Categoria: Giovanna Profumo

  • OLI 305: CITTA’ – I “mercati” della politica

    Eataly al Porto Antico

    – Come va? Guardati attorno! – la donna esplora la desolazione del negozio vuoto – con Eataly al Porto Antico, andrà ancora peggio. Avevano il loro mercato a cielo aperto e non se ne sono nemmeno accorti. Era già tutto qui, nel centro storico. Ci hanno lasciati soli. Alcune sere non puoi girare, brutte facce che bevono, si ubriacano e fanno a botte. Loro non hanno capito che la risorsa del centro storico siamo noi! Che ci lavoriamo e ci viviamo… Quando inizierà la campagna politica faranno la solita scena: il candidato che passa dai negozi, compra due acciughe e poi sparisce.

    Siamo in Canneto il Lungo. A pochi passi San Lorenzo. In linea d’aria Calata Cattaneo con Eataly è a un battito d’ali. La Genova per i turisti, quella di Acquario e Porto Antico che fa a botte con la Genova antica , dove gli stranieri – cartine alla mano – arrivano radi, raramente in gruppi folti con guida.
    La pagina locale di Repubblica, sabato 11 giugno anticipa ai lettori che il “traffico del centro è da ridisegnare” e che grazie ad un concorso internazionale verrà ripensata la viabilità di Via XX Settembre, riprogettando la viabilità di tutto l’asse sino a Piazza Brignole. Pedoni e allargamento di marciapiedi nella storica arteria, perché “via Venti muore”.
    Il piano Winkler sembra già centenario.
    Nelle intenzioni, di cui si è discusso alla facoltà di architettura in un confronto pubblico, oltre ai mosaici dei portici, anche un’ipotesi di spostare il Mercato Orientale nei giardini di Brignole. Rinnovare per conservare è la parola d’ordine con i progetti degli studenti di architettura che spaziano su aree come Acquasola, Via San Vincenzo, Via Galata. Per vivere la città da De Ferrari a Brignole. Con un “occhio di riguardo all’accessibilità”, come dichiara Paolo Odone della Camera di Commercio di Genova.
    L’ex Mercato del Carmine

    Intollerabile per la politica è che via Venti muoia, soprattutto di sera, in assenza di locali che costituiscano punti di attrazione per la vita notturna. Quindi restauri per renderla “appetibile”

    Sulla stessa pagina un box descrive il bilancio delle opere pubbliche di Tursi: 63 milioni (inclusi 18 di Por e 13 milioni per Colombiane) in gare e cantieri, con progetti consegnati, gare espletate e bandi indetti; tra gli altri la strada di Crevari e il ponte di via Cassanello, con molta attenzione alle scuole per le quali sono stati stanziati 6 milioni di euro.
    Difficile comprendere perché, in tempi di crisi, vengano investiti ben 11 milioni di euro nella nuova vasca di delfini dell’acquario, mentre nello stesso box non viene indicata la spesa investita per i progetti in corso alla Maddalena e in piazza delle Erbe.
    Niente si sa del mercato del Carmine, bellissima struttura, ultimata da mesi e inutilizzata. Metafora del vuoto.
    (Giovanna Profumo – Foto Paola Pierantoni)
  • OLI 304: VINCENZI – Linguaggio politico e istanze dei cittadini

    Cosa ne sa il cittadino dei sondaggi su Marta Vincenzi?

    A gennaio dicono una cosa. A giugno un’altra.
    E’ tenuta la cittadina a comprendere le “congiure” che si terrebbero nelle segrete stanze dei partiti? Cosa è mai questa storia del “nodo politico” con il quale Marcello Danovaro – capogruppo del Pd in Consiglio Comunale – definisce Marta Vincenzi?
    “Il sindaco accetti di ricucire il rapporto con il partito e si metta realmente in ascolto delle istanze che vengono dal basso”, dichiara sempre Danovaro sulle pagine del Secolo XIX nel giorno di festa della Repubblica.
    Ma di cosa stanno parlando?
    “Istanze che vengono dal basso” – sussurra il lettore.
    Certamente chi dichiara queste cose si riferisce al biglietto dell’autobus a 1 euro e 50, al fatto che alla prima pioggia a Genova si allagano i sottopassi e dà voce ai problemi di viabilità e centro storico che certamente verrebbero risolti se Marta Vincenzi ricucisse il rapporto con i partiti. Forse pensa alla Moschea. O alla Fondazione Carige. E alla trasparenza, termine con il quale, si rendono accessibili a tutti gli elettori i costi di un intervento attuato dalla macchina comunale. Perché “dal basso”, cittadina e cittadino, parlano di queste cose. Roba concreta come marciapiedi, parcheggi di interscambio, traffico, attese alle pensiline degli autobus. Chi dice così pensa alle spiagge libere e alle piscine comunali e ai cimiteri della città.
    Chi parla “di istanze che vengono dal basso” porta nel cuore le necessità dei cittadini e i loro bisogni?
    E’ una questione di distanza. E di parole.
    Così com’è stata presentata, la vicenda della possibile ricandidatura della Vicenzi pare collocarsi nel linguaggio con il quale partiti e rappresentanti di partito amano dialogare. Si tratta di un linguaggio altro – non alto – del quale il cittadino non è tenuto a conoscere dizionario.
    Quindi chi parla di nodo politico dovrebbe fare una lista fruibile di tutte le sue perplessità.
    Dieci punti bastano.
    Forse c’è l’entrata in giunta di Ottonello, ed un’incapacità di Marta Vincenzi di condividere con i cittadini le cose fatte.
    L’invito è volare più basso. Trovando il coraggio di dare il vero nome alle cose. E in ultima istanza di candidarsi alle primarie, mettendoci la faccia.
    In caso contrario il mazziere allestisca la partita nelle stanze dei partiti. E la mantenga dentro a quelle mura. Perché è probabile che il cittadino abbia poca voglia di giocare a Machiavelli.
    (Giovanna Profumo, foto di Paola Pierantoni)

  • OLI 304 : REFERENDUM – E il timbro?

    Riceviamo dagli Stati Uniti la scansione di una scheda elettorale inviata ad una cittadina italiana per il voto all’estero: la scheda è priva di timbro! In quale modo è garantita la validità di questo voto?

    (a cura di Giovanna Profumo)


  • OLI 303: SCUOLA – La Don Milani narrata al Ministro

    E’ notizia recente che il progetto della scuola media Don Milani di Genova possa essere privato delle risorse che ne alimentano l’esistenza. Un Consiglio Comunale nella giornata di oggi 31 maggio sancirà con parole politiche ciò che assolutamente non deve succedere.

    Altra cosa è spiegare perché la scelta dei tagli, se confermata, è sbagliata.
    Si potrebbe fare un collage, utilizzando colori, fotografie, foglie secche, sabbia, ritagli di giornale, simili a quelli che i ragazzi della Don Milani raccolgono durante le vacanze estive per dare un senso didattico alla propria estate. Perché quella scuola li stana e li stimola, anche se non ne hanno voglia, anche in vacanza, anche se, per alcuni, di vacanze non si parla.
    Nel collage, a pioggia, qualche istantanea delle riunioni di classe, a sciogliere i nodi di situazioni difficili che, alla Don Milani, sono talvolta di casa.

    A Mariastella Gelmini si potrebbe spedire il fotogramma del Cineforum, organizzato nelle classi e provare a spiegare perché un ragazzino di tredici anni è in grado di commentare film come Salaam Bombay, Persepolis o Viaggio alla Mecca. E spiegare al Ministro che la geografia si può arricchire con Mondialità, materia attraverso la quale si spiega agli alunni – con tabelle e statistiche – lo stato di vita nei paesi più poveri del mondo. Poi raccontarle dei corsi di recupero, del potenziamento pomeridiano di inglese e dei laboratori di arte, con visite a musei e mostre. E dei viaggi in Francia e dei laboratori teatrali. E anche dei lunghi viaggi in autobus di insegnanti di ginnastica e alunni, per fare nuoto.

    Al Ministro spiegare che per i genitori scegliere la Don Milani è aderire a un percorso, fatto di integrazione, cultura, disponibilità, ascolto, tolleranza.
    Aggiungere che alla Don Milani il conflitto tra i ragazzi esiste, perché essere adolescenti e stranieri, oggi, è molto difficile. Ma che il razzismo, nelle sue molte sfumature, è messo alla porta dagli alunni stessi che imparano, proprio lì, a tenerlo alla larga, a riconoscerlo e a combatterlo.
    E raccontare al Ministro dell’energia che ogni professore investe quando è supportato ed è parte di un gruppo e di un progetto.
    Dire a Mariastella Gelmini che ogni risorsa sottratta ad un giovane studente, lo renderà cittadino peggiore. E che mettere lapidi sui progetti eccellenti di questo paese rende un pessimo servizio agli italiani e, politicamente, al governo in carica.
    Raccontare al Ministro di Carlo Mereta, professore della Don Milani, mancato nel 2009 che ripeteva “la scuola non dovrebbe chiudere mai”.
    Provare a smussare quell’inflessibilità che rende il Ministro astro di un governo perdente e chiederle:
    “Ma lei, che ha pubblicato una raccolta di favole, come mi spiega che oggi mio figlio ha sottratto dalla libreria di casa Se questo è un uomo?”
    (Giovanna Profumo)
  • OLI 302: UN GRIFO D’ORO PER GIORGIO BERGAMI


    Sabato 21 maggio su Rai Tre un servizio tracciava la storia professionale ed umana di Giorgio Bergami. Alcuni anni fa una bellissima mostra a Palazzo Ducale aveva ricordato, attraverso le moltissime fotografie scattate da Giorgio, che si può far poesia e storia con le immagini.

    Ora a Palazzo Ducale, presso il Cortile Maggiore, è stata allestita la piccola ma intensa esposizione GENOVA DI TUTTA LA VITA Giorgio Bergami tra cinema e fotografia, curata da Angela Ferrari e Martina Massarente (aperta fino al 29 maggio, ore 10-13 / 15-18),

    dove, oltre a foto sulle trasformazioni urbane e sui divi del cinema nella Liguria di mezzo secolo fa, si proietta il

    cortometraggio Genova di tutta la vita, realizzato da Bergami nel 2004 con poesie di Giorgio Caproni, illustrazioni di Lele Luzzati, voce e musica di Gino Paoli.

    Il suo archivio fotografico conserva la Genova siderurgica e quella delle piazze operaie, i volti noti e anonimi del centro storico, accanto a quelli di coloro che arrivavano a Portofino. I suoi scatti fotografici hanno registrato sciacallaggio edilizio, mutare politico, culturale della nostra città dagli anni Cinquanta ad oggi. Quando lo si incontra per strada è perché, certamente, deve fotografare qualcosa. Non è mai per caso. E se Genova ha una bella e ricca memoria di immagini, lo deve a lui.
    Anna Cassol mi diceva che una testimonianza la città gliela deve. Si tratta di un grazie. E che l’unico modo che la città ha per ringraziarlo è riconoscergli il Grifo d’Oro.
    Anna ha ragione.
    (Giovanna Profumo)
  • OLI 298: STORIA – La guerra di un soldato in Cecenia

    Arkadij Babčenko pare un foglio bianco. E’ inespressivo come una statua. I ricordi a cui accenna lo trapassano come brevi note informative che non sembrano avere a che fare con la sua vita. Laddove il termine “sua” implica relazioni affettive, emozioni, dolore e felicità. E’ stato invitato a Palazzo Ducale, il 15 aprile, nell’ambito di La Storia in Piazza per presentare il libro La guerra di un soldato in Cecenia (ed. Mondadori)

    L’incontro è stato fortemente voluto dal Comitato per la pace nel Caucaso e dall’associazione Mondo in cammino. Accanto a Babčenko, Lucio Caracciolo e la traduttrice del libro Maria Elena Murdaca.
    L’autore racconta di esser partito di leva, in Siberia, a diciassette anni. Passati sei mesi, con altri compagni, viene convocato dai superiori: “Andrete a servire al Sud. Lì fa caldo, ci sono le mele. Vi piacerà” . Che il frutteto fosse la Cecenia è stato detto loro all’ultimo momento. Era il 1996. Arkadij Babčenko spiega ai presenti l’assenza di tempo, l’impossibilità di uno spazio per farsi domande sulle ragioni della guerra. “Ci sei e devi pensare solo a sopravvivere”. E guarda il pubblico “quando una persona è stata in guerra cambia la sua psicologia, la sua coscienza rimane in guerra, torna solo il corpo. Vai in giro per questo mondo, lo guardi e non capisci niente. Ci sono due ore di volo tra Mosca e la Cecenia. A due ore di distanza da Mosca ci sono montagne di cadaveri che bruciano”.
    Ma Babčenko ci tornerà una seconda volta. Da volontario. “Siamo tornati a migliaia. Era come una droga. La guerra è come un virus. Siamo tutti portatori sani. E’ la cosa più bella che mi è capitata, ma anche la più brutta”. Racconta del nonnismo “che nella prima guerra Cecena aveva superato i limiti” e dei battaglioni penali. Della moralità e della spietatezza capaci di animare lo stesso individuo in una logica capovolta per la quale quello che da noi è inaccettabile in guerra diventa normale. Ci tornerà da corrispondente di guerra nel 2002 e nel 2003 . Babčenko parla di un conflitto che si è esteso ad altre repubbliche caucasiche e di una Cecenia dominata Kadyrov “personaggio singolare, fatto a modo suo, un tagliatore di teste, imposto dal Cremilino, uno che ha ucciso tutti i suoi oppositori”.
    Il quadro che offre dell’opinione pubblica russa è desolante: “la maggior parte è convinta che abbiano fatto bene ad ammazzare la Anna Politkovskaja” e racconta del preoccupante aumento dei movimenti neofascisti, insieme all’integralismo islamico.
    Oggi Babčenko è giornalista del Novaja Gazeta . Elenca sulle dita della mano i 6 colleghi uccisi negli ultimi 11 anni, ultima vittima una stagista del quotidiano, due anni fa.
    L’autore si occupa della rivista letteraria Isskustvo Voynj – L’Arte della Guerra, uno spazio “dei veterani e per i veterani” in cui grazie alla scrittura ci si racconta, e si prova a guarire dalla guerra.
    (Giovanna Profumo)
  • OLI 298: MOSTRE – Mafalda al Ducale

    Mafalda sono io.
    O meglio, così mi sono sentita venerdì 15 aprile dopo aver fatto un salto a Palazzo Ducale.
    Consapevole che la mostra Mediterraneo era prossima alla chiusura, ho deciso – per evitare le code del week end – di munirmi per tempo dei biglietti.
    Al bookshop di Palazzo Ducale vengo informata che loro non gestiscono la mostra e sono indirizzata al piano superiore. Lì mi comunicano che se desidero prenotarmi per i giorni successi devo telefonare al numero 0422 429999 – disattivo sabato e domenica – o prenotare sul sito htpp://www.lineadombra.it, pagando con carta di credito.
    Viene tassativamente esclusa la possibilità di prenotarsi e comprare il biglietto seduta stante.
    Uscendo dalla biglietteria scorgo Luca Borzani, presidente di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura. Lo avvicino con piglio determinato chiedendogli ragione di tale follia.
    Io sono qui ed ora. Perché non posso prenotarmi e pagare adesso?
    Questa è la regola. Mi risponde lui. Regola ampiamente condivisa da molte organizzazioni di mostre in Italia.
    Ma i vecchi? Come fanno gli anziani?
    I vecchi, mi sento rispondere, vengono alla mostra senza alcuna difficoltà.

    Ma anche se la regola è condivisa, non è detto che sia saggia. E mi viene in mente il lampionaio del Piccolo Principe che, in base alla consegna, spogliatosi del suo senso critico, si ritrova ad accendere e spegnere il lampione, anche se il moto del suo pianeta è follemente accelerato.
    A me non va giù. E mi sento come Mafalda. Sgarrupata e inutile nel mio insistere.
    Ma Luca Borzani è paziente. E mi fa notare che questa mostra non mi costa nulla come contribuente, mentre mi ostino a voltarmi verso il cartellone tariffe, dicendo che invece mi costerà 10 euro. Ma lui mi ricorda che io, come contribuente, non pagherò nulla. E chiede se sono, o non sono consapevole del fatto che se vado a vedere l’Opera – a Genova il capitolo sarebbe bene non aprirlo – pago un biglietto che copre solo in parte gli oneri accessori dell’evento. Perché il resto lo pagano i contribuenti. Mi invita, infine, a visitare la mostra durante la settimana.
    Borzani ha un distacco e una flemma che solo pochi… e il tono moderato e uniforme dovrebbe indurre a pacatezza anche il profugo tunisino. Se non fosse che ciò che dice mi pare lontano anni luce da quanto vorrei fosse detto da un politico così navigato.
    Provo a formulare un’ipotesi del tutto personale:
    “Signora, so che questa delle prenotazioni è una sciocchezza. E farò il possibile affinché in futuro questo non accada”.
    Per Habemus Papam nessuna difficoltà ad acquistare il biglietto al botteghino il sabato per la domenica successiva. Ma quello è cinema.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 297: DONNE – La parola agli uomini

    Il 5 aprile il seminario previsto alla Sala Governato della Cgil di Genova viene spostato in un’aula più piccola. L’iniziativa “Donne e uomini di fronte al cambiamento tra potere e società” – relatore Stefano Ciccone dell’associazione Maschile Plurale – ha un’adesione al di sotto delle aspettative. Si potrebbe pensare all’orario, che copre l’arco di una mattinata lavorativa, ma c’è chi fa rilevare che molti non sono preparati per certe riflessioni.
    Tra il pubblico parecchie donne e qualche uomo. Stefano Ciccone, che è anche delegato sindacale, spiega quanto gli stereotipi di rapporto tra i sessi siano una questione politica che incide su tutte le dimensioni, anche quella lavorativa. Ripercorre l’incapacità degli uomini ad avere le parole per raccontarsi e quanto siano invisibili a se stessi. Ricorda l’inconsapevolezza, per la quale in occasione della manifestazione del 13 febbraio, Bersani guarda alla piazza e giustifica la sua presenza accennando alle “nostre donne”. Mentre un sistema peggiore propone modelli desolanti: “meglio puttaniere che frocio” e colloca il corpo delle donne a merce di scambio, tangente. Chi non ricorda il centro massaggi del mitico Bertolaso? Insistendo sul modello del “simpatico puttaniere” a cui tutto è perdonato perché sta comunque nei confini della mascolinità dominante.
    E’ una politica per la quale Marrazzo rimane “nell’indicibile”, mentre Berlusconi ricalca il modello tradizionale.
    L’associazione Maschile Plurale parte riflettendo sul rapporto degli uomini con la violenza sulle donne. Fenomeno principalmente familiare che non ha nulla a vedere con la campagna sulla sicurezza con la quale destra, e sinistra che la insegue, stanno martellando gli elettori. Ciccone rileva che viene proposto un modello di sessualità maschile antropologicamente violento, esattamente come accade con il migrante che viene presentato come antropologicamente selvaggio.
    Bisogna smontare questi stereotipi.
    I detrattori della Merlin sostenevano la prostituzione come garanzia del controllo sociale sulla sessualità maschile. Ciccone insiste sulla necessità di costruire una parola pubblica degli uomini che dia legittimità al cambiamento delle donne e al superamento degli stereotipi. Parla di padri separati e di una società nella quale, se è storicamente definito che la madre debba accudire il figlio, il bambino difficilmente verrà affidato al padre.
    Succede anche che per una ragazza il corpo diventi impaccio sulla valutazione delle sue capacità e che emerga la prospettiva della neutralità per fuggire allo stereotipo. Da qui l’idea di esserci come solo come “persone”, idea che dovrebbe “liberare” dalla propria connotazione sessuale. Ma di fatto la nega.
    Come fossero i tasselli di un puzzle Ciccone evoca tutti gli elementi che hanno composto l’immaginario di relazioni tra uomini e donne, tra questi gli stupri etnici nella ex Jugoslavia e le trecentomila donne violate, come fossero un territorio, da decine di migliaia di uomini, per i quali il loro corpo è stato degradato ad arma di guerra.
    Quale relazione affettiva con moglie, madre, figlia e sorella potranno aver instaurato dopo?
    In un ideale che seduce gli uomini con difesa della patria, onore, esercizio virile della guerra, quale spazio c’è per ragionare su desiderio, affettività, libertà e propria identità di uomini e donne?
    Ciccone ammette l’urgenza di un lavoro da fare qui ed ora. Senza limitarsi, solo con gli incontri nelle scuole, a delegare alle generazioni future di un compito che è anche degli adulti di oggi.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 294: DDL Testamento biologico: il rischio di una brutta fine

    Wilma aveva ottantatre anni. Aveva insegnato latino e greco tutta la vita. Fino a quando l’Alzheimer non le aveva invaso il cervello, andava in chiesa tutte le domeniche e pregava tutte le sere. Per Natale la costruzione del presepe le occupava un’intera giornata. Era capace di creare montagne altissime, posizionar fondali, distribuire muschio, abilissima a nascondere i fili delle luci.
    Wilma cucinava e sapeva spiegare l’Iliade e l’Odissea verso dopo verso. Tre viaggi nella sua vita: Grecia, Roma e Parigi. Poi le vacanze in montagna. Sempre lo stesso periodo. Sempre lo stesso posto. E’ morta in una casa di riposo dopo due giorni di agonia. Il suo volto pareva affogare e riemergere dal mare di una morte cinica ed esitante nel prendersela. Solo l’intervento dell’infermiere di turno, allontanati i congiunti dalla stanza, l’ha aiutata nel trapasso. “Ma le ha dato qualcosa?”, ha chiesto una parente, vedendo il volto che improvvisamente non affogava più. “No. Non ho fatto proprio nulla”, “Ma non vede? E’ morta”, ha insistito la donna. “No. Non è ancora morta. Ma ci siamo vicini. Ancora due minuti”, ha risposto l’infermiere tastandole frettolosamente il collo.
    Arthur di anni ne aveva 87. Allettato da due, in casa. Presidi, brodini, panni. Aspettava la morte come un’ospite, allontanando parenti ed amici che andavano in visita. Una vita piena. Così colma di relazioni e interessi che era impossibile per lui accettarne la nuova versione. Arthur non aveva più parole o spunti. Deciso a non essere più, preferiva attendere senza essere disturbato.
    Quando gli è stata diagnosticata una grave infezione i medici hanno avvisato i parenti: “Non c’è nulla da fare. Potete portarlo in ospedale, vivrà due settimane con dolore. Potete lasciarlo qui, in casa, morirà prima. Ma morirà meglio.”
    Se n’è andato, la sofferenza alleviata dalla morfina. Gli occhi chiusi. Lontana da lui l’agonia di Wilma.
    Nel mondo in cui avevano vissuto Wilma e Arthur la morte era tabù, una faccenda privata, relativa al fato e alla volontà di dio. La commentavano con frasi spezzate davanti alla lenta agonia di un amico e di un parente.
    Entrambi volevano che, venuto il loro momento, qualcuno se ne occupasse nel migliore di modi. In famiglia. Tra amici. Con discrezione.
    Wilma e Arthur non immaginavano di poter diventare liberi, per legge, oltre che della loro vita, anche della loro morte.
    In Italia, motivo di preoccupazione è che sulla scelta del singolo di morire dignitosamente qualcuno in parlamento metta le mani, in nome di un dio che è davvero una questione privata.
    La raccolta firme promossa dalla Fp-Cgil e Fp-Cgil Medici contro il ddl all’esame alla Camera dei Deputati è una buona notizia per chi si vuole bene e non ha nessuna intenzione di fare una brutta fine.
    (Giovanna Profumo)