si possono trattate così le donne, che lei non va più all’estero perchè si vergogna. Una che prima di approcciarsi al microfono sibilava di essere incavolata, di non poter tollerare che facciano strada giovani bellone senza cervello. Dubbio: per cosa era indiavolata, per B, per le giovani o le bellone che passano avanti?
Si sa le elezioni in città sono vicine e il Sindaco è donna, fuori dal coro per di più e si susseguono interventi sinceri, ma anche tanti discorsi politici di sponda.
Il pensiero corre ad altre piazze bipartisan, pure se la politica doveva rimanere ai margini.
Su questo palco la questione femminile sembra interpretata con una tensione di risulta e non di scatto in avanti, una guerra di trincea, come se il tema riguardasse una parte di donne e non tutte, soprattutto il futuro delle nuove generazioni. Quelle che oggi e domani soffriranno per gli stereotipi vigenti, in un Paese diviso tra ipocrisia di un certo pseudo cattolicesimo ed etica comune a tutti i cittadini: una mercificazione dei corpi sì, ma pure deficit e sfruttamento del lavoro femminile senza servizi sociali di supporto, una delle principali cause per cui società e Paese restano al palo.
Approda anche l’ex sindaco ed ex sindacalista, il mancato segretario di partito, candidatosi alle Europee al posto della governatrice del Piemonte, la quale a sua volta si è riproposta alle Regionali. Perciò il sindaco di Torino non si è presentato e il Piemonte è svaporato alla Lega, colpa di donna cocciuta (e non sostenuta, oltre ai voti grillini). E la filastrocca continua, chapeau, l’uomo è di un certo valore, migliore di tanti. Ma non aveva abbandonato tutto per fare il papà?
Non soltanto la pioggia comincia a dare fastidio e la gente si affolla al bus.
(Bianca Vergati) -
OLI 288: SPAGNA – I cattivi urbanisti

Foto di Bianca Vergati Sulla stampa spagnola imperversa il “satrapo” Berlusconi e una lettrice scrive su El Mundo del 27 gennaio che “Per fortuna i nostri politici non hanno così abominevoli abitudini ma noi spagnoli abbiamo da guardare i nostri politici urbanisti”.
Sembra incomprensibile il confronto.
“Las caias suman 38.000 millones en immuebles por crèditos fallidos”, titola in prima pagina El Pais il 1° febbraio. Ovvero le casse di risparmio hanno una montagna di debiti inesigibili nei confronti del settore immobiliare, tali da far sì che il Governo Zapatero abbia deciso di soccorrere ulteriormente e di “nazionalizzarle” per almeno cinque anni. Non bastasse la grave crisi economica si deve aiutare con altri fondi chi ha di fatto pesantemente speculato negli immobili.
Foto di Bianca Vergati Uno straniero non si capacita sino a quando non fa un giro sulle coste spagnole.
Un tour della memoria di spiagge incantate, di quel mare spumeggiante, colmo di “ochette” di onde, un mare che non si è abituati a vedere: spiagge libere, dorate di sabbia fine, che toccano il cuore e d’inverno paiono altri mondi.
Una ferita da Gibilterra a Barcellona.
Promontori superbi e piccoli golfi offuscati allo sguardo, nascosti da file e file di palazzoni a dieci, dodici piani, uno dietro l’altro, tanto fitti da chiedersi ma il mare dov’è: alveari dalle finestre sbarrate, quasi occhi di di prigioni. Vento che soffia, polvere ovunque, bar chiusi, insegne spente.
Non si è fuori stagione.
Semplicemente sono case invendute in un paesaggio desolato, edifici inanimati che forse non hanno mai avuto una vita. Lo testimoniano le tante gru abbandonate, gli scheletri di palazzi incompiuti che verso sera si stagliano nudi, macabre silhouette. Dov’è la gente che doveva abitarvi?
Ora è chiaro ciò a cui si riferiva la lettrice di El Mundo.
E’ vero, il turismo ha creato lavoro, fatto vivere luoghi che forse sarebbero stati abbandonati, ma si è devastato per sempre un territorio che la gioia di vivere della sua gente non riuscirà a compensare.
(Bianca Vergati) -
OLI 285: BANCHE -A lezione di real politik
Villa Cattaneo, un gioiello di residenza extraurbana genovese in una delle aree più commercializzate e industrializzate della città, zona Ikea e Ansaldo per intendersi. Qui ha sede Fondazione Ansaldo, che sabato 15 gennaio ha ospitato il banchiere Alessandro Profumo a conclusione del master “Progetto Mediterraneo: gli allievi intervistano A. P. su imprenditorialità e internazionalizzazione”. Le domande dei ragazzi sono precise, tecniche, si parla di venture capitale, imprese, globalizzazione e le risposte, spesso in inglese, altrettanto puntuali.
Il banchiere non lascia spazio a illusioni: le banche non finanziano futuro incerto e ai giovani che vogliono fare impresa in realtà non rispondono. Aprire un’azienda, in Italia o all’estero, chiedere finanziamenti non sono compiti di una banca che, sottolinea il manager, “deve occuparsi del capitale di credito e non di rischio. Le banche fanno un mestiere noioso, prestare soldi e chiederli indietro”. Con la certezza del ritorno, sembra sottintendere, ma non lo dice, lo si mormora in platea. Così la ricerca deve essere finanziata dalle imprese; al più qualche spin off delle Università, una scelta che a suo tempo Profumo fece personalmente con riserva anche per Centri di ricerca “puri”.
Aleggia la questione Fiat, su cui i tanti giornalisti cercano di condurlo, ma Profumo preferisce glissare con una battuta: “Il primo dovere delle imprese è stare in piedi e – continua, bistrattando la giornalista del Corriere della Sera che gli aveva posto la domanda – non si parli di responsabilità sociale, d’impegno a restare nel proprio Paese o verso i dipendenti, soltanto di sostenibilità che è poi fare bene il proprio mestiere”.
Per i giovani studenti del Maghreb, che anelano magari ad avere un’opinione su quanto sta succedendo nei loro Paesi, un laconico giudizio: si tratta di una richiesta di maggior democrazia e libertà di parola.
“Realpolitik degli imbecilli” titolava Liberation sabato 15 gennaio, riferendosi ai precedenti pubblici apprezzamenti di Sarkozy nei confronti di Ben Alì, senza dare mai sostegno agli oppositori del regime del generale, aiutato a salire al potere anche dagli Italiani. Con un occhio agli affari, come tutta l’Europa, che da anni ha accolto migliaia di lavoratori magrebini per rispedirli poi nei loro Paesi, investendo troppo poco nei Paesi del Sud del Mediterraneo, senza accrescere la collaborazione e lo sviluppo per migliorare l’economia dell’intera area.
Anche là però le nuove generazioni hanno studiato, navigano su Internet e guardano le televisioni straniere: non è soltanto una rivolta del carovita ma una rivolta generazionale, che ha visto da subito in prima linea tra i dimostranti studenti e insieme professori, i primi uccisi dalle forze dell’ordine. Anzi, il primo giovane morto è stato un ragazzo laureato e disoccupato, cui la polizia aveva sgombrato il banco di frutta, il suo lavoro per sopravvivere. Poi è tutto degenerato.
Così Ali, Amina, Eba e tutti gli studenti arrivati da Egitto, Marocco, Tunisia e sbarcati ad Arpe, scuola per giovani capitani d’impresa, guidata dall’ex manager dell’Iri Giovanni Gambardella, possono mettersi il cuore in pace, poiché il grande banchiere sostiene che nella vita si deve fare ciò che piace, conta la passione: se si è coinvolti emozionalmente si farà meglio e si avrà il massimo. Belle parole. Ma c’è fame di pane, di lavoro e di libertà.
Ai giovani però, dall’Europa all’Africa, l’unico ambito sembra essere rimasta la piazza. Certo esistono le piazze virtuali, i canali di espressione del Web 2.0, il pulsare dei social network ma è un discorso interno, non basta ad urlare il disagio. Il fatto è che si è creduto di poter prolungare ad libitum le classi dirigenti, siano esse state elette democraticamente o no.
In piazze diverse vanno “gli ultimi”, i giovani, coloro che potrebbero rinnovare dall’interno i loro Paesi e ne sono invece estromessi. Da Atene a Tunisi i giovani disperatamente rabbiosi sanno che si gioca il proprio destino e quello dei loro Paesi di fronte al lento spegnimento di una classe di autocrati o tiranni, mummificati in quei Palazzi sempre più depredati e devastati dall’immobilità. Ma quando va bene ricevono soltanto belle parole, altrimenti botte e pallottole.
(Bianca Vergati) -
OLI 282: LIGURIA – Affari di mare
Con il racconto di onde alte tredici metri e vento a cento chilometri l’ora e l’avvenuto salvataggio si conclude l’avventura dei ventuno uomini della Jolly Amaranto, nave della flotta Messina con i motori in avaria da sabato 13 nel mare in tempesta davanti all’Egitto.
L’armatore ci tiene a sottolineare di essere contento per il suo equipaggio, tutto in salvo. Un atteggiamento propagandato con sollecitudine sui media, foto di Ignazio e di Stefano, in apprensione nei loro uffici.
“M’interessano i miei, del carico non m’importa” si dichiara sui giornali. E l’attenzione è così scivolata via, in sordina, sul carico, peraltro coperto da assicurazione e che di certo – si sostiene – non può provocare un disastro ambientale. Si tratta di vernici, resine, inchiostro; ma anche pitture speciali, sostanze chimiche e farmaceutiche, lacche, liquidi corrosivi.
Dopo l’attracco al porto di Alessandria d’Egitto l’armatore fa la conta dei danni, almeno venti container persi, lamenta; non una parola di preoccupazione sul “genere” di merce dispersa.
“Sono prodotti che ricadono nella categoria Imco3, controllati dalla Capitaneria di porto di Genova” spiega sbrigativamente.
Ovvero?
Nel sito http://www.egyshipping.com/resources/dgt.html si presentano varie classi di “Dangerous Good Transportation”: la 3 è quella dei liquidi altamente infiammabili per il trasporto, non certo profumi e bombon per Natale: un carico “speciale” ad alto rischio d’inquinamento se finisse in mare, com’è successo.
Ma che importa? Non è davanti alle nostre coste. Stavolta.
Dieci anni fa un’altra nave della flotta, la Jolly Rosso, si spiaggiò in Calabria con i suoi container e vi fu un’inchiesta archiviata per sospetto trasporto di rifiuti tossici.
Per i loro ghiotti carichi finirono nel mirino dei pirati la Jolly Smeraldo e la Jolly Marrone e allora la società armatrice protestò per la mancanza di scorta, più volte invocata, alle sue navi, che spesso hanno come destinazione il continente africano: non solo meta di business, ma nota e inerme pattumiera del mondo.
Soltanto una volta i Messina ufficializzarono la natura dei loro trasporti, quando nel 1988 la Jolly Rosso arrivò dal Libano con rifiuti tossici che “alcune aziende italiane senza scrupoli – si legge nel memoriale della nave dei veleni M/T Rosso, stilato dalla Linea Messina – avevano smaltito in Libano e in Paesi del Terzo Mondo”. Mai e poi mai la società si presta a simili trasporti, avvenne in quell’unica occasione, anzi la motonave venne poi ampiamente bonificata per procedere al trasporto di generi alimentari.
Ce ne fossero di imprenditori così che a Genova portano lavoro.
Per lavorare la Culmv non snobba i rifiuti speciali, si adatta a chiedere garanzie,vedi il prossimo imbarco delle big bags della bonifica dell’ex area industriale di Pioltello, Milano, in partenza per la Spagna (ancora ignoto l’armatore).
In Italia ci sono cantieri navali, ma i Messina si fanno costruire le navi in Corea, a prezzi più convenienti, per carità, e protestano se gli si contesta la situazione di privilegio che hanno da decenni sui moli: non vorrebbero gare d’appalto, libera concorrenza.
Perciò hanno contribuito a mandare in galera il presidente dell’Autorità Portuale Novi, prosciolto poi in giudizio e i Messina risponderanno per diffamazione.
Persone discrete, che investono nell’edilizia, abbondantemente e sommessamente.
Peccato essere finiti nei giorni scorsi sui giornali, persino nell’Amaca di Michele Serra su Repubblica: le due figlie eredi non sono state ammesse allo Yacht Club, rifiutate nel segreto dell’urna, forse per solidarietà all’ex presidente Novi (dell’Autorità portuale e per dieci anni dello Y.C.I.).
Pare diranno addio al prestigioso club, portandosi via le loro nuovissime imbarcazioni, le più grandi ancorate lì, salutando i Moratti, gli Agnelli e i Tronchetti Provera.
Che dispiacere, davvero un triste Natale.
(Bianca Vergati) -
OLI 281: SOCIETA’ – Bambini ai margini
Esperanza, quattordici anni, ha le mani piccole e sporche, come quelle di sua mamma Gloria, di anni 39 che sembra molto più vecchia, insieme aspettano l’autobus, tutt’intorno campagna. Dice fiera Gloria che sua figlia lavora alla Fattoria da tempo, raccogliendo frutta, rigovernando. Esperanza è una dei 200 mila bambini, quasi tutti latinos, che lavora nei campi degli Stati Uniti e prima o poi andrà a scuola, finita la stagione. Secondo il Rapporto Fields of Peril arriva quasi a mezzo milione il numero di bambini e adolescenti che, con paghe ridotte e senza vincoli d’orario,“danno una mano” ai grandi seguendo i genitori braccianti. Così è la condizione di parte dei bambini negli States, che hanno speso l’anno scorso 26 milioni di dollari per programmi di tutela dei diritti dei lavoratori nel mondo. E in casa loro?
Gli States compaiono anche nel rapporto Card 9 dell’Unicef ne “bambini ai margini”, che per la prima volta esamina quanto stanno facendo i Paesi più industrializzati per limitare le disparità per i giovanissimi all’interno della società, rispetto allo standard di opportunità dei coetanei. Sono 24 i Paesi esaminati e l’Italia con gli Usa e la Gran Bretagna, figura agli ultimi posti a fronte dei Paesi scandinavi e della Svizzera: ventunesimo per l’istruzione, penultimo per la salute.
L’Italia è la “casa” dei suoi cittadini giovani più poveri con un tasso di povertà relativa fra i bambini del 15,5%, ovvero circa un milione e mezzo di ragazzini vive in famiglie con redditi inferiori alla media nazionale. Una famiglia per cui si spende lo 0,06% del Pil a fronte del 2,8% della Germania e del 3,7% della Francia. Il Natale s’avvicina, alberi in piazza, luminarie, messaggini e posta t’invitano a pensare all’infanzia maltrattata. Google nella giornata dei Diritti dei Bambini il 20 novembre ha rappresentato la giornata di un bambino e Facebook ha invitato i suoi utenti a tornare bambini, cambiando l’immagine del proprio profilo con quello del cartone animato preferito. Ma sbiadita è ormai l’immagine Tv di quella bimba americana di cinque anni, che riempiva di mirtilli le ceste e che i suoi fratelli di sette trascinavano poi via: 5500 dollari di multa per l’azienda agricola e la rescissione del contratto con l’azienda di distribuzione. Nulla è cambiato però per i giovani braccianti che possono imbracciare un forcone a dieci anni ma non a sedici come apprendisti dal ferramenta, vige ancora una legge del ‘38 sul lavoro minorile e un tentativo di riforma giace al Congresso da oltre un anno con metà firme dei parlamentari.
E noi, in Italia, che cosa facciamo? Che cosa rispondiamo alla domanda dell’Unicef, che si chiede – fino a che punto le nazioni ricche tollerano che i bambini più svantaggiati rimangano indietro ai margini del benessere della società? –(Bianca Vergati)
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OLI 280: CITTA’ – Dismissioni a perdere
Brucia parecchio la fuga di Asg, l’azienda del gruppo Malacalza attiva nella realizzazione di magneti e superconduttori. Ora dal Comune partono allarmi e delibere sul lavoro” sparito” perché troppi spazi del territorio, potenziali aree produttive, restano inutilizzate e così arrivano richieste e siluri agli altri enti su ruolo e competenze. In gioco l’Ilva di Cornigliano, ma pure Fincantieri e altro.
Tanti soggetti, vincoli, progetti e non si decide. E pensare che ancora poco tempo fa le preoccupazioni più marcate parevano altre: gli spazi dello stadio, sordi ad esempio alle richieste di allargamento dell’Ikea, cui si era poi offerto un ampliamento “troppo costoso” per l’azienda. Adesso si menziona Ansaldo Energia e il suo sbocco al mare, ma Ansaldo ha già trasferito a Massa da quel dì.
(Forse sobilla la corsa alla nomina della sede dell’Agenzia Nucleare, autocandidatura di Genova e ormai data quasi per certa su Roma).
Si rivendicano dunque competenze per semplificare e anche per trasferirle nel Piano Urbanistico. Di quel Piano però se ne conoscono i Principi Generali e sono trascorsi tre anni dall’insediamento della nuova Amministrazione.
Onda su onda, si lavora di variante in variante.
Sta correndo veloce l’iter concernenti aree ed immobili di proprietà delle Ferrovie, scuole, sedi scolastiche e pensionati: in Commissione Urbanistica pochi presenti per decidere le sorti di vaste aree ex ferrovia, dalla Valpolcevera a Fegino, alla Stazione Marittima e Nervi.
Specifici accordi stipulati fra il 1999 e il 2003 fra Regione, Comune e Ferrovie prevedevano progetti e investimenti per il potenziamento del Nodo Genovese. Oggi un diverso modello di organizzazione del trasporto pubblico propone la metropolitanizzazione delle linee. Perciò in base ai protocolli sottoscritti e a quelli (ancora!) in via di definizione, si procede alla valorizzazione delle aree e degli immobili. Giustamente si riqualificheranno Pontedecimo, Trasta, Fegino: via a parcheggi pubblici, parcheggi privati, medie e grandi strutture di vendita purché non alimentari, residenze… mentre alla Stazione Marittima, in Mura degli Angeli, un megalbergo “richiesto dagli operatori del settore”.
Se dunque pare necessario intervenire su aree assai degradate, molto vago è per adesso il ritorno che ne avrà la comunità in termini di miglioramento dei servizi, di verde, spazi pubblici rispetto alle concessioni edilizie che ne trarrà Ferrovie.
Niente di scritto.
Fanno gola le ex aree ferroviarie. Trattative febbrili in tutta la Liguria, come per Ventimiglia, zona franca urbana: Ferrovie temporeggia, nonostante le sollecitazioni di Comune e Regione e l’interesse di Confindustria Cuneo, Ikea e persino associazione imprenditori di Montecarlo.
Comunque si apprezzano i buoni intenti del Comune di Genova, non si dismetterà la funzione di edificio scolastico per scuole come la Bernabò Brea e via Bertani, che rimarranno tali. Addio invece al San Raffaele di Coronata che diverrà residenze private, in barba alle richieste di social housing del Municipio Ovest.
Soltanto gli abitanti di Nervi hanno espresso la loro preoccupazione, visto il silenzio del Municipio Levante, che discuterà per raddoppiare i parcheggi alla stazione, posta in un budello di via: un park deserto e attivo solo nel fine settimana, quando si forma una coda infinita di motori accesi per la gioia di chi passeggia, di genitori e bambini che vengono per respirare aria buona. I referenti del territorio non sono stati capaci di creare parcheggi alternativi prima di arrivare ai Parchi, pur accordando centinaia di concessioni per edificarne di privati.
(Bianca Vergati)


