Categoria: Società

  • OLI 293: SOCIETA’ – La crocefissione della laicità dello stato

    Il bassorilievo del processo a Giordano Bruno (Roma, Campo de’ Fiori)

    Nella foto, come viene erroneamente indicato nella didascalia, non vediamo il bassorilievo del processo a Giordano Bruno, bensì l’attuale situazione nei tribunali italiani. Non lasciatevi ingannare dai vestiti né dalle panche in legno, tantomeno dalle barbe fluenti o dal fatto che l’incriminato è costretto a restare in piedi di fronte alla corte. L’elemento che convince della modernità di questa immagine è la presenza importante e ribadita di un crocefisso sopra la capa del giudice.
    La sentenza della Cassazione di pochi giorni fa che ribadisce l’obbligo del crocefisso nei tribunali, parla chiaro: il nostro amico sofferente deve essere lasciato perché, se da una parte non si può escludere l’utilità dello stesso per i credenti all’interno di un’aula di tribunale, dall’altra non si può nemmeno consentire a tutti gli altri di entrarvi, quindi, la soluzione miracolosa è quella di lasciare tutto come sta. Insomma, mettere un simbolo ebraico accanto al crocefisso potrebbe essere lesivo per l’incompatibilità delle due dottrine, di levare il crocefisso non se ne parla perché un sano ladro cattolico potrebbe aversene a male, ecco il riassunto della sentenza, che conferma la radiazione del giudice di Camerino, Luigi Tosti, dalla magistratura per essersi rifiutato di tenere udienze all’ombra del simbolo cristiano. Cassazione dixit.
    Trovare una soluzione in ambito legislativo è impossibile, al momento, infoiati come saranno i nostri parlamentari a discutere già di sesso degli angeli (Ruby), presenza dell’anima nelle donne (regionalismo/de centralismo), discendenza divina dell’imperatore (processi vari al Presidente del Consiglio dei Ministri), non scordiamoci l’annoso problema dell’immagine dell’Italia nel mondo dopo il recente forfait della Nazionale di calcio in Sud Africa.
    Resta una sola speranza per salvare la Laicità dello stato: che a causa dell’inesistente manutenzione delle strutture pubbliche, qualche crocefisso decida che è arrivato il momento di staccarsi e di infilare i poveri piedi feriti nella testa del giudice sottostante. Forse, prendendola dal lato della sicurezza, qualcosa si muoverà finalmente, tra l’altro rivalutando l’importanza, in questo caso, della mansione di giudice “a latere”, così, giusto per salvarsi da uno spiacevole incidente.
    Adesso che abbiamo scherzato un po’, ritorniamo alle cose serie: qualcuno ha ancora voglia di parlare di nucleare?
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 292: PUBBLICITA’ – Eni, convincere od obbligare ?

    Sta accadendo da tempo su molte testate web che sopra il giornale appaia una “finestra” indesiderata di pubblicità quando si apre la pagina iniziale del giornale. Una volta queste pubblicità si chiamavano pop-up, oggi sono state sostituite da tecniche che aggirano i software di sicurezza ma ne mantengono lo scopo, quello di far apparire alla vista del lettore qualcosa che non desiderava, in un momento di massima attenzione visiva. E’ sicuramente una cosa sgradevole, ma fino a qui si tratterebbe di una lotta di furbizia confinata all’interno di quella discrezione che deve comunque accompagnare la pubblicità (convincere ma non obbligare), con la possibilità di eludere rapidamente il messaggio chiudendo la finestra con la classica “x” che viene posta in un qualche angolo dello schermo, prima che la stessa lo faccia da sola passato un determinato tempo. Così che il lettore, dopo un iniziale fastidio, si sente liberato e può considerare questa piccola intrusione come un qualcosa di necessario, per mantenere il web gratuito, per consentire al giornale di finanziarsi, insomma, alla fine, che la pubblicità abbia uno scopo “buono”. Mai un servizio come Facebook o Google Ads di sognerebbe di fare quello che ha fatto, invece, Eni.
    Infatti, la nostra primaria azienda nazionale propone una pubblicità sibillina, che è stata in onda sul sito del Secolo XIX per alcuni giorni partendo dal 2 febbraio 2011. La sua finestra ha sì la “x” presente in bella vista al solito angolo, ma è finta e non serve affatto a chiudere la finestra, ma come trappola per saltare direttamente al sito web dell’offerta (che non viene qui linkata come nostro solito per “pena del contrappasso”). Sembra insomma che abbia voluto puntualizzare che il proprio comportamento è sempre e comunque scorretto, inadatto, incurante degli altri fin dei propri consumatori/clienti.
    Peggio: con questa tecnica un utente inesperto, cercando di levarsi di torno il sito Eni apparso in modo inatteso, finirà per chiudere anche quello del giornale, restando disorientato. Un doppio effetto negativo, per Eni, che riceverà le maledizioni del consumatore, e per il giornale, che non controllando le funzionalità “maleducate” dei suoi inserzionisti lascerà un’alea di incompetenza se non di complicità da parte della propria direzione. Sarebbe auspicabile un comportamento più attento da parte della stampa, anche perché sono i loro direttori responsabili i possibili target di azioni legali volte a tutelare il diritto delle persone di non essere costrette a vedere una pubblicità.
    Una violenza paragonabile ad una specie di sequestro “a scopo pubblicitario” che si riscontra anche quando ci si reca al cinema, nei multisala, dove l’orario di ingresso è tassativo, ma solo per essere presenti davanti al megaschermo 3D all’inizio dei (minimo) 15 minuti di pubblicità obbligatoria che ci si deve sorbire senza alcuna possibilità di fuga. Ma non dovrebbe esserci la libertà di scelta in Italia? Il pubblico si lamenta, ogni volta dopo 10 trailer iniziano i primi commenti a voce alta, poi qualche fischio. Sarebbe utile un’iniziativa legale in tal senso, anche a tutela dei minori messi di fronte a immagini violente, sunto di altre pellicole non certo adatte ai bambini che sono in sala per assistere a ben altra proiezione.
    A conclusione, è intanto partito un messaggio al sito di Eni, per lamentarsi della stupida furbizia usata per “costringere” a leggere la pubblicità. Come ci si aspettava, ad un mese dall’invio ancora nessuna risposta, a conferma della cecità di questa azienda italiana, una volta simbolo del “buon made in italy” ed oggi ridotta a elemosinare qualche “hit” sul suo sito attraverso uno stratagemma un po’ troppo furbesco.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 291 – SOCIETA’ – L’8 marzo che vorrei

    Vittorio Lingiardi, a Genova lo scorso 25 giugno durante un convegno sull’omogenitorialita’ ricordava come fosse stato fondamentale il ruolo delle donne nell’evoluzione dello stato sociale, non con un’accezione esclusivamente sessista, ma ampiamente democratica, che investisse le garanzie di tutti, uomini, donne, bambini, la famiglia, la salute, il lavoro. I diritti della societa’ e di tutti i suoi membri senza distinzione, facendo emergere problematiche volutamente sommerse.
    Negli ultimi tre anni la nostra citta’ ha ospitato e dato vita a tre momenti di partecipazione significativi, il 2009 ha visto il gay pride con la sua parata colorata e multi partecipata da genitori, figli, sostenitori della liberta’ di esprimere cio’ che si e’, curiosi stimolati non solo dal folklore. Il 2010 ha visto il primo sciopero dei migranti, un volto al sommerso, ma anche emerso come chi quotidianamente chiude un cantiere, accudisce con dignita’ un anziano parente, e’ ormai parte delle truppe dell’esternalizzazione aziendale. Il 2011 un appuntamento più grande, il 13 febbraio, piazza e strade affollate per un dignita’ civile di tutti, non solo delle donne toccate dall’affaire Ruby e dal push up o la microgonna come passaggio obbligato per scatti di livello e falsi diritti incipriati. La trasversalita’ dell’appuntamento del 13 e’ passata di bocca in bocca. Ma come darle vita, ragion d’essere, continuazione? Trovare una data emblematica? Perche’ non un 8 marzo trasversale, una data nella quale delle donne sono morte prive di diritti, ma hanno dato il via alla battaglia per i loro e quelli di tutti. Un 8 marzo migrante, che parli millelingue, che sia gblt e eterosessuale, uomo e donna e bambino a difesa di diritti acquisiti, primo di tutti al lavoro ed ad uno stato sociale che volutamente si sta facendo a pezzi.

    (Maria Alisia Poggio)

  • OLI 291: SOCIETA’ – il volto umano dell’hamburger

    Qualche giorno or sono una vegetariana incallita e slow solo nella condotta alimentare, poiché la condizione di trasfertista non permette molte altre nicchie di sana lentezza, ha avuto un esperienza limite, in un luogo che più fast non si può.
    Tutto il merito va ad una coincidenza spazio temporale delle Ferrovie dello Stato. A causa di un guasto di linea una serie di treni più o meno veloci ha accumulato ritardi, se non addirittura soppressioni a mo di cavalli azzoppati. I passeggeri appiedati hanno di conseguenza pensato al primo caldo riparo nel quale potessero rifocillarsi. La vegetariana, riluttante, ha seguito la scia, certa che comunque un caffè di kilometrica portata l’avrebbe sostenuta di lì sino all’arrivo del convoglio.
    Conclusa l’operazione di recupero beverone, decide di prender posto a sedere, con un bagaglio al seguito degno di uno sherpa nepalese. Mentre la sua, come quella degli altri utenti FS era una migrazione forzata, attorno a loro una migrazione naturale, quasi quotidiana, considerata la familiarità con cui chi badava ai tavoli e alla tranquillità di chi era seduto si rivolgeva a questo gruppo di ospiti, che faceva a gara con la vegetariana da soma per zaini e carrellini.
    Dalla sala d’aspetto attigua al locale, dalle luci al neon simili a lampadine ammazza zanzare, si erano mossi in ordine sparso un gruppo di uomini e donne che vivevano realmente la stazione, ne sono l’anima notturna, non quel pallido e stanco gruppo trascinatosi in attesa del vagone verso casa.
    Solo allora tutto si è fatto più caldo, sincero, tra un pezzo di pizza regalato ed un’oliva innalzata per brindare a tanta generosità, crocchette di pollo sgranocchiate con gusto e sorrisi gratuiti, che sarebbe bello incontrare più spesso e risponder loro altrettanto all’apertura delle porte dell’autobus la mattina. Un mondo dove la solitudine è più fredda che mai, ma il calore umano riscalda altrettanto, senza chieder nulla in cambio. Veramente un mondo a parte? Quanti e quali gradi di separazione?
    (Maria Alisia Poggio)

  • OLI 289: PAROLE DEGLI OCCHI – Genova faziosa e radical chic

    GBa
    GBa
    GBe

    “Una mobilitazione faziosa, una vergogna!”
    L’ira di Berlusconi per la manifestazione delle donne (e uomini) di domenica 13 febbraio si aggiunge al grottesco commento di Mariastella Gelmini che ha farneticato di “solo poche radical chic che manifestano per fini politici e per strumentalizzare le donne”.
    Per controbattere, stavolta bastano davvero soltanto le parole degli occhi: non occorre aggiungere altro alla potenza di immagini che parlano da sole.
    Foto di Giorgio Badi (GBa) e Giorgio Bergami (GBe)

  • OLI 287 – SOCIETA’: Una denuncia da 2,5 milioni di Euro

    I giornali non amano linkare, si sa. Non lo fanno sulla carta, tantomeno sui loro siti web. Così la storia di Dante Svarca, attivista ateo prima ancora che funzionario pubblico, deve essere approfondita andando a leggere direttamente il suo blog, per cercare le conferme ad un articolo del Secolo XIX (*) che lo dipinge un po’ come “macchietta” e un po’ come impegnato in un “lungo contenzioso per svariate cause civili”, accanto ai più famosi Luigi Tosti, il giudice di Camerino che non voleva il crocefisso in aula, e altri atei impegnati nella loro campagna di laicizzazione della vita civile. Ma l’articolo non dipinge una situazione molto seria, semmai materiale per il chiacchiericcio del giorno dopo, davanti al caffè.
    Invece è molto interessante uno dei molti link mancanti nell’articolo del Secolo, quello relativo al pdf della denuncia (**) fatta al Tribunale di Ancona, in relazione al reato di “abuso della credulità popolare”, dove si pone l’attenzione del giudice anche all’uso di questo raggiro fatto dal Vaticano per ottenere soldi pubblici: “Segnalo, infine, che quest’anno si terrà in Ancona il Congresso Eucaristico Nazionale e che, per tale evento, la chiesa di Ancona ha chiesto un contributo pubblico di ben 3,5 milioni di euro. Da notizie di stampa ho appreso che è stato concesso un contributo statale di 2,5 milioni di euro, quindi un contributo a carico di tutti i contribuenti siano essi cattolici, credenti in altre religioni o non credenti. L’erogazione di tale somma appare ingiustificata, trattandosi di una semplice riunione interna di una confessione religiosa, anche se maggioritaria, ma ciò appare ancora più ingiustificato qualora venisse accertato, con indagini ordinate da codesto Ufficio, che durante il rito eucaristico non avviene alcun fatto magico e l’ostia consacrata sia in tutto uguale a quella non consacrata e, in particolare, il DNA contenuto nelle due ostie sia sempre quello del grano da cui proviene la farina. Ritenendo violata la laicità dello Stato e, come cittadino che paga le tasse, danneggiato economicamente per la maggior tassazione cui sono sottoposto a causa di questo falso miracolo, qualora accertato dalla S.V., a nulla rilevando la tradizione dell’insegnamento e della prassi religiosa che hanno da sempre propagandato tale fatto come miracoloso e magico”.
    Non sembra affatto un particolare della vicenda, leggendo adesso l’articolo del Secolo XIX con l’aggiunta di questo pezzo mancante il giudizio su Dante Svarca potrebbe cambiare, e non poco. Altri link portano alla lettera, che non si esita a definire tagliente, inviata come diffida al Vescovo di Ancona precedentemente alla denuncia (***) e al suo blog dove si pubblicizzano due libri e alcune recensioni.
    * http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2011/01/29/ANCBL7fE-chiede_cristo_corpo.shtml
    ** http://dantesvarca.files.wordpress.com/2011/01/denuncia-ostia-procura.pdf
    *** http://dantesvarca.files.wordpress.com/2011/01/diffida-menichelli-2.pdf
    http://dantesvarca.wordpress.com
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 287: PAROLE DEGLI OCCHI – Oppio dei popoli

    Foto di Giorgio Bergami ©

    Foto di Paola Pierantoni ©

    Nelle foto di Giorgio Bergami, Venerdì 28 gennaio 2001: locandine in edicola e manifestanti per strada.
    Lo sciopero indetto dalla Fiom contro le politiche di Fiat e governo e a favore dei diritti dei lavoratori ha mobilitato molti settori della società civile e dell’associazionismo, con affollate manifestazioni in diverse città, tra cui Genova. Oltre a tale evento, molte emergenze e criticità stanno investendo l’Italia e il resto del mondo, ma invece di promuovere conoscenza e riflessione su questi temi vitali, la stampa preferisce attirare l’attenzione (e vendere di conseguenza più copie) evidenziando soltanto quanto attira il grande pubblico, in questo caso il calcio. Si perpetua così quell’azione di anestetizzazione e stordimento delle coscienze in atto da tempo attraverso la carta stampata e la televisione.
    Ma non tutti ci cascano…

    Nelle foto di Paola Pierantoni, tre manifestazioni degli ultimi mesi: 27 gennaio 2011, flash mob delle donne alla Stazione Brignole per le dimissioni di Berlusconi; 11 novembre 2010, manifestazione a De Ferrari in difesa delle politiche sociali; 6 giugno 2010, lo sbarco della Nave dei Diritti.

    P.S.: Ecco una perla del Secolo XIX online del primo Febbraio. I tre sondaggi hanno ovviamente un’importanza paragonabile.
    (segnalato da Stefano De Pietro)

  • OLI 284: INFORMAZIONE – Linguaggio e realtà

    Rileggo a distanza di tempo due articoli, usciti su la Repubblica del 23 dicembre.
    Uno è di Curzio Maltese, l’altro di Adriano Sofri, ed entrambe descrivono e commentano lo stesso evento: la splendida manifestazione degli studenti dello scorso 22 dicembre a Roma.
    Non c’è differenza di orientamento tra i due giornalisti. Tutti e due mettono in rilievo la capacità dei ragazzi di spiazzare l’ansiosa e desiderante attesa di incidenti – possibilmente gravi – e sottolineano il momento simbolico dell’omaggio che i giovani hanno reso a Mohammed B., l’operaio marocchino morto sul lavoro in un cantiere dentro alla facoltà di Scienze Politiche. L’intervento di Sofri, in particolare, si concentra soprattutto su questo episodio.
    Nell’articolo di Maltese si incontra però, in più, questo passaggio: “Dopo il fuoco, il fumo e il sangue di piazza del Popolo, il movimento studentesco più pacifico della storia è tornato con saggezza allo spirito creativo. Il più femminile anche, un fattore che conta nell’evitare il rischio di militarizzazione. Ragazze ovunque a organizzare”.

    La stessa cosa avevo osservato a Genova alla grande manifestazione che il 4 novembre 2010 aveva percorso, insolitamente, la zona di Castelletto: ovunque ragazze a correre avanti e indietro lungo il corteo, a dare indicazioni.

    Solo in via Assarotti davanti alla Direzione scolastica regionale presidiata dalla polizia, i giovani maschi prendono la testa e i fianchi del serpentone, disponendosi a “servizio d’ordine”. Mi avvicino e chiedo a uno di loro “E le ragazze?”. Risponde imbarazzato, sorridendo: “No guardi le ragazze nell’organizzazione ci sono, sono dappertutto, ma qui può esserci pericolo …”
    Dunque in queste manifestazioni di persone giovani le ragazze, le donne, ci sono, dirigono e segnano una differenza.
    Questa è una novità politica che per essere comunicata va messa in rilievo in termini espliciti, come ha fatto Maltese. Non può bastare, a rilevarla, una trasformazione del linguaggio che superi l’utilizzo del genere maschile (gli studenti, i giovani, i ragazzi … ) per indicare il tutto.
    Detto questo, però, riprendo l’articolo di Sofri dove l’utilizzo del genere maschile per il tutto non ha eccezioni e arriva a formulare frasi come: “Un’immigrazione impetuosa che ha le fattezze di uomini giovani e prolifici “ … “Noi vecchi e con pochi figli, loro giovani come conigli” … “I giovani studenti che si ribellano e i giovani immigrati che vengono qui a faticare e morire”, e non posso che osservare che questo linguaggio mi esclude totalmente, come donna, e che questa esclusione porta la conseguenza di alterare la realtà che si vuole descrivere.
    Non c’è persona – credo – che leggendo questo articolo non veda formarsi in modo spontaneo e automatico nella mente immagini di schiere solo maschili che lavorano, emigrano, manifestano, (partoriscono?).
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 284: NUCLEARE – La lista che mancava

    Deve essere stato davvero un gran lavoro quello di chi ha tradotto in italiano la lunga lista di incidenti che hanno a che fare con il nucleare, civile o militare, dalla fine del 1800 ad oggi. E’ stato pubblicato in forma completa su http://www.mongiello.it/chernobyl/elenco-incidenti-nucleari, e si può passare qualche minuto a scorrerlo cercando la parola Italia, che compare 42 volte per altrettanti articoli inerenti il nucleare. L’origine del post è il sito progettohumus.it, che a sua volta fa riferimento al sito svizzero del servizio geologico nazionale (il link indicato in Progetto Humus è però obsoleto e non funziona).
    Nella lunga lista si legge che il Giappone, nel 1945, fece esplodere in Corea un ordigno nucleare di prova. E’ una notizia che lascia perplessi: possibile che in tutte le cronache di guerra non ne sia mai stata fatta menzione?
    Ecco il testo dell’articolo: “11 Agosto 1945 – Corea. Due giorni dopo la bomba atomica di Nagasaki, gli scienziati giapponesi di stanza a Konan (il maggiore complesso industriale sotto il controllo nipponico) ed ignari della decisione presa dall’imperatore di arrendersi evitando ulteriore morte e devastazione, eseguono un test nucleare: il lancio partì dal bacino di Konan, fu guidato nel mare del Giappone per entrare nel porto di una piccolissima isola. Per diversi giorni relitti di imbarcazioni e altre vecchie navi furono portate sull’isola che era talmente piccola da non risultare su molte mappe. I pochi abitanti furono evacuati. Venti miglia dall’isola gli osservatori aspettavano e pregavano che gli assidui sforzi avrebbero prodotto il risultato che tanto speravano: una forza di distruzione enorme da poter usare nell’autunno sulle forze alleate in procinto di un’invasione. Il risultato fu sorprendente: sotto la nube radioattiva le imbarcazioni erano affondate o bruciavano mentre della vegetazione sulle colline ne rimaneva solo le ceneri. Un fungo atomico che probabilmente era molto simile a quello di Hiroshima e Nagasaki. Ma tutto fu inutile per la presa di posizione dell’imperatore di cessare i combattimenti. Pertanto, una volta a conoscenza dell’imminente resa, gli scienziati giapponesi si diedero da fare per distruggere tutti i loro documenti nonché tutto l’equipaggiamento e strumentazioni possibili (incluse altre bombe atomiche quasi completate) perché i russi ormai avanzavano verso il complesso di Konan dalle montagne nel nord della Corea. Tutta l’apparecchiatura non distrutta finì in Russia assieme agli scienziati che furono torturati, interrogati e cancellati dalle pagine della storia”.
    Ci sono anche spiegazioni sul caso Ilaria Alpi e sulle molte mancanze di sicurezza in centrali italiane e straniere. Ad esempio, a Caorso ci furono fughe radioattive, di cui la stampa non diede notizia.
    Nella lista manca il caso del furgone con materiale radioattivo spedito in giro per lo stivale senza misure cautelative e alcuna informazione all’autista (http://www.bur.it/sezioni/Foglietto_numero_0801.pdf, pagina 2).

    (Stefano De Pietro)

  • OLI 283: DIRITTI – Scegliere il tempo del morire

    L’evento questa volta è raccontato “dall’interno” perché siamo in tre – della redazione di OLI – ad avervi partecipato.
    Giovedì scorso, per tre ore, gli uffici dell’Anagrafe di Corso Torino sono stati animati da una insolita agitazione, che si sommava a quella della vicina sala dedicata ai matrimoni: un gruppo di donne di età molto diverse, unite dalla appartenenza al gruppo “Generazioni di donne”, aveva organizzato la consegna collettiva dei propri testamenti biologici per “sollecitare le forze politiche e il legislatore a riconoscere pienamente il diritto alla autodeterminazione” e per affermare il diritto a scegliere il tempo del proprio morire, a rifiutare di diventare esseri puramente vegetativi nelle mani di altri, o di soffrire senza prospettiva per un tempo indeterminato.
    Ognuna delle “testamentarie” sapeva bene quanto sia incerto questo terreno: nessuna legge garantisce la validità di questo atto, e attendere che una normativa rispettosa della pluralità di pensieri possa arrivare nel prossimo futuro richiede un grande ottimismo: gli attacchi a Saviano e Fazio per lo spazio dato a Mina Welby e a Englaro, la minatoria circolare governativa contro i registri comunali, l’isterica reazione al suicidio di Monicelli, il grande attivismo delle gerarchie cattoliche, dicono che tira una brutta aria per la ragione e il rispetto.

    Ma il cammino della politica è lungo, e le prospettive si costruiscono anche nei momenti bui, agendo soprattutto sul piano della cultura e della consapevolezza: per questo le organizzatrici intendevano rivolgersi non solo alle istituzioni e alle forze politiche, ma alle persone, donne e uomini.
    Alle persone però bisogna arrivarci, e non è così facile.
    Il gruppo ha un suo sito (*), ma per questa occasione è stata tentata anche la strada degli organi di informazione. Ripetuti invii di comunicati e diversi giri di telefonate non sono però riusciti a smuovere i redattori della stampa locale oppressi, come hanno lamentato al telefono, “dalle centinaia di segnalazioni” che piovono sui loro tavoli ogni giorno. Così sui giornali di questo evento non vi era traccia.
    Altra assenza sensibile quella della amministrazione comunale: la manifestazione era organizzata da tempo, ma nessuna presenza politica si è affiancata ai gentilissimi funzionari responsabili della redazione materiale degli atti.
    Peccato, poteva essere una buona occasione per richiamare l’attenzione pubblica su un “servizio” – e soprattutto su una questione etica, culturale e politica – pesantemente sotto attacco da parte del governo.

    Il documento che annunciava l’iniziativa osservava che sul testamento biologico “L’informazione è molto carente e si è limitata al momento del lancio della iniziativa” e che “La nostra azione pubblica ha lo scopo di spezzare questo silenzio”. Il sito del Comune, per parte sua, non aiuta, arrivare alla voce “testamento biologico” è cosa ardua: imperizia? Distrazione? Intenzionalità? …
    Per colmare almeno in parte queste lacune, le istruzioni necessarie a compiere questo atto sono state inserite sul sito del gruppo (*).
    Un aiuto è venuto solo dal lungo e bel servizio di Emanuela Pericu sul TGR: avrà giocato la particolare attenzione femminile su questo tema? Il 65 % dei testamenti è stato depositato da donne, e donne erano le organizzatrici di questo testamento plurale.
    Riflettere sulle ragioni profonde di questa differenza può essere un esercizio interessante.
    (*) www.generazioni-di-donne.it
    (Paola Pierantoni)