Categoria: Saleh Zaghloul

  • OLI 272: POLITICA – Aspettando la goccia che fa traboccare il vaso

    Dopo l’ultima volgarità sull’acronimo SPQR Bossi si è scusato, secondo la solita prassi di lanciare insulti e fare stentate retromarce in caso di necessità.
    Così la questione di fiducia sul suo nome è rientrata, e tutto si è ricomposto. Chissà fin dove arriverà la capacità di tolleranza di questo nostro disgraziato paese.
    Ogni tanto, tuttavia, arriva qualche segnale che ci fa sperare che il vaso sia ormai pieno e inizi a traboccare. Ad esempio, tra i molti motivi per cui Fini, cofondatore del PDL, è in rotta di collisione con Berlusconi c’è anche la radicale diversità delle sue posizioni su unità di Italia, federalismo e immigrazione rispetto a quelle che la Lega impone alla agenda del governo. Casini ha assunto una ferma posizione contro l’ipotesi di poter entrare al governo con la Lega. Inoltre è emblematico il duro attacco dell’associazione Italiafutura, vicina all’ex presidente di Confindustria Montezemolo, dove in un editoriale intitolato “I fatti di chi produce e le parole (e gli insulti) di chi ha fallito”, la Lega viene ritenuta “corresponsabile di 16 anni di non scelte, che hanno portato il Paese a impoverirsi materialmente e civilmente”, mentre Bossi è giudicato incapace di portare i risultati attesi dal suo stesso elettorato “Guardare alle promesse sul federalismo per credere. Dubitiamo infatti che i suoi elettori l’abbiano mandato in Parlamento per difendere Cosentino o Brancher. Ha ragione Bossi: in Italia (e in particolare nella sua Padania immaginaria) la chiacchiera va per la maggiore e delle parole a vanvera di una classe politica screditata gli italiani ne hanno piene le tasche.”
    Perfino Eric Almqvisti, portavoce di Sverigedemokraterna, il partito di estrema destra che ha regsitrato un imprevisto successo in Svezia sollevando allarme in tutta Europa, prende le distanza dalla “nostra” Lega Nord. Infatti in una intervista al Sole 24ore del 18 settembre scorso aveva dichiarato: “Abbiamo avuto qualche incontro con Alleanza Nazionale e con la Lega Nord ma niente di più, anche perché loro sono molto più radicali di noi … noi siamo pronti ad accogliere chi scappa dai propri paesi perché in pericolo, come gli iraniani e gli iracheni. Non possiamo permetterci quelli che non vogliono diventare parte della nostra società”. Questo partito xenofobo che non propone di bombardare i mezzi che trasportano gli immigrati o di respingerli senza verificare se tra essi vi siano persone che possono chiedere asilo o assistenza umanitaria, è comunque isolato e nessuno dei due schieramenti di centro destra e centro sinistra svedesi intende governare con esso.
    Sperare che succeda lo stesso al partito degli xenofobi in Italia è troppo?

    (Saleh Zaghloul)

    OLI 272: SOMMARIO

     

  • OLI 270: SOCIETA’ – Velo integrale, il centro destra perde la bussola

    Dall’articolo de La Stampa del 15 luglio “E la battaglia contro il niqab parla l’arabo”, si evince che il centro destra (e lo stesso giornale), per sostenere la propria proposta di proibire il velo integrale in Italia, prende esempio dai paesi arabi, che hanno proibito il velo, licenziato le donne con il velo, non le fanno salire in taxi, entrare nei ristoranti, avvicinarsi alla spiaggia. Il centro destra non vive un momento particolarmente felice, ma non ci si aspettava che la confusione fosse a questi punti: da una parte sostiene che tutti i paesi del Medio Oriente sono governati da regimi non democratici, dall’altra ci invita a prenderli come punto di riferimento per le nostri leggi.
    Ahmad Gianpiero Vincenzo, presidente dell’Associazione Intellettuali Musulmani Italiani, afferma che: “con una legge contro il burqa si otterrebbe solo che le donne in questione, per fortuna molto poche in Italia, resterebbero segregate in casa. Piuttosto andrebbero varate norme che garantiscano l’assistenza sociale contro le discriminazioni ed i comportamenti forzati all’interno delle famiglie”.
    A parte intellettuali musulmani, sinistra italiana, francese ed araba, è stato lo stesso presidente Barak Obama, l’8 giugno 2009, nel suo famoso discorso del Cairo ad invitare i paesi occidentali a non ostacolare i musulmani nella pratica della loro religione, criticando quei paesi che dettano “gli abiti che una donna deve portare”. Coerentemente, alcuni giorni fa, il portavoce del Dipartimento di Stato USA, Philip Crowley, ha dichiarato l’opposizione di Washington al disegno di legge volto a proibire l’uso del velo integrale nei luoghi pubblici in Francia: “non crediamo sia opportuno legiferare su ciò che le persone hanno diritto o non hanno diritto di indossare in conformità con le loro credenze religiose”. Ed ha aggiunto che negli Stati Uniti adottiamo altre misure per raggiungere un equilibrio tra sicurezza da un lato e il rispetto della libertà religiosa e dei suoi simboli dall’altro.
    Il centro destra, portato alla confusione da atteggiamenti xenofobi e islamofobi di alcuni suoi personaggi, sembra aver completamente perso la bussola: ma siamo così convinti che in questioni di libertà e democrazia sia meglio seguire i regimi arabi piuttosto che gli Stati Uniti d’America?
    (Saleh Zaghloul)
  • OLI 269: INFORMAZIONE – Bavaglio globale

    La Cnn ha licenziato Octavia Nasr, giornalista, esperta in Medio Oriente e sua dipendente da vent’anni, per aver scritto sulla sua pagina personale di Twitter un messaggio in cui esprimeva ”rispetto” per l’imam  Mohammed Hussein Fadlallah, considerato il padre spirituale degli Hezbollah, morto la settimana scorsa in Libano dopo una lunga malattia. Octavia, cristiana di origine palestinese, nata in Libano, aveva scritto di aver appreso della morte di Fadlallah, ”uno che rispetto molto”.
    In un altro messaggio su Twitter la Nasr aveva cercato di correggere il tiro: ”sembrava che appoggiassi tutte le opinioni di Fadlallah. Non è così.”, ed ha spiegato che il ”rispetto” per l’imam era legato alla sua posizione a favore dei diritti delle donne. La giustificazione non è bastata alla Cnn: ”La sua credibilità per occuparsi di affari mediorientali è compromessa”, ha detto Parisa Khosravi, vice-presidente della rete per gli affari internazionali. 
    “Succede negli Stati Uniti, patria della libertà d’opinione e di stampa” commenta il sito di Repubblica dell’8 luglio. Mentre la notizia è condannata nella stampa e nei siti arabi chiedendo “dove è la libertà d’opinione e di stampa negli USA?”. La stampa americana viene descritta come faziosa e che usa due pesi e due misure. Gihad Al Khazen, sul quotidiano arabo di Londra Al Hayat del 12 luglio, ha scritto un articolo nel quale dice di conoscere personalmente Octavia Nasr e che non è certamente sostenitrice di Hezbollah o dell’Iran, ma ha solo espresso la sua ammirazione per un leader spirituale libanese.
    Al Khazen riporta i casi di Wolf Blitzer, uno dei maggiori presentatori della Cnn, un ebreo americano che ha lavorato nella lobby israeliana (AIPAC), ma la sua credibilità non è stata messa in discussione; e del direttore dell’ufficio di New York Times a Gerusalemme Ethan Bronner, difeso dal giornale quando è emerso che suo figlio era arruolato nell’esercito israeliano. “Solo Octavia – scrive Al Khasen – paga per un paio di parole su un defunto leader religioso. Cosa sarebbe successo – si domanda Al Khazen – se Octavia avesse un figlio di Hezbollah? E’ una domanda assurda perché non sarebbe nemmeno arrivata alla Cnn o al New York Times”.
    Il sito della Tv satellitare Al Arabia (emittente saudita concorrente di Al Jazeera) riporta l’articolo di Iyad Abu Shaqra nel quale ricorda un’altra donna americana di origine araba, che ha subito lo stesso trattamento di Octavia. Si tratta di Helene Tomas, 89 anni, decana dei giornalisti della Casa Bianca, anche lei d’origine libanese, costretta a dimettersi accusata “di antisemitismo per aver criticato il colonialismo israeliano durante un dialogo verbale”. Abu Shaqra riporta inoltre l’esempio della giovane di origine libanese Rima Faqih, vincitrice di Miss USA 2010, accusata di essere simpatizzante di Hezbollah.   

    (Saleh Zaghloul)

  • Oli 268: POLITICA – Gli arabi scoprono una Turchia amica

    Solo dopo l’intensissimo contatto della Turchia con la questione principale dei cittadini arabi, la Palestina, questi ultimi si sono accorti dei cambiamenti che, da almeno quindici anni, coinvolgono la realtà turca. Gli arabi da sempre hanno “un’antipatia” per la Turchia, a causa dei 500 anni di dominio ottomano del loro territorio e per la continua “occupazione” della regione di Iskenderun. Gli islamici arabi, che continuavano a difendere il califfato islamico ottomano, cambiano atteggiamento quando Kamal Ataturk realizza la trasformazione laica della Turchia. All’antipatia di nazionalisti ed islamici si aggiunge quella della sinistra e dei progressisti arabi perché la Turchia fa parte della Nato, perché la sua alleanza con Israele è da sempre strategica e militare e perché ha sempre negato il diritto all’autodeterminazione dei Curdi.    
    Le cose iniziano a cambiare dopo la ferma solidarietà della Turchia ai palestinesi di Gaza durante la feroce aggressione israeliana del gennaio 2009, operazione “Piombo fuso”, dove, secondo l’ONU ed il rapporto Goldstone, sono stati commessi crimini di guerra. Il cambiamento vero e proprio è di questi giorni dopo la solidarietà turca con i pacifisti aggrediti (nove persone uccise) dalla marina israeliana in acque internazionali durante il loro tentativo di rompere l’assedio imposto dagli israeliani alla popolazione palestinese di Gaza (assedio considerato recentemente insostenibile dallo stesso presidente americano Barak Obama). Le foto del premier turco Erdogan sono apparse nelle ultime manifestazioni popolari accanto a quelle dei leader arabi più amati come Nasser ed Arafat, e in certi paesi arabi stanno sostituendo le foto di Khomeini e di Ahmadinejad.        
    La Turchia, paese europeo che fa parte della Nato, governata da un partito di ispirazione islamica che assomiglia a quel che era la Democrazia Cristiana italiana, può mediare tra “occidente” e aspirazioni del suo ambiente mediorientale (al quale sembra rafforzare la propria appartenenza) per una pace duratura nella regione e nel mondo. Occorre però non cadere nella solita trappola dei guerrafondai che hanno già iniziato a diffondere il vecchio disco di una Turchia antisemita, amica degli integralisti e dei terroristi. La trasformazione della Turchia in un altro Iran servirebbe solo a destabilizzare la regione e renderebbe ancora più esplosiva la situazione. Occorre invece che la Turchia faccia al più presto parte dell’Unione Europea.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 267: SPORT- Per chi tifano i palestinesi

    Nell’articolo di Mara Vigevani che il Secolo XIX del 17 giugno pubblica in prima pagina (quando è da trentesima) si afferma che i palestinesi tifano per il Brasile “probabilmente grazie all’amicizia tra Lula e Ahmadinejad.”
    Una strumentale e falsa provocazione forse dovuta alla disinformazione dell’autrice. I palestinesi non tifano Brasile per la presunta amicizia (da verificare anche questa) tra Lula e Ahmadinejad. Non c’entra nulla Ahmadinejad e non si poteva dire cosa più stupida. Ma, semplicemente perché nessuna squadra nazionale rappresenta il calcio come il Brasile. Perché Pelé, Zico, Socrates, Falcao, Ronaldo, Roberto Carlos, Ronaldinho, Kakà, Maicon, Robinho sono brasiliani e perché nessuna nazionale di calcio ha vinto quanto il Brasile (5 coppe del mondo). Chi ama il calcio, e non ha una nazionale di calcio a rappresentarlo nel mondiale, può facilmente tifare Brasile. La Palestina, si sa, non è presente ai mondiali sudafricani, non ha superato la fase eliminatoria. E’ normale, visto che ha ottenuto l’iscrizione Fifa solo nel 1998 in seguito alla nascita nel 1994 dell’Autorità Nazionale Palestinese con Arafat come presidente. Chissà quante coppe del mondo avrebbe vinto se avesse avuto la possibilità di continuare il suo cammino calcistico … Infatti, la Palestina era l’unico paese asiatico e arabo (insieme all’Egitto) a partecipare alla fase eliminatoria per la qualificazione ai mondiali di calcio del 1934. La fondazione dello Stato di Israele nel 1948 e la dispersione dei palestinesi in vari paesi ha interrotto questo cammino.
    In realtà i palestinesi non tifano solo Brasile ma, come tutti gli amanti di questo sport, distribuiscono il tifo a tutte le squadre che esprimono un buon calcio. So di una famiglia di Gaza dove il padre tifa per il Brasile, la madre per l’Argentina e le due figlie per la Spagna, tutta la famiglia però è unita nel tifo per l’Algeria, l’unica squadra araba presente in Sud Africa. Ma questa famiglia, come tutti i palestinesi di Gaza, non riesce a fare il tifo “in pace” a causa della continua interruzione della corrente elettrica per l’assedio israeliano.    
    Durante i mondiali di Spagna nel 1982, vinti dall’Italia, il poeta palestinese Mahmud Darwish nel suo libro “Una memoria dell’oblio” (Juovence Editore), ha dedicato all’Italia e a Paolo Rossi una prosa poetica di rara bellezza, forse la più bella scritta sul calcio. Allora Darwish guardava le partite in un rifugio nella Beirut assediata e bombardata per circa tre mesi dall’esercito israeliano che aveva invaso il Libano, portando ai massacri di Sabra e Shatila. I palestinesi allora facevano il tifo per l’Italia, ma erano altri tempi ed era un’altra Italia quella di Andreotti, Craxi, Berlinguer e Pertini che solidarizzava con Arafat e con i palestinesi.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 264: SOCIETA’ – Razzismo insinuante

    Il nuovo razzismo, quello più pericoloso, non dichiara apertamente la propria natura. Non dice di essere contro i migranti, i neri, i rom, i musulmani, gli ebrei in quanto tali. Hitler ed il regime dell’apartheid in Sud Africa, grazie a dio, sono stati sconfitti. Il nuovo razzismo ha imparato a nascondersi, preferisce esordire con la frase “non sono razzista, ma …”, dopo di che possono seguire una marea di parole di ogni brutalità. Non sono razzista “ma i migranti rubano il lavoro, sono ladri, vendono droga, stuprano le donne” … ecc. In certi casi le frasi con il “ma” fanno anche morire dal ridere (per non piangere) come quella raccolta da un giornalista di l’Unità nei primi anni novanta: “Io non sono razzista, sono loro che sono arabi”.
    Alcuni razzisti dopo aver articolato e dettagliato cose evidentemente false contro “gli altri” si permettono di spingersi a dire: “Se questo è razzismo allora sono razzista”. Per certe figure (ministri, preti, ecc.), non completamente stupide, la regola è nascondere totalmente il proprio razzismo. Ma anche loro alle volte scivolano e dicono cose che fanno ridere.
    Don Valentino Porcile, parroco di una delle chiese di Cornigliano, ha scritto una lettera per allontanare i Rom dalla propria parrocchia. Dice al Secolo XIX del 3 giugno che non c’entra il razzismo contro i Rom: “ Qui la razza non c’entra nulla, è in ballo solo la sicurezza e la tranquillità di persone deboli e anziane … Tempo fa, quando il pericolo e le intimidazioni furono portati da un gruppo di sudamericani, non esitai a prendere una posizione simile nei loro confronti”.
    Tempo fa, inoltre, don Valentino Porcile era sempre in testa alle manifestazioni contro la moschea a Cornigliano, non certo perché è contro il diritto di culto dei musulmani, assolutamente no, ma per questioni di traffico, parcheggi e cose del genere.
    Mi chiedo cosa direbbe Gesù ad un parroco che allontana i deboli dalla propria parrocchia. I musulmani credono che Gesù non sia morto, ma sia vivo in cielo e per la maggior parte di loro un giorno ritornerà e tornerà sulla terra per guidare la vittoria finale del bene contro il male. Visto che il suo ritorno non sembra imminente, non c’è nessun altro, a parte Don Gallo, sulla terra di Genova che possa spiegargli che per un sacerdote la “mia gente” sono tutti?
    (s.z.)
  • OLI 264: IMMIGRAZIONE – Quando ad essere incostituzionale è una legge del centro – sinistra

    La Corte Costituzionale con sentenza n. 187/2010 del 26 maggio, ha dichiarato l’illegittimità’ costituzionale dell’art. 80, comma 19, L. 388/2000, nella parte in cui richiede il possesso della Carta di soggiorno ai fini della concessione agli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell’assegno mensile di invalidità.

    Per ottenere la Carta di soggiorno la legge sull’immigrazione richiede il possesso di un reddito minimo ed il soggiorno in Italia da almeno 5 anni. Di recente, la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittimo ed illogico che si richiedesse indirettamente la disponibilità di un reddito per l’erogazione di misure mirate a supplire all’incapacità della persona di produrre reddito. Rimaneva, però, il requisito di soggiorno quinquennale.

    Ora la Corte dichiara illegittimo (in materia di assistenza destinata a garantire il sostentamento minimo della persona), qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti fondato su requisiti diversi dalle condizioni soggettive. Ciò contrasta con il principio sancito dall’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come esso e’ interpretato dalla Corte di Strasburgo.

    La sentenza dà quindi un colpo definitivo ad una norma (art. 80, comma 19, L 388/2000) che usava la Carta di soggiorno (introdotta per semplificare la vita burocratica di chi soggiorna in Italia da più di 5 anni), per escludere molti cittadini immigrati dal diritto alle misure di assistenza sociale.

    Tale norma è stata introdotta, appunto, nella legge finanziaria del 2000. Allora non governavano Bossi e Fini ma un governo di centro sinistra (Ulivo, PDCI, UDEUR, Indipendenti): presidente del consiglio Giuliano Amato, ministro della solidarietà sociale Livia Turco, ministro della Economia e delle Finanze Ottaviano del Turco. Questo spiega il grande ritardo della politica sull’immigrazione e la grande fatica che incontra l’integrazione nel nostro paese.

    (s.z.)

  • OLI 263: SPORT – Vince il calcio sentimentale e multietnico

    In tempi di migrazione consistente e di fronte ad un paese di fatto già multietnico il calcio italiano è in ritardo così come la politica e l’informazione: il commissario tecnico della nazionale italiana di calcio ha solennemente dichiarato qualche mese fa: “È bellissimo lo spirito di questi giocatori con il doppio passaporto che avvertono questo richiamo verso la maglia azzurra, ma non vogliamo fare una Nazionale con tantissimi elementi con queste caratteristiche”. E recentemente parlando dell’Inter, Lippi ha detto che è una “grandissima squadra, ma non è italiana”.

    Malgrado la chiusura e il “nazionalismo” del calcio italiano e di chi lo governa, malgrado un ambiente ostile e qualche volta corrotto (vedi calciopoli), l’Inter non ha rinunciato al suo carattere multietnico: giocatori italiani e di tante altre nazionalità (argentina, brasiliana, romena, serba, olandese, colombiana, ecc.), africani, zingari e musulmani (prima di Muntari c’è stato l’algerino Madjer (*) il “Tacco di Allah”). Squadra vincente e piena di “stranieri”, squadra lombarda e “badana”, esempio della forza vincente dell’integrazione e della convivenza multietnica è una presenza che, in modo naturale ma molto efficace, rende felici gli antirazzisti e disturba, sconcerta e da fastidio a nazionalisti, xenofobi e razzisti.
    Non occorreva la vittoria in Champions, la tripletta o i cinque scudetti vinti di fila per capire la grandezza dell’Inter. Da piccoli ci insegnavano che nello sport, come nella vita, è importante la partecipazione e non la vittoria sempre ed a qualunque costo. Rispetto alle altre squadre c’è qualcosa di diverso nell’Inter, un qualcosa che rende più umano un calcio degenerato: qualcosa di sentimentale, di gentile, di rispettoso, di generoso e di sportivo ed è rappresentato da Massimo Moratti. Una figura unica nel calcio italiano, c’era soltanto un altro che gli assomigliava: Paolo Mantovani il presidente della Sampdoria che ha vinto lo scudetto.
    * Nella stagione 1988/89, l’acquisto di Rabah Madjer, è ufficiale, con tanto di presentazione alla stampa e foto ricordo. Ma dalle visite mediche emerge un infortunio grave che fa saltare l’ingaggio.