Il 10 febbraio alle 17 il Teatro della Corte era affollatissimo per la presentazione, a Genova, della neonata associazione “Lavoro e Libertà” (*).
Il titolo dato all’evento, “Lavoro e/o vita”, era tale da sollevare forti aspettative in un animo femminile. Certo, sullo sfondo c’erano la vicenda della Fiom e la tragedia della Thyssen, perno del lavoro teatrale “La menzogna” di Pippo del Bono, programmato a completamento dell’evento: ma l’antitesi tra vita e lavoro non è rappresentata solo dalla radicalità della morte sul lavoro.
Nel coniugare i termini “lavoro” e “vita” il pensiero femminile corre infatti immediatamente al conflitto tra lavoro retribuito e lavoro di cura: un tempo si diceva tra produrre e riprodurre, dove riprodurre non si riferiva solo alla maternità, ma alla riproduzione sociale, alla cura del mondo. Erano temi centrali nelle lotte di qualche decina d’anni fa, e oggi sono il nucleo duro e irrisolto nelle vite di giovani donne che appena messa fuori la testa dal mondo degli studi si ritrovano investite da una disparità che non avevano supposto.
Invece questa questione, che fonda tutt’oggi organizzazione sociale, economia, organizzazione del lavoro, e rapporti nella famiglia non ha trovato alcuno spazio negli interventi.
C’era di che andarsene più che deluse: tutto quel che ha saputo offrire l’autorevole palco totalmente maschile (Cofferati, Bertinotti, Landini, Del Bono, Gad Lerner) è stato – a tratti – l’uso di un linguaggio politicamente corretto (lavoratori e lavoratrici … ecc.).
C’è da interrogarsi seriamente su questa scissione del pensiero, per cui un elemento di analisi della realtà centrale per qualsiasi donna che ci abbia pensato un po’ su, non riesce a farsi strada nelle parole di uomini che hanno praticato per tutta la vita il sindacato e la politica, e che non possono ignorare i molti pensieri prodotti su questo nodo di fondo da donne sindacaliste, politiche e pensatrici.
Di lì a tre giorni il richiamo delle donne avrebbe portato in piazza un milione di persone, trentamila o più a Genova. Cofferati, dicono le pochissime che nella gran folla hanno potuto accorgersene, sale (impropriamente) sul palco. Davvero, non è quello che serve.
(*) http://www.lavoroeliberta.it/
(Paola Pierantoni)
Categoria: Donne
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OLI 290: LAVORO E LIBERTA’ – Uomini dal pensiero scisso
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Oli 290: MIGRANTI – Nato in Italia, genitori stranieri, 18 anni? Attenzione …

Foto Paola Pierantoni Tutti concordano (ancora a parole) che la legge sulla cittadinanza (91/92) è da riformare. Nata in piena crisi della prima repubblica non poteva che essere la più arretrata d’Europa. La legge richiede dieci anni di residenza quando negli altri paesi europei bastano cinque anni di semplice soggiorno regolare. L’aspetto più arretrato però è che si segue il diritto di sangue: soltanto chi è figlio di italiani ha diritto alla cittadinanza per nascita.
La cosa scioccante è che fino al 1983 si seguiva il diritto di sangue maschile, ovvero solo i figli dei maschi italiani avevano il diritto alla cittadinanza per nascita. Soltanto con la riforma del 1983, i figli delle donne italiane nati da matrimoni con cittadini stranieri hanno avuto il diritto alla cittadinanza per nascita e non dovevano più fare le code davanti alle questure per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno. Nazionalismo, autoritarismo, razzismo e maschilismo convivono felicemente e si alimentano a vicenda. Ancora più scioccante è che fino al 1975 le donne italiane che si sposavano con cittadini stranieri perdevano la cittadinanza italiana. Ci è voluta una sentenza della Corte Costituzionale (87/75) per dichiarare illegittima la norma, risalente alla legge del 1912, che prevedeva la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna.
Dunque, oggi, i figli degli immigrati nati in Italia non hanno diritto alla cittadinanza per nascita come accade in tutti i paesi europei e in tutte le moderne democrazie del mondo. Soltanto al compimento della maggiore età, la legge in vigore prevede per loro un percorso facilitato per ottenere la cittadinanza a patto che presentino domanda entro un anno. Una finestra aperta per soli 12 mesi, compiuti i 19 anni senza aver fatto domanda, questo opportunità sfuma e si rientra nel calvario burocratico al quale sono costretti i richiedenti la cittadinanza, un odissea interminabile piena di ostacoli e varie stregonerie.
Per questo l’assessore al welfare della regione Toscana, e contemporaneamente anche il sindaco di Reggio Emilia, hanno avviato una campagna informativa: i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, che abitano in Toscana e Reggio Emilia, e che stanno per compiere 18 anni, riceveranno una lettera che ricorderà loro la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana attraverso un percorso semplice e veloce. Col pensiero che va a chi arriva in Italia da bambino per cui i dodici mesi non esistono ed attendendo tempi e leggi migliori per questo nostro disgraziato/meraviglioso paese, proponiamo questa ottima iniziativa all’assessore regionale all’immigrazione Enrico Vesco ed alla nostra sindaco Marta Vincenzi.
(Saleh Zaghloul) -
OLI 289: POLITICA – Schopenhauer, Gelmini e le radical chic
Il prestigioso premio Arthur Schopenhauer, per chi esemplifica con
maggiore efficacia l’idea di un mondo edificabile a propria
“volontà e rappresentazione”
è stato assegnato al ministro On. Mariastella Gelmini per la definizione di
“solo poche radical chic”
con cui ha piegato alla propria visione della realtà i 230 cortei organizzati
dalle donne italiane nel giorno del 13 febbraio u.s.(Luigi Lunari – Movimento per la Rivoluzione nell’Ambito del Potere Vigente)
Radical chic genovesi che si nascondono astutamente sotto gli ombrelli – Foto di Vinicio Vassallo -
OLI 289: PAROLE DEGLI OCCHI – Genova faziosa e radical chic
GBa GBa GBe “Una mobilitazione faziosa, una vergogna!”
L’ira di Berlusconi per la manifestazione delle donne (e uomini) di domenica 13 febbraio si aggiunge al grottesco commento di Mariastella Gelmini che ha farneticato di “solo poche radical chic che manifestano per fini politici e per strumentalizzare le donne”.
Per controbattere, stavolta bastano davvero soltanto le parole degli occhi: non occorre aggiungere altro alla potenza di immagini che parlano da sole.
Foto di Giorgio Badi (GBa) e Giorgio Bergami (GBe) -
OLI 289: LETTERE – Donne in piazza
13 febbraio, Piazza De Ferrari, Genova, un boato accoglie la dichiarazione dal palco – Siamo in trentamila – Allegria ed entusiasmo elettrizzanti pervadono la folla di donne, neanche tante le giovani, qualche ragazzo e alcuni capelli grigi, ma pure mamme con carrozzine, striscioni e foglietti sventolanti una D: Dimissioni o Donna? Interpretazione a scelta.
A condurre la kermesse è l’animatrice del suq, che si esibisce in pezzi letterari e invita a parlare persone “non note”, precisando che si deve dare spazio a chi normalmente non l’ha.
Nel “recinto” accanto al palco intanto arrivano assessori, deputati… Personaggi pubblici insomma, soltanto tre donne con incarichi politici fermamente ne restano fuori.
Si recita l’elenco delle donne per cui “se non ora quando”, da Rita Levi di Montalcini, a Sibilla Aleramo, Grazia Deledda, Nilde Iotti, Eleonora Duse, Serena Dandini… Sguardi un po’ interdetti. Serena Dandini? E le ricercatrici della Sapienza sul tetto, le operaie della Omsa, le badanti clandestine, le laureate medico che fanno le segretarie dal notaio e le donne, cui lo Stato ha delegato il welfare familiare, le lavoratrici tutte e le ragazze che non trovano lavoro?
Sale sul palco, dopo aver scalpitato nel recinto, l’ideatrice ( insieme ad un uomo) di una manifestazione che si svolge tutti gli anni con grande successo. Donna in gamba, di solida carriera, da segretaria personale a direttrice di eventi, che arringa la folla con parole “di pancia”, chiedendo all’Innominato di dimettersi, che non si possono trattate così le donne, che lei non va più all’estero perchè si vergogna. Una che prima di approcciarsi al microfono sibilava di essere incavolata, di non poter tollerare che facciano strada giovani bellone senza cervello. Dubbio: per cosa era indiavolata, per B, per le giovani o le bellone che passano avanti?
Si sa le elezioni in città sono vicine e il Sindaco è donna, fuori dal coro per di più e si susseguono interventi sinceri, ma anche tanti discorsi politici di sponda.
Il pensiero corre ad altre piazze bipartisan, pure se la politica doveva rimanere ai margini.
Su questo palco la questione femminile sembra interpretata con una tensione di risulta e non di scatto in avanti, una guerra di trincea, come se il tema riguardasse una parte di donne e non tutte, soprattutto il futuro delle nuove generazioni. Quelle che oggi e domani soffriranno per gli stereotipi vigenti, in un Paese diviso tra ipocrisia di un certo pseudo cattolicesimo ed etica comune a tutti i cittadini: una mercificazione dei corpi sì, ma pure deficit e sfruttamento del lavoro femminile senza servizi sociali di supporto, una delle principali cause per cui società e Paese restano al palo.
Approda anche l’ex sindaco ed ex sindacalista, il mancato segretario di partito, candidatosi alle Europee al posto della governatrice del Piemonte, la quale a sua volta si è riproposta alle Regionali. Perciò il sindaco di Torino non si è presentato e il Piemonte è svaporato alla Lega, colpa di donna cocciuta (e non sostenuta, oltre ai voti grillini). E la filastrocca continua, chapeau, l’uomo è di un certo valore, migliore di tanti. Ma non aveva abbandonato tutto per fare il papà?
Non soltanto la pioggia comincia a dare fastidio e la gente si affolla al bus.
(Bianca Vergati) -
OLI 288: POLITICA – Se non ora quando

Logo della manifestazione del 13 febbraio E’ stata varcata una soglia: quella che spinge ad una azione collettiva donne di una marea di gruppi ed appartenenze diverse e donne di nessun gruppo e di nessuna appartenenza, collocate lungo l’infinita gradazione del loro personale rapporto con la politica e col femminismo.
L’essere immerse ed immersi – come siamo da mesi – nella esibizione pubblica del rapporto malato tra questo uomo potente e le donne ha fatto scattare fastidio, esecrazione, indignazione, desiderio di opporsi pubblicamente.
Ma circolano a piene mani anche invidia, connivenza, accettazione, indifferenza, compiacimento, desiderio di imitazione. Sia da parte degli uomini che delle donne, che sono gran parte della sua base di consenso.
Berlusconi è il secondo problema, il primo siamo noi. La manifestazione del 13 febbraio coglierà il suo obiettivo se riuscirà – per il dopo – a mettere in moto energie, interazioni, pensieri per riflettere a chi siamo noi, cittadine e cittadini di questo disgraziato paese, cosa desideriamo per la nostra vita, come concepiamo il nostro personale rapporto con il lavoro, la famiglia, il denaro, il potere, la sessualità, la politica.Intanto qualche “istruzione per l’uso” per la manifestazione del 13: il concentramento è alle 15 a Piazza Caricamento, poi un breve corteo arriverà a De Ferrari dove ci sarà uno speak corner per dare voce – dicono le organizzatrici – “a tutte/i coloro che vorranno testimoniare un modello femminile (e maschile) diverso”.
Sul sito nazionale http://senonoraquando13febbraio2011.wordpress.com/ potete trovare l’appello che ha convocato l’iniziativa, e una serie di indicazioni che ne definiscono carattere e modalità.
Tra queste alcune meritano di essere sottolineate: “La manifestazione non è fatta per giudicare altre donne, contro altre donne, o per dividere le donne in buone e cattive. I cartelli o striscioni ne terranno conto… Siamo donne fiere e orgogliose. Chiediamo dignità e rispetto per noi e per tutte. Siamo gelose della nostra autonomia e non ci lasceremo “usare”. Per questo non ci devono essere simboli politici o sindacali nei nostri cortei: vogliamo che sia anche rispettata la nostra “trasversalità”… La manifestazione è promossa dalle donne, ma – come diciamo nel nostro appello – la partecipazione di uomini amici è richiesta e benvenuta”.
(Paola Pierantoni) -
OLI 288: EGITTO – Unità tra sessi e religioni nell’Egitto in lotta
Venerdì 4 febbraio 2011: altra manifestazione milionaria in piazza della Liberazione (maidan al Tahrir). La preghiera del venerdì, che ha un significato particolare nella tradizione musulmana, sta per iniziare in piazza. Tutti vogliono partecipare alla preghiera, anche quelli che fanno servizio d’ordine ai sei ingressi della piazza per proteggere i manifestanti dagli attacchi dei resti delle forze di sicurezza del regime in borghese (sono in abiti civili, per apparire come cittadini sostenitori del regime e sfuggire all’intervento dell’esercito in difesa dei manifestanti) e dai famosi balttagìa (mercenari pagati dalla Mukhabarat – i servizi segreti – del regime, delinquenti comuni e criminali che solitamente impongono il loro controllo del territorio esercitando violenza nei confronti dei cittadini e terrorizzandoli. Ora sono mercenari al soldo del regime. Letteralmente sono i portatori di baltta; cioè ascia o grossa arma bianca). Nei giorni precedenti i balttagìa hanno invaso la piazza su cavalli e cammelli ed hanno attaccato i manifestanti. La notte precedente avevano attaccato i manifestanti con il lancio di bottiglie molotov e pietre.
Per permettere anche ai membri del servizio d’ordine di partecipare alla preghiera, circa diecimila dei cristiani egiziani presenti in piazza hanno formato una diga umana ai sei ingressi della piazza, proteggendo i loro compagni musulmani durante la preghiera.
Domenica 6 febbraio 2011: i cristiani egiziani hanno celebrato la messa domenicale in piazza al Tahrir circondati e protetti dai manifestanti musulmani.
Due scene che evidenziano la forte unità tra egiziani musulmani e cristiani nella lotta contro il regime di Mubarak ed evidenziano il ruolo negativo di questo regime sulla convivenza tra religioni diverse e le sue responsabilità negli ultimi avvenimenti, precedenti alla rivolta, che hanno causato molte vittime cristiane. Una delle caratteristiche dei regimi dittatoriali è quella di creare divisioni tra i cittadini di diverse etnie o religioni proprio per conservare un potere totalitario aggressivo e despota.Le donne sono presenti ed hanno un ruolo molto attivo nella rivolta contro il regime, donne giovani e vecchie, con il velo e senza velo, con il vestito tradizionale e con i pantaloni o la gonna, donne laiche e religiose, musulmane e cristiane. I giovani uomini cercano soltanto di evitare che le donne facciano parte del servizio d’ordine agli ingressi della piazza e che affrontino la violenza dei balttagìa. Per il resto partecipano a tutte le attività, sono certamente le più attive negli ospedali di campo a curare i feriti, le più brave a portare cibo e quanto serve in piazza, sono le più brave a rappresentare la piazza quando sono intervistate dai media, sono le più organizzate, sono quelle che più hanno una visione chiara sulla prospettiva politica del paese, su come vorrebbero che si evolvesse la rivoluzione, sono le più determinate: non si tratta con il regime prima della caduta di Mubarak, sanno che è l’occasione della loro vita e della vita delle loro figlie e delle donne in tutta la regione per ottenere parità, libertà e democrazia.
(Saleh Zaghloul) -
OLI 287: Donne – Altri ritratti
Padova, gennaio 2011, Mostra “Da Canova a Modigliani”.La tela “Sogni” di Vittorio Corcos viene spiegata dalla guida che indica sguardo e fronte della giovane donna come punti essenziali del quadro. E’ la mente la chiave di lettura, perché questo ritratto del 1896, trasmette a chi lo guarda aspirazioni e “sogni” di una donna orgogliosa e colta. Non sono sogni romantici, qui è la consapevolezza che muove il quadro. La modella è Elena Vecchi, sulla panchina accanto a lei dei libri.Genova, Raccolta Frugone, nella tela “Al caffè” di Alessandro Milesi la donna – la tazzina in una mano – legge il giornale spalancato come un grembiule sulle sue ginocchia, siamo nel 1890. Anche qui una donna che pensa e legge.Alla ricerca di altri ritratti di donne, a dispetto di quelli proposti dalla cronaca nazionale recente, se ne possono trovare decine, in una mostra di immagini che racchiuda intelligenza e amor proprio delle donne italiane. Le fotografie genovesi della scorsa settimana offrono la rabbia, talvolta divertita, delle donne genovesi al flash mob tenutosi alla stazione Brignole del 27 gennaio, per chiedere le dimissioni del presidente del consiglio. Ma altri scatti verranno prodotti di certo durante le future iniziative a calendario per chiedere la fine del “puttanaio” salito alle cronache nel mese appena trascorso.Consapevoli che così non si può andare avanti le donne – accanto ad ognuna di loro sarebbe auspicabile la presenza di un uomo – si stanno organizzando per una grande manifestazione il 13 febbraio in tutte le piazze d’Italia.Mentre il Popolo Viola sarà ad Arcore il 6 febbraio per ribadire la richiesta di dimissioni. E a San Remo per cantare “Bella Ciao”, canzone esclusa dagli organizzatori dell’evento che hanno preferito inserire per il 150 anni dell’unità d’Italia “L’italiano” di Cotugno e l’ormai leghista “Va pensiero”. Che chissà cosa ne penserebbe Verdi (acronimo all’epoca di Viva Vittorio Emanuele re d’Italia) di sapere la sua aria più nota adottata come inno della Lega.Ai molti ritratti di donne, va aggiunto quello della Speranza di Giotto. Che spinge alcune persone a volere cambiare ciò che spesso pare immutabile.(Giovanna Profumo) -
OLI 284: INFORMAZIONE – Linguaggio e realtà
Rileggo a distanza di tempo due articoli, usciti su la Repubblica del 23 dicembre.
Uno è di Curzio Maltese, l’altro di Adriano Sofri, ed entrambe descrivono e commentano lo stesso evento: la splendida manifestazione degli studenti dello scorso 22 dicembre a Roma.
Non c’è differenza di orientamento tra i due giornalisti. Tutti e due mettono in rilievo la capacità dei ragazzi di spiazzare l’ansiosa e desiderante attesa di incidenti – possibilmente gravi – e sottolineano il momento simbolico dell’omaggio che i giovani hanno reso a Mohammed B., l’operaio marocchino morto sul lavoro in un cantiere dentro alla facoltà di Scienze Politiche. L’intervento di Sofri, in particolare, si concentra soprattutto su questo episodio.
Nell’articolo di Maltese si incontra però, in più, questo passaggio: “Dopo il fuoco, il fumo e il sangue di piazza del Popolo, il movimento studentesco più pacifico della storia è tornato con saggezza allo spirito creativo. Il più femminile anche, un fattore che conta nell’evitare il rischio di militarizzazione. Ragazze ovunque a organizzare”.La stessa cosa avevo osservato a Genova alla grande manifestazione che il 4 novembre 2010 aveva percorso, insolitamente, la zona di Castelletto: ovunque ragazze a correre avanti e indietro lungo il corteo, a dare indicazioni.
Solo in via Assarotti davanti alla Direzione scolastica regionale presidiata dalla polizia, i giovani maschi prendono la testa e i fianchi del serpentone, disponendosi a “servizio d’ordine”. Mi avvicino e chiedo a uno di loro “E le ragazze?”. Risponde imbarazzato, sorridendo: “No guardi le ragazze nell’organizzazione ci sono, sono dappertutto, ma qui può esserci pericolo …”
Dunque in queste manifestazioni di persone giovani le ragazze, le donne, ci sono, dirigono e segnano una differenza.
Questa è una novità politica che per essere comunicata va messa in rilievo in termini espliciti, come ha fatto Maltese. Non può bastare, a rilevarla, una trasformazione del linguaggio che superi l’utilizzo del genere maschile (gli studenti, i giovani, i ragazzi … ) per indicare il tutto.
Detto questo, però, riprendo l’articolo di Sofri dove l’utilizzo del genere maschile per il tutto non ha eccezioni e arriva a formulare frasi come: “Un’immigrazione impetuosa che ha le fattezze di uomini giovani e prolifici “ … “Noi vecchi e con pochi figli, loro giovani come conigli” … “I giovani studenti che si ribellano e i giovani immigrati che vengono qui a faticare e morire”, e non posso che osservare che questo linguaggio mi esclude totalmente, come donna, e che questa esclusione porta la conseguenza di alterare la realtà che si vuole descrivere.
Non c’è persona – credo – che leggendo questo articolo non veda formarsi in modo spontaneo e automatico nella mente immagini di schiere solo maschili che lavorano, emigrano, manifestano, (partoriscono?).
(Paola Pierantoni)
























