Categoria: Ivo Ruello

  • OLI 312: La7 – “In onda” l’insulto libero a don Gallo

    Sabato 17 settembre, al termine del telegiornale di La7, ho assistito alla trasmissione “In onda”, programma di approfondimento condotto da Luca Telese (il Fatto Quotidiano) e Nicola Porro (Il Giornale) : rispetto alla scorsa stagione Nicola Porro sostituisce Luisella Costamagna. L’avvicendamento della Costamagna con Porro aveva già scatenato l’ira degli internauti, ad esempio sul forum di La7(*), costernati nel veder sparire una giornalista preparata, vivace, con brillante curriculum (**), per trovare al suo posto Nicola Porro, vicedirettore de “Il Giornale”, giornalista brillato di recente per essere stato indagato dalla Procura di Napoli per violenza privata nei confronti della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia: d’altra parte lo spessore giornalistico è testimonato dalla voce di Wikipedia dedicata a Nicola Porro (***), tre righe di biografia che, togliendo la vicenda giudiziaria, si riducono a due…….

    Alla trasmissione era presente in studio Antonio Martino, deputato Pdl, fondatore di Forza Italia, e don Andrea Gallo, in collegamento da Genova: tema della trasmissione era la situazione economica europea, con fuoco particolare sulla vicina Grecia. Al di là degli argomenti emersi, lo spettacolo non è certo stato al livello di una seria trasmissione giornalistica: don Gallo è stato ripetutamente insultato da Antonio Martino, che ha iniziato con un delicato “sciocchezze”, per passare ad un “pretacchione” ripetuto ben due volte, per finire con le “cazzate” che sarebbero state pronunciate dal prete genovese, tutto questo senza che né Telese né Porro (figuriamoci) opponessero la pur minima resistenza. E’ evidente che far dialogare due personaggi come Antonio Martino e don Gallo ricorda un pò la discussione immaginata da Benigni durante il Giudizio Universale tra Ramsete II ed un terzino della Sampdoria, ma uno sforzo poteva esser fatto, da parte di giornalisti degni di questo nome.
    Peccato che il video sul sito di La7 (****) riporti solo il primo quarto d’ora della trasmissione, filato su binari abbastanza lisci, privandoci quindi dei picchi giornalistici che si possono invece godere a pieno su Youtube (*****).
    (*) http://forum.la7.it/viewtopic.php?f=42&t=1371324
    (**)http://it.wikipedia.org/wiki/Luisella_Costamagna#cite_note-1
    (***)http://it.wikipedia.org/wiki/Nicola_Porro
    (****)http://www.la7.it/inonda/pvideo-stream?id=i454728
    (*****)http://www.youtube.com/watch?v=FNy9MAkOY14
    (Ivo Ruello)

  • OLI 311: TRASPORTI – Per difendersi dal presente un tuffo nel passato

    Al peggio non c’è limite. Chi scrive aveva gia scoperto a sue spese (*) la perfetta impenetrabilità dei biglietti di treni regionali ed Intercity: possedendo un biglietto di una di questa due categorie di treni , non è possibile convertirlo nell’altra categoria, perché i proventi di treni regionali ed Intercity finiscono in “casse” diverse: evidentemente non c’è nessuna volontà di risolvere questo problema, per cui basterebbe poco più che un foglio Excel.
    La cosa si complica ulteriormente se il biglietto è stato acquistato tramite Internet, chi ha comprato in tal modo un biglietto per un treno Eurostar, e desiderasse convertirlo in biglietto per un treno Intercity (meno caro dell’Eurostar), deve:
    – acquistare in biglietteria un nuovo biglietto Intercity
    – chiedere, tramite Internet, il rimborso del biglietto, che sarà decurtato del 20% se si tratta di tariffa Base, mentre sarà intero se si tratta di tariffa Flessibile (che costa però il 25% in più della Base)
    Per tutelarsi da questo ginepraio suggerisco una soluzione: presentarsi in stazione, mettersi in coda ed acquistare un biglietto per il primo treno in partenza: ATTENZIONE! Non prendere alcun biglietto di ritorno! Un biglietto di ritorno prefigura un fosco futuro, un biglietto di ritorno è cosa d’altri tempi, così viaggiavano i nostri genitori, quando le ex-carrozze di terza classe, panche di legno, scomode ma pulite, erano dotate di una porta per scompartimento, il biglietto era un semplice talloncino di cartone, che il controllore punzonava sempre ad ogni viaggio. Romantico? Forse, ma questa autentica giungla non è certo degna di un paese europeo del 2011: e non ci vengano a raccontare che all’estero i prezzi sono più elevati che in Italia, risulta evidente come questa politica tariffaria insegua una semplice separazione di classe, parola che può apparire obsoleta, ma ben descrive la distinzione tra chi viaggia su treni regionali, Intercity e Frecciarossa, con tariffe in 2° classe (tratta Milano-Bologna ad esempio) da 15, 23 e 42 euro rispettivamente, privilegiando comunque le tratte principali, dove è necessario essere competitivi con il trasporto aereo, ed abbandonando tutta la restante rete italiana ad un limbo che non fa onore a nessuno.
    (*) http://www.olinews.info/2011/05/oli-301-societa-2011-odissea-sul.html
    (Ivo Ruello)

  • OLI 310: SOCIETA’ – Pastafarianesimo, ironia anglosassone contro tutti i fanatismi


    Fra le notizie curiose sul sito de La Repubblica, vale la pena segnalare il cittadino austriaco che, dopo tre anni, ha ottenuto di poter utilizzare sulla propria patente di guida una foto con uno scolapasta in testa (*): non si tratta di una stranezza eccentrica, bensì Niko Alm, così si chiama il ragazzo, ha voluto dimostrare con questo gesto che uno scolapasta può essere un copricapo “religioso”, con pari dignità rispetto ai copricapo di altre religioni. Inoltre, come chi scrive ha scoperto leggendo questa notizia, non è una sua personale alzata d’ingegni, ma l’applicazione del “pastafarianesimo”, religione parodistica, creata da Bobby Henderson nel 2005 per protesta contro l’insegnamento nelle scuole statunitensi del creazionismo come alternativa all’evoluzionismo. Nel pastafarianesimo, il progettista del disegno intelligente è il Flying Spaghetti Monster (Mostro Volante di Spaghetti), visibile in molti filmati su youtube, ad esempio:

    La voce di wikipedia dedicata al movimento (**) merita una lettura: al di là del puro divertimento nel vedere trasposte, in modo esilarante ma sempre puntuale, le posizioni delle religioni tradizionali, gli otto comandamenti costituiscono una breve summa di libero pensiero, a partire dall’incipit comune “Io preferirei davvero che tu evitassi”.
    Gli obiettivi della satira sono gli asini bigotti, chi giudica dalle apparenze, chi offende il prossimo, chi spreca denaro in templi milionari; davvero una bella lettura, contro qualunque intolleranza, per il dubbio contro le certezze.
    Dulcis in fundo, Amen è sostituito nel pastafarianesimo da Ramen, nome dei noodles, spaghetti giapponesi precotti molto popolari fra gli studenti dei college.
    Ramen, Ramen, Ramen.
    (*) http://www.repubblica.it/persone/2011/07/13/foto/con_lo_scolapasta_sulla_patente_vince_contro_la_motorizzazione-19084783/1/?ref=HRESS-6
    (**) http://it.wikipedia.org/wiki/Pastafarianesimo

    (Ivo Ruello)

  • OLI 309: SOCIETA’ – New economy, tra “Compra oro” e Monte di Pietà

    Sulle pagine genovesi di La Repubblica del 6 luglio sono apparsi alcuni articoli sul boom dei “compra-oro”: in questo momento di crescente difficoltà economica, molte famiglie, spesso anziani, trovano nella vendita dei gioielli di famiglia il modo più veloce di affrontare una spesa imprevista, o semplicemente di arrivare alla fine del mese. I “compra-oro” nascono e muoiono in pochi mesi, i negozi sono sparsi un po’ in tutta la città: l’oggetto venduto viene valutato sul momento, il prezzo, non contrattabile, si aggira a circa la metà della quotazione dell’oro (16-18 euro contro 33), il giro d’affari di un piccolo negozio è valutato sui cinquemila euro mensili, ma altri raggiungono cifre ben più elevate. I vari articoli affrontano altri aspetti, quali la comparsa di compratori che offrono valutazioni a domicilio, ed in tal caso il passo verso la truffa è a portata di mano.
    Un commento al problema è dato dall’intervista a Don Marco Granara (rettore del Santuario della Guardia e presidente della Fondazione Antiusura) che, se da un lato invita ad una prevenzione del fenomeno attraverso una maggior coscienza critica su consumi necessari e superflui, dall’altro lato punta il dito contro la classe politica, spesso pronta ad autorizzare l’apertura di nuovi casinò, sicuramente redditizi per le finanze erariali, ma portatori di fenomeni di dipendenza.
    La panoramica si conclude con un trafiletto riguardante il Monte di Pietà, gestito dalla Carige, sito nel palazzo di fronte al teatro Carlo Felice: qui, recita l’articolo, “un grammo d’oro lo pagano 6-7 euro, circa un terzo della quotazione ufficiale”: trascorsi 4-6 mesi dalla scadenza, gli oggetti non riscattati vengono venduti all’asta.
    Naturalmente tale servizio non è confrontabile con quanto offerto dai negozi “compra-oro”: infatti, mentre al Monte di Pietà gli oggetti sono riscattabili, i “compra-oro”, per il bene venduto, offrono un corrispettivo in denaro e la transazione è conclusa ed irreversibile.
    A livello legislativo, l’ordinamento dei Monti di Pegno è regolato dalla Legge 10 maggio 1938, n. 745 (*), parzialmente modificata dal Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (Decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385) ed ancora dal Decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342: sulla stima rimane comunque valido l’art.12 della legge del 1938, che recita: “Il giudizio di stima è fatto da un perito, il quale deve garantire all’ente mutuante in caso di vendita all’asta della cosa costituita in pegno, l’integrale ricupero dell’importo del prestito e dei relativi interessi ed accessori”.
    Da qui la diversità di valutazione tra i “compra-oro” ed il Monte di Pietà, istituzione antica che ha svolto un indubbio ruolo sociale.
    Che continui a svolgerlo ancora oggi, mentre sono così carenti forme di microcredito e di sostegno al reddito meno penose e umilianti, lascia però un senso di disagio.
    A maggior ragione sarebbe interessante avere un’evidenza pubblica delle rese finali delle vendite all’asta, di come vengono svolte, dei guadagni dei compratori che frequentano abitualmente questo mercato della miseria.
    (*) http://www.isaonline.it/s/gestione/show-main-frame.inc.php?url=/mag/Legge745-1938.html
    (Ivo Ruello)

  • OLI 308: AMBIENTE – Safari in città

    In due articoli, usciti lo scorso 2 luglio su Il Secolo XIX (“Allarme cinghiali, strade chiuse e caccia grossa a Castelletto”) ed il Corriere Mercantile (“Cinghiali a spasso in centro città, presi e abbattuti”), è narrata la triste vicenda di una famiglia di otto cinghiali in Corso Carbonara. Dell’episodio si è occupata anche la sezione genovese del sito di Repubblica (http://genova.repubblica.it/cronaca/2011/07/02/news/cinghiali-18509601/).
    La storia è scarna, i cinghiali girano in zona cittadina, tra auto, bus, moto e pedoni, vicino alla scuola media Don Milani, nella giungla raramente falciata di quelle che erano un tempo aiuole curate: segnalati, vengono costretti in una piccola zona e quindi abbattuti, otto animali, una femmina sui 70 kg e sette piccoli sui 25 kg; ad agire sono gli agenti della Polizia Provinciale coadiuvati da Polizia Municipale.
    La cruenta conclusione sembra però lasciare aperta qualche polemica: era proprio necessario uccidere tutti gli animali? Anche i piccoli? Dal resoconto emerge come la Prefettura avesse dato indicazione di catturare gli animali, per decidere solo in seguito il da farsi, mentre gli eventi hanno poi preso la mano (“ha caricato e siamo stati costretti a fare fuoco”), per arrivare alle dichiarazioni dell’assessore provinciale Piero Fossati. L’assessore, mentre ricorda l’esistenza di due leggi regionali che obbligano ad uccidere gli animali sul luogo della cattura invece di trasferirli altrove (per evitare il diffondersi di epidemie, nel caso gli esemplari fossero malati), invita i genovesi a non dare cibo ai cinghiali in città; ma, evidentemente, sente il peso dell’uccisione degli animali (“non sono contento di queste scene”), infatti “la voce si fa seria quando spiega che catturati vuol dire abbattuti”.
    Nella vicenda si affrontano due esigenze, la sicurezza di un ambiente cittadino e la salvaguardia degli animali: se da un lato i cinghiali non sono certamente mansuete bestiole, d’altro lato una femmina adulta, ma comunque di piccola taglia, e sette piccoli in cerca di cibo non dovrebbero essere poi così difficili da gestire, da un corpo (la Polizia Provinciale) che ha proprio questo tra le proprie mansioni (http://it.wikipedia.org/wiki/Polizia_provinciale).
    La notizia ha suscitato in molti sconcerto e rabbia, ma c’è anche chi ha mostrato comprensione per una scelta di sicuro impopolare, ma che forse era l’unica praticabile nel nostro alterato equilibrio ecologico.
    Vale la pena di scorrere i numerosi commenti – 31 per l’esattezza, a tutt’oggi – in calce al citato articolo on line di Repubblica. Ben 21 sono quelli che esprimono indignazione per la soluzione adottata, con toni più o meno aspri, e solo 5 l’accettano come ineluttabile. I rimanenti 5 sono interventi di Eraldo Minetti, il Commissario Superiore della Polizia Provinciale di Genova che ha gestito l’operazione e che cerca di renderne conto, con ragionevolezza e non senza amarezza.
    In ogni caso non se ne esce bene. Non occorreva certo questo episodio per evidenziare che nel sistema in cui viviamo qualcosa si è rotto da tempo, ma può essere un’occasione in più per riflettere. Come nella Danimarca di Amleto, “something is rotten…”, c’è qualcosa di marcio, di corrotto. Stavolta nel rapporto tra l’uomo e il resto della natura, un tempo assai più sano di oggi. Non solo in certe soluzioni sbrigative per risolvere problemi complessi, ma anche nell’approccio di tanti animalisti che con le loro azioni in buona fede spesso arrecano in realtà danni agli oggetti delle loro attenzioni, fornendo cibo fuori luogo e con altri comportamenti.
    Correndo il rischio di sembrare sentimentali o idealisti, non si riesce comunque a trattenere un moto di tristezza cercando “cinghiale” con Google, al veder apparire molte proposte gastronomiche (“in umido, brasato, in salmì…”), né a togliersi dalla mente un’immagine evocata da uno degli articoli, “i cuccioli dietro la mamma, a seguire un pezzo di pane”.
    (Ivo Ruello e Ferdinando Bonora)

  • OLI 306: CITTA’ – Io ti scaccio, tu scappi

    Venditori al Porto antico, tra le “piccole fioriere”

    In una lettera pubblicata sul Secolo XIX dello scorso 13 giugno Giuseppe Costa, presidente di Costa Endutainment, denuncia i problemi di viabilità e di sicurezza esistenti nella zona antistante l’Acquario: carenza di gestione del caotico traffico turistico da parte della Polizia Municipale e presenza eccessiva di venditori ambulanti, troppo insistenti, a suo dire. Costa chiede una maggiore collaborazione di soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare l’accoglienza turistica.
    Ora, chi conosca e frequenti la zona dell’Acquario nei giorni festivi, sa che c’è un certo affollamento tra turisti, carrozzine, venditori ambulanti: chi si fa fotografare con il galeone alle spalle, chi contratta. Ma sa anche che i venditori “stanziali”, che vigilano con pazienza accanto ai loro lenzuoli distesi per terra, non sono affatto insistenti, e per proporre la merce attendono un segno di interesse dei passanti. Semmai è fastidioso l’assillo dei (non molti) questuanti “volanti”, che ti inseguono proponendoti l’elefantino portafortuna, per non parlare degli insopportabili raccoglitori di firme dei “Lautari”, che ti mettono in mano una biro e ti chiedono imperativamente “Sei contro la droga?”, con stile spiacevolmente analogo a quello degli attivisti di Lotta Comunista che in Via San Lorenzo ti interpellano con aggressivi “compagno!”.

    Arriva il controllo…

    Comunque, lo stesso giorno, sempre sul Secolo XIX, troviamo le risposte di Gianni Vassallo e Francesco Scidone: il primo, assessore al commercio, rivendica i risultati ottenuti nella lotta all’abusivismo pur nella carenza di mezzi a disposizione.
    Più interessante quello che dice Francesco Scidone, assessore alla sicurezza, che ricorda la sua proposta di “Mettere fioriere in modo da lasciare spazio solo al trenino ed al passaggio dei turisti”: invece, lamenta, “hanno messo fioriere piccole, solo per questioni estetiche”.

    …e i venditori si allontanano

    Ecco, finalmente, un intervento – purtroppo non accolto, che avrebbe permesso di estirpare alla radice il problema: sicuramente i venditori non si sarebbero limitati a spostarsi di cinquanta metri più in là o più in qua, forse avrebbero desistito dalla vendita, forse sarebbero addirittura tornati ai loro lontani paesi d’origine…

    Limitare lo spazio di transito come mezzo per scacciare i venditori ricorda la proposta di abolire le tempie per ridurre i suicidi: sarebbe solo controproducente, anche per i desiderati e vagheggiati turisti.
    E poi in questa città non ci sono solo turisti e trenini …
    Piuttosto chi amministra la città dovrebbe fare un pensiero su come uscire dal gioco ripetitivo “io ti scaccio e tu scappi; io me ne vado, e tu ritorni” che si gioca più volte al giorno intorno all’Acquario.

    In attesa di poter tornare al lavoro

    Questo “gioco” non è certo una prerogativa genovese: è facile assistere ad identiche scene ad Atene, Firenze, Roma.
    Sarebbe però più serio tentare di affrontare il problema prendendo atto che domanda ed offerta a ridosso dell’acquario si incontrano con reciproca soddisfazione.
    Allora perché non dedicare aree e spazi alla vendita ambulante con regolare licenza, anche in zone turisticamente pregiate, concentrando i controlli sulle merci contraffatte?
    Un’iniziativa di questo tipo furono i mercatini dei migranti in varie piazze genovesi (Piccapietra, S. Lorenzo, Matteotti, Martinez) organizzati negli anni 1996 e 97 dal Comune di Genova e dal Forum Antirazzista. La proposta di dedicare spazi a mercati permanenti in allora non fu accolta. Ma, arrivando ai nostri giorni, perchè non pensare ad un’integrazione con il progetto del Suq permanente, non limitato ad una decina di giorni di giugno?
    (Ivo Ruello – foto Paola Pierantoni)

  • OLI 305: INFORMAZIONE – Buchi nella memoria del G8

    19 luglio 2001, un momento del corteo dei migranti – Foto Ivo Ruello

    Sul Secolo XIX dello scorso 8 giugno un lungo articolo di Marco Menduni rievoca le giornate del G8 di Genova 2001: l’articolo intende descrivere, oltre alle vicende di quei giorni convulsi, il modo in cui il Secolo XIX seguì la vicenda.
    Il titolo “Mano libera ai black bloc” annuncia la tesi di fondo. Il racconto inizia il 20 luglio: si descrivono le azioni dei black bloc nella mattinata, di fronte alle quali i reparti delle forze dell’ordine “si muovono lenti, impacciati”, mentre emerge la consapevolezza che “il sistema della sicurezza era troppo fragile”, le forze dell’ordine “non ci sono. Quando entrano in azione, spesso picchiano chi non c’entra nulla”. Si arriva rapidamente, al culmine degli scontri, alla morte di Carlo Giuliani. Il 21 luglio il Secolo XIX è in edicola, “i cittadini o allontanati o rinchiusi in casa” “vogliono capire” quanto è successo. La giornata vede “ancora cariche, manganellate, lacrimogeni”, la sera l’attacco alla Scuola Diaz, “blitz sciagurato, botte alle cieca” dove la polizia tenta di “ribaltare una situazione che le vedeva perdente in immagine”. Poi dieci anni di processi ed inchieste narrati dal Secolo XIX, che hanno “scosso, ma non decapitato” la polizia italiana. L’articolo chiude con un episodio trascurato in quei giorni: un migliaio di ragazzi, dopo i fatti della Diaz, fuggono dallo Stadio Carlini, piccolo corteo spaventato scortato dalla polizia municipale fino alla stazione di Nervi.

    19 luglio 2001 – Foto Ivo Ruello

    Fin qui l’articolo. Tutti gli eventi riportati sono “circa” veritieri, peccato vengano omesse tutta una serie di circostanze:
    1. Nessun accenno a tutto ciò che precedette il G8 di almeno un mese, gli incontri ed i dibattiti organizzati dal Genoa Social Forum a Punta Vagno con delegazioni di tutto il mondo, la discussione all’interno del mondo femminile con l’incontro a Palazzo S. Giorgio un mese prima del G8.
    2. Il corteo dei migranti del 9 luglio, quando 50 mila persone sfilarono pacificamente ed allegramente, viene totalmente ignorato.

    20 luglio 2001, il Leaving Theatre a Piazza Dante – Foto Ivo Ruello

    3. Non v’è traccia della creatività delle “piazze tematiche” che nella mattinata-primo pomeriggio del 20 luglio videro migliaia di persone a Piazza Manin, Piazza Dante agire mettendo in atto azioni di protesta non violente.
    4. Il corteo del 21 luglio (250 mila persone) viene ancora una volta annegato in un abisso di scontri e manganellate, cancellandone contenuti e identità.
    5. last but not least: successe per caso qualcosa ai no-global condotti nella caserma di Bolzaneto (44 condanne a poliziotti e medici nel marzo 2010)?

    Queste le “dimenticanze” maggiori, mentre si sposa la tesi delle forze dell’ordine pasticcione e disorganizzate, dimenticando lo stile da dittatura sudamericana sfoggiato in quelle giornate, così come la presenza a Genova dell’allora vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini.

    21 luglio 2001, il corteo prima degli scontri. Foto Ivo Ruello

    Chi ha migliore memoria ricorda invece come molti genovesi non accettarono di essere “allontanati o rinchiusi in casa”, anzi vissero la storia in prima persona senza farsela narrare. E ricorda che a Genova, in quei giorni, passò un fiume di pensieri, proposte, speranze, intelligenze, e giovinezza.

    21 luglio 2001 – Foto Ivo Ruello

    Certo, come recitava una scritta murale in Piazza Banchi “non ne potevamo più degli elicotteri”.
    (Ivo Ruello)

  • OLI 304: RICONVERSIONI – Torino / Genova, uno a zero

    Mi sono recato a Torino in occasione di “Esperienza Italia 150”, mostre dedicate al 150° anniversario dell’Unità d’Italia: sedi delle mostre sono la reggia di Venaria, e l’area industriale ex Officine Grandi Riparazioni, riconvertita a sede espositiva dopo “anni di abbandono”, come recita il sito del Comune di Torino
    http://www.comune.torino.it/scatTO/archivio/2007/ottobre07/20071025.shtml
    Dopo anni di “acceso dibattito”, dovuto all’importante “posizione strategica” ed all’estensione del sito (oltre 190000 mq), la destinazione finale decisa dal Comune di Torino ci permette di entrare in un ambiente estremamente suggestivo, una saggia miscela di ambienti nuovi e strutture murarie preesistenti volutamente intatte.

    Il pensiero mi corre al destino dell’area genovese della Fiumara, ora tetro centro commerciale: nel giugno 1998 il Teatro della Tosse suggerì (metaforicamente) un possibile utilizzo con l’ambientazione nelle ex-officine de “I Persiani” di Eschilo http://www.kinoweb.it/teatro/i_persiani_alla_fiumara/scheda.htm
    L’evento ebbe un enorme successo, ma, purtroppo, non impedì il cosiddetto “cammino del progresso”, cioè della speculazione, banale e ripetitiva, che annulla storia e identità e ci precipita in luoghi tutti eguali.
    Eppure è possibile conciliare esigenze diverse, come mostra, sempre a Torino, l’attuale centro multifunzionale del Lingotto (http://it.wikipedia.org/wiki/Lingotto): al suo interno, si trovano un centro commerciale, un’area espositiva, due alberghi NH (4 e 5 stelle), una pinacoteca, e molte altre realtà, oltre al centro direzionale FIAT.

    Cambiare significa solamente arrendersi alla banalità di ristrutturazioni che rispondono ad interessi economici di basso livello, o esiste la possibilità di modificare, inglobare la realtà industriale storica al fine di raggiungere un equilibrio tra vecchio e nuovo e dare alla città una prospettiva culturale? Se, una domenica pomeriggio, chiedessimo ad un quindicenne che passeggia alla Fiumara cosa c’era vent’anni fa in quell’area, cosa pensate risponderebbe?
    Ricordo un amico musicista che, anni fa, diceva tristemente: all’alternativa tra teatri e supermercati, sono stati scelti i supermercati… almeno a Genova.
    (Ivo Ruello, foto dell’autore: l’area industriale delle ex Officine Grandi Riparazioni)


  • OLI 303: 30 maggio: Milano in piazza

    Galleria fotografica di Paola&Ivo
  • OLI 301: SOCIETA’ – 2011 Odissea sul binario

    La settimana scorsa, mi sono recato a Fidenza per lavoro. Per il ritorno in treno sono munito di:
    • biglietto Intercity Fidenza-Milano Rogoredo
    • biglietto Intercity Milano Rogoredo-Genova

    Arrivo in stazione a Fidenza in anticipo, vedo che il mio Intercity è annunciato con 5 minuti
    di ritardo, ma per fortuna ci sarebbe un treno regionale una mezz’ora prima che mi permetterebbe di “onorare” la coincidenza a Milano Rogoredo. I condizionali sono d’obbligo, infatti presentandomi in biglietteria mi si dice che non posso cambiare un biglietto Intercity con un regionale (di costo minore), ma potrei acquistare un secondo biglietto regionale e cambiare il biglietto Intercity con un nuovo biglietto con due mesi di validità. Tutto ciò perché i proventi dei biglietti regionale ed Intercity finiscono in casse diverse: senza cambio biglietto,

    salendo sul regionale, sarei di fatto sprovvisto di biglietto: alla mia obiezione che, come utente, questa strana burocrazia mi pare assurda, l’operatore difende con cieca certezza la logica ineccepibile della doppia contabilità. Lascio perdere, attendo il mio Intercity, che arriva coi suoi regolari 5 minuti di ritardo: peccato che, giunti a Piacenza, restiamo fermi per problemi al locomotore. Per farla breve, arriviamo a Milano Rogoredo con 20 minuti di ritardo, la mia coincidenza è ormai perduta: mi reco in biglietteria, scopro che il prossimo treno è un regionale (ahi, ahi ahi!!!), il problema si ripropone, compro un nuovo biglietto regionale, mentre per il biglietto Intercity (treno perso per ritardo di un altro Intercity) mi viene dato l’indirizzo mail rimborsi@trenitalia.it a cui chiedere l’eventuale rimborso. Il treno regionale mi conduce “felicemente” a Genova alle 22,23: se si vuol calcolare la velocità commerciale del mio viaggio, Genova-Fidenza in auto distano 185 kilometri:

    partendo da Fidenza alle 17,50 ho impiegato circa 4,5 ore, ottenendo così una brillante prestazione di poco più di 40 chilometri orari. Si dirà, ho perso una coincidenza, è un evento eccezionale (!), calcoliamo la velocità commerciale se non avessi perso la coincidenza: partendo alle 17,50 sarei arrivato alle 20,46. E qui le cose decisamente cambiano, infatti la velocità commerciale è ben superiore, arriva a … 63 chilometri orari!

    Nei giorni successivi decido di verificare come siano cambiati i tempi di percorrenza col passare degli anni. Trovo facilmente, nel forum delle ferrovia, un post che rimanda ad orari storici
    http://www.ferrovie.it/forum/viewtopic.php?f=4&t=19569
    Riesco a raggiungere l’orario del lontano anno 1961 (50 anni fa!), e cercando i tempi di percorrenza sulla linea Torino-Roma della tratta Alessandria-Genova Principe, riportata all’indirizzo
    https://picasaweb.google.com/paolaivofoto/OLI301#5606262358364775122

    ottengo per confronto i seguenti tempi:
    1961: tempi compresi tra 54 minuti (treno R565GR “Tirreno”) ed 1 ora e 30 minuti (12 treni).
    2011: tempi compresi tra 53 minuti ed 1 ora e 31 minuti.
    Il raffronto è desolante, 50 anni passati “quasi” invano: certo, abbiamo guadagnato l’Alta Velocità che, sulle tratte più importanti (quali Milano-Roma) permette, a caro prezzo, di avere tempi paragonabili ad un volo aereo, ma non riesco ad evitare di ripensare ai primi versi de “La locomotiva” di Francesco Guccini “treni di lusso, lontana destinazione”…
    (Ivo Ruello)