Categoria: Saleh Zaghloul

  • OLI 334: BUROCRAZIA – I migranti esclusi dalle semplificazioni

    In base alla legge 183/2011, i certificati rilasciati dalla Pubblica Amministrazione devono essere sostituiti da dichiarazioni sostitutive di certificazione o di atto di notorietà e le amministrazioni e i gestori di pubblici servizi non possono più accettarli né richiederli: la richiesta e l’accettazione dei certificati costituiscono violazione dei doveri d’ufficio. Da questo positivo provvedimento di semplificazione sono esclusi i cittadini immigrati. Una circolare del ministero dell’Interno, infatti, dispone che continua a prevalere una norma del regolamento d’attuazione del Testo Unico sull’immigrazione risalente al 1999 in base al quale l’uso da parte dei migranti delle dichiarazione sostitutive non è consentito quando l’esibizione o la produzione di specifici documenti è prevista dal Testo Unico (1998) e dallo stesso Regolamento (1999).
    Ad esempio, si continuerà a chiedere agli immigrati che presentano domanda di ricongiungimento familiare di consegnare il certificato di idoneità igienico sanitaria dell’alloggio, questo certificato viene rilasciato da un geometra iscritto al collegio dei geometri laureati della provincia di Genova e costa circa 70 euro. Dal 1998 fino al 2002 lo stesso certificato veniva rilasciato dagli uffici comunali costando circa 3 euro. Vi si attestava che l’alloggio non presentava problemi igienico sanitari, mentre in questura veniva calcolato il numero massimo delle persone che potevano abitarvi, in base al numero delle stanze.
    Si continuerà dunque a chiedere agli immigrati di produrre altri certificati come ad esempio il certificato del casellario giudiziario e il certificato delle iscrizioni relative ai procedimenti penali in corso quando presentano domanda di carta di soggiorno.
    Tutti questi certificati, ed altri ancora, non hanno alcuna ragione di essere chiesti ai migranti, in presenza delle nuove norme sulla semplificazione entrati in vigore dal 1 gennaio 2012, e dovrebbero essere sostituiti con le autocertificazioni in quanto riguardano “stati, fatti e qualità personali certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici o privati italiani”, ma saranno sempre richiesti ai migranti a causa, come denunciano le segreterie nazionali di CGIL, CISL, UIL e ACLI in una lettera aperta ai ministri Cancellieri e Griffi, del ritardo nelle procedure di dialogo informatico tra le banche dati delle varie amministrazioni.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 333: IMMIGRAZIONE – La promessa di Monti

    Disegno di Guido Rosato

    Insieme alla questione della tassa sui permessi di soggiorno pare che il governo intenda intervenire anche sulla loro durata, per tentare di rendere più efficiente una politica fino ad ora irrazionale e contraddittoria su rilascio e rinnovo, e dunque sulla regolarità della presenza degli immigrati.
    Da una parte circa ogni cinque anni dal 1987, si faceva una regolarizzazione degli immigrati rilasciando ogni volta centinaia di migliaia di permessi a chi era presente irregolarmente, dall’altra parte al primo rinnovo si adottavano interpretazioni talmente restrittive da rendere molto difficile il loro rinnovo.
    Quando avveniva, moltissimi non rientravano nei paesi d’origine e finivano per rientrare in clandestinità, rimanendo a lavorare in nero aspettando la successiva sanatoria.
    Con l’approvazione della legge Bossi-Fini (L.189/2002) il numero dei permessi di soggiorno non rinnovati è aumentato da decine di migliaia a centinaia di migliaia: secondo il Dossier Caritas 2011, nel solo 2010 i permessi di soggiorno non rinnovati sono stati 684.413.
    La Bossi-Fini ha condizionato il rinnovo del permesso di soggiorno al possesso di un contratto di lavoro quando, precedentemente, con la legge Martelli (39/90) e la legge Turco Napolitano (40/98), era possibile rinnovare il permesso anche attraverso la dimostrazione di un reddito sufficiente, e coloro che non riuscivano a dimostrare il reddito e non avevano un contratto potevano comunque iscriversi al collocamento per un periodo non inferiore a 12 mesi.
    Inoltre la Bossi-Fini ha ridotto sensibilmente la durata dei permessi, moltiplicando le fasi di rinnovo e di conseguenza le occasioni di perdita del titolo di soggiorno.
    La legge Martelli e la legge Turco-Napolitano prevedevano per il primo rilascio una durata biennale dei permessi per lavoro e famiglia, ed al rinnovo una durata non inferiore al doppio della precedente (4 anni).
    La Bossi-Fini ha invece legato la durata del permesso alla durata del contratto di lavoro, limitandone la durata massima ad un anno quando il contratto è a tempo determinato e a due anni quando è a tempo indeterminato. Oltre a ciò è stato eliminata la previsione del  raddoppio della durata al momento del rinnovo, per cui il nuovo permesso non può avere una durata superiore alla precedente.
    L’anno seguente è entrata in vigore la legge 30/2003 sul mercato del lavoro, con contratti di lavoro delle durate più brevi possibili: i precari e le altre categorie più deboli sono divenuti i più esposti a perdere il permesso di soggiorno, essendo soggetti a rinnovi con tempi ravvicinati (ricordiamo che tra l’altro ogni rinnovo costa circa settantatre euro).
    E’ quindi necessario ed opportuno ritornare, almeno, alle norme della legge Turco-Napolitano.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 332: ESTERI – Siria, Adonis contro il regime e contro l’opposizione fondamentalista

    La Siria è terra di poeti, ha regalato agli arabi e a chi vuole nel mondo intero almeno tre dei più importanti poeti arabi contemporanei: uno è senz’altro Adonis, 82 anni, più volte candidato al premio Nobel, vincitore dell’ultima edizione (2011) del prestigioso premio Goethe; nel nostro paese ha ricevuto il premio Nonino per la poesia (1999) ed il premio Lerici Pea per l’Opera Poetica (2000).
    Il grande poeta siriano è da sempre impegnato per la libertà, la democrazia e soprattutto per uno sviluppo laico del mondo arabo. Dopo un anno e mezzo nelle carceri siriane nel 1956 per attività di opposizione, va in esilio prima in Libano fino al 1982 e poi in Europa.
    Intervistato l’11 febbraio scorso dal giornale austriaco Profil, Adonis dice che egli è contro il regime siriano ma è anche contro l’opposizione composta da una stragrande maggioranza di fondamentalisti islamici; dice di non volere cambiare una dittatura militare con una peggiore dittatura religiosa e dichiara la propria contrarietà ad interventi esterni in particolare ad intervento militare che avrà gli effetti distruttivi avuti in Iraq. “Non capisco come è possibile chiedere agli stessi che hanno colonizzato la Siria di liberare il popolo siriano”. Egli non crede che l’occidente sia interessato alla liberazione dei popoli arabi: “fosse vero l’Occidente sarebbe intervenuto prima di tutto per liberare il popolo palestinese che soffre da 50 anni una sistematica oppressione e distruzione”. Adonis racconta di essere stato entusiasta all’inizio delle rivolte arabe in Tunisia e Egitto, di aver scritto qualche poesia ispirato da esse, ma dopo la vittoria dei movimenti islamici nelle elezioni egli ha cambiato idea: “non basta la democrazia delle elezioni, anche Hitler è arrivato al potere attraverso le elezioni”. Per Adonis le rivolte arabe sono più vicine al medioevo che all’era moderna: “non ci sono possibilità di un vero cambiamento senza la laicità, senza separare religione e stato e senza la totale parità dei diritti per le donne. La dittatura militare controlla la mente mentre quella religiosa controlla la mente, il corpo e la vita quotidiana; è una dittatura totalitaria”. Le dittature devono andarsene – dice Adonis – e bisogna continuare la lotta contro di esse ma liberi di ogni ideologia religiosa. “Dobbiamo chiederci quale regime verrà al posto di questo e non bisogna dimenticare che nella regione c’è già un paese che ha la religione come base ed è Israele, e non abbiamo bisogno di altri regimi religiosi”. Per Adonis esistono i musulmani moderati ma non i movimenti islamici moderati. “Il movimento dei fratelli musulmani è un movimento fascista ed è oggi sostenuto da Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Israele con l’obbiettivo distruggere l’asse composto da Iran, Siria e Hezbollah. Se davvero l’occidente vuole un Islam moderato dovrebbe iniziare ad instaurarlo in Arabia Saudita”. Alla domanda se pensa dunque che il mondo arabo abbia perso la battaglia per la libertà e la democrazia Adonis risponde di si.
    I laici democratici nel mondo arabo sono oggi divisi in una parte che condivide il pessimismo di Adonis ed un’altra che continua a sperare: da più di un anno i cittadini arabi continuano a riempire le piazze e le strade, anche in Tunisia ed Egitto e finché la lotta continua nelle piazze c’è speranza.
    (Saleh Zaghloul)


  • OLI 325: IMMIGRAZIONE – Modificate la legge più censurata dalla Corte Costituzionale

    La Corte Costituzionale con la sentenza n. 329, del 12 dicembre 2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge 388/2000 (legge finanziaria 2001), nella parte in cui chiede il possesso della carta di soggiorno per la concessione ai minori immigrati legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, della “indennità di frequenza” per i minori invalidi. Si tratta di una indennità concessa ai mutilati e invalidi civili minori di 18 anni “per il ricorso continuo o anche periodico a trattamenti riabilitativi o terapeutici a seguito della loro minorazione”. Tale norma, secondo la suprema Corte, priva il minore immigrato disabile, anche regolarmente soggiornante, di diritti fondamentali (all’istruzione, alla salute e al lavoro) in violazione della Costituzione italiana e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
    La legge 388/2000, del centro sinistra, è a questo punto, forse, il provvedimento normativo più censurato dalla Corte Costituzionale (un altro provvedimento che compete per avere questo titolo è il pacchetto sicurezza del centro destra). Numerose sono infatti le sentenze che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di questa legge nelle parti che richiedono il requisito della carta di soggiorno per l’accesso degli immigrati regolari alle provvidenze ed alle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale (esempio: assegno sociale, assegno di invalidità).
    La Carta di soggiorno è rilasciata a chi possiede un determinato livello di reddito, e soggiorna regolarmente da almeno cinque anni. E’ stata istituita per semplificare il soggiorno di chi vive in Italia da lunghi anni e la suprema Corte ha più volte sentenziato che non deve essere usata per escludere gli immigrati dal diritto alle misure di assistenza sociale. Modificando le parti censurate della legge 388/2000 (comma 19 art.80), non solo si ristabilisce lo stato di diritto e si aiuta l’integrazione, ma si alleggeriscono i nostri tribunali, e la stessa Corte, di una grande mole di lavoro.
    (Saleh Zaghloul – Disegno di Guido Rosato)

  • OLI 324: IMMIGRAZIONE – Il decreto Salva-Italia interviene positivamente sui permessi di soggiorno

    Il decreto salva-Italia interviene anche sui permessi di soggiorno dei migranti e lo fa positivamente operando la seguente modifica al Testo Unico sull’Immigrazione: “In attesa del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno (…), il lavoratore straniero può legittimamente soggiornare nel territorio dello Stato e svolgere temporaneamente l’attività lavorativa”. La validità ai fini del soggiorno e del lavoro della ricevuta della domanda di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno diventerebbe così una disposizione legislativa. Si trattava infatti di una buona prassi adottata dal 2001 a Genova (unica città in Italia) e dal 2006 in tutto il territorio nazionale. Nel 2001 la Cgil di Genova aveva contrattato l’emanazione di tre circolari da parte dei Centri per l’Impiego, Asl e Anagrafe con le quali si disponeva la validità della ricevuta della presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno ai fini dell’avviamento al lavoro, dell’assistenza sanitaria e dell’iscrizione anagrafica. Nel 2006 l’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato emana la direttiva del 5 agosto che estende questa buona prassi a tutto il territorio nazionale.
    Con l’approvazione del decreto salva-Italia questa prassi amministrativa intelligente viene elevata al rango di disposizione di legge risolvendo non pochi problemi interpretativi che provocavano diverse applicazione. E’ significativo che questo provvedimento sia inserito nella manovra economica che intende salvare il nostro paese, i tecnici liberi da puri calcoli elettorali si rendono conto e riconoscono l’importanza del contributo del lavoro dei migranti alla crescita. Consolidando, infatti, la regolarità del soggiorno si combatte il lavoro nero dei migranti favorendo i contratti di lavoro regolari ed assicurando alle casse di stato i relativi contributi Inps, Inail, Irpef e le altre imposte.
    Ci sarebbero molti altri provvedimenti di consolidamento della regolarità del soggiorno e di ampliamento dei diritti di cittadinanza che avrebbero effetti moltiplicatori del contributo degli immigrati alla crescita del Paese, rendendolo allo stesso tempo più vivibile e civile. L’auspicio è che questo sia soltanto un primo passo nella giusta direzione.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 322: DIRITTI – Cittadinanza, in coda all’Europa

    La Francia ha iniziato ad accogliere gli immigrati negli anni quaranta del secolo scorso, cinquant’anni prima dell’Italia. Gli immigrati in questo paese dovrebbero essere molto più numerosi che in Italia, invece no, abbiamo superato, dal 2009, il numero di immigrati che ci sono in Francia. Un paradosso? No, è solo che in Francia, paese di vecchia immigrazione, i migranti diventano cittadini francesi (come negli altri paesi europei), mentre da noi rimangono per sempre immigrati. Il tasso di acquisizione della cittadinanza in Italia nel 2003 (la percentuale tra il numero dei cittadini stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza ed il numero totale di immigrati residenti) era pari a 0,9% (il più basso in Europa) contro il 4.5% della Francia, il 4.7% della Gran Bretagna ed il 7% della Svezia.   
    La nostra legge sulla cittadinanza è tra le più arretrata in Europa soprattutto perché prevale in essa l’elemento familiare (jus sanguinis), mentre l’elemento territoriale (jus soli) è molto marginale, ed anche perché non garantisce la certezza del diritto: infatti la sua concessione resta un atto discrezionale.
    Un dato del 2004 (uno dei pochissimi disponibili in rete) dice che, in quell’anno, sono state presentate 30.637 istanze di cittadinanza delle quali sono state accolte soltanto 11.934 (9.988 delle quali per matrimonio, 78,2% presentate da donne immigrate, e 1.946 per motivi di residenza).
    La riforma urgente della legge sulla cittadinanza dovrebbe prevedere che tutti coloro che nascono in Italia da genitori immigrati abbiano diritto alla cittadinanza italiana indipendentemente dalle “colpe”, dal reddito e dalla situazione di soggiorno dei genitori.
    I termini necessari alla presentazione della domanda vanno riportati da dieci a cinque anni di “soggiorno”, non di “residenza”; la precisazione è necessaria perché, in non pochi casi, occorrono fino a dieci anni di soggiorno regolare per accumulare cinque anni di residenza, a causa della poca conoscenza della burocrazia italiana da parte degli immigrati, soprattutto nei primi anni di presenza in Italia. L’acquisizione della cittadinanza non dovrebbe essere vincolata al reddito, perché così si escludono i poveri,  come accadeva secoli fa. I respingimenti delle domande di cittadinanza per motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica devono essere infine esplicitati in maniera trasparente.
    Nel caso di coniugi e genitori di cittadini italiani, regolarmente soggiornanti in Italia da un certo numero di anni e senza pendenze penali, dovrebbe essere introdotto un meccanismo che garantisca automaticamente questo diritto.
    I tempi di risposta alla domanda di cittadinanza sono attualmente lunghissimi, circa tre/quattro anni. Ci vogliono tempi più ragionevoli, e sarebbe opportuno introdurre il principio del silenzio-assenso.
    (Saleh ZaghloulDisegno di Guido Rosato)

  • OLI 320: ESTERI – Gli Stati Uniti e l’Islam riformista

    In un articolo sul giornale libanese Al-Akhbar in lingua inglese, Asàd AbuKhalil, professore di scienze politiche all’Università americana di California, racconta la storia della riforma progressista dell’Islam tentata in Egitto da Nasser negli anni 1950 e 1960: C’era una guerra civile all’interno dell’Islam, l’Arabia Saudita e le altre dittature filo-americane del Medio Oriente sostenevano un Islam reazionario e conservatore definito dagli standard del wahabismo, uno dei movimenti religiosi più intolleranti ed esclusivisti nell’Islam. Mentre, Nasser, sosteneva e promuoveva un Islam molto diverso. Era un Islam che sosteneva l’uguaglianza di genere, promuoveva le donne e combatteva l’oscurantismo. Nasser ha usato l’istituzione religiosa più importante d’Egitto, al-Azhar, attraverso il suo alleato, il capo religioso Mahmud Shaltut, per una effettuare una riforma illuminata dell’Islam.
    Sotto Nasser, al-Azhar ha aperto le sue porte alle donne, ed è finito il takfir (dichiarazione di infedeltà) dei musulmani sciiti. “Nasser – scrive il professore americano d’origine libanese – aveva emarginato e addirittura espulso quei religiosi fanatici dei Fratelli Musulmani che hanno (successivamente) ispirato Al-Qaeda ed altri gruppi del genere”. E tutti i religiosi reazionari sono fuggiti dall’Egitto e sono stati accolti dalle monarchie del Golfo che li ha assunti come educatori, consulenti, sacerdoti e personaggi televisivi. Ma Nasser non ha avuto contro solo l’Arabia Saudita e la sua ricchezza petrolifera: ha dovuto anche affrontare i governi statunitense e occidentali. “Gli Stati Uniti, per sostenere Israele e perché erano più preoccupati del comunismo e delle sinistre, hanno sostenuto la versione reazionaria dell’Islam e le organizzazioni musulmane create dall’Arabia Saudita. Gli Stati Uniti hanno combattuto ferocemente contro l’Islam progressista di Nasser e stavano nello stesso campo con l’Arabia Saudita e le altre monarchie del Golfo che hanno promosso i valori e le dottrine conservatrici”.
    Questa guerra andò avanti per anni, nella quale Nasser ha segnato grandi colpi: alcune nuove e vecchie repubbliche (Libia, Siria e Iraq) sono state influenzate da Nasser. Persino il leader dei Fratelli musulmani siriani Mustafa Sibai era sulla difensiva ed ha scritto un libro intitolato “Il socialismo dell’Islam”. “I Fratelli musulmani – scrive AbuKhalil – sono stati creati per assomigliare a dei difensori di un ordine di morte. Nasser (con precisione) ha associato quell’Islam al suo sponsor: l’Arabia Saudita. Era l’Islam che serve il colonialismo, egli sosteneva”.
    Nasser morì nel 1970 e il suo successore Sadat (guardando a Washington), ha liberato dal carcere tutti gli estremisti islamici e li ha scatenati nei campus universitari egiziani. Sadat (e i suoi alleati sauditi), volevano che gli islamisti contrastassero la sinistra ed i nazionalisti arabi. E’ stato inferto un duro colpo alla laicità: il suo grande e più credibile sponsor, Nasser, era morto. “Dopo il 1970 – scrive AbuKhalil -, siamo entrati nell’era saudita cioè l’era della prevalenza dell’Islam reazionario. Questo Islam ha ricevuto un’ulteriore spinta negli anni ottanta, quando è stato sostenuto dai miliardi e dalle armi degli Stati Uniti in Afghanistan. Il resto è storia distorta.”
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 316: ELEZIONI – Il candidato sindaco che voterei

    Disegno di Guido Rosato

    Il sindaco che vorrei, io cittadino immigrato che vivo a Genova da trent’anni, è quello che dà particolare attenzione al governo dell’immigrazione; che perciò tiene per sè la delega sull’immigrazione, costituendo un gruppo di lavoro di persone antirazziste, motivate, ed esperti che dipendono direttamente da lui. L’esperienza genovese ha evidenziato, infatti, che non basta più l’assessore all’immigrazione introdotto dalla giunta Sansa e mantenuto dalle giunte Pericu. Il grande lavoro svolto da queste giunte prendendo provvedimenti e realizzando iniziative molto importanti ed utili per l’integrazione stentava a crescere come avrebbe dovuto, proprio perché ciò richiedeva un forte ed autorevole coordinamento tra i vari assessori che governavano ognuno un proprio pezzo riguardante i migranti (lavoro, casa, giovani, cultura, servizi sociali).
    Il sindaco che vorrei è quello che finalmente costruisce una politica chiara del Comune sull’immigrazione. E’ necessario essere schierati per una società solidale, aperta, accogliente ed antirazzista, ma non è sufficiente. Occorre un progetto politico ed un piano di governo dell’immigrazione: quali sono gli obiettivi da raggiungere a fine legislatura? Quali sono le priorità sulle quali lavorare e su cui concentrare le poche risorse disponibili? Le priorità a mio parere sono il problema abitativo, l’integrazione dei giovani migranti e figli dei migranti, l’intercultura e la rimozione delle discriminazioni, in particolare nell’accesso ai diritti e ai servizi.
    Il sindaco che vorrei è quello che abolisce l’assessorato alla “sicurezza”, una parola d’ordine usata dalla destra per discriminare gli immigrati, copiata da una certa sinistra, nonostante ciò perdente nelle varie tornate elettorali.
    Vorrei un sindaco che si attiva fortemente anche a livello nazionale per promuovere iniziative volte a rimuovere norme sbagliate (ad esempio la tassa di 75 euro per rinnovare un permesso di soggiorno), ed introdurne delle nuove necessarie (ad esempio il diritto al voto).
    Infine trovo molte analogie tra le lotte per le pari opportunità dei migranti e delle donne, le quali, hanno una diversa e migliore sensibilità, intelligenza ed efficienza (quando sono orgogliose di tale diversità e non si sono assimilate al maschio). Perciò il sindaco che vorrei (uomo o donna che sia) è quello che riesce a dare un segnale forte sulla questione femminile, costruendo una squadra di assessori con la metà più uno fatta da donne, dimostrando così, anche, grande autonomia dai partiti. Non mi si dica che la questione non deve essere il sesso dell’assessore ma la sua competenza, siamo d’accordo, da una parte non sarà difficile per una persona che intende governare la città trovarvi le donne competenti, dall’altra deve essere chiaro che anche le donne devono avere il diritto come noi maschi ad assessori mediocri che ci sono sempre stati in tutte le giunte di tutte le città.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 315: IMMIGRAZIONE – Nazionale di calcio e sport nella società multietnica

    Disegno di Guido Rosato

    La nazionale italiana di calcio ha convocato l’attaccante della Roma Osvaldo nato in Argentina, da genitori argentini, ma con avi italiani, e il deputato leghista Davide Cavallotto ha criticato la convocazione. Osvaldo aveva però già giocato nel 2007 con la nazionale italiana di calcio Under 21, è dunque italiano fin da allora e forse ancora prima. Tutti i “buoni” calciatori italiani dovrebbero avere il diritto di essere convocati e di giocare in nazionale a prescindere dal luogo dove sono nati. Le critiche leghiste sono dunque fuori tempo, ma la cosa interessante è stata la risposta di Osvaldo: “Le critiche di qualche politico verso la mia convocazione in nazionale? Io sono più italiano di chi ha polemizzato”. Una risposta molto appropriata, è strano, infatti, che certe critiche che riguardano la nazionale italiana siano fatte da coloro che non si sentono italiani, ma si sentono di appartenere ad una fantastica nazione denominata “padania”, e che parlano continuamente di secessione minacciando l’unità nazionale. Non solo Osvaldo (che è italiano), ma moltissimi immigrati che non hanno ancora la cittadinanza italiana si sentono molto più italiani dei leghisti.
    Successivamente il deputato leghista ha dichiarato: “Non ce l’ho con Osvaldo (…) mi aspetterei che la Nazionale desse spazio ai giovani nati qui”. Che ne è dell’attività agonistica di centinaia di migliaia di giovani che vivono in Italia e che frequentano le nostre scuole ma che non sono nati qui? Che ne è di quelli nati e cresciuti in Italia da genitori immigrati e che non hanno ancora la cittadinanza italiana?
    Mauro Valeri, docente universitario – autore di “Black Italians. Atleti neri in maglia azzurra” – Palombi editore – scrive: “Le norme di gran parte delle federazioni sportive sono concepite per impedire o comunque rendere particolarmente difficile la carriera agonistica per uno straniero e per i suoi figli, pur se nati e cresciuti in Italia. Statisticamente, i ragazzi e le ragazze di seconda generazione che praticano sport, sono relativamente pochi. Una discriminazione a tutti gli effetti, che viene in genere risolta soltanto in tribunale, anche perché le federazioni la “giustificano” rimandando tutte le responsabilità all’attuale legge sull’acquisizione della cittadinanza in vigore nel nostro paese. A dire il vero, di certo gran parte delle federazioni non solo non hanno provato a cambiare la situazione, ma hanno finito per avvalorare quello che è il delirio originario: intendere la tutela dei vivai come la tutela dei soli italiani presenti nei vivai, e non come tutela di tutti coloro che sono presenti nei vivai” (www.italiarazzismo.it  9 settembre 2011). Il calcio e tutti gli sport devono essere luoghi di inclusione e non di esclusione, occorre recuperarne i valori ed i principi originari.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 314: IMMIGRAZIONE – La cattiva politica che produce boss immigrati

    Disegno di Guido Rosato

    Ha ragione Sergio Romano quando, sul Corriere della Sera dell’8 settembre, parlando delle esperienze migratorie di molto paesi europei, denuncia che “da alcune comunità straniere sono emerse nomenklature composte da persone ambiziose che aspiravano a fare dei loro connazionali una sorta di collegio elettorale e di servirsene per diventare gli interlocutori accreditati delle autorità locali. Per meglio affermare l’utilità della loro funzione ed esaltare il loro ruolo, questi boss comunitari hanno spesso cercato di sfruttare le condizioni psicologiche dei loro rappresentati accentuando ed esasperando la loro separazione dal resto della società in cui vivevano”.
    Questo è esattamente quanto sta succedendo nelle comunità immigrate italiane. Però, Sergio Romano, a mio avviso, sbaglia quando attribuisce questo alla società multietnica che egli intende come “il superamento dell’assimilazione e il consentire agli immigrati di rispettare le loro tradizioni, confessare la loro fede religiosa, conservare le loro feste comunitarie, trasmettere ai loro figli la conoscenza della lingua e della cultura dei Paesi di provenienza” .
    Non è il superamento dell’assimilazione quello che ha prodotto le nomenklature fra gli immigrati, ma una politica sbagliata che ha portato e continua a portare alla ghettizzazione degli immigrati nelle loro varie comunità. La responsabilità non è della società multietnica ma è dei governi che si sono susseguiti negli ultimi vent’anni e che non hanno fatto nulla per consentire e facilitare ai singoli cittadini immigrati di partecipare alla vita pubblica e politica e di “integrarsi” nella società italiana.
    Oltre che per l’economia, il fisco, la sanità, la scuola, l’università, la cultura e l’etica anche per l’immigrazione la seconda repubblica è stata un disastro vero e proprio: non è stato introdotto per i cittadini immigrati il diritto al voto e non è stata modificata la legge per togliere gli ostacoli all’ottenimento della cittadinanza italiana. Sono i due provvedimenti necessari e più efficaci per liberare i singoli cittadini immigrati dai boss delle loro comunità etniche e religiose e per integrarli nella società italiana senza rinunciare alla propria religione e cultura d’origine.
    (Saleh Zaghloul)