Alla fine fu un atroce inganno e quello che parve a molti uno straordinario progetto di rinascita cultuale e politica si trasformò in una trappola tesa dal leader per individuare coloro che dissentivano.
Per questo leggere su Il fatto quotidiano del 29 giugno il titolo “Contro Renzi neocentrista una sinistra dei cento fiori” non sembra esattamente propedeutico alla fortuna del progetto.
Certo qualcosa bisogna comunicare, e dev’essere questo motivo che ha spinto Cofferati a scegliere la metafora della primavera cinese per lanciare l’idea che porterà in campo le energie di “chi ancora non c’è e chi si è allontanato”.
Alla sua generazione Cofferati assegna il compito di mettere a disposizione “l’esperienza” ricordando che “c’è bisogno del protagonismo dei giovani”, comunque, prima o poi, è sempre lì che si approda.
Alla festa nazionale della Fiom, dichiara Cofferati, si è parlato di “beni comuni, land grabbing, diritti della rete” ed è dai valori di riferimento che bisogna partire
Quindi, proprio nel momento in cui torna in edicola L’Unità ed anche le feste del PD si riappropriano del nome della testata – la parola “unità” per un certo periodo fu cancellata da solerti funzionari – viene lanciato il cantiere della nuova casa ché quella originaria è stata squattata.
Non è in agenda un bilancio politico del perché un partito con una storia così importante non sia stato presidiato, per essere ceduto a chi ne massacra ideali, magari riflettendo sul fatto che aver definito il PD “ditta” non faceva onore alla storia ed ai fini nobili dell’impresa, parafrasando le metafore aziendali.
Civati, compagno di esodo di Cofferati e Fassina, ha già un sito della nuova creatura battezzata “Possibile”, un prodotto politico dal marketing accattivante ma dai contenuti ancora un po’ vaghi.
Il rischio che si corre è che si metta in scena il gioco delle tre tavolette, imbarcando nel progetto volpi di partito che, quando dovevano proporre e presidiare, non l’hanno fatto.
Se è vero che a sinistra c’è una prateria da esplorare, sarebbe interessante capire perché Rete a Sinistra, che in Liguria ha fatto una dura campagna contro il PD, non abbia colto la sfida di dare il proprio voto per la Vice Presidenza del Consiglio Regionale ad Alice Salvatore di M5S, favorendo invece la carica di Pippo Rossetti, mentre a livello nazionale proprio Civati, referente politico di Rete a Sinistra, non disdegna il sostegno a M5S per promuovere i 7 referendum contro leggi volute dal PD di governo. Mistero
Nel frattempo, per il rotto della cuffia, Toti ha salvato il progetto “codice d’argento”, che garantisce l’assistenza domiciliare estiva a famiglie “economicamente fragili” che stava per saltare perché la giunta precedente, dopo averlo messo a bilancio, non aveva deliberato. La vicenda, sulle pagine locali per qualche giorno, ha registrato anche le dichiarazioni fatte al Secolo XIX da Anna Banchero – ex-coordinatrice nazionale dei progetti regionali destinati agli anziani – che, mentre stavano per saltare i fondi, ha dichiarato: “Questa non gliela perdonerò mai, parlo della giunta Burlando. Hanno dato contributi a cani e porci, e non sono stati in grado di trovare 200 mila euro per mandare avanti un progetto che ci invidia mezza Italia”.
Cani e porci. Chissà a chi si riferiva. Chissà che la sinistra dei 100 fiori non voglia approfondire.
(Giovanna Profumo – foto dell’autrice)
Categoria: Anziani
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OLI 427: POLITICA – La sinistra dei 100 fiori, i cani e i porci
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OLI 396: SANITA’ – Brignole, la morte di un gigante
Un buco di bilancio che sfiora i 40 milioni di euro, al 2013. Una favola che poteva avere un lieto fine si chiude come quella della Piccola Fiammiferaia. Questo grazie ad un mix di responsabilità micidiale, perché la politica ha male agito e purtroppo anche il sindacato non è stato all’altezza della situazione, ha spiegato Antonello Sotgiu, ex dirigente della Cgil. Al suo fianco Michela Costa, Direttore Generale al Brignole dal 2003 al 2008 e Mario Calbi, che la favola dell’assistenza agli anziani a Genova la conosce sin dal 1970.
Allo Zenzero il 14 gennaio, si è cercato di raccontare la storia dell’Albergo dei Poveri partendo proprio dagli anni Settanta quando nel territorio non c’era assistenza domiciliare e solo il ricovero era la soluzione. Grandi “universi concentrazionari” ha spiegato Calbi, parafrasando Foucault, laddove la famiglia, intesa come nucleo protettivo di cura e assistenza, stava evaporando. Il sogno politico di quegli anni era de-istitutizzare, togliere per creare servizi servizi territoriali, ambulatoriali integrati, piccoli istituti di quartiere, con commissioni di controllo costituite da parenti, ospiti e lavoratori. Un sogno che si stava realizzando con un drastico calo dei ricoveri a favore dell’assistenza domiciliare, quando è cambiata la visione politica. E, ha spigato Sotgiu, si è agito con la logica delle clientele, sia per quanto riguardava i servizi che per la parte relativa all’utilizzo del patrimonio disponibile. Anche i cittadini, invitati a vigilare hanno preferito tacere, per l’ansia di vedere il parente rispedito a casa. Mentre la politica nominava presidenti senza competenze manageriali.
Un gigante, così viene definito il Brignole da Michela Costa, per patrimonio immobiliare, autonomia gestione e quattrocento anni di storia. Un gigante stremato dal disordine amministrativo e dai debiti, in grado però, nel 2003 di ripartire grazie al capitale umano professionale di cui disponeva, se questo cammino fosse stato appoggiato dalle istituzioni.
Un gigante che poteva far confluire su di sé, con un’operazione di unificazione, l’istituto Doria e che avrebbe potuto ripartire dando una risposta agli anziani e ai loro bisogni con un’unica azienda pubblica, a sua volta integrata dai servizi del privato-sociale grazie ad un patto che impegnava Regione, Provincia, Comune, e Asl 3. Un patto che è saltato nello spazio di pochi giorni perché qualcuno ha ritenuto che era assolutamente impossibile, impensabile poter mettere un milione e mezzo di Euro su questa partita. Le stesse dirigenze, gli stessi politici che per errori poi banali hanno pagato botte di quattro milioni e mezzo con qualche conto ancora aperto ha detto Sotgiu.
Però il risparmio del 36% in meno c’era, insieme ad un livello di produttività molto alto e posti letto coperti del 95%. Ci doveva essere un provvedimento che non facesse morire asfissiata l’azienda. Nel 2007 il Brignole poteva offrire servizi pubblici e sopperire a funzioni varie per 150 Euro al giorno a posto letto di riabilitazione. Tutto questo nel pubblico. Non c’è stato verso di trovare questo denaro. Nessuno ha mai risposto. Così l’ipotesi è stata cedere il personale in altri enti pubblici, perdendo know how per assumere nuovo personale con altri contratti. Così Michela Costa ha restituito le chiavi. Ed ha chiarito ai presenti in sala: Quest’azienda non è morta da sola perché si volevano fare i servizi domiciliari, ma si voleva che tutti i servizi pubblici venissero convenzionati a qualcun altro. Ed è esattamente quanto si è conseguito perché oggi questa città che, dal punto di vista demografico, sappiamo come è, non ha più servizi pubblici residenziali per gli anziani.
(Giovanna Profumo – foto dell’autrice) -
OLI 393: TEATROGIORNALE – Nuda proprietà
Adriana ha chiuso la porta di ingresso con un gesto di stizza, mastica gli insulti che vorrebbe dire a Cecilia.
– Non siamo al Colosseo!
Cecilia è nella camera che era stata lo studio di Ettore, il marito di Adriana. Il divano letto è aperto, sopra vi è una valigia di plastica e stoffa a quadretti.
-Io me ne torno in Ecuador, signora. Torno da mia figlia, capisce?
Cecilia è una donna sui 40 anni, ha i jeans con gli strass e una maglia gialla e rossa che le arriva sulle cosce.
– Le ho fatto un po’ di spesa e le ho lasciato in frigo la cena e il pranzo per domani.
Cecilia piega una tuta rosa e la mette in borsa vicino a un sacchetto che contiene 8 pinguini che salgono, a ritmo di musica, su una montagna di ghiaccio e scivolano giù.
– Ha sentito suo figlio?
È la terza volta che lo chiede in quarantotto ore. Lei lo aveva chiamato una settimana prima per metterlo al corrente che i soldi di sua madre erano finiti e che lei non poteva lavorare per loro a gratis ma sua madre non poteva vivere sola. Il figlio aveva detto che non erano fatti suoi e aveva buttato giù il telefono. Cecilia sospira e piega il pigiama a fiori giallo e verde. Sua madre le tiene sua figlia in Equador e l’aveva vista affaticata il giorno prima su Skype. Ormai Priscilla ha 6 anni, deve aiutare in casa almeno un poco. Ma quando lei tornerà, allora sì che metterà in riga quella piccola viziatella e mette in valigia il pigiama.
Per Adriana andare dall’ingresso alla cucina è ormai un viaggio, la vista è appannata e i vecchi mobili galleggiano nella penombra. Le sue ossa sono come tenute assieme da dei fili di metallo arrugginiti, troppo corti per permetterle la maggioranza dei movimenti ma la cosa che la fa più arrabbiare è la memoria. Non si ricorda che ha venduto la casa come nuda proprietà senza parlarne col figlio ed è per questo che il figlio la odia; non si ricorda dove ha messo gli occhiali; non si ricorda che ha 87 anni e quando si intravede allo specchio non si riconosce anche se sa che è lei. A volte si ricorda del perché suo figlio la odia e si arrabbia: è la sua vita, la sua casa, lui mica le ha chiesto il permesso prima di sposarsi con quella malummera di sua moglie (moglie di seconda mano visto che ha già una figlia). Cammina piano Adriana, non vuole cadere, non vuole trattenere un istante di più quell’ingrata di Cecilia. Vuole solo arrivare alla sedia in cucina, accendere la televisione e sentire il brusio lontano che ne arriva.
Adriana tiene la mano destra sul mobile basso dell’ingresso, un po’ per sostegno, un po’ per orientarsi, un po’ per non sentirsi sospesa nel vuoto. Quando era bambina le piaceva stare sospesa, attaccata con le gambe al l’albero di ciliegie e dondolare, il vestito di lana marrone e la camicia di flanella sul viso. Sua madre che la sgrida ma che tiene i grappoli di ciliegie che lei le ha regalato sulle orecchie come fossero degli orecchini.
– La mamma aveva i capelli neri.
Sussurra Adriana mentre le dita nodose fanno cadere una boccetta di ceramica su un centrino; la boccetta, cadendo, fa un rumore sordo. Nessuno lo sente.
Cecilia esce dalla stanza con la giacca blu col cappuccio col pelo, ha la valigia in mano.
– Signora, io vado.
Adriana non si gira, ormai è arrivata in fondo al mobile dell’ingresso.
– Le metto qua le chiavi e il resto della spesa.
Cecilia lascia una banconota da 10 euro sul mobile e un mazzo di chiavi senza portachiavi.
– Sul vostro conto ci sono ancora 100 euro. La pensione arriverà tra 15 giorni. Spero che vostro figlio venga presto.
– Chiudi la porta.
Dice Adriana e aspetta che la porta sbatta per continuare la sua traversata verso la cucina: c’è l’angolo, si gira a destra, davanti c’è il bagno e la porta è aperta.
– Ma viveva al Colosseo quella lì?
Biascica e si incammina per chiudere la porta, le dita artritiche si chiudono attorno alla maniglia in ottone. Il bagno… quando era piccola non voleva mai farsi il bagno la domenica ma stava sempre con le gambe nell’acqua del fiume, tanto che le era venuta la febbre reumatica ed era stata a letto due mesi e in quei giorni vedeva la mamma sbiadita, così come ora vede il lavabo del bagno.
Chiude la porta del bagno e si gira per raggiungere la porta della cucina, tiene la mano sulla carta da parati ruvida. Fuori sta facendo nuvolo, da dietro le tende bianche la luce si affievolisce, i contorni del tavolo e delle sedie si fanno sempre più confusi.
– Dove é andata Cecilia? Mi tocca aspettarla quella lì. Mai una volta che mi dica quando torna.
Adriana alza la sedia e la porta indietro, la sedia stride contro il pavimento ma nessuno la sente. Il telecomando nero è sopra il tavolo, lo prende e schiaccia un tasto a caso. La televisione si accende. Adriana si siede, il suo volto è illuminato da una luce verdognola.Da La stampa: Anziani in crisi, volano le vendite della nuda proprietà.
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OLI 356: SOCIETA’ – Non ci casco!
Paura ed insicurezza, come tutte le violenze, colpiscono in modo particolare i più deboli. Gli anziani si chiudono in casa. Pesa una sensazione di vulnerabilità, di fragilità crescente. C’é una giusta paura che piccoli atti di prepotenza possano avere conseguenze enormi. Uno scippo, uno spintone, una caduta possono essere molto pericolosi per una persona anziana. C’è smarrimento, intorno a casa si vede “gente strana”. La TV insiste sulla cronaca nera: spaccio, scippi, violenza, tutto è più complicato di una volta, si allentano i legami di vicinato, di parentela, di solidarietà. Ci si chiude in casa, ma così aumenta la solitudine e quindi l’insicurezza. In caso di bisogno ci si chiede a chi domandare aiuto e non si trova una risposta. Ci troviamo dunque di fronte ad un problema reale, che va affrontato perché l’insicurezza lede la qualità della vita delle persone anziane, che è fatta non solo di buona salute, ma anche di relazioni, di accesso alle opportunità che il territorio offre, di consapevolezza, di capacità di esercitare i propri diritti di cittadinanza.
In questo contesto si pone la campagna “Non ci casco” promossa dallo SPI CGIL, che non è un’operazione pubblicitaria, un libretto che si mette nelle cassette come un qualsiasi depliant pubblicitario, e nemmeno è un decalogo da imparare a memoria. E’ un contributo a fare attenzione a quei trucchi, a quelle tecniche, a quelle situazioni nelle quali il truffatore può sorprenderci ed è lo sforzo di costruire in sede locale quella “rete” di competenze (lo Spi, l’Auser, la Federconsumatori, il Silp-Cgil) che può assicurare ad ogni pensionata-pensionato l’aiuto che serve.
E’ anche un modo per prendere contatto con le persone anziane, soprattutto quelle che sono più isolate e spaventate, per farle uscire di casa e aiutarle a ricreare quella rete di relazioni sociali ed amicali che possa diventare un sostegno concreto nella gestione della propria quotidianità. Parlare delle truffe di cui spesso gli anziani sono vittime, segnalare le condizioni di degrado che rendono specifiche aree inaccessibili agli anziani, affrontare il tema della legalità e dei diritti, sdrammatizzare le possibili interazioni con soggetti vissuti come potenzialmente “pericolosi” vuol dire aiutare a ricostruire una visione più serena del mondo circostante.
La conoscenza chiara dei fenomeni e delle risorse a disposizione sono elementi importanti di consapevolezza e di autodifesa.
Per questo è utile una campagna che aiuti le persone ad imparare come difendersi da pericoli sempre nuovi, e che spinga le Istituzioni (e non solo le organizzazioni private) ad aiutare le vittime, soprattutto quelle più fragili, che possono ricevere un danno pesantissimo anche sotto il profilo psicologico, a recuperare contesti urbani degradati, a investire nella sicurezza nelle strade e nelle case, a rendere più facile il rapporto con i cittadini.
(Paola Repetto – Foto Paola Pierantoni) -
OLI 356: INFORMAZIONE – Il Corriere della Sera e l’isola che non c’è

Ikaria: un signore centenario torna a casa dopo una festa Capita, a volte, di incappare in un articolo che parla di qualcosa che conosci davvero a fondo, e rimanerne un po’ straniti. E’ il caso di un articolo pubblicato in rete il 5 novembre sul Corriere della Sera – Salute. Titolo: “La formula dell’immortalità custodita in un’isola greca – Ikaria: i 90enni sono il doppio della media nazionale. La scoperta di un team italiano”.
Nel 2008 quest’isola dell’Egeo nord orientale, data la longevità degli abitanti, è finita sotto la lente di osservazione di Dan Buettner, ricercatore statunitense, esploratore, corrispondente del New York Times, membro di National Geografic e fondatore di ‘Blue Zones’, società che svolge ricerche sulle cause della lunga vita in diverse aree culturali e geografiche.
Ikaria, festa Di questa ricerca e dei suoi aggiornamenti parla un articolo del New York Times dello scorso 28 ottobre, di certo ispiratore del pezzo del Corriere, ma costretto dall’articolista del Coriere in una sintesi che può lasciare perplessi amanti e fedeli frequentatori del luogo. La realtà infatti non collima con l’immagine proposta: isolani pressoché vegeteriani che fanno colazione e cena ‘a base di latte di capra’, genere però impossibile da trovare in quest’isola piena di capre (se ne contano 30.000, contro 7000 abitanti), che in gran parte girano libere sui monti, né munte né accudite, in attesa di essere mangiate tutte intere, arrostite, o bollite, o in umido (i fegatini passati in padella), nel corso delle infinite feste che allietano l’isola, queste sì fattore di lunga vita.
Se è vero poi che gli isolani bevono un infuso di erbe selvatiche detto “the della montagna”, è del tutto fantasioso che consumino ‘molta maggiorana’ e ‘molto rosmarino’. Praticamente ignoto, infatti, l’uso alimentare del rosmarino, e del tutto sconosciuto quel che noi intendiamo per maggiorana: parola di genovesi che hanno tentato invano di confezionare ricette liguri dove questa erba è essenziale.
Al mattino si beve ancora … E poi nessun cenno al vino! Il vino ‘pramnio’! Orgoglio di un’isola che si vanta di aver dato i natali a Dioniso stesso, e in cui l’impronta dionisiaca delle feste è tuttora evidente … Difetti veniali. Però, pur nella sintesi, valeva la pena di evidenziare altri aspetti dell’articolo del New York Times. Inanzitutto che la dieta isolana non è forse il fattore più importante, ma che grande peso ha la struttura sociale, il fatto che gli anziani hanno un ruolo riconosciuto che motiva la loro vita, che senz’altro “si mangia meglio che in America“, ma che il fattore più importante è “come mangiamo … noi godiamo della compagnia, chiunque ne faccia parte. Il cibo è sempre goduto insieme alla conversazione”.

Ikaria, in una tomba un riconoscimento al vino E il sesso. L’articolo del NYT puntualizza che “l’80% degli uomini tra i 65 e i 100 anni svolgono regolarmente attività sessuale”. Ricerche a parte, per appurare l’allegra disponibilità sessuale di anzianissimi signori basta andare da sole alle feste isolane.
L’articolista del Corriere dà conto della salutare indifferenza locale verso il tempo, e su questo non si può che concordare: sull’isola per gli appuntamenti vengono usati termini quali ‘messimeraki’, o ‘vradaki’ che indicano ore indeterminate rispettivamente situate tra mezzogiorno e le cinque del pomeriggio, e tra le nove di sera a notte fonda.
Una osservazione finale: del team che nel 2008 ha condotto questa ricerca sull’isola di Ikaria faceva parte anche Gianni Pes, del dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università di Sassari, ma perché nell’articolo si parla di un ‘team italiano’, anziché di un ‘italiano nel team’?
(Paola Pierantoni – foto dell’autrice) -
OLI 313: FONDAZIONE – Dalla nuda proprietà al bilancio a nudo
Disegno di Guido Rosato “Il business della nuda proprietà, la Cgil chiede aiuto alle fondazioni” è il titolo dell’articolo, firmato da Raffaele Niri, apparso su Repubblica ed Genova il 17 settembre 2011.
Tema: anziani, mancanza di assistenza, liste di attesa per accedere ad una residenza protetta e tagli dei fondi che a loro dovrebbero essere destinati.La lettura dell’articolo offre una soluzione possibile: “un accordo con le Fondazioni bancarie perché acquistino la nuda proprietà di appartamenti, versino all’anziano il dovuto (sottraendo il mercato ad alcune immobiliari senza scrupoli) e mettano a disposizione della collettività una parte dei fondi. L’anziano, in cambio, avrà assistenza dignitosa vita natural durante, oltre a quel che gli spetta per l’alloggio che non finirà – come spesso succede – a equivoche società, a qualche badante particolarmente scaltra, a presunti parenti che in vita non si sono mai interessati dell’anziano”.La proposta, dichiarano in Fondazione Carige – “interlocutore più logico, ma non l’unico” – è interessante ma cercano di individuare “un meccanismo che davvero funzioni bene”.Utile riflettere su alcune voci del bilancio 2010 della Fondazione Carige: Restauro di Palazzo Doria (anche detto Carcassi) 2.800.000 euro, Fondazione Palazzo Ducale per la Cultura 300.000 euro, realizzazione del 3° Volume “Storia della Liguria” 250mila Euro, Agesci Guide e Scout Cattolici Genova per la realizzazione di una struttura ricettizia per casa vacanze nel Comune di Urbe, 140mila euro. Al Comune di Genova per l’iniziativa “Il Comune di Genova e le azioni di welfare progetti innovativi” euro 2.500.000, per la “cassetta benefica” del sindaco euro 40mila.Il Movimento Sportivo Popolare ha usufruito dello stanziamento di 500mila euro ma il sito, che letteralmente si può definire “spaziale”, sulla pagina ligure non offre una visione d’insieme delle attività svolte. Il progetto MareTerra di Liguria, http://www.fondazionecarige.it/MareTerra%20di%20Liguria2011.pdf presentato dalla Slow Food di Bra – città natale di Carlo Petrini – ha goduto di 400mila euro ed è volto a favorire e rilanciare lavorazioni e prodotti tipici liguri. Il Comune di Triora di Imperia per “il completamento dei lavori di restauro di Palazzo Stella da adibire a Museo internazionale della Stregoneria” ha ricevuto 50mila Euro.Il comune di Lumarzo ha ricevuto 20mila euro per la manifestazione Hello Frank, tributo a Frank Sinatra: stessa cifra riconosciuta alla Chance Eventi per il Suq.L’Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici, Sezione Liguria ha ricevuto 10mila euro, mentre 6mila euro, sono stati equamente distribuiti tra Sampdoria Club Carige Genova e Genoa Club dipendenti Gruppo Carige. La Fondazione Carige ha stanziato per “arte, attività e beni culturali” 5.937.000 Euro a fronte dei 646.300 devoluti all’assistenza anziani. Che non sembrano in vetta alle priorità della fondazione. Forse le loro proprietà immobiliari potrebbero modificare l’ago del bilancio.Molti importi sono stati distribuiti per restauro di parrocchie, diocesi, monasteri, ma anche in ricerca, sanità, volontariato.Si tratta di un bilancio caleidoscopico i cui colori possono suscitare apprezzamento o profondo stupore, per questo invitiamo i lettori a consultarlo (http://www.fondazionecarige.it/Bilanci.html), affinché, con il loro aiuto, le voci trovino una ragione degna della mission alla quale sono ispirate.
(Giovanna Profumo) -
OLI 307: ANZIANI – Stoccolma, Rivarolo e le inaugurazioni del PD
La casa di riposo è a Solna.
Il centro di Stoccolma è a quindici minuti di metropolitana.La casa di riposo è il ricordo di un viaggio dell’estate scorsa.All’estero, in certi luoghi, ci si finisce per accompagnare qualcuno in visita. E’solo il caso che ti ci porta e non fanno mai parte dell’album di fotografie.La casa di riposo di Solna a Stoccolma è una palazzina liscia liscia che affaccia sulla strada principale. Chi accompagno mi spiega che i degenti sono tendenzialmente divisi per età, ad ogni piano corrisponde una fascia di tempo. L’ultimo piano, quello più vicino al paradiso è per i più anziani. Il reparto è accogliente come la hall di un albergo: divani svedesi, televisore, sala da pranzo spaziosa che un’addetta sta spazzando dopo cena, l’ora del nostro arrivo. Una porta a finestre è spalancata su un lungo balcone pieno di piante. La luce del tramonto schianta sui pensili allineati su tutta una parete. Nella sala accanto un gruppo di ospiti chiacchiera.La porta della stanza dell’anziana è preceduta da una targhetta con il suo nome ed una fotografia nella quale è inquadrata assieme alla persona che più si occupa di lei nel reparto. E’ uno scatto amicale. All’interno, un grande bagno per disabili precede sulla sinistra una camera spaziosa con cucinino e frigo. La stanza è arredata con alcuni oggetti cari alla donna: un tavolino da tè, un bureau, due poltrone e alcuni quadri che l’hanno accompagnata tutta una vita.Lì i degenti fanno molte attività. Chi può esce e vive il quartiere. Ed è assolutamente normale che l’assistenza all’anziano venga fornita al massimo livello, al di là del reddito. La casa di riposo di Solna è pagata dalle pensioni dei degenti stessi.Sul Secolo XIX , nei giorni scorsi, un’inchiesta ha svelato il livello di assistenza fornita in alcune case di cura genovesi. Anziani affamati, fatti dormire nel “locale destinato alle attività riabilitative”, parcheggiati davanti al televisore ore ed ore, messi a letto subito dopo cena e alzati all’alba il mattino successivo.Molti dettagli atroci sono stati forniti dalla lettera di Marta Bianchi apparsa il 27 giugno sul SecoloXIX.
Marta Bianchi è lo pseudonimo di una dipendente di “Anni azzurri – Sacra Famiglia di Rivarolo”. Prima di essere trasferita lì, spiega, lavorava alla “Casa Protetta Villa San Teodoro, piccola struttura con soli 18 anziani, con addirittura certificazione di qualità, già lodata dal Cardinal Bagnasco e dal sindaco Vincenzi, che dopo le lodi (“fiore all’occhiello per il Comune” la definì) nulla fece per evitarne la chiusura. Ciò permise, guarda caso, alla Sacra Famiglia di aprire con largo anticipo i battenti assorbendo qualche dipendente e 17 dei 18 anziani. La metà dei quali morì nei primi sei mesi dal trasferimento”.Nel 2009 su Oli 227 Paola Pierantoni, occupandosi di assistenza pubblica, forniva dettagli sull’evento: “L’inaugurazione più recente, celebrata in grande spolvero, è quella della struttura “La sacra famiglia” di Rivarolo, che ha avuto il privilegio di una procedura di accreditamento insolitamente rapida. Pare che la qualità della residenza sia ottima. Di certo ottima è la stampa di cui gode sul sito del PD”. (*)(Giovanna Profumo)





