OLI 308: AMBIENTE – Safari in città

In due articoli, usciti lo scorso 2 luglio su Il Secolo XIX (“Allarme cinghiali, strade chiuse e caccia grossa a Castelletto”) ed il Corriere Mercantile (“Cinghiali a spasso in centro città, presi e abbattuti”), è narrata la triste vicenda di una famiglia di otto cinghiali in Corso Carbonara. Dell’episodio si è occupata anche la sezione genovese del sito di Repubblica (http://genova.repubblica.it/cronaca/2011/07/02/news/cinghiali-18509601/).
La storia è scarna, i cinghiali girano in zona cittadina, tra auto, bus, moto e pedoni, vicino alla scuola media Don Milani, nella giungla raramente falciata di quelle che erano un tempo aiuole curate: segnalati, vengono costretti in una piccola zona e quindi abbattuti, otto animali, una femmina sui 70 kg e sette piccoli sui 25 kg; ad agire sono gli agenti della Polizia Provinciale coadiuvati da Polizia Municipale.
La cruenta conclusione sembra però lasciare aperta qualche polemica: era proprio necessario uccidere tutti gli animali? Anche i piccoli? Dal resoconto emerge come la Prefettura avesse dato indicazione di catturare gli animali, per decidere solo in seguito il da farsi, mentre gli eventi hanno poi preso la mano (“ha caricato e siamo stati costretti a fare fuoco”), per arrivare alle dichiarazioni dell’assessore provinciale Piero Fossati. L’assessore, mentre ricorda l’esistenza di due leggi regionali che obbligano ad uccidere gli animali sul luogo della cattura invece di trasferirli altrove (per evitare il diffondersi di epidemie, nel caso gli esemplari fossero malati), invita i genovesi a non dare cibo ai cinghiali in città; ma, evidentemente, sente il peso dell’uccisione degli animali (“non sono contento di queste scene”), infatti “la voce si fa seria quando spiega che catturati vuol dire abbattuti”.
Nella vicenda si affrontano due esigenze, la sicurezza di un ambiente cittadino e la salvaguardia degli animali: se da un lato i cinghiali non sono certamente mansuete bestiole, d’altro lato una femmina adulta, ma comunque di piccola taglia, e sette piccoli in cerca di cibo non dovrebbero essere poi così difficili da gestire, da un corpo (la Polizia Provinciale) che ha proprio questo tra le proprie mansioni (http://it.wikipedia.org/wiki/Polizia_provinciale).
La notizia ha suscitato in molti sconcerto e rabbia, ma c’è anche chi ha mostrato comprensione per una scelta di sicuro impopolare, ma che forse era l’unica praticabile nel nostro alterato equilibrio ecologico.
Vale la pena di scorrere i numerosi commenti – 31 per l’esattezza, a tutt’oggi – in calce al citato articolo on line di Repubblica. Ben 21 sono quelli che esprimono indignazione per la soluzione adottata, con toni più o meno aspri, e solo 5 l’accettano come ineluttabile. I rimanenti 5 sono interventi di Eraldo Minetti, il Commissario Superiore della Polizia Provinciale di Genova che ha gestito l’operazione e che cerca di renderne conto, con ragionevolezza e non senza amarezza.
In ogni caso non se ne esce bene. Non occorreva certo questo episodio per evidenziare che nel sistema in cui viviamo qualcosa si è rotto da tempo, ma può essere un’occasione in più per riflettere. Come nella Danimarca di Amleto, “something is rotten…”, c’è qualcosa di marcio, di corrotto. Stavolta nel rapporto tra l’uomo e il resto della natura, un tempo assai più sano di oggi. Non solo in certe soluzioni sbrigative per risolvere problemi complessi, ma anche nell’approccio di tanti animalisti che con le loro azioni in buona fede spesso arrecano in realtà danni agli oggetti delle loro attenzioni, fornendo cibo fuori luogo e con altri comportamenti.
Correndo il rischio di sembrare sentimentali o idealisti, non si riesce comunque a trattenere un moto di tristezza cercando “cinghiale” con Google, al veder apparire molte proposte gastronomiche (“in umido, brasato, in salmì…”), né a togliersi dalla mente un’immagine evocata da uno degli articoli, “i cuccioli dietro la mamma, a seguire un pezzo di pane”.
(Ivo Ruello e Ferdinando Bonora)