Demi 30 aprile Dù, che oggi ha l’esame per prendere la patente, è partito con Djiby (un amico chaffeur che non ha più né macchina, né lavoro e ora è a sua disposizione in cambio dell’uso della macchina per lavori che possono capitare.)
Con noi si è fermato Lamine, il cugino di Dù . Ho diviso con lui il mio riso e pesce. Non c’è altro e non saprei cucinare nemmeno 1 uovo su queste stufette a carbone.
Sembra diverso il modo di pensare qui: non c’è l’accumulo, c’è l’ oggi: mezzo Kg di carbone, un etto di olio in bustine, quattro biscotti, mezzo etto di caffè, quattro pizzichi di tabacco… come se le boutiques (i negozi) fossero dietro l’ angolo; invece questa mattina andrò con Lamine e Gheddafi, che fa il taxista, a 7 Km da qui per comprare.
Io, abituata alle scorte, prenderò cinque Kg di manghi e cinque Kg di arance locali, sperando che i non accumulatori me ne lascino un po’.
Abbiamo attraversato paesini costieri passando per il lago Rosa che è 10 volte più salato dell’ Oceano ed è davvero rosa quando il sole lo illumina.  Appare all’improvviso dietro a dune e montagne di sale che sfoggiano, a volte, il nome del proprietario su un cartone infilato in una canna.
A Babilone compro tutto quello che mi  chiede la nostra variabile famiglia (possiamo arrivare ad essere anche una decina) che è parca nel comprare, ma che si nutre abbondantemente se può farlo, quasi per esorcizzare memorie di fame.
Siamo stati anche in un bel jardin (orto) con manghi, papaie, verdure sconosciute, la menta (nanà)e il basilico che ho piantato appena siamo arrivati a casa. Lamine, mi ha presentato anche un amica parrucchiera che avrebbe voluto farmi le treccine. Ho risposto “Apres”.
Qui sì che ho fatto le foto, chiedendo il permesso, perché alcuni non vogliono sia ripreso nemmeno l’asino. Domani è il 1° maggio. Dù dice che gli statali vanno in pensione a 50 anni, i privati a 60, ma devono essere davvero pochi quelli che la prendono in questa zona, perché la gente sembra  poverissima.
Tornati a casa, le oche per prime chiedono cibo a gran voce; allungo il loro pastone con acqua. Noi, alle cinque, riso e pesce e a Papà – il bambino silenzioso-, pane e chocoleca.
Non devo più andare senza scarpe all’Oceano. Il deserto nella notte cambia forma e non trovavo più il varco fra le dune. Mi sono ritrovata in un bosco di palme da cocco e conifere. Scalza temevo di calpestare piante con spine coperte dalla sabbia. Ho incontrato un uomo “Vous conocè Dù?” “Oui ce ne pas sa la route ce par là”. Ho seguito la direzione del suo dito senza staccare gli occhi da due immaginati tetti bassi e rotondi et voilà il miraggio si è concretizzato.
Je vai ad arrosez le piante prima che spunti la luna rosa rosicchiata dal sole.
Informazioni : il 43% della popolazione ha meno di 14 anni e il principale gruppo etnico è il wolof. Non so com’è a sud, in Casamanche, dove abitano i fula,  ma qui tutto sembra in mano alle donne e ne sembrano consapevoli. Parlano e commerciano a voce alta guardandoti negli occhi con i loro grappoli di bambini appesi ai loro abiti lunghi o incollati sulla schiena fino ai due anni. A una di queste,ora morta, 13 anni fa, Dù ha lasciato 4 bambini; la più piccola era di un anno. “Ci vorrebbe qualche progetto per l’educazione sanitaria e sessuale” pensa ora, “ Come fare?” “ Ci vorrebbe un’ ambulanza “, aggiunge Lamine. Entrambi sono mussulmani tolleranti. “Come te” mi dice Dù che porta le trecce rasta. 
(Giulia Richebuono)
Categoria: Viaggi
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		OLI 379: VIAGGI – Senegal, il diario di Giulia
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		OLI 377: VIAGGI – Senegal, il diario di GiuliaPubblichiamo a partire da oggi, il diario che Giulia Richebuono ha condiviso in rete con gli amici sul suo viaggio in Senegal. 28 Aprile 2013 
 Eccomi qui che conto i giorni. Sono nel deserto e arrivo al mare in quindici minuti. Bello l’oceano Atlantico. Fa mostra di onde schiumose che vengono da lontano e s’infrangono a riva forti e sguince.
 Mi bagno fino alle ginocchia come fanno i locali, ma prima o poi proverò a vedere se la sabbia che va in là è lunga come nell’ Adriatico o ci sono scalini. Sul bagnasciuga ci sono tantissimi molluschi impauriti e tanti uccellini che li cacciano. Anche qualche pesce morto strano e lungo.
 Ogni giorno mangiamo pesce pescato qui, a volte lo portano dal villaggio già cucinato col riso, altre volte, come questa sera, lo cucina Dou, il compagno di Mariella che ci sta ospitando.
 Abbiamo un pozzo fuori casa usato anche da alcune donne del villaggio: dicono che quest’acqua è più buona della loro. Arrivano con grappoli di bambini attaccati ai vestiti o legati sulla schiena. Nel cortile ci sono 1 oca, 1 oco e 1 geco che ravatta nel compost come il gatto che ogni tanto spunta dal niente. Ci sono anche tante zanzare e tanti amici di Dou che chiedono “Sa và?”. Si risponde “Bien” e la conversazione più o meno finisce lì.
 Oggi ho fatto due cestini di plastica, in uno ho messo aglio e cipolle, nell’altro spezie varie. Fuori crescono un sacco di fichi d’india rossi e aciduli che hanno meno spine dei nostri. Tutto sommato mi riposo molto quando non leggo, ma spero presto di fare qualche uscita e conoscere altro.
 (Giulia Richebuono)
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		OLI 360: TESTIMONIANZE – Perché vai in Palestina? Vittorio Arrigoni Perché vai in Palestina? Al corso di formazione per andare nei territori occupati mi chiedono cosa mi spinge a fare questo viaggio, cosa mi fa paura e cosa mi aspetto. 
 L’ultima volta che sono stata in Palestina è stato quattro anni fa e da quel periodo sono successe molte cose in quella terra: l’occupazione militare si espande, gli arresti e incursioni sono maggiori, l’operazione piombo fuso che a Gaza mette in ginocchio una popolazione, l’assassinio di Vittorio che avevo conosciuto a Genova e che mi aveva dato il suo libro “Restiamo umani”, la collaborazione al documentario per la traduzione di “Le lacrime di Gaza” ecc.
 Ho voglia di tornare in Palestina e interagire con persone che vivono quotidianamente l’occupazione, ho voglia di entrare nelle loro storie e nel loro vissuto e mi piacerebbe tornare in Italia con delle interviste e del girato da mostrare. Se ho paura? Sì certo, sono consapevole di trovare un clima di tensione, ho paura di non saper gestire le eventuali ansie, ho paura di non sapermi muovere da sola in un paese in conflitto e ho l’ansia di subire un eventuale interrogatorio per entrare ed uscire dal paese da parte delle autorità israeliane. Cosa mi aspetto? Giornate cariche di input che mi permettono di mettermi in gioco ogni momento. Certo che le paure ci sono, ma le motivazioni per partire sono maggiori. Prenoto un biglietto aereo e dopo 15 giorni mi trovo sull’aereo per Tel Aviv: prima destinazione Ramallah nei territori occupati, poi si vedrà. Starò in Palestina circa un mese.
 Tutto quello che mi motivava e che mi angosciava prima della partenza si è avverato.
 A distanza di quattro mesi dal mio ritorno penso sia stato un viaggio forte sia emotivamente sia psicologicamente, un viaggio difficile ma intenso. Ho vissuto incontri emozionanti, ho ascoltato storie che mi sono entrate nel cuore, storie di una Palestina che subisce l’occupazione militare israeliana e che subisce violenze e assedi affinché gli interessi economici israeliani siano difesi e tutelati; ho raccolto storie di palestinesi che hanno ricordato momenti della prima o seconda intifada, ho incontrato i profughi che vivono nei campi sia in Palestina sia in Libano a Chabra e Chatila e che sono entrati per la prima volta nella loro terra. Storie di persone che fanno resistenza non violenta e soprattutto storie di palestinesi che hanno voglia di normalità.
 Cerco di documentare e di intervistare, però la maggior parte delle volte è bello stare a contatto con le persone senza una telecamera che separi l’intimità che si crea; sono tutti molto ospitali, ti invitano a casa e con la scusa di bere un tè insieme ognuno entra nella vita dell’altro. Non è sempre facile girare nei territori, i controlli da parte dei militari israeliani sono all’ordine del giorno, le lunghe attese ai check point mi innervosiscono; non riesco ad abituarmi al filo spinato disseminato ovunque, alle torrette di controllo e al muro che divide i due popoli, ai rumori assordanti di alcuni aerei militari che periodicamente sfrecciano nell’aria. Tutto questo è assurdo. Cercherò di raccontarvelo.
 (Maria Di Pietro – immagine da internet)

