Categoria: Donne

  • OLI 384: PAROLE DEGLI OCCHI – Misoginia italiota

    (Genova, 3 luglio 2013 – Piazza Bandiera – Foto Giovanna Profumo)
  • OLI 377: ESTERI – Voci dalla stampa internazionale

    1) The New York Times, 8 maggio 2013: “Israele si muove per porre fine alla segregazione di genere negli spazi pubblici”
    In questo articolo Jodi Rudman scrive, tra l’altro, quanto segue: “Gerusalemme – Mercoledì, il procuratore generale di Israele ha consigliato tutti i ministri del governo di porre fine immediatamente alla segregazione di genere negli spazi pubblici, con l’emissione di linee guida che dovrebbero cambiare molti aspetti della vita quotidiana qui – dagli autobus, alle sepolture, dall’assistenza sanitaria alle onde radiofoniche.”
    La cosa strana è che il New York Times, come quasi la totalità dei media occidentali, non aveva informato dell’esistenza della segregazione di genere in Israele.
    http://www.nytimes.com/2013/05/09/world/middleeast/israel-moves-to-end-gender-segregation-in-public-spaces.html?ref=todayspaper&_r=2

    2) Il Bullettino dei Scienziati Atomici (www.sagepub.com): Inseguimenti nucleari: I cinque stati dotati di armi nucleari al di fuori del Trattato Nucleare di non proliferazione.
    In questo Notebook Nucleare, Timothy McDonnell, presenta la sua rassegna sui cinque stati che hanno sviluppato armi nucleari al di fuori del Trattato Nucleare di non proliferazione, India, Israele, Corea del Nord, Pakistan e Sud Africa. L’autore esplora le tappe fondamentali connesse con il programma di armi di ogni paese. Questi stati tendono ad avere arsenali nucleari più piccoli e tecnologicamente meno sofisticati, e hanno condotto un minor numero di test nucleari rispetto alla cinque potenze nucleari, Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti. Ma in alcuni casi, scrive l’autore, la linea che separa le differenze tecniche tra arsenali nucleari dei due gruppi sta iniziando a sfumare.
    http://bos.sagepub.com/content/69/1/62.full
    (Saleh Zaghloul – disegno di Guido Rosato)

  • OLI 376 – ESTERI: voci dalla stampa internazionale

    1) The Guardian, 07 maggio 2013: Ciniche alleanze dell’occidente in Siria.
    Nell’articolo ” L’Occidente ed i suoi alleati fanno cinicamente sanguinare la Siria per indebolire Iran”, Seumas Milne, scrive, tra l’altro, quanto segue: “Ciò ha coinciso con il parlare della creazione di una zona cuscinetto israeliana all’interno della Siria, mentre i funzionari israeliani stanno sostenendo che il regime siriano ha usato armi chimiche. Dal momento che Obama ha dichiarato che l’uso di armi chimiche sarebbe stato una “linea rossa”, le accuse di usarle sono diventati un’arma fondamentale per tutti coloro che richiedono maggiore intervento occidentale, un’eco bizzarro della screditata orchestrazione dell’invasione dell’Iraq un decennio fa.”
    “Questo sforzo è venuta a galla questa settimana, quando l’investigatrice delle Nazioni Unite Carla Del Ponte ha riferito che ci sono “forti sospetti concreti” che i ribelli siriani stessi abbiano usato il gas nervino sarin.”. http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2013/may/07/west-cynically-bleed-syria-weaken-iran

    2) Slab News, 01 maggio 2013: Gli arabi discutono se lo striptease è una forma di lotta?
    Nell’articolo “Spogliarsi per la causa è stravaganza o è una forma di lotta?”, Farah Abi Murshid, scrive, tra l’altro, quanto segue: “Asaad Abu Khalil, noto per il suo sostegno alle cause delle donne, in risposta ad una domanda di “Slab News” sottolinea che egli: ” sta con il diritto delle persone di indossare o di non indossare ciò che vogliono, ma importare dall’occidente (da parte di una maggioranza o di una minoranza, come è in questo caso) le forme di protesta non mi piace fosse anche nel portare le fiaccole o protestare con certo tipo di danza. Le forme di protesta dovrebbero nascere dalla cultura e dall’umore locali delle persone. Il diritto a spogliarsi non ha nulla a che fare con la condizione della donna. Abukhalil si chiede: “Perché dovrebbe interessare tanto coprire o scoprire la donna? Il fenomeno è minoritario in occidente, ed è una stravaganza, perché lo importiamo? Quale è l’obiettivo? Sinceramente non so. Ma se una donna volesse spogliarsi questo non mi turba, come non mi turba il velo della donna quando la decisione in entrambi i casi fosse autonoma. Lo spogliarsi della donna in sé non porta alcun vantaggio o svantaggio alle lotte nel mondo arabo. Se tutte le donne palestinesi si spogliassero ad esempio che effetto avrebbe questo sull’occupazione israeliana?”.
    http://slabnews.com/article/19362
    (Saleh Zaghloul – immagine di Guido Rosato)

  • OLI 376: LIBRI – Di mamma ce n’è più d’una

    Vera vive a Milano, è diventata madre di un bimbo nel dicembre del 2012. E’ stata licenziata dall’azienda che l’aveva assunta dopo un mese che era rientrata al lavoro. Il figlio aveva allora tre mesi. Vera si è rivolta ad un legale, insieme hanno patteggiato una buona uscita. Ha trovato un altro lavoro, nel Giugno 2012, presso una società per la quale è sempre in viaggio. Il compagno di Vera, disoccupato, sta crescendo il bambino. In un anno e sei mesi Vera è stata con suo figlio complessivamente sette mesi. Esagerando. Domenica è, sulla carta, la festa di tutte le mamme e il libro di Loredana Lipperini “Di mamma ce n’è più d’una” – presentato a Genova da Feltrinelli nel marzo scorso – può essere un valido aiuto per una riflessione su questo tema.
    Accanto alla giornalista autrice, Roberta Trucco ed Eva Provedel hanno parlato dei pianeti che influenzano la maternità: dalla possibilità di sceglierla, alla conciliazione con il lavoro, ai modelli pubblicitari, per arrivare al ruolo del padre.
    L’Italia è un paese dove è difficile scegliere se essere madri o non esserlo. Sia perché la legge 194 è stata svuotata di contenuti: la percentuale di obbiettori impedisce spesso che venga applicata; sia perché il lavoro spesso ostacola una scelta che sia veramente libera – vedi l’agghiacciante ricorso alle dimissioni in bianco, arginata per legge solo nel 2012 o il ricorso ai contratti atipici – con dei modelli escludenti rispetto alla piena realizzazione in campo professionale e come madre.
    Non è permesso avere un figlio se padre o madre sono infertili, “perché la legge 40 di fatto ha creato l’infelicità di tantissime coppie”, con una tristissima e costosa emigrazione della fertilità ed una scarsa solidarietà nei confronti delle e degli infertili. Inoltre la conciliazione lavoro maternità si scontra con la mancanza di asili e il taglio del tempo pieno scolastico.
    Questa schizofrenia è di casa in Italia, nel paese del materno, dove l’icona della madre e del sacro coincidono. Inoltre c’è una competizione continua che certe madri attivano con altre “per cui hai i dolci più belli, i figli più belli, più bravi a scuola, la famiglia meglio riuscita… E non è così”.
    Loredena Lipperini dice che il 95% degli uomini italiani non ha mai caricato una lavatrice, ma la maternità è potere e poiché non esistono poteri buoni, parafrasando de André, un po’ andrebbe ceduto al padre. Le statistiche confermano che il 75% del lavoro di casa viene fatto da donne.
    Poi c’è la pubblicità con le sue rappresentazioni: la madre incinta sarà bionda, la madre con i figli bruna, il padre ha la camicia azzurra. Non ci sono padri quarantenni o grassi. La cucina è sempre la stessa, con una luce nordica. I padri sono spesso inetti o eterni farfalloni e quando ci sono “vanno a prendere i figli a scuola ma invidiano l’unico maschio che è presente in loco perché è il fidanzato della maestra”.
    Durante la presentazione un padre ha sollevato il tema dell’affido condiviso e dei padri separati. Si è parlato del conflitto sul web contro le associazioni che si occupano di femminile e della necessità di risolvere la contrapposizione nella coppia.
    (Giovanna Profumo – Foto dell’autrice)

  • OLI 364: PAROLE DEGLI OCCHI – Bonjour Madame

    (Metropolitana di Parigi, ottobre 2012 – Foto di Giovanna Profumo)

  • OLI 364: POLITICA – One billion rising a Genova

    A Genova, alla Casa delle Donne in Salita del Prione, in questi giorni si svolgono brevi lezioni di danza, una ‘specifica’ danza.
    Il motivo sta nel titolo e nelle parole (*) che accompagnano la musica, break the chain, spezza la catena: la catena della violenza sulle donne.
    Appena arrivate nella sala, prima di iniziare, le donne guardano perplesse un video scoraggiante per chi non sia adolescente o giovanissima: pare impossibile riuscire a imparare quella sequanza complicata, impossibile imitare quei movimenti veloci ed elastici.
    Però non c’è dubbio che si debba e si voglia tentare, e le donne si dispongono in file sotto la guida di Gloria, una giovane e bravissima insegnante di danza.
    Incredibilmente, in un’ora di pazienti ripetizioni dei gesti, l’obiettivo è raggiunto.
    Si tornerà magari ancora una volta, per mettere a punto i dettagli, ma il fatto è che l’impossibile è diventato possibile.
    Altre stanno imparando la sequenza di danza studiandosela attraverso il video didattico che circola in internet.
    Questa cosa sta avvenendo in tutto il mondo, e in tutto il mondo il 14 febbraio le donne si riuniranno per ballare su questo ritmo, o per esserci e basta.
    Questo flash mob planetario è stato ideato e lanciato dalla scrittrice americana Eve Ensler, ed ha per sigla One billion rising: “Un miliardo di donne violate è un’atrocità, un miliardo di donne che ballano è una rivoluzione, un miliardo di donne che danzano scuoterà la Terra”. Il video che presenta l’iniziativa è da vedere:
      

    A Genova la manifestazione si svolgerà alle ore 17.00 del 14 febbraio 2013, in Piazza De Ferrari.
    L’hanno organizzata insieme le donne di “Se non ora quando Genova” e della “Rete di donne per la politica”, coordinamento che raccoglie venti associazioni di donne (**): un mondo di diversità che ha trovato la strada per agire insieme.

    (*) Le parole di ‘Break the chain’: 
    Sollevo le braccia al cielo
    Prego in ginocchio
    Non ho più paura
    Io attraverserò quella soglia
    Cammina, danza, sollevati
    Posso vedere un mondo
    dove tutte viviamo sicure
    e libere da ogni oppressione
    Non più stupro, o incesto, o abuso
    Le donne non sono proprietà T
    u non mi hai mai posseduta,
    neppure sai chi sono.
    Io non sono invisibile,
    sono semplicemente meravigliosa
    Sento il mio cuore prendere la corsa per la prima volta
    Mi sento viva, mi sento straordinaria
    Danzo perché amo
    Danzo perché sogno
    Danzo perchè non ne posso più
    Danzo per arrestare le grida
    Danzo per rompere le regole
    Danzo per fermare il dolore
    Danzo per rovesciare tutto sottosopra.
    E’ ora di spezzare la catena,
    oh sì Spezzare la catena
    Danza, sollevati
    Nel mezzo di questa follia, noi ci ergeremo,
    Io so che c’è un mondo migliore,
    Prendi per mano le tue sorelle e i tuoi fratelli
    Cerca di raggiungere ogni donna e ogni bambina
    Questo è il mio corpo, il mio corpo è sacro
    Basta scuse, basta abusi
    Noi siamo madri, noi siamo maestre,
    Noi siamo bellissime, bellissime creature
    Danza, sollevati
    Sorella, non mi aiuterai?
    Sorella, non ti solleverai?
    Danza, sollevati
    E’ ora di spezzare la catena,
    oh sì Spezzare la catena

    (**) Elenco delle associazioni della ‘Rete di donne per la politica’: Laboratorio politico di donne, UDI Genova 25 novembre 2008, Generazioni di donne, Marea, UDI Genova Biblioteca Margherita Ferro, Società per Azioni Politiche di Donne, Coordinamento Donne CGIL Genova e Liguria, Coordinamento pari opportunità UIL di Genova e della Liguria, Asociazione Usciamo dal silenzio, Rete delle donne per la rivoluzione gentile, AIED, Archinaute, Laboratorio AG-AboutGender, Co.Li.Do.Lat, Legendaria, Gruppo Mafalda Sampierdarena, Il Cerchio delle Relazioni, Arcilesbica, Rete 194.
    (Paola Pierantoni)
     

  • OLI 360: ESTERI – Integralismo religioso del terzo tipo

    Tutti gli integralismi religiosi sono da condannare, non soltanto quello musulmano e quello cristiano ma anche quello ebraico. L’informazione italiana, purtroppo, trascura molto il fondamentalismo ebraico. Non vi è stata, infatti, alcuna traccia delle due notizie riguardanti questo integralismo riportate la prima dal  Daily Mail del 28 novembre e la seconda da Israel Hayom del 7 dicembre. Notizie che se riguardassero la religione o un paese musulmano avremmo trovato in prima pagina su tutti i giornali e tra le più importanti di tutti i telegiornali. Il Daily Mail racconta del processo contro un rabbino della comunità ebraica di New York che avrebbe abusato sessualmente di una ragazzina per diversi anni. I genitori della ragazza avevano portato la loro figlia ribelle di 12 anni da lui dopo che lei aveva violato diverse rigorose regole della setta ebraica Satmar Hasidic, tra cui la lettura di riviste come Cosmopolitan e People, e aveva osato indossare calze troppo sottili. Il Rabbino Weberman, leader rispettato della piccola comunità, doveva ricondurre la ragazza all’osservanza della dottrina ultraconservatrice. Invece, qualche anno più tardì, la giovane ha confidato che il rabbino abusava sessualmente di lei.
    La notizia di Israel Hayom riguarda invece un cartello pubblicitario a Gerusalemme che ha suscitato un grande scalpore tra gli attivisti che operano contro l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica in Israele. Il cartello ordina alle donne di nascondersi per non tentare gli uomini in preghiera. “Aspetta tuo marito dietro il furgone bianco e luoghi del genere in modo da non essere un ostacolo per chi prega”, dice il cartello, fotografato dal Canale 2 israeliano.
    Al di là delle dichiarazioni della destra italiana che ha sempre strumentalizzato il maschilismo islamico e i diritti delle donne musulmane per diffondere il razzismo tipico della parte peggiore dell’Italia, e promuovere e giustificare la guerra contro i popoli ai quali appartengono queste donne, fondamentale sarebbe che la sinistra italiana – quella che si è battuta per la pace e per i diritti delle donne – si preoccupasse di tutelare anche le donne ebraiche dall’integralismo ebraico, le donne cristiane dall’integralismo cristiano, allo stesso modo con cui si è preoccupata di tutelare quelle afghane ed egiziane dall’integralismo islamico, altrimenti le battaglie per le donne non hanno efficacia e risultano poco credibili perché rischiano di essere confuse con la campagna antislamica occidentale.
    (Saleh Zaghloul  – foto da internet) 

  • OLI 359: DONNE – Femminicidio: la rete delle donne muove la politica

    Il 28 novembre, nella sala Consiliare della Provincia, è avvenuto l’incontro della “Rete di donne per la politica” e di “Se non ora quando” con il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando, il sindaco di Genova Marco Doria e l’assessora regionale Rambaudi (vedi Oli 358, “Burlando, Doria e la rete delle donne“).
    Le donne ottengono un importante risultato: l’adesione di Regione e Comune alla Convenzione “No more”; l’aumento – previa approvazione del Consiglio Regionale – da 120.000 a 300.000 euro del fondo per i centri anti violenza, e l’impegno a salvaguardarne il sistema di ‘rete’ costruito in questi anni sul territorio dalla Provincia di Genova: centri anti-violenza, strutture di accoglienza, pronti soccorso, forze dell’ordine, servizi sociali, psicologi. 
    Ma al centro dell’incontro c’era anche l’aspetto politico e culturale e nell’affollata sala della Provincia sono stati espressi pensieri impegnativi. Anna Pesenti dell’Udi parla della violenza della negazione: quella di presentare come casi di ‘malamore’, e non come fatto politico, la violenza verso le donne, o quella della cancellazione dai libri di storia dello sguardo femminile, che produce un racconto non solo incompleto, ma falso: “le guerre non si raccontano così”. Poi Pesenti parla del ‘brivido’ che prova quando sente la parola famiglia, “perché è un coperchio su una pentola che ribolle”, e dice che dovremmo pensare a famiglie non solo ‘di sangue’. 
    Silvia Neonato, consapevole della difficoltà del confronto,  offre una sponda alle emozioni in campo sottolineando la diversità, rispetto ad  altri temi di confronto politico, di quello della violenza verso le donne  perché “suscita imbarazzi, vergogna, aggressività, impotenza”.
    Una donna del ‘Gruppo donne di Oregina’ che si occupa di Teologia femminista interviene indicando la responsabilità della gerachia cattolica nella diffusione della violenza di genere. 
    Nella discussione acquista evidenza anche l’inizio di una riflessione maschile che cresce nei gruppi “Maschile plurale”,  “Uomini in cammino”, in quello degli uomini ex clienti di prostitute, nei centri di ascolto per uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità. 
    Anche gli amministratori accompagnano i loro impegni con riflessioni politiche. Burlando denuncia l’assenza, nell’azione del Governo, di qualsiasi riflessione e ‘cognizione’ dei costi in termini di perdita di coesione sociale che stiamo pagando a causa delle politiche di restrizione della spesa. In questa situazione mettere in campo una rete che permetta alla violenza verso le donne di venire alla luce è tanto più importante in quanto è difficile acquisire consenso, in tempi di ristrettezze, nel mettere risorse in un settore in cui ‘non c’è allarme sociale’. 
    Doria avverte che Regione e Comune sono ormai diventate istituzioni fragili, colpite da uno scarto sempre più grande tra risorse disponibili e necessità di dare risposte. 
    L’assessora Rambaudi sottolinea la necessità di promuovere cultura, fino dalla età primissima. Ringrazia la rete delle associazioni delle donne appunto per questo, perché in diverse forme “tutti i giorni fanno cultura”. Indispensable inoltre rafforzare una filiera di servizi in rete, e creare sul territorio punti di ascolto “dove ci sono non operatori, ma associazioni di donne che veicolano il rapporto con i servizi”. Forse più a suo agio dei suoi colleghi, Lorena Rambaudi offre anche qualche sorriso.
    Un appuntamento importante ora è per lunedì 10 dicembre alle 11 presso il “Tempio laico” al Cimitero di Staglieno dove, aderendo ad una proposta di “Usciamo dal silenzio”, il Comune scoprirà una targa “In memoria di tutte le donne morte per mano violenta di chi diceva di amarle. Perché le loro storie non affondino nel silenzio, ma risveglino coscienze e civiltà. Il Comune di Genova contro il femminicidio“. Interverranno l’assessora Fiorini e le donne della “rete”.
    (Paola Pierantoni – Foto dell’autrice)
  • OLI 358: CITTA’ – De Ferrari crocevia: donne, Gangnam style e Palestina

    Foto di Giorgio Bergami

    Sabato 24 novembre Piazza De Ferrari è stato un interessante crocevia, e forse è proprio questo insieme, questa contemporaneità di eventi, che andava raccontata. Attorno ai gradini di Palazzo Ducale dal primo pomeriggio bandiere, musica araba e un centinaio di persone che manifestavano a sostegno del popolo palestinese e per raccogliere medicinali tramite l’associazione Music for Peace. L’evento più separato e ignorato. Contemporaneamente le donne della “Rete di donne per la politica” e di “Se non ora quando” avevano iniziato ad allestire una iniziativa contro la violenza sulle donne: uno ad uno più di cento di palloncini bianchi sono stati gonfiati, vi è stata disegnata in nero una croce, e sono stati gettati nella fontana, con l’acqua colorata in rosso.

    Un palloncino per ogni donna uccisa in Italia dalla violenza maschile. Poi a poco a poco iniziano ad arrivare ragazzine e ragazzini, girano intorno alla fontana rossa che si sta popolando dei palloncini, qualcuno li prende, li tira di nuovo nell’acqua, giocano, non capiscono, e chiedono. Non sapevano cosa volesse dire, che senso dare a quel rosso e a quel bianco. Manifestano stupore, non riescono a credere che i violenti siano quasi sempre dentro la famiglia.
    Molte e molti non avevano proprio idea dell’esistenza e della dimensione della violenza verso le donne, solo in pochi casi ne avevano parlato a scuola. Le giovanissime ragazze però si sentono forti: “li mettiamo a posto noi, i maschi!” Una mi dice: “ma adesso tra un po’ come facciamo? Voi fate questa cosa e alle quattro e mezza noi balliamo la danza coreana … ” e mi fa dei gesti ritmici che suppone che io comprenda al volo. Questa volta sono io a non capire.
    Nella mia disinformazione nulla sapevo di questo flash mob promosso via Face Book per ballare il ‘Gangnam Style’. Non sapevo che su Youtube il video che ha reso famoso questo ballo ha avuto 825.545.515 visualizzazioni, in assoluto il più visualizzato del mondo, e ingenuamente le dico, beh qui c’è spazio per tutti … Proprio non immaginavo. E ancor nemmeno immaginavo che potesse esserci un anello di congiunzione tra cose tanto diverse.
    Lo scopro quando vedo le studentesse del “Gobetti”, anima coreografica dell’evento, indossare delle magliette tutte eguali, con davanti scritto in rosa “Respect, I’m pro woman” e dietro “Ne tocchi una, ci tocchi tutti”. Portano cartelli e scandiscono slogan che si collegano a quelli di anni passati Le donne di oggi hanno memoria, fuori la violenza dalla storia, Abbattiamo il muro della violenza, Col silenzio e l’indifferenza si nasconde la violenza. Alcuni ragazzi al collo portano scritto La violenza sulle donne fa violenza anche a me. Si scopre che se ne è parlato in classe, che le ragazze hanno fatto una ricerca, hanno trovato slogan del passato, e li hanno uniti alle parole e ai gesti del presente.
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice e di Giorgio Bergami

    Links

    Interviste sul Secolo XIX on line 


  • OLI 358: MAFIA – La Liguria, la mafia, e il ruolo delle donne

    Ho preso il quaderno prima di uscire, ho pensato che avrei avuto qualcosa da scrivere: Anna Canepa, Enza Rando, Nando Dalla Chiesa. Titolo dell’incontro: “Contro la mafia perché donne”. Troppe poche sedie, un orario diverso da quello stabilito, un’accoglienza fredda, ma c’era ben altro a cui prestare attenzione.
    Partiamo dall’importanza della consapevolezza, del quanto sia rischioso credere di essere immuni.
    Anna Canepa ci ricorda: due comuni liguri sciolti per mafia, qualche problema c’era e c’è. Le mafie al nord si manifestano soprattutto nell’ambito di riciclaggio, reinvestimento e reimpiego di denaro sporco, derivante da traffici illeciti. Si vede meno, insomma, ma non esiste pensare di essere immuni.
    Così come, prosegue la magistrata, non esiste pensare, dopo gli anni ’70, che le donne non abbiano un ruolo, non abbiano niente a che fare, non c’entrino nulla, negli affari delle mafie. Le donne si occupano dell’educazione dei figli, in particolare hanno il ruolo di trasmettere loro il codice “dell’onore”, quello che impone la vendetta rispetto ad un torto subito. Inoltre, quando gli uomini ai vertici delle organizzazioni criminali si trovano in carcere sono le donne a prendere in mano il potere. Sono state considerate da sempre affidabili e precise, scrupolose.
    Anche per questo, quando qualcuna decide che “non ci sta più”, se il sistema la riporta a sé spesso la fa scomparire, sciogliendo il corpo nell’acido, perché della persona non resti più traccia, come si diceva fosse accaduto a Lea Garofalo, testimone di giustizia vittima di un omicidio mafioso i cui resti, la notizia è di questi giorni, sarebbero invece stati in parte ritrovati. La figlia potrebbe piangere su qualcosa, finalmente.
    Le donne sono nella mafia, con ruoli spesso chiave, le donne sono contro la mafia, spesso invisibili, lo sono come magistrate, come avvocate, come amministratrici. Cercano di fare il loro dovere. Enza Rando, avvocata dell’associazione Libera, rievoca con parole dense e pesantissime la sua esperienza, parla di Canepa “giudice ragazzina”, parla della conquista delle scuole, della lotta per presidiare il territorio, della palestra bruciata come ammonimento, della continua tensione, della partecipazione della gente. Tutta.
    Nando Dalla Chiesa parla di un’altra palestra bruciata. Ma a Milano. Uno sgarbo fatto dalla nuova amministrazione, un’assegnazione “malfatta”, la ‘ndrangheta si fa sentire.

    Ci dicono che dove non si spara non c’è mafia, si festeggiano le assoluzioni degli imputati per mafia nei processi, si dice che finché le sentenze non confermeranno la presenza della criminalità organizzata “anche al nord” la conclusione sarà semplice: la mafia non c’è”.
    Mai – Canepa chiude, ho passato un’ora e mezza attentissima, senza perdere una parola – pensare che in mancanza di sentenze ci si possa sentire tranquilli. La criminalità organizzata, parliamo del nord, si fa vedere quando accade qualcosa, l’invisibilità significa solo collusione e infiltrazione, dunque, per loro, non certo per noi, tranquillità. La gente comune, al di là degli errori o del non voler guardare della magistratura, dovrebbe non chiudere mai gli occhi, essere consapevole, partecipare e riconoscere. Solo attraverso il riconoscimento si può ovviare all’insufficienza culturale che porta ad un silenzio che prestissimo diventa omertà.
    Solo la responsabilità condivisa e la presa di parola forte e solidale con chi e di chi ha scelto di stare “dalla parte della parte offesa” potranno cambiare radicalmente le cose, giorno per giorno.
    Ho fatto bene a prendere il quaderno…
    (Valentina Gentaimmagine da internet)