Il 2 luglio, durante il corteo per lo sciopero della Cgil, il fenomeno si ripete.
Ogni volta che incontro persone con cui ho lavorato o che ho semplicemente conosciuto in tanti anni di sindacato, chiedo: “Beh, come va da quelle parti? Raccontami un po’, ormai sono un po’ fuori, questa volta non ho nemmeno partecipato al Congresso …”. In risposta, senza eccezione alcuna, arrivano espressioni di desolazione, stanchezza, disperazione equamente distribuite tra uomini, donne, ruoli più o meno di rilievo (dall’apparato tecnico alle segreterie), settore di attività e adesione all’uno o all’altro dei due documenti congressuali “globalmente alternativi” su cui si è consumato il congresso della Cgil: “Non me ne parlare! … beata te che ormai sei libera cittadina … il congresso peggiore che ci sia mai stato … meno male che è finito, più di sei mesi di patimento passati a farci la guerra tra di noi … si è ridotto tutto ad uno scontro di potere, ad una assegnazione di posti … Il clima dei rapporti qui a Genova è un disastro, ma anche altrove non è allegra … A leggere i testi delle due mozioni era dura scegliere tra l’una e l’altra, la questione in gioco era un’altra … cosa ci potevano capire sui luoghi di lavoro?”.
Per l’appunto, un giovane amico – delegato sindacale da poco – mi racconta la sua frustrazione e il suo sconcerto: si era messo di impegno a leggersi per filo e per segno i due documenti (pochissimi, mi dicono, l’hanno fatto), ed era andato a parlare con sostenitori dell’una e dell’altra parte in competizione, per decidere a ragion veduta. Ma appena ha reso esplicita la sua scelta ha visto i compagni dell’”altra” parte passare istantaneamente dall’affetto seduttivo ad una gelida ostilità.
Mentre cammino sotto il caldo estivo questi discorsi si intrecciano alle emozioni, ai colori, ai suoni di una manifestazione sindacale folta e partecipata, si scontrano con la speranza che portano in piazza le facce giovani e sconosciute di chi “è arrivato dopo”, e incrinano la consolazione di sapere che in questo paese allo sbando una grande organizzazione collettiva di lavoratori ancora c’è, resiste, pensa.
C’è l’entusiasmo di sapere che tra poco, a dirigere la Cgil nazionale, ci sarà per la prima volta una donna, una che porta nella sua storia l’esperienza femminista del “Coordinamento Donne FLM”, che nel 2001 ha dato vita al movimento “Usciamo dal silenzio”, che il 24 giugno, a Bologna, nel suo discorso per lo sciopero generale, ha saputo mettere in fila tutte le cose necessarie, e che è anche sufficientemente maschile da aver diretto per anni la Cgil Lombardia.
Ma Susanna Camusso, anche se non tradisse nessuna delle aspettative che esistono su di lei, non basta per aver ragione del tarlo pericoloso che rode all’interno anche la Cgil, il tarlo che inchioda per mesi questa organizzazione a discutere di questioni invisibili e incomprensibili a chi sta fuori, e che le fa decidere i gruppi dirigenti sulla base di criteri in cui hanno troppo peso alleanze ed ubbidienze.
Ci vuole un’ onda giovane, mista tra sessi, nazionalità, età, e tipo di lavoro che arrivi senza preavviso, come quando sei sulla spiaggia con le spalle imprudentemente rivolte al mare, e ti ritrovi di punto in bianco bagnata e gelata dalla testa ai piedi.
(Paola Pierantoni)
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Oli 268: LAVORO – In attesa di una ondata improvvisa
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OLI 265: SOCIETA’ – La fotografia in movimento del femminismo islamico
Le donne col velo pongono un interrogativo continuo con la loro appartenenza religiosa permanentemente dichiarata in pubblico. Un’intera condizione culturale, esistenziale e sociale che rimbalza addosso alle “altre”. Così nelle nostre strade, espresso attraverso i vestiti, si svolge tra donne un confronto muto, monco, ambiguo.Sia quindi benedetta Gabriella Caramore che a “Uomini e profeti” (Radio3, sabato 12 giugno) cita il libro “Femminismo islamico. Corano, diritti e riforme” di Renata Pepicelli (Ed. Carocci – 12,5 €).Consiglio appassionatamente di leggerlo a chiunque voglia andare oltre la superficie delle differenze visibili, per scoprire quelle invisibili.Il libro parla delle trasformazioni del movimento femminista di area culturale islamica negli ultimi vent’anni. Infatti mentre fino agli anni ’80 “le battaglie delle donne si iscrivevano nel solco di un deciso e diffuso laicismo e all’interno di un più ampio progetto di realizzazione, nella regione araba, delle ideologie marxiste e socialiste”, successivamente “molte donne passano dalla critica all’Islam a discorsi di genere basati sulla re-interpetazione del messaggio religioso”.Una delle ragioni di questo cambiamento è il riaffermarsi della religione nella sfera pubblica e privata, e la conseguente “islamizzazione” del discorso politico. Per dare una risposta appropriata a questa trasformazione le donne iniziano a rivendicare il diritto di reinterpetare i testi sacri per decostruire le basi della misoginia nell’islam, si incontrano per studiare le sacre scritture senza l’intermediazione maschile, e generano una significativa produzione esegetica dei testi sacri da una prospettiva femminile. L’obiettivo è rompere col monopolio delle interpretazioni maschili, contestualizzare il Corano rispetto al periodo storico in cui è nato, e stabilire la differenza tra ciò che realmente prescrive l’islam da ciò che è invece frutto della tradizione.Le donne mettono a fuoco il grande attivismo femminile che caratterizza il primo periodo islamico (‘700), e il netto miglioramento nelle condizioni di vita rispetto all’età preislamica: proibizione di allontanare le donne mestruate dalle loro case, diritto alla eredità sia per le donne che per i bambini, divieto dei matrimoni forzati, condanna dell’infanticidio femminile, imposizione che la dote sia di esclusiva proprietà della donna e non del padre o del fratello, limitazione a quattro del numero delle mogli e introduzione del principio di equità ed eguaglianza nel loro trattamento, in un contesto storico in cui sposare più donne era finalizzato a prendersi cura delle vedove, degli orfani e dei loro beni.Il movimento delle femministe islamiche non si sostituisce all’attivismo di genere delle donne che agiscono al di fuori dei rifermenti religiosi, ma si affianca a questo contribuendo a diversificare il panorama delle lotte di genere all’interno del mondo islamico. Dice l’autrice: “Se si volesse provare a fare una fotografia del movimento delle femministe verrebbe fuori una immagine mossa, con persone che stanno per entrare nella inquadratura ed altre che stanno per uscirne. Soggetti nitidi, ed altri no; gruppi di persone e individui isolati. Se già un anno dopo si provasse a fare la stessa fotografia, essa risulterebbe diversa”.Fatima Mernissi (www.mernissi.net) osserva che “l’Occidente non è capace di cogliere la complessità del mondo arabo musulmano che è sì attraversato da ondate di maschilismo, ma anche da importanti trasformazioni che stanno riformulando il rapporto tra i generi”.Il libro di Renata Pepicelli è prezioso per avvicinarsi a questa complessità. -
OLI 264: REPUBBLICA ITALIANA – Quando l’onore va a chi lo merita
Giacomo Piombo con la sua famiglia il 2 giugno 2010, e con Lucia De Leo al VI° congersso della Cgil Liguria, 1991.
Nel pomeriggio del 2 giugno, a Masone, si è svolta la parte popolare della festa per la Repubblica organizzata dalla Provincia di Genova, bancarelle, bandiere, piccoli spettacoli per bambini, ma soprattutto Giovanna Marini e la Banda della Scuola Popolare di Musica di Testaccio che alla sera infiammano un teatro strapieno col loro splendido repertorio di canti popolari e politici. Popolare anche l’Inno di Mameli, con tutti in piedi a cantarlo: l’intenzionalità politica è chiara.Alla mattina in Prefettura si era svolta invece la parte istituzionale della festa, con la consegna di diplomi dell’Ordine al merito della Repubblica, e medaglie d’onore.Per la prima volta una lontana “onorificenza”, quella di Cavaliere della Repubblica, acquista per me la concretezza di una storia e di un volto, quelli di Giacomo Piombo, e questo contatto ravvicinato mi porta a pensare che se per guadagnare questo titolo occorre fare una vita come la sua, allora si tratta di un titolo da scrigno prezioso.Penso anche che se una Repubblica, attraverso le sue vie, si accorge e premia una storia e una attività come queste, allora è una Repubblica ancora sufficientemente buona, da festeggiare con inni e bandiere, per incoraggiarla, perché resista, perché non perda se stessa.Ex operaio Italsider, operatore della Cgil, segretario della Consulta Regionale per la tutela dei diritti degli handicappati, è comparso molte volte sui giornali per la sua azione incessante, capillare, intelligente, determinata e complessa, rivolta a tutte le dimensioni del problema: innazitutto a quella culturale, pre condizione senza cui discriminazione, esclusione, vergogna, paura non possono essere superati, e poi l’accesso degli handicappati alla assistenza, al lavoro, alla mobilità, alla casa, alla istruzione, al divertimento, allo sport, alla autonomia economica e di vita, fin dove possibile. Tutti aspetti fondamentali della vita, nessuno rinunciabile.Tratti della sua biografia sono comparsi sulla stampa o su internet quando Genova gli ha riconosciuto il “Grifo d’oro” il 14 ottobre 2008, e ora in occasione del titolo di Cavaliere.Ne riportiamo due (1* e 2**), ma altri di sicuro ce ne saranno.(p.p.) -
OLI 264: PAROLE DEGLI OCCHI – Buon compleanno Repubblica!
(a cura di Giorgio Bergami)Foto di Paola PierantoniConcerto di Giovanna Marini con la Banda di musica popolare di Testacciorealizzato il 2 giugno 2010 al Teatro Opera Monsignor Macciò di Masoneper la festa della Repubblica organizzata dalla Provincia di Genova in collaborazione con tutti i Comuni e la Comunità della Valle Stura. -
OLI 263: CITTA’ – Ritardi e noia per un sommergibile
Venerdì 28 maggio, presentazione alla città del sommergibile Nazario Sauro, evento – spettacolo organizzato dal Galata Museo del Mare e da Costa Endutainment. Seducente il programma: “Una serata di musica e danza con fuochi d’artificio finali. Allo spettacolo è invitata tutta la cittadinanza: si parte alle ore 20.00 con il ritmo swing della NP Big Band, in concerto sulla terrazza della chiatta dell’Urban Lab. Dalle ore 21.00, proiezione di immagini e filmati riguardanti passato e presente del Nazario Sauro su due maxischermi e, a seguire, danze acrobatiche sull’acqua e spettacolo pirotecnico.”La cittadinanza si fa sedurre, e a partire dalle otto di sera inizia a prendere posto sulle gradinate. Alle 20.30 i posti sono già quasi tutti presi, l’ottima orchestra suona uno splendido repertorio di musica americana anni ’30 e ’40, la temperatura è perfetta e due gentili assistenti gestiscono con efficienza la sistemazione nei pochi posti ancora liberi delle persone pazientemente in coda all’esterno.E’ una festa popolare e il quartiere tutto partecipa, il pubblico è più misto che in altre occasioni, la presenza di cittadini immigrati folta e visibile; molti, naturalmente, i bambini.Fino alle 21 tutto perfetto, allegria, bambini eccitati e contenti, chiacchiere.Poi inizia l’attesa: 21.15, 21.30, 21,45, 22 … l’orchestra continua a suonare solo per colmare un vuoto e l’entusiasmo iniziale per la bella musica ad ogni nuovo pezzo volge in nervosismo, le persone più anziane abbandonano, si infittiscono i commenti irritati, i bambini si agitano, nessuno dice che sta succedendo. Bisogna arrivare alle 22.20 perché Campodonico, direttore del Mu.Ma, annunci trionfalmente che lo spettacolo ha inizio. Va beh, si pensa, pazienza, magari qualche problema tecnico … ma ora ci siamo, arriva il momento atteso, i bambini che hanno resistito saranno finalmente contenti.Invece dalle 22.20 alle 23.10 sono stati discorsi. Hanno parlato uno dopo l’altro tutti gli attori del progetto: Campodonico, Maria Paola Profumo, Costa, Fincantieri, Sindaco, Presidente della Regione, Marina Militare … Qualcuno parlava nel microfono, qualcuno no, e alle gradinate arrivava solo una informe poltiglia verbale. A intervalli un filmato che intendeva illustrare diversi momenti della vita del Nazario Sauro, ma erano film muti, zero parole, nessun contenuto informativo, che hanno inflitto al pubblico il sommergibile in tutte le salse: fermo, in navigazione, di profilo, di fronte, dall’alto, dal basso, con tutte le inclinazioni possibili, di giorno, all’alba, al tramonto, con sfondo di immutabile musica trionfale. Una noia apocalittica. Intere famiglie si alzano e se ne vanno portandosi via bambini stanchi e delusi.Poi dalle 23.10 alle 23.30 un po’ di “Son et lumière” ha addolcito l’animo dei più indulgenti.Magari l’episodio è marginale, però è metafora di sordità politica, incapacità di relazione, narcisismo e – perdonate – maleducazione: non ci si fa aspettare per quasi un’ora e mezza da più di mille persone, a meno di non offrire al termine della lunga attesa qualcosa di veramente strepitoso.Ricordo un concerto del 1989 allo stadio di Albenga, dove Miles Davis si fece attendere fino alle 23: narcisista anche lui, figuriamoci, ma …(p.p.) -
OLI 262: POLITICA – La diffusione militante della Fondazione Carige
Nuove militanze: 22 maggio, la fondazione Carige diffonde Il Giornale (Foto Paola Repetto e Ivo Ruello)
“Genova in festa. Giovani, stelle e sport”: dal 20 al 23 maggio il centro di Genova (Porto Antico, Piazza Matteotti, De Ferrari, San Lorenzo) è stato davvero in festa, con centinaia e centinaia di bambine, bambini, ragazze e ragazzi che si esibivano in decine di attività sportive e di danza. Scoperta di una vita giovane che scorre quasi insospettata nella città, e si impegna in una miriade di attività mostrando di aver raggiunto un livello di qualità che rivela impegno, passione, lunghe ore di esercizio.
Tre le attività portanti della manifestazione: il “Progetto giovani” della Fondazione Carige, “Stelle nello sport” del Coni Liguria e “Festa dello sport” della Porto Antico.Quindi quattro bellissime e allegre giornate di cui la città deve ringraziare i tre soggetti di cui sopra, e una moltitudine di partner ( Comune, Provincia, Regione, Esercito Italiano, Miur, Carabinieri, Polizia … ) e di sponsor, tanti da decorare fittamente con i loro logo metri e metri quadrati di striscioni.A giudicare dal netto predominio, ovunque, del colore blu e del logo Carige, sembra comunque chiaro che la Fondazione Carige deve aver dato a questa manifestazione molto, ma proprio molto, più degli altri. Quindi un grazie particolare alla Fondazione Carige.Ora, nella mattina di sabato e domenica diverse giovani e graziose ragazze che indossavano una maglietta col logo del “Progetto Giovani” della Fondazione si aggiravano a coppie tra Piazza De Ferrari e Matteotti distribuendo gratuitamente l’accoppiata informativa de Il Giornale più Il Mercantile.Domande: la gratitudine per le belle giornate di sport, danza e giovinezza deve includere anche l’accettazione della distribuzione militante ai cittadini di un foglio spudoratamente governativo? Che relazioni ci sono tra la Fondazione Carige e l’organo di stampa Il Giornale, e in che sedi sono state eventualmente concordate? Quali ne sono le implicazioni, i termini di scambio? Questa azione di stampa e propaganda è stata anticipatamente resa nota e concordata con gli altri attori e sostenitori della manifestazione? Ricordiamo, a questo proposito, che il Comitato scientifico di Progetto Giovani include tutte le principali istituzioni cittadine. -
OLI 262: MIGRANTI – Famiglie in movimento
“Non si può più parlare di famiglia. Si deve parlare di famiglie, al plurale, perché c’è ormai una pluralità di famiglie: eterosessuali, omosessuali, di fatto, oppure fondate sul matrimonio. Il legislatore però fatica a prenderne atto”. Queste parole di Giovanna Savorani, presidente dei Corsi di laurea in Servizio sociale presso la Facoltà di Giurisprudenza, introducono la presentazione del libro “Famiglie in movimento” (*). Ad ascoltare un’aula piena di ragazze – tra loro anche qualche ragazzo – che studiano per diventare assistenti sociali. Una professione, dice la docente, che deve proporsi azioni “leggere, complesse, preventive, riparative”.L’iniziativa della presentazione di questo libro agli studenti nasce da una collaborazione tra il Centro Studi Medì – Migrazioni nel Mediterraneo (http://www.csmedi.it/) e la Facoltà di Giurisprudenza.Oggetto della ricerca, basata su 300 interviste a donne migranti in Liguria e curata da Maurizio Ambrosini e Emanuela Abbatecola, sono le “molte” famiglie migranti, che contraddicono il formato unico che alcuni vorrebbero proporre come modello di una inesistente normalità. Emerge la figura delle madri “transnazionali”: il 53 % ha tutti i figli in patria, il 7 % ne ha un pò qui e un po’ in patria, il 40 % è riuscita a ricongiungerli. Ma anche in questo caso, quello apparentemente più favorevole che noi vediamo come una storia “a lieto fine”, la realtà è variegata e complessa, e Ambrosini avverte: “Si tratta sempre di un nuovo, difficile inizio che va progettato, seguito, curato, e che può avere esiti imprevisti e lontani dalle aspettative”.Anche quando il ricongiungimento va in porto tra le mani non c’è più quello che si aveva quando si è partiti. Per arrivarci – se ci si arriva, e se lo si desidera davvero – sono necessari in media non meno di sei, sette anni, di cui almeno due per conquistare il permesso di soggiorno. A proposito: solo il 15 % delle intervistate è potuto entrare in Italia con un regolare titolo di soggiorno, e tanto valga per tutti quelli che continuano a distinguere tra “regolari buoni” e “clandestini cattivi”.Nell’aula attenta le ricercatrici (oltre ai due coordinatori già citati: Deborah Erminio, Francesca Lagomarsino, Maria Grazia Mei) propongono dati e frasi raccolti nel corso della ricerca che offre una visione complessa e per nulla scontata di questa realtà sociale. L’80 % delle donne intervistate sono venute in Italia da sole e sono loro, quando decidono di farlo, ad attivare i ricongiungimenti col coniuge e con i figli. Questo aprire la strada della emigrazione appartiene soprattutto alle donne sudamericane e dell’Est Europa. Mi chiedo quanto questo protagonismo nella immigrazione sia conseguenza, e quanto incida, sui cambiamenti della condizione culturale e sociale delle donne. I dati della ricerca offrono molti spunti per riflettervi. Nel corso della emigrazione il 31 % dei legami familiari si spezza definitivamente, ma queste rotture, prevalentemente, non derivano dal fatto che l’emigrazione è un processo destabilizzante: “In realtà sembra soprattutto vero l’inverso, l’e migrazione rappresenta un’opportunità socialmente legittimata per porre fine ad un’unione matrimoniale che non funziona più. Su 93 donne separate / divorziate 86 erano emigrate da sole … solo 6 sono venute al seguito dei coniugi”.Ma oltre al coniuge ci sono i figli, e qui si arriva al nodo: “Le madri sono schiacciate da processi di colpevolizzazione e di auto – colpevolizzazione” perché non vi è nessun riconoscimento sociale del fatto che riescano ad inviare ai figli rimasti in patria mediamente 300 euro al mese, un terzo dello stipendio, “Le madri non vengono considerate procacciatrici di risorse materiali. A loro si chiede la cura e l’affetto”. Quindi un padre che emigra continua ad essere un buon padre, mentre una madre che emigra è “una madre che abbandona”. In realtà i figli non sono abbandonati, ma curati da una rete familiare costituita soprattutto da donne (nonne, zie).Rapporti tenuti vivi da rimesse economiche, regali, telefonate, e rientri in patria in media ogni due anni, aprono riflessioni sul potere o non potere essere madri quando non si può essere fisicamente presenti, e sui nuovi ruoli nella famiglia allargata che in assenza della madre si prende cura dei suoi figli: “Si può essere buone madri anche a distanza. La richiesta di una presenza fisica deriva da una concezione paternalistica”. Ma quello che domina è ancora la censura sociale, e le madri stesse hanno di sé una “immagine filtrata dallo sguardo degli altri”. Emergono strazianti rivelazioni delle rotture che si sono compiute: i figli che non ti chiamano più mamma, che non riconoscono più la tua immagine nella fotografia che hai mandato, le conversazioni telefoniche sempre eguali, tu stessa che incontrando all’aereoporto la figlia improvvisamente cresciuta ti accorgi che ti è estranea, che non provi per lei la prescritta emozione di amore: “la separazione è come quando si incrina un vetro, anche se è apparentemente intatto ha una frattura che non si sana”.Una donna però rompe l’inconfessabile tabù della “madre che abbandona” e dice “ … Io non avevo nessuna intenzione di ricongiungermi …”. E’ una sola voce esplicita dietro cui probabilmente vi è una realtà più diffusa, che viene percepita dalla rete familiare che osserva le assenze sempre più prolungate, i ritorni differiti “Forse aveva proprio voglia di partire … “.A conclusione dell’incontro Ambrosini si guarda intorno nell’aula universitaria affrescata, e osserva: “Siamo circondati da simbologie legate alla famiglia. Possiamo quindi capire l’influenza di ciò sulla nostra cultura, e la fatica che implica la de-costruzione di questo modello. E’ importante ragionare sulle rappresentazioni. La ricerca ci aiuta a leggere più lucidamente al realtà”. Che bella lezione!(*) “Famiglie in movimento – Separazioni, legami, rinnovamenti nelle famiglie migranti” a cura di Maurizio Ambrosini e Emanuela Abbatecola. Ed. Il Melangolo. – La ricerca è stata finanziata dall’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Liguria. -
OLI 258: 25 APRILE – Passaggio di fase
Benedetta da una rara sintonia tra popolo in piazza e autorità sul palco, Genova ha avuto un bel 25 Aprile, ma (o forse: e quindi) non ha conquistato spazi né in edicola, né sul web: sulle loro pagine nazionali La Repubblica e Il Secolo XIX mettono in evidenza solo gli scontri di Roma e Milano, ed il vero traino viene dato dalle lacrime di Claudio Burlando, che forniscono il titolo sia al brevissimo articolo (?) del Secolo XIX, esattamente 49 parole – incluse congiunzioni, articoli e preposizioni, sia alle cronache di Repubblica.Sul web va anche peggio: gli unici siti che portano un titolo sul 25 Aprile sono – come vuole la distribuzione delle parti in commedia – quelli dell’Unità e del Manifesto.In questa logica ci si aspetterebbe qualcosa da Liberazione che però sorvola, facendoci pensare all’imbarazzo di dover prendere posizione di fronte agli eventi di Roma e Milano, coerentemente, anche in questo caso, al canovaccio della commedia politica italiana. Ma cosa c’era di bello, che valeva la pena di essere detto, nel 25 aprile di Genova? Di bello c’era il passaggio, la transizione dalla commemorazione all’oggi. Nelle parole di chi ha parlato dal palco, e nei cervelli di chi stava ad ascoltare, il centro non era né la celebrazione, né la retorica. Gli eventi della Resistenza erano uno sfondo, in primo piano c’erano le responsabilità da prendersi su quello che avviene ora in Italia.Purtroppo però è sempre più difficile che si verifichino le condizioni al contorno indispensabili a formare ed esprimere pubblicamente un pensiero e un sentimento collettivo articolato e non semplificato.(p.p.)



