Categoria: Società

  • OLI 275: SOCIETA’ – Le leggerezze di un pm

    Facendo i debiti scongiuri, se qualcuno vi rubasse la chiave di casa e vi entrasse facendoci un semplice giro uscendone senza danneggiare nulla, questo sarebbe considerato una violazione di domicilio. Aggiungendo a questo la rottura di un televisore, qualsiasi sentenza comporterebbe in aggiunta un reato di danneggiamento, con relativo danno per il ripristino del bene danneggiato. Se il bene danneggiato fosse un bel “puzzle” appeso al muro, al valore del gioco dovremmo aggiungere un “costo” delle ore di impegno necessarie per montarlo, valutabili in chissà quale modo.
    Quindi non si riesce a capire come mai una persona che ha subito il danneggiamento di un proprio “puzzle” personale su Facebook (la sua casa di Pet Society), costruito con centinaia di ore davanti al PC e spendendo soldi nei negozi virtuali della rete, debba subire il doppio scorno della richiesta di archiviazione da parte di un pubblico ministero. Perché è questo che sarebbe successo ad una persona di Palermo, la cui vicissitudine è stata riportata da diversi quotidiani (*).
    Lascia sconcertati che un pm non sia stato in grado di riconoscere un reato così evidente, previsto in termini espliciti dalla legge, che comincia con il furto della password per finire con una casa vuota, anche se virtuale, e nemmeno di capire che, oggi, i beni possono essere anche dematerializzati, possono consistere in un archivio di musica, di film regolarmente acquistati su un supporto diverso dai classici CD. E possono consistere anche nell’idea di possedere qualcosa per la quale si è pagato denaro sonante (più o meno, vista la dematerializzazione anche di quest’ultimo): è il caso di Pet Society.
    Per fortuna che il giudice per le indagini preliminari ha invece accolto l’opposizione agguerrita degli avvocati della danneggiata, disponendo l’indagine della polizia postale per individuare il colpevole. E se riusciranno a trovarlo, lo scherzo costerà caro al nostro Lupin virtuale, vista la somma di reati ascrittigli, dal furto d’identità fino al danneggiamento: tutti reati penali.
    Un’osservazione più tecnica a piè d’articolo: il termine hacker usato dall’Ansa (l’agenzia stampa dalla quale la notizia deriva) è usato in questo caso in modo errato, in quanto per i pirati informatici che creano danneggiamenti è in uso un termine diverso, cracker. Hacker è colui che non abusa della propria capacità ma, anzi, spesso la mette a disposizione proprio per il miglioramento dei sistemi di difesa informatica.

    * http://www.ilsecoloxix.it/p/magazine/2010/10/22/AMvxIxAE-facebook_svaligiata_inchiesta.shtml
    * http://www3.lastampa.it/costume/sezioni/articolo/lstp/369891/

    (Stefano De Pietro)

     
  • OLI 275: POLITICA – La lunga estate delle donne romane

    L’estate delle donne romane è stata lunga e particolarmente afosa. Sembra non dar tregua neanche ai segnali del primo freddo. Come al solito tutto è iniziato sommessamente, il 26 maggio 2010, con la proposta di Legge regionale del Lazio n. 21 del consigliere Olimpia Tarzia. Tra i suoi titoli rammentiamo: Docente di Bioetica, Vice Presidente nazionale della Confederazione Italiana Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana, tra i fondatori del Movimento per la Vita, Presidente del Comitato Nazionale per la Famiglia, Presidente del Comitato “Donne e Vita” etc etc.
    La proposta riconosce la famiglia come centro per la promozione della vita e delle relazioni etico-educative, nucleo fondante di nuove realtà consultoriali parallele a quelle territoriali pubbliche-locali e no profit, con le quali la famiglia deve interagire nello spirito della contaminazione della società civile. Anzi, la famiglia è la società civile!
    Scorrendo gli articoli s’intuisce che con famiglia s’intende la coppia canonicamente consacrata dal rito nuziale, non si sa se religioso o meno. Un vago riferimento all’oratorio (art.8) come luogo di aggregazione con il quale il nuovo consultorio familiare dialoga per la maturazione psico affettiva e sessuale dei membri della famiglia, lascia ad intendere qualcosa. La mission della famiglia evangelizzante è la promozione della vita, (art. 13) deve accompagnare e anticipare la possibilità di avvalersi della legge 194/78, tentando di preservare la maternità, facendo ragionare la donna sulle motivazioni della sua scelta personale di abortire, proponendo sostegni economici in una strenua difesa del concepimento. Si citano appositi fondi da dispensare a madri che rientrino in determinate categorie di reddito, prospettando sovvenzioni sino al quinto anno di età del bambino. Consultori familiari e madri dovrebbero essere sostenuti dalla Regione Lazio, quando questa soffre di un buco enorme di bilancio nella sanità e non riesce nemmeno a coprire le necessità del territorio regionale con il numero esiguo di consultori pubblici. Alla sottrazione di fondi pubblici per un’iniziativa privata è proposta l’ormai usuale alternativa (art.17-18): la possibilità di aggregarsi in consorzi (ben vengano se non forzati), cercare sponsor etc. Non una novità per una convergenza storico nazionale in cui i servizi sociali e culturali sono messi a dura prova, se non completamente in dubbio.
    Il provvedimento di legge prevede anche l’istituzione di un comitato bioetico, composto da alcune figure professionali come l’esperto in bioetica, il giurista, il farmacologo etc. Dunque nuovi ruoli professionali, quali le qualifiche per identificarli? Il Comitato bioetico presiede le attività dei consultori pubblici e verifica che i loro servizi siano conformi alle norme bioetiche.
    La minaccia ai consultori pubblici, alla legge 194, alla legge 15/76 in vigore, è stata recepita da diverse realtà, dai sindacati agli stessi consultori, dai comitati femminili a singole adesioni di professioniste, che si riuniscono ormai da luglio alla Casa Internazionale delle Donne. Tutte insieme hanno dato luogo ad iniziative simboliche, continuano a raccogliere firme, hanno incontrato il 4 ottobre scorso Emma Bonino ed altri esponenti di partiti politici che hanno dato sostegno al no nei confronti della proposta di legge.
    Il capitolo non è ancora chiuso, anzi, collocato in uno scenario nazionale in cui le pressioni verso le autonomie regionali, combinate con le forti restrizioni dei loro budget sanitari, può dar vita alle più varie declinazioni. Una legge regionale che scavalca una nazionale, approvata con un referendum popolare, dovrebbe mettere in allerta chiunque. Ancora una volta le donne sono chiamate a difendere diritti ritenuti acquisiti, non solo per interesse diretto, ma per una condivisione reale e nel tentativo di radicare quelli che dovrebbero esser diritti naturali.

    http://www.olimpiatarzia.it/
    http://www.petizionionline.it/petizione/salviamo-i-consultori-della-regione-lazio-dalla- proposta-di-riforma-tarzia/1977
    http://roma.repubblica.it/cronaca/2010/09/22/news/consultori-7324163/
    http://www.radioradicale.it/scheda/312368

    (Maria Alisia Poggio)

     
  • OLI 275: LETTERE – I tagli del governo mettono a rischio il Centro anti violenza

    La violenza “di genere” colpisce ogni anno migliaia di donne e figli minori, avvelenando in profondità il tessuto sociale del nostro Paese.
    Nel 2005, su impulso della Provincia di Genova, è nata la Rete provinciale antiviolenza, che connetteva competenze, servizi e volontà politica di chi, da fronti diversi, lavorava su questo tema.
    Negli anni la Rete è cresciuta, e ad oggi ne fanno parte 24 associazioni, 24 Comuni, 6 Pronto Soccorso, due ASL con una buona collaborazione con le Forze dell’Ordine.
    La L.R. 12/2007 “Interventi di prevenzione della violenza di genere e misure a sostegno delle donne e dei minori vittime di violenza”, nata su proposta della Rete, prevede, tra l’altro, il finanziamento per la costituzione di almeno un Centro antiviolenza in ogni Provincia, il sostegno a progetti individualizzati per le donne, case rifugio e alloggiative, campagne di sensibilizzazione.
    Il Centro Antiviolenza di via Mascherona a Genova è stato inaugurato ufficialmente il 25 novembre del 2008 da Provincia, Comune e Regione assieme alle associazioni della Rete.
    Oggi, a due anni dalla sua apertura, sono stati registrati 416 contatti, e 243 donne hanno iniziato il percorso di fuoriuscita dalla violenza, con la presenza di oltre 100 minori vittime di violenza assistita o subita.
    Nel 2010 le prese in carico sono aumentate del 30 % rispetto al 2009, e i contatti sono aumentati del 40 %. Analogo riscontro hanno i Centri d’ascolto nati nel frattempo in cinque Comuni del territorio provinciale, e possiamo prevedere che la crescita continuerà anche nei prossimi anni.
    Importanti collaborazioni sono state stabilite con ASL 3, Direzione consultoriale, Dipartimento di Salute mentale, Servizio di reperibilità dei servizi sociali, Rete madre-bambino e con le case rifugio e accoglienza del Comune di Genova.
    Ma ora ciò che abbiamo costruito in questi anni rischia di essere messo in discussione. Le politiche economiche, la riforma federalista e i tagli diretti o indiretti previsti dal governo Fini – Bossi – Berlusconi sullo stato sociale ricadranno su Regioni, Enti Locali e quindi sulla popolazione, e la società arretrerà dai diritti conquistati faticosamente nel secolo scorso a favore di un aumento esponenziale delle disparità sociali, della perdita progressiva di diritti, dell’impoverimento progressivo delle fasce più deboli e della classe media.
    Si passerà dai diritti alla carità, cancellando anni di lotte e conquiste sociali.
    Nel 2011 anche i finanziamenti per il Centro antiviolenza, e per i Centri d’ascolto e i servizi ad essi collegati, rischiano di essere messi seriamente in discussione: un pericoloso arretramento in un paese in cui ogni giorno la violenza contro le donne e i loro figli continua a rimanere sostanzialmente fuori dall’agenda politica.
    Ma non intendiamo rassegnarci, a maggior ragione dopo i risultati fin qui ottenuti, a veder messa in discussione l’esistenza del Centro e del lavoro di rete, e a ridurre nuovamente a silenzio le donne picchiate, vessate, umiliate tra le pareti di casa dal proprio partner.
    Non intendiamo rassegnarci ad un Governo che massacra lo stato sociale e approfitta della crisi per cancellare diritti.
    Denunciamo i tagli e l’inesistenza di finanziamenti da parte del Governo, ma chiediamo anche a Regione ed Enti Locali uno sforzo concreto affinchè confermino l’impegno contro la violenza di genere di cui si sono fatti carico in questi anni.
    Facciamo appello alla società civile affinchè ci sostenga in questa lotta di democrazia e civiltà, anche costruendo assieme iniziative di raccolta fondi affinché le donne maltrattate non restino sole.
    (Marina Dondero – Vice Presidente – Assessora a Costa ed Entroterra e Pari Opportunità della Provincia di Genova)

     
  • OLI 275: LETTERE – Ingiustizie. Che fare?

    E’ iniziata una stagione di caccia alla ricerca di chi si presume percepisca indebitamente 267,00 Euro mensili per una inabilità fisica o psichica non vera.
    I controlli si sono moltiplicati. Si augurano tutti un buon bottino tale da poter andare ad alimentare le magre casse dello stato.
    L’esiguità della somma erogata non fa scandalo e non è di interesse collettivo. Ma per chi conosce direttamente le storie di povertà e malattia risulta evidente la profonda ingiustizia.
    I veri poveri non sanno cosa vuol dire arrivare a fine mese senza soldi. Per loro il primo giorno è già l’ultimo.
    La legge finanziaria approvata dal governo e in vigore dal 1 Gennaio 2011 non ha modificato i miseri introiti dovuti per le pensioni minime, ha invece stabilito parametri severi per poter usufruire della pensione di anzianità lavorativa. Una moltitudine di lavoratori si è visto allontanare nel tempo il tanto ambito desiderio di riposo e ciò ha generato sconforto.
    Mi è venuto incontro uno scritto sindacale che riportava la sintesi di un intervento fatto in parlamento il 21 settembre 2010 da un deputato dell’opposizione. Questi chiedeva l’approvazione di un ordine del giorno in cui veniva chiesta l’abolizione del vitalizio spettante ai parlamentari dopo cinque anni di legislatura. Stupisce l’accordo con cui la maggioranza dei deputati ha rifiutato la proposta presentata.
    Riporto i risultati della votazione e alcuni stralci dell’intervento:
    Presenti 525
    Votanti 520
    Astenuti 5
    Maggioranza 261
    Hanno votato sì 22
    Hanno votato no 498
    “Penso che nessun cittadino e nessun lavoratore al di fuori di qui possa accettare l’idea che gli si chieda, per poter percepire un vitalizio o una pensione, di versare contributi per quarant’anni, quando qui dentro sono sufficienti cinque anni per percepire un vitalizio. È una distanza tra il Paese reale e questa istituzione che deve essere ridotta ed evitata. Non sarà mai accettabile per nessuno che vi siano persone che hanno fatto il parlamentare per un giorno – ce ne sono tre – e percepiscono più di 3.000 euro al mese di vitalizio. Non si potrà mai accettare che ci siano altre persone rimaste qui per sessantotto giorni, dimessisi per incompatibilità, che percepiscono un assegno vitalizio di più di 3.000 euro al mese. C’è la vedova di un parlamentare che non ha mai messo piede materialmente in Parlamento, eppure percepisce un assegno di reversibilità.
    Credo che questo sia un tema al quale bisogna porre rimedio e la nostra proposta… è che si provveda alla soppressione degli assegni vitalizi, sia per i deputati in carica che per quelli cessati, chiedendo invece di versare i contributi…
    Proprio la Corte Costituzionale, con la sentenza richiamata dai colleghi questori, ha permesso invece di dire che non si tratta di una pensione, che non esistono dunque diritti acquisiti e che, con una semplice delibera dell’Ufficio di Presidenza, si potrebbe procedere nel senso da noi prospettato, che consentirebbe di fare risparmiare al bilancio… milioni di euro l’anno.”
    Che fare ? Qualcuno in passato si era già posto questa domanda ma a quanto pare il tempo della storia non è riuscito a dare ancora una risposta.
    (Maria Paola Veardo)

     
  • OLI 274: SOCIETA’ – Comunicazione umana ad alta densità

    Interessanti, gli autobus.
    A volte la densità raggiunge il massimo possibile in termini fisici. A quanto si può arrivare? A molto. Autobus numero 18, ore 11, direzione levante: le persone (contate) compresse nello spazio compreso tra le porte di uscita e la parete opposta sono sedici, per una superficie di poco più di 2 metri quadri. Calcolando una media di sessanta Kg. a persona, si arriva ad una densità di 426 Kg. di carne per metro quadro, dodici volte più di quella di un allevamento intensivio di polli broiler. Per gli umani questo è possibile perché si sviluppano più verticalmente dei polli. Pensate che affari si potrebbero fare …
    Bene, in queste condizioni si genera una situazione di immobilizzo anche emotivo, non c’è nemmeno la possibilità di litigare con i compagni di viaggio, e ognuno adotta la propria personale pratica zen.
    Ma quando la densità, pur restando elevatissima, consente potenzialmente qualche movimento, ecco che si innesca la conflittualità: nessuno perdona al prossimo di non utilizzare i suoi reali o supposti spazi di libertà. Di nuovo sul 18, ore 12, questa volta direzione ponente. Sull’autobus già molto pieno sale un gruppo di sei / sette ragazzi sui quindici anni, e porta la densità al livello critico. In più i ragazzi sono ragazzi, molto più interessati a stare vicini tra di loro per scherzare, che a procedere razionalmente verso le uscite, per non creare un blocco umano al centro dell’autobus.
    Inziano gli scambi. Una anziana signora invoca:
    “Su ragazzi muovetevi … “
    Nulla succede, e poco dopo:
    “Devo passare, andate avanti, muovetevi!”
    “Ma non rompere …”
    “Ma dove le impari queste cose?”
    “A casa e a scuola”
    “Bella casa e scuola che hai … mi spavento per il mio futuro”
    “Il tuo futuro? Quale futuro?”,
    “Il mio futuro: io sono vecchia, e siete voi il mio futuro. E allora dico: guarda che bel futuro che mi aspetta”
    “E io dico: guarda che bel presente che abbiamo”.
    Si crea nell’autobus un momento di sospensione. L’aggressività svapora. Qualcuno commenta “Beh, accidenti, ha ragione …”
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 272: SOCIETA’ – L’accessibile normalità di Stoccolma

    Spesso sono destinati a coppie. Non di gemelli. Ma semplicemente di fratelli. Se ne vedono parecchi in giro, i giovani genitori ci spingono i figli: il grande nel passeggino, il neonato nella carrozzina, affiancati l’uno all’altro esattamente come in un sidecar. A loro ogni mezzo di trasporto è accessibile: l’autobus che si abbassa dolcemente sul marciapiede per far scivolare le ruote delle carrozzine all’interno, la metropolitana dotata ad ogni fermata di ascensore, i traghetti per l’arcipelago. E loro, i bambini, con passeggini di ogni forma, sono davvero tanti a Stoccolma. Tanti come disabili e anziani, alcuni che girano la città su sedie a rotelle o spingendosi appoggiati a girelli.
    Per i più malati il centro per anziani che ho visitato nel quartiere di Solna offre grandi camere singole dove portare da casa gli oggetti più cari, camere dotate di servizi per disabili e angolo cucina. E un’assistente – fotografata vicino al degente accanto alla porta della stanza – che, mi dicono, non è presenza virtuale, ma reale. Se hanno pensione viene trattenuta dallo Stato praticamente tutta, tranne una piccola percentuale.
    Anche in piena estate, colpisce di Stoccolma il silenzio in strade e parchi, ancorché affollati, come se anche il volume delle parole fosse regolato da un principio condiviso da tutti. E stupisce la presenza di giovani e famiglie straniere. 
    La moschea è nel cuore della città. Lo spazio interno corrisponde alla somma di due palestre delle nostre scuole: grandi finestre si affacciano su un lato del perimetro, archi orientaleggianti decorano il lato opposto. L’ala schermata e riservata alle donne ne sovrasta una parte. La costruzione, di una semplicità commovente, è quello che deve essere, un luogo di preghiera. Indispensabile al credente.
    A Stoccolma quello che è necessario al cittadino sembra accessibile con normalità. E’ una normalità strana per chi è italiano, difficile da comprendere perché derivante da una logica – pagamento delle tasse ed etica della politica – che in Italia non ha messo radici.
    La politica svedese infatti è controllata da anticorpi interni ad essa che la rendono immune dalla corruzione. La segretaria socialdemocratica Monia Sahlin colpevole di aver utilizzato (nel 1995) la carta di credito da parlamentare per acquistare due tobleroni, pannolini e sigarette, fu costretta a causa dello scandalo a lasciare la carica di vicepremier e ad abbandonare la politica. Ridotta al silenzio per tre anni, è stata eletta alla segreteria del suo partito nel 2007. Ancora oggi lo “scandalo del Toblerone” è uno degli argomenti principali – a distanza di quindici anni – in mano agli avversari politici per renderla “inaffidabile”.
    Forse anche questa vicenda ha a che vedere con l’accessibile normalità che si respira a Stoccolma.

    (Giovanna Profumo)

    OLI 272: SOMMARIO

     

  • OLI 272: SOCIETA’- Dislessia: ignoranza editoriale

    E’ stata da poco approvata la nuova legge sulla dislessia, che dota finalmente lo Stato di una norma all’avanguardia, con aggiornamenti per gli insegnanti, fondi per l’istruzione, definizione dei vari tipi dei Dsa (Disturbi specifici di apprendimento – discalculia, disortografia, ecc). Dopo molti anni di giacenza a livello delle commissioni parlamentari, sono stati una petizione online e un gruppo di Facebook che sono riusciti a sbloccare la situazione, grazie alla mamma di un bambino dislessico, Laura Ceccon (*), che si è fatta promotrice di una richiesta. Molti giornali si sono interessati alla cosa, anche in virtù del media inconsueto per l’Italia, appunto Facebook, usato per fare visibilità nazionale e soprattutto organicità alla richiesta, davvero forte, da parte di chi la dislessia la vive quotidianamente in casa, con i propri figli. Avvenire, il Corriere della Sera, televisioni locali, tutti hanno fatto la loro parte per spiegare di cosa si tratti, di come possa essere superata o perlomeno “arginata” la dislessia, come comportarsi per consentire a tutti di usufruire della possibilità di studiare e di darsi le migliori opportunità nella propria vita.
    Fino a poco tempo fa, e ancora oggi a dire il vero, la dislessia non veniva riconosciuta dagli insegnanti, causando gravi danni psicologici ai bambini, problemi alle famiglie, ritardi nell’apprendimento. Anche quando la diagnosi finalmente metteva in luce il motivo della incapacità di alcuni bambini di uniformarsi ai metodi di apprendimento dei loro compagni, comunque era difficile trovare insegnanti in grado di gestire la situazione in modo professionale, soprattutto per la totale mancanza di formazione in materia da parte del sistema di aggiornamento scolastico. Oggi, con la nuova legge, sono state messe le basi per cercare di risolvere questa situazione davvero indegna di un paese moderno.
    Mentre da tutti, genitori, specialisti, ministero, parlamento, si levano parole di approvazione, una voce fuori dal coro ci manda una stonatura che attacca a trecentosessanta gradi questo risultato, non tanto nei particolari di questo o di quel comma, ma proprio per il modo di intendere nello specifico la dislessia, e più in generale il concetto stesso di “differenza” tra le persone.
    Questo falsetto fuori registro appartiene a Guido Mattioni, che prima ancora che editorialista del Il Giornale è, così lui stesso si definisce nell’articolo “Scuole come ospedali: non più somari ma malati”, un “caprone in matematica” (**).
    Intristisce vedere una mente così arcaica scrivere appollaiato in un trespolo tanto alto, dalla cui elevazione con poche parole incompetenti, incapace della comprensione della bellezza della differenza del mondo, cerca di distruggere il lavoro fatto da decine di persone, esperti di apprendimento, ricerche internazionali, congressi e esperimenti. E ancora di più stupisce la mancanza di controllo della direzione del quotidiano su quanto scrivano i propri redattori, non certo censurando ma per lo meno marcando la dissociazione da un articolo che nei contenuti offende la dignità di persone che hanno difficoltà di vita non tanto per la propria condizione di inadattabilità a metodi di scrittura e di pensiero per loro inutilizzabili per natura, quanto per l’incapacità di cambiamento che la nostra società ha manifestato. Mattioni, con lo stridere dei propri concetti conservatori ottocenteschi, ne è un esempio lampante.
    Conclude l’articolo con un “E’ il nuovo che avanza”, almeno questo riesce a percepirlo, anche se non ancora ad appezzarlo. Laura Ceccon, che fa parte di questo nuovo che avanza, invita sul suo gruppo ad ignorare l’articolo e ad occuparsi di cose serie.

    * http://www.facebook.com/pages/Vicenza-Italy/Laura-mamma-di-un-bambino-dislessico/456803020023
    ** (http://www.ilgiornale.it/interni/scuole_come_ospedali_non_piu_somari_ma_malati/01-10-2010/articolo-id=477008-page=0-comments=1)

    (Stefano De Pietro)

    OLI 272: SOMMARIO

     

  • OLI 272: SOCIETA’ – L’estate nera delle donne italiane

    Luglio caldissimo, agosto piovoso, mare opaco di alghe e petrolio, risse politiche, circo equestre a Roma con carabinieri e cavalli berberi e, spesso in prima pagina sui quotidiani a corto di notizie, uno stillicidio quotidiano di violenze contro le donne.
    Donne massacrate dai loro ex mariti e fidanzati che “non si rassegnano” a essere lasciati; donne massacrate da ex fidanzati di altre, che sfogano la propria rabbia sulla prima che incontrano; donne massacrate da medici incompetenti, che trasformano in tragedia un evento naturale come il parto; donne massacrate dalla paura e dall’ignoranza, mentre abortiscono clandestinamente nel bagno di casa; donne usate da una pubblicità violenta e volgare, che ne offende la dignità umana; donne in parata davanti al dittatorello di turno, assoldate in massa a pochi euro al giorno. Un lungo elenco di offese, di mercimonio, di violenza a volte più sottile, più spesso omicida, troppo lungo, articolato, specifico per poterlo ritenere casuale.
    Alla base la convinzione che le donne siano per loro natura “inferiori”, un “ambiguo malanno”, come già le etichettava l’antichità classica, convinzione radicata nel nostro paese anche grazie alla storica misoginia cattolica, convinzione che fino a pochi anni fa nessuno osava esprimere, ma che la recente svolta popolar-pecoreccia del pensiero politico ha sdoganato, un po’ come è accaduto per il razzismo, per l’omofobia e per la certezza che tutto sia lecito, basta solo non farsi beccare con le mani nel sacco, o, se beccati, produrre immediatamente una legge ad personam per farla franca.
    Un’estate nera per le donne italiane: e non aiuta che molti quotidiani continuino a definire questi assassinii come “delitti passionali” o “tragedie dell’amore”. Qui l’amore e la passione non c’entrano niente: c’entra invece l’idea che il corpo delle donne appartenga agli uomini, ai medici, ai padri, ai mariti, ai potenti e che il proprio spazio di potere si definisca in base alla forza e all’estensione di questa appropriazione indebita.
    C’entra l’idea che il lavoro delle donne sia solo “aggiuntivo” rispetto alla definizione del reddito familiare; c’entra l’idea che lo spazio pubblico non esista e che i diritti collettivi siano inutili; c’entra l’idea che formazione e competenza valgano di meno di un bel “lato B”; c’entra un’idea feudale del potere, in cui la vicinanza al corpo del capo definisce l’accesso al potere stesso.
    Parlare di donne, oggi, vuol dire parlare di questo: della natura e delle forme del potere e delle parole nuove che dobbiamo imparare a pronunciare per disvelarne la natura regressiva e pericolosa.
    Abbiamo bisogno di vederli in fila, questi donnicidi, di leggerli nella loro enormità, nel loro orrore per sottrarli all’effimera indignazione di chi ne legge distrattamente su un quotidiano, per ricondurli al loro significato di segnale inquietanti di questo nostro tempo.
    Perché è ipocrita manifestare per una donna condannata a morte in un paese lontano, se non c’è, insieme, la consapevolezza della violenza che tuttora è presente nella nostra cultura e nella nostra società.

    http://www.ilcorpodelledonne.net/?page_id=89
    http://comunicazionedigenere.wordpress.com/2010/09/24/sulla-pubblicita-sessista/
    http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/08/violenza-sulle-donne-in-aumento-simonelli-e-doveroso-parlarne/48752/
    http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070221_00/
    http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/09/06/news/lerner_murgia-6791000/

    (Paola Repetto)

    OLI 272: SOMMARIO

     

  • OLI 271: MIGRANTI – I quiz sono incomprensibili e la patente diventa un miraggio

    L’italiano è morto. La punteggiatura è ormai generata dal caso. I congiuntivi defungono, giorno dopo giorno, l’uso comune ha dimenticato, in un processo irreversibile, migliaia di vocaboli e si è ridotto alle quattro parole ripetute senza tregua dalla Tv.
    Esiste una sola isola, arcaica e tutelata per legge, dove vigono, anzi proliferano a sproposito, arcaismi, termini obsoleti e periodi lunghi con infinite subordinate: i quiz per l’esame teorico della patente B.
    Questa giungla di termini, sinonimi, veri e propri test di logica e trabocchetti linguistici è piuttosto ostica già per gli italiani; la situazione si complica se, a dover affrontare l’esame, sono degli stranieri, magari con una buona – od ottima – competenza linguistica, ma inermi di fronte alle trappole dei quiz.
    Fino al settembre 2006 era possibile per gli stranieri sostenere la prova d’esame teorico come orale, con quattro domande, che sostituivano la paginata di quiz. Successivamente una modifica del Codice della strada ha eliminato questa possibilità, introducendo l’esame informatizzato e la possibilità di impostare sette differenti lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo, russo, cinese e arabo). Detta così sembrerebbe la soluzione ottimale.
    In realtà non è tutto facile come sembra. Alcune traduzioni in lingua sono meno comprensibili del pur astruso italiano ministeriale: per la lingua araba, ad esempio, la traduzione adatta per un marocchino spesso non è comprensibile per un libanese, la varietà linguistica regionale non è presa in considerazione e le traduzioni in alcuni casi non sono esatte, rendendo difficile rimanere entro il margine dei quattro errori.). L’esame diventa un ostacolo insormontabile se si conosce sommariamente l’italiano e solo qualche dialetto escluso dal ventaglio di lingue ammesse per il test. Vedi il caso degli indiani del Punjab residenti nella provincia di Piacenza, che nel 2009 hanno risolto il problema acquistando patenti contraffatte (http://www.atopiacenza.it/Allegati/Eventi/2009.08.27_PRO43_2782009-123757.pdf .
    Il Codice della strada è stato aggiornato di recente, lo scorso agosto, ma nessun intervento si è posto il problema di questa situazione, per la quale il tasso dei bocciati tra gli stranieri, all’esame di guida, è molto più alto rispetto agli italiani, e non per carenze sulla conoscenza delle norme ma per il gap linguistico.
    Se nell’esame per la patente gli stranieri devono essere equiparati agli italiani (come non avviene, purtroppo, in molti altri casi, come alcuni concorsi pubblici, il famoso “bonus bebè”, i bonus vacanze, tanto per citare qualche caso spicciolo), perché non rimodernare i quiz, sciogliendo le formule complicate, le doppie negazioni e le trappole logiche, sostituendo i termini desueti? Si otterrebbe un oggetto in grado di selezionare i futuri guidatori in base alla reale conoscenza del codice stradale, anziché su parametri linguistici. E forse ne gioverebbero anche gli italiani.
    (Eleana Marullo)

  • OLI 271: SOCIETA’ – Bevete più latte, il latte fa bene

    “Bevete più latte, il latte fa bene; il latte conviene, a tutte le età…”.
    A transitare da Campetto, nel cuore di Genova, viene in mente la canzoncina musicata da Nino Rota per “Le tentazioni del dottor Antonio” di Fellini, episodio del film “Boccaccio 70” (1962).
    All’ingresso di Palazzo Imperiale non c’è però l’immenso manifesto con l’ammiccante Anita Ekberg sdraiata a porgere un bicchiere di latte, bensì un simulacro di mucca a grandezza quasi naturale che incuriosisce i passanti e li invita a entrare.
    Vi si trova – dallo scorso 13 settembre – un distributore di latte crudo, l’unico in centro dei tanti disseminati sul territorio cittadino a cura dell’Associazione Provinciale Allevatori Genova, dopo che erano stati tolti quelli al Mercato Orientale e in Via Gramsci.
    Una presenza legata naturalmente a LiguriaStyle.it, il centro di esposizione e promozione dell’artigianato tipico di qualità e delle produzioni agroalimentari nato nel 2008 per volere delle Federazioni Regionali di Confartigianato e CNA Liguria, con il contributo della Regione Liguria per il tramite di Liguria International. Ancora poco conosciuto dalla gran parte dei genovesi, nonostante sia a ingresso libero, ha sede nei monumentali saloni al secondo piano nobile, dove sotto i cinquecenteschi affreschi e stucchi di Giambattista Castello il Bergamasco e Luca Cambiaso si possono ammirare – e acquistare a prezzo di produzione – manufatti e generi alimentari di prima qualità.
    Ora vi si vendono anche le bottiglie di vetro da un litro – per chi ne fosse sprovvisto, al prezzo di 1 euro l’una – per potersi imbottigliare da soli il latte al sottostante distributore automatico.
    Latte di ottima qualità, munto la mattina presto, subito filtrato e refrigerato per essere trasferito in fretta ai punti vendita.
    Il costo al litro è di 1 euro, circa un terzo in meno di quello comunemente praticato per il latte confezionato dalle centrali. Assai conveniente sia per gli acquirenti, sia per gli allevatori che ricavano ben più di quanto offerto dall’industria.
    Ogni produttore cura uno o più erogatori che forniscono esclusivamente il suo latte, in un bell’esempio di filiera corta, anzi cortissima. Aderiscono all’iniziativa 16 aziende agricole a conduzione familiare distribuite nel Genovesato, sottoposte a rigorosi controlli sanitari periodici e a sorpresa; ciascuna con poche decine di capi che quando è possibile vengono condotti al pascolo, alloggiati in stalle concepite per il benessere degli animali e l’igiene delle produzioni. Non subendo pastorizzazione né altri trattamenti, a titolo cautelativo le autorità sanitarie hanno imposto recentemente sui distributori la scritta “da consumarsi solo dopo bollitura”, ma molti utenti non se ne curano, fidandosi delle garanzie fornite.
    Il latte di Campetto proviene da un’azienda di Masone con una settantina di mucche di razza Pezzata Nera, che se ne stanno all’aperto tutto l’anno brucando e mangiando in più foraggio e cereali.
    Questa nuova prassi sta incontrando sempre più il favore del pubblico e sembrerebbe che le grandi centrali del latte stiano cominciando a preoccuparsene, tanto da indurre i propri promotori a praticare sui consumatori un vero e proprio terrorismo informativo su presunti gravi rischi di contaminazione batterica del latte crudo, in realtà inesistenti.

    Sul latte crudo in Liguria:
    http://www.lattecrudoinliguria.com

    Su Liguria Style.it:
    http://www.liguriastyle.it

    Un’interessante indagine on line sulle modalità di consumo del latte crudo, con questionario da compilare:
    http://www.izsler.it/pls/izs_bs/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?rifi=guest&rifp=guest&id_pagina=1027

    (Ferdinando Bonora)