Categoria: Sanità

  • OLI 307: SANITA’ – Sanità per gli “ultimissimi”

    Ci sono undici persone in Liguria in attesa di risposte appropriate per i loro bisogni di salute fisica e mentale. Una piccola quantità se confrontata con il milione e seicentomila abitanti ai quali la Regione Liguria ha il dovere costituzionale di garantite il diritto alla salute attraverso strumenti efficaci ed efficienti di prevenzione, cura e riabilitazione. Un problema trascurabile o di soluzione immediata, un granello, se immesso nei complessi nodi strutturali, economici, finanziari, politici in senso proprio e ampio, che la Regione Liguria in questi giorni si trova costretta ad affrontare. E che non pochi mal di pancia, conflitti, ansie provoca.
    E’ in ballo tutta la politica sanitaria, ormai solidamente incamminata sul primato, forse inevitabile, ma certamente non brillante nei risultati, della visione aziendalistica dei bisogni sanitari, nell’ottica di politiche di bilancio, che non devono moltiplicare buchi, ma sempre più sottoposte alle logiche restrittive e punitive verso il Servizio Sanitario Pubblico, finora tra i migliori e meno costosi del mondo, nonostante sprechi, mafie, malesanità, familismo amorale, e partitismo immorale. Ma intanto alla chetichella, sono stati introdotti i tickets anche sui farmaci generici della fascia essenziale e “salvavita”, e si continua ad intaccare uno dei principi costituzionali e fondamentali della sanità pubblica: la gratuità.
    Ma veniamo ai nostri undici cittadini liguri in attesa di appropriate risposte ai loro bisogni di salute. Un caso che mette in discussione, come già fanno i tifosi del privato asociale e del libero mercato, un altro principio fondamentale del nostro Servizio Sanitario Nazionale: l’universalità e l’uguaglianza di tutti i cittadini.
    La notizia ci viene dalla newsletter del Senatore Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
    Da un recente convegno nazionale, il primo, tenuto il 9 giugno, è risultato che nei sei O.P.G. (luoghi di detenzione e cura) esistenti in Italia sono internate circa 1500 persone. Di queste “389 risultano dimissibili perché non socialmente pericolose, ma al 31 maggio 2011solo 130 sono state dimesse dopo la denuncia e le sollecitazioni della Commissione d’inchiesta”. Degli altri: 7 sono morti e per 200 è stata prorogata la permanenza.
    La mancanza di fondi era la causa dell’impossibilità di accogliere le persone espressa da Presidenti di Regione e responsabili delle Asl. Ebbene, grazie all’impegno e alla tenacia della Commissione d’inchiesta, i fondi sono stati trovati e il Ministero della Salute ha stanziato 5 milioni di euro. Eppure, continua il Senatore Marino, 10 regioni non solo non hanno approntato nessun percorso per le dimissioni, ma non hanno presentato alcuna richiesta di fondi.
    Ecco un elenco: il Lazio per 41 cittadini, l’Abruzzo per 6, la Campania per 75, la Calabria per 11, la Sicilia per 31, il Friuli Venezia Giulia per 7, la Liguria per 11.
    Ci sorprende trovare la Liguria in questa lista, anche perché, dalla legge Basaglia in avanti, ci sono state positive esperienze di ritorno di questi pazienti nel proprio ambiente.
    Nel ringraziarlo per il lavoro fatto e per l’impegno controcorrente, ci permettiamo di consigliare al Senatore Marino di fare qualche telefonata più stringente ai suoi compagni di partito e conterranei: presidente di Regione, Assessore alla Sanità, direttori di Asl e di Dipartimenti di Salute Mentale.
    (Angelo Guarnieri)
     

  • OLI 294: SANITA’ – Recco, ospedale sì, ospedale no

    Il carnevale di Recco di domenica 20 marzo 2011 non è stato solo un momento di gioia per grandi e piccini, con musica dal vivo, clowns, pentolaccia e milioni di coriandoli. Insieme alle molte persone intervenute per divertirsi c’era anche una rappresentanza del comitato cittadino che si sta opponendo alla chiusura dell’ospedale Sant’Antonio. Il piccolo ospedale serve un’area vasta del territorio e con il suo pronto soccorso rappresenta una sicurezza per la salute di tutti gli abitanti, anche delle valle sovrastanti Recco.
    Ha lasciato perplessi in questa occasione la scarsa partecipazione della cittadinanza presente sul lungomare, che si è limitata a dare un’occhiata al gruppo dei contestatori, vestiti a sandwich con scritte di protesta. Era presente anche la bara dell’ospedale, ormai divenuta il simbolo delle contestazioni anche per altre occasioni quali il Teatro Carlo Felice di Genova.
    Il giorno dopo, lunedi 21, inizia l’occupazione dell’ospedale, per impedire in extremis che inizi il trasloco delle apparecchiature nelle nuove strutture. La protesta nasce dalla fondata preoccupazione di dover affrontare un viaggio fino a Genova in caso di codici di gravità particolarmente gravi, ma anche dalla scomodità di ricoveri in medicina o ortopedia troppo distanti dai luoghi di residenza. La riviera ligure è popolata per di più da persone anziane, costringerle ai ritmi derivanti da una gestione solamente economica della sanità rispecchia il fallimento del tipo di politiche intraprese fino ad oggi in generale in Italia. Si parla per posti letto, per fatturati pro capite, gli ospedali sono diventati “aziende”, i malati gli “utenti”, si spendono milioni di euro per pitturare stanze vuote. Come se andare in un ospedale fosse uguale che a recarsi in banca a litigare col direttore per gli interessi. Mentre si dialoga dei massimi sistemi legati ai fatturati e ai costi sempre più esorbitanti della sanità, si perdono di vista sin le cose più semplici: al pronto soccorso di san Martino a Genova, una porta a vetri all’ingresso ambulanze che si apre e si chiude continuamente nell’indifferenza di qualsiasi dipendente, oppure viene realizzata una sala di attesa inutile perché lontana dalla porta dell’ambulatorio per il quale si attende la chiamata, col risultato che la coda si forma nel corridoio del p.s., bloccando le barelle in transito, tra i lamenti da parte di un personale che non si pone nemmeno più il problema di capire il perché i malati “preferiscano” stare in piedi due ore. E se glielo spieghi, ti guardano come se fossi un fuoriuscito da psichiatria.
    La gente è stanca e disillusa delle parole di chi gestisce, la politica dei professionisti ha fatto il suo corso e abbiamo bisogno di un nuovo modo di amministrare. Anche di fronte alle promesse ed anche ai primi atti della Regione che assicura la creazione di Tac e ambulatori con stanziamento già accordato dal Consiglio regionale, l’occupazione continua ad oltranza perché nessuno dei 150 occupanti si fida più, e prima di abbandonare la posizione vogliono vedere i fatti. Non è un caso che alcuni si incatenano di fronte all’ingresso con in mano le tessere elettorali nell’atto di essere strappate.
    In realtà nessuno è poi convinto di intervenire per mandarli via: dagli stessi operai della ditta che non possono eseguire il lavoro di trasloco ma che solidarizzano, agli stessi Carabinieri, che usufruiscono essi stessi della struttura e si limitano a “prendere le generalità”, in mancanza di un ordine specifico di sgombero. Certo, questo arriverà prima o poi, e sarà eseguito con la divisa antisommossa alla quale una parte dello Stato che non appartiene più a tutti i cittadini ci ha qualche tempo abituati.
    Siamo solo un po’ in ritardo rispetto allo stato catatonico della sanità del Lazio, ma ci arriveremo presto: la Liguria non vuole essere seconda a nessuno, tanto meno nel male.
    (Stefano De Pietro)

    Due manifestanti al Carnevale di Recco

    Coriandoli e proteste a Recco il 20 marzo 2011
    La bara dell’Ospedale

    Intervengono anche i sindaci della riviera

    Ogni funerale ha la sua vedova …

    Incatenati all’ingresso dell’ospedale

    La “salute” impacchettata

    Catene, protesta e certificati elettorali

    L’ingresso dell’ospedale

    Interno in attesa del trasloco

    Sit-in di protesta

    All’interno dell’ospedale

  • OLI 289: LETTERE – L’operazione Ist vista dall’interno

    Sono una ricercatrice, e delegata aziendale Cgil, dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova. Insieme ai lavoratori dell’IST sto portando avanti una battaglia contro l’accorpamento con l’Azienda Ospedaliera San Martino. L’IST è un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) oncologico in cui lavorano 650 dipendenti in ruolo, di cui 107 impegnati al 100% in ricerca, e 150 precari a vario titolo (circa 70 sono ricercatori precari). Gli IRCCS sono centri di eccellenza il cui compito è quello di coniugare assistenza e ricerca per portare innovazione al Sistema Sanitario. Fondamentale, è la loro indipendenza ed autonomia. Dal 4 agosto (giorno della delibera del Consiglio regionale n. 19 sul riordino della rete ospedaliera) ad oggi (a pochi giorni dal voto in Consiglio sul ddl n. 75 che applica la delibera nella parte che riguarda l’IST) i lavoratori dell’IST hanno più volte espresso la loro contrarietà al provvedimento e chiesto confronti con l’Assessore. L’hanno fatto, sempre motivando le loro critiche e facendo proposte alternative, attraverso comunicati, articoli di giornale ed interviste, perché mai l’Assessorato o la presidenza della Regione hanno aperto al dialogo. La domanda, più volte espressa e sempre rimasta senza risposta è: dov’è il piano di fattibilità economico/finanziario e organizzativo? La stessa domanda l’hanno posta i lavoratori dell’Ospedale di Santa Corona e di Villa Scassi, e la stanno ponendo ora i lavoratori dell’Ospedale di Voltri e quelli di Recco.
    Il fatto è che sull’IST è stata presa un decisione in maniera assolutamente pregiudiziale e su questa decisione l’Assessore è andato avanti come un treno senza ascoltare chi ci lavora e conosce bene l’Istituto. Stiamo parlando di una realtà, piccola, che aveva iniziato un percorso di ripresa, almeno nella sua componente assistenziale, dopo 10 anni di commissariamento che l’avevano portata vicino alla chiusura, al primo posto tra le strutture sanitarie liguri per appropriatezza delle prestazioni sanitarie (dati della Agenzia Regionale Sanitaria, ARS), nel 2008 al 14esimo posto per produttività scientifica tra i 42 IRCCS italiani, 25 dei quali privati. Ora, la fusione con un’Azienda Ospedaliera che ha, necessariamente, poca vocazione per la ricerca, rischia di dissolvere questa realtà nelle mille difficoltà di una riorganizzazione non pianificata, che sarà gestita dall’ARS insieme al Rettore dell’Università di Genova. Tutto questo non è giustificato in termini economici, dal momento che in delibera si parla di un risparmio in tre anni di 1.230.000 € ma poi si decide di chiudere l’high care appena quattro anni dopo l’inaugurazione. E nemmeno in termini di razionalizzazione perché l’IST poteva essere potenziato, come hanno fatto Regioni più accorte della nostra, aggregandovi le strutture oncologiche del San Martino e ponendolo al centro della rete oncologica ligure come proposto diversi anni fa.
    Come ricercatrice mi chiedo che fine farà la mia attività, già resa difficile da un governo che non investe in ricerca, all’interno di un Ospedale grande, con una struttura vecchia che ha già i suoi problemi organizzativi come si percepisce da vari episodi comparsi sui giornali. Probabilmente la ricerca sarà messa in un angolo, dove si trova ormai da almeno 10 anni, dimenticata in attesa di risolvere i mille problemi di un’assistenza che dovrà fare i conti con tagli di finanziamenti, mancanza di personale e gestione dei dipartimenti di emergenza. Gli IRCCS dovevano essere punti di eccellenza che producevano innovazione da trasferire al sistema sanitario, ma che innovazione si potrà fare se, come dichiarato dall’Assessore Montaldo, il personale dell’IST servirà a coprire le carenze di personale del San Martino?
    Come ultima riflessione rilevo che questo ddl passerà, seppure con qualche critica da parte di alcuni esponenti della maggioranza, grazie ad un accordo della nostra giunta di centro-sinistra con un governo di centro-destra che ha ampiamente dimostrato in questi anni propensione verso le privatizzazioni, scarso interesse per la ricerca pubblica e disinteresse verso i servizi ai cittadini. Del resto il Ministro Fazio ha mostrato chiaramente da che parte sta il suo interesse: nelle tre visite fatte a Genova in questi ultimi mesi mai una volta è venuto all’IST, è sempre e solo andato all’Ospedale Galliera.
     (Simonetta Astigiano)

  • OLI 281: INFORMAZIONE – Morte in sala operatoria

    La notizia in sé stessa, a parte il contenuto umano che trasmette, non è eclatante: un paziente muore in sala operatoria e il Corsera ne dà notizia con un articolo della sua redazione online. Nei fatti, i parenti del deceduto prendono a calci e pugni l’equipe medica. L’ospedale, su denuncia dei parenti, apre un’inchiesta che porterà ad appurare i fatti sulla morte del malato. Riveste un certo interesse analizzare i variegati commenti dei lettori. Da notare che il titolo è ineccepibile, fornisce una notizia esatta.
    1. Togliamo ai medici il diritto di essere umani – non è possibile continuare a sentire casi del genere. I medici devono capire che la vita degli altri è importante almeno quanto la loro. Togliamo ai medici, tutti, il diritto di essere umani, bisogna che sappiano che la gente è pronta ad affrontarli con tutti i mezzi per vedere riconosciuti i loro diritti. Togliamo ai medici la disgraziata possibilità  di sbagliare e di trincerarsi dietro fantasiose storie di difficoltà  operatorie e formiamo medici che non sbagliano mai, che ridonano la vita a tutti, che sappiano risolvere ogni tipo di urgenza senza nessuna possibilità di inconveniente perché tutti i casi di malasanità , oramai è chiaro, sono tutti determinati dai loro errori. Togliamo loro i diritti di essere umani.
    2. Colpa dei “media” – Sono un medico chirurgo, e posso solo dire, senza scendere nel dettaglio del gravissimo episodio, che la colpa principale è di voi “media”, in quanto al solo scopo di un “presunto scoop” non ci pensate due volte a titolare una notizia “…caso di malasanità….” senza andare ad intervistare i diretti interessati esprimendo giudizi affrettati, e come di moda oramai, istruendo i processi sulla carta stampata o in studi televisivi, inasprendo cosi gli animi…ovviamente per gravissimo episodio intendo l’aggressione al personale sanitario e parasanitario, nel più profondo rispetto e dolore della perdita di una vita umana.
    3. I medici devono pagare – In un Ospedale Romano, sei mesi fa, la mia compagna veniva operata per l’asportazione di due noduli ai seni con conseguente biopsia. Una settimana fa, una nuova ecografia rivela che, nonostante il referto dell’intervento affermi il contrario, i noduli sono ancora lì, tali e quali. Immediato il ricorso ai nostri legali.
    4. Anche il titolo è una forzatura… – “Muore durante un’operazione”. Poi leggi invece che era appena iniziata l’anestesia, e che, essendo gravemente malato di anemia mediterranea, il rischio era forte e ben conosciuto. Bisognerebbe smetterla di alimentare idee sbagliate nella gente. E bisognerebbe anche smettere di compatire le persone violente. Quel genere di sceneggiate non sono infrequenti, e con i malati e le povere vite perse non hanno nulla a che fare. Non sono manifestazioni di dolore, ma di ben altro.
    5. Occorre prima capire! – Cosa è successo veramente in sala operatoria? I parenti erano stati bene informati del rischio elevato che correva il ragazzo o qualcosa è andata storta oltre ogni previsione? Esempio: ci si è accorti solo tardivamente di una errata manovra di intubazione oro-tracheale con ovvie e nefaste conseguenze? Sono un medico ma sono dalla parte dei parenti … almeno fino a prova contraria!
    6. Guardate cosa scrivono i lettori – Concordo pienamente con chi attribuisce gran parte della colpa di questi episodi ai media che pur di cercare lo scoop non hanno la benchè minima attenzione alla obiettività dei fatti. Tutto questo ha portato ad un concetto di immortalità sempre più diffusa : non si può morire, se accade deve essere colpa di qualcuno. Invece morire succede e può succedere in qualsiasi momento senza che per questo sia colpa di qualcuno. E’ ovvio che per casi simili ci saranno indagini adeguate, come sempre ci sono ma non certo per furore di popolo. Accadrà che nessuno vorrà più assumersi dei rischi e si faranno sempre meno interventi. questo sta già accadendo da tempo. Di fronte a casi del genere, invece di gridare all’untore ognuno si faccia per la sua parte il Mea Culpa. Guardate cosa scrive un lettore “formiamo dei medici ..che ridiano la vita a tutti…” Se potessero esistere medici simili nessuno morirebbe mai. Per formare questo tipo di fantascientifici medici forse dovremmo rivolgerci a Gesù… ma forse neppure…. Se ci sono persone (e tante) che scrivono questo vuol dire che lo credono.
    http://roma.corriere.it/roma/dilatua/cronaca/articoli/2010/12/04/ragazzo-muore-durante-operazione-reazione-genitori_full.shtml
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 277: LETTERE – Non si risparmia sulla dignità

    Cara Oli, ho curiosato su oli news e ho visto che avete già pubblicato dei pezzi sulla disabilità.
    Vi sarei grata se deste spazio anche a questo comunicato, che è la sintesi abbastanza completa di una battaglia che da mesi stiamo combattendo come familiari e malati di SLA.

    I malati di SLA e le loro famiglie sono stanchi di promesse: prima hanno assistito alla interminabile revisione dei “nuovi” Livelli Essenziali di Assistenza, ritirati oltre due anni fa dall’attuale governo, poi ai continui rinvii, mentre la pratica è ormai ferma, da mesi, sul tavolo del Ministro dell’Economia.
    Hanno seguito per anni i lavori delle Commissioni, ultima in ordine di tempo la Consulta delle Malattie Neuromuscolari che, nominata dal Ministro Fazio, ha prodotto documenti regolarmente accantonati.
    Sono scesi in piazza, il 21 giugno, e sono stati frettolosamente congedati dal Sottosegretario Letta, ertosi allora a Presidio in favore dei disabili e garante di una pronta approvazione dei LEA.
    In ultimo, hanno visto cadere nel vuoto un ordine del giorno presentato dall’Onorevole Maria Antonietta Farina Coscioni, approvato dal Governo, che impegnava il Governo stesso ad emanare, entro il 30 settembre 2010, il DPCM sui LEA, termine da considerarsi perentorio, salvo che il Ministro Tremonti fosse intervenuto in Aula a riferire sulla mancata emanazione, chiarendone il motivo.
    Anche se indignati, stanchi, delusi e molti addirittura alla disperazione, non hanno perso la voglia di lottare e comunicano di aver deciso quanto segue:

    Il giorno 16 novembre 2010 dalle ore 10,30 noi, malati in carrozzina, anche con tracheostomia e PEG, saremo davanti al Ministero dell’Economia per farci carico di un PRESIDIO PERMANENTE sino a che il Ministro Tremonti non ci darà risposte esaustive. Prendiamo l’iniziativa, per noi e per i milioni di malati gravi, invalidi e non autosufficienti, che non possono più aspettare che sia rispettato il diritto alla salute e ad una vita dignitosa, sancito dalla Costituzione.

    Consideriamo urgenti e prioritarie le seguenti misure:

    1. Copertura finanziaria ed approvazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e relativo nomenclatore tariffario degli ausili.
    2. Finanziamento di 100 milioni di euro per il percorso assistenziale proposto dalla Consulta Ministeriale delle malattie neuromuscolari, tale finanziamento dovrà essere riservato al sostegno alle famiglie per la formazione e l’assunzione di Assistenti Familiari. Le Regioni dovranno contribuire con una pari quota.
    3. Finanziamento di 10 milioni di euro per ricerca di base e clinica da effettuarsi in 10 centri universitari italiani con metodologie ed obiettivi condivisi e sinergici.

    Tutte le persone non autosufficienti e tutti coloro che sono affetti da gravi malattie altamente invalidanti attendono provvedimenti concreti e si augurano che il Ministro Tremonti decida subito che la vita delle persone è più importante di tante spese che possono aspettare, come ad esempio i miliardi previsti per gli aerei da combattimento F35, che sono uno schiaffo all’intelligenza umana ed alla vita stessa.
    (Anna Cecalupo)

  • OLI 275: IMMIGRAZIONE – Puglia, la Corte Costituzionale da ragione a Vendola

    Il Presidente del Consiglio aveva chiesto l’intervento della Corte Costituzionale sollevando la questione di legittimità di alcune disposizioni della Legge Regionale Puglia sull’Immigrazione (L. 22/2010). La sentenza della Corte Costituzionale n.299 del 22 ottobre 2010 ha dato ragione all’operato della Regione governata da Vendola su almeno tre questioni importanti:
    1) Il Testo Unico sull’immigrazione garantisce l’assistenza sanitaria gratuita agli immigrati irregolarmente soggiornanti per le cure urgenti o essenziali, anche a carattere continuativo, e prevede inoltre che a loro sia rilasciato un tesserino con il codice STP (Straniero Temporaneamente Presente). La legge pugliese prevede che gli assistiti con il codice STP abbiano diritto alla scelta del medico di base. Il governo ha protestato contro questa misura non prevista dalle disposizioni nazionali ma la Corte Costituzionale ha dichiarato legittima questa disposizione.
    2) Il governo, modificando il Testo Unico sull’immigrazione, con la legge 132/2008, ha escluso i cittadini dell’Unione Europea (ad esempio i romeni) non iscritti all’anagrafe dall’assistenza sanitaria gratuita di cui fruiscono i cittadini non europei irregolarmente soggiornanti. La legge pugliese invece prevede per i cittadini appartenenti all’Unione Europea privi dei requisiti per l’iscrizione al sistema sanitario l’assistenza gratuita con il codice ENI (Europeo Non in Regola) con le stesse modalità per l’attribuzione e l’accesso alle prestazioni previsti per i cittadini irregolari non appartenenti all’Unione Europea assistiti con il codice STP. Berlusconi ha protestato ma la Corte Costituzionale ha dichiarato legittima anche questa disposizione.
    3) La Legge Regione Puglia n. 22/2010, infine, usa la vecchia formulazione del Testo Unico, cancellata dalla modifica governativa, per stabilire che “le disposizioni della legge regionale si applicano qualora più favorevoli anche ai cittadini appartenenti all’Unione Europea”. Una norma di buon senso che non è piaciuta al governo Berlusconi, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale; e la Corte, anche in questo caso, ha dichiarato la legittimità della norma.
    Tre provvedimenti di diritto, di buon senso, di civiltà e di provata costituzionalità che insieme all’iscrizione a tempo indeterminato al Sistema Sanitario Regionale degli immigrati regolari (vigente sempre in Puglia) attendono di essere adottati dalla Regione Liguria e dalle altre Regioni di centro sinistra.
    (Saleh Zaghloul)
     
  • OLI 257: SANITA’ – Aborto in telediagnosi

    Mentre l’Italia dei maschi si divide nei consigli regionali come nei bar su aborto farmacologico si e no e come e quando e perché, c’è chi lavora per risolvere il problema di milioni di donne che vivono in paesi dove l’aborto è vietato o inaccessibile.
    Un articolo della Stampa (1*) richiama l’attenzione su un sistema rischioso, usato da molte donne dell’Est a base di alcuni farmaci contenenti la prostaglandina, ossia il principio attivo della Ru486. Una rapida ricerca su internet con questa parola magica fa invece apparire due siti che la sanno lunga sull’argomento. Il primo è svizzero e spiega per filo e per segno tutto quello che occorre sapere sull’aborto farmacologico, mettendo in evidenza anche il confronto con quello chirurgico (2*). Il sito è di una associazione che si è sciolta nel 2003 ma la cui ex presidente continua a mantenere aggiornate le informazioni. Dalla traballante impaginazione si vede che è fatto da un addetto ad “altri” lavori che l’informatica, questo in un certo senso dà un imprimatur di validità dei contenuti. C’è anche una pagina di aggiornamento sugli ospedali italiani (3*) che hanno già praticato l’aborto farmacologico. Segnala anche un’organizzazione olandese (4*) che fa attività di infor mazione e che elenca i siti dove poter comprare la Ru486 “vera”, oltre ad una lunga lista di fakes.
    www.womenonweb.org: il pezzo forte però è questo link, uno di quelli che fa tremare le fondamenta di San Pietro: un servizio via Internet per il teleaborto (5*), riservato ai paesi dove l’aborto è vietato. Con una procedura semplice ma efficace, la donna interessata risponde ad un questionario e riceve per posta il farmaco, sotto il controllo a distanza di un medico. Propongono una donazione di 70 Euro, che servirà a coprire le spese per chi non disponesse del denaro per comprare il prodotto. Il dominio è registrato a nome di Women On Web International Foundation, Ontario, Canada.
    Un approfondimento è impossibile nello spazio di un articolo Oli, ma alla fine appare lampante l’importanza dell’accesso alla Rete per riuscire a migliorare la vita delle persone, la padronanza del mezzo di ricerca e l’abitudine di esplorare l’informazione. Possibile che La Stampa si sia perso questo sviluppo al di là del riportare la semplice notizia di agenzia?
    Fate circolare queste informazioni, chissà che non arrivino nel posto giusto per salvare la vita di una giovane ragazza spaventata. E anche se viviamo in Italia, non abbiamo nulla da invidiare ai “peggiori bar di Caracas” quando parliamo di accesso democratico alla Sanità, chissà che presto Piemonte e Campania non siano inseriti nella lista dei paesi esteri serviti dal sito.

    1*http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=903&ID_sezione=&sezione=
    2* http://www.svss-uspda.ch/it/mifegyne.htm
    3* http://www.svss-uspda.ch/it/ospedali_italia.htm
    4* http://www.womenonwaves.org/article-445-es.html?lang=es
    5* http://www.womenonweb.org

    (s.d.p.)