Una storia grillina, qualcuno la giudicherà di parte, non me ne vogliate.
Un anno fa il Governo italiano, ammettendo in Parlamento un emendamento del Movimento 5 Stelle, aveva inserito una nuova voce che riguarda l’otto per mille dell’Irpef, quello indirizzato al finanziamento dell’edilizia scolastica. Il termine per la presentazione dei progetti da parte dei Comuni, da finanziare con questo capitolo di bilancio, era stato fissato al 30 settembre 2014, termine poi prorogato al 15 dicembre, per dare modo ai Comuni di rilevare l’elenco degli interventi e predisporre dei progetti.
Il gettito ipotetico, in un calcolo svolto tenendo conto del ricavato destinato in passato allo Stato, potrebbe aggirarsi sui 50 milioni di euro, una cifra poco significativa rispetto alle reali necessità degli edifici scolastici italiani, comunque una risorsa utilizzabile in aggiunta ai finanziamenti sempre meno copiosi previsti nelle finanziarie, di anno in anno.
La Giunta genovese ha ricevuto nei primi giorni di settembre una lettera dal Gruppo consiliare di cui faccio parte che indicava i termini temporali e i riferimenti legislativi per poter accedere al fondo, sapendo che a livello italiano questa opportunità non era stata pubblicizzata a sufficienza negli ambienti amministrativi, per cui si rischiava il flop. A fine settembre è stato presentato infatti da Genova un solo progetto (da 1,2 milioni di euro), chissà se senza l’avviso ci sarebbe stata almeno questa opportunità. Rispetto invece alla proroga, questa ha trovato la Giunta completamente spiazzata, e solo l’interessamento del Consiglio comunale ha potuto smuovere ancora qualcosa, anche se pare, dalle parole dell’Assessore Crivello e dei suoi tecnici, che l’argomento interessi poco perché ci si aspettano pochi soldi da quel fondo nazionale.
Dire di no a priori certamente è un ottimo modo per lasciare ad altri le opportunità.
(Stefano De Pietro – immagine da internet)
Categoria: Movimento 5 stelle
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OLI 419: SCUOLA – OttoXmille di zero
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OLI 394 – PUC: Alla fine della Fiera
Mercoledì 11 dicembre presso il Municipio Medio Levante si è avuto un pacifico esempio di come si può ragionare tra cittadini e rappresentanti delle Istituzioni senza perdere la bussola, lontano dai disastri in parlamento, piazze e web. L’occasione è stata un incontro organizzato dal Movimento 5 Stelle con giovani volontari esperti e garbati, per discutere sul destino della Foce e dei suoi spazi degradati, luoghi su cui si è ormai ipotizzato di tutto, dallo stadio alla Fiumara 2.
Una prova di percorso di partecipazione, un concorso di idee, “un interpelliamo i residenti” auspicato e mai avvenuto, al di là dei comitati.
Si apprende dai giornali ( Repubblica, e Mercantile 29/11) di un megaprogetto sul palazzo dell’ex Nira-Ansaldo, edificio dismesso da tempo, per il quale si erano prospettati dapprima nuovi uffici. Per quali società? visto il lavoro che non c’è; e poi un grande albergo per le manifestazioni in Fiera, quali? se pure il Salone Nautico s’è ristretto.
Aste deserte per l’ex Nira, ma gli uffici di Sviluppo Genova – altro mistero di partecipata – da agosto stanno studiando in segreto la proposta di un’immobiliare di Torino, presentata a tre giorni dalla scadenza del 2 dicembre, in Commissione comunale. Si prevedono megastore alimentare e altri servizi commerciali per circa 7mila metri mq, più magazzini , perché si comprendono alcune costruzioni precarie intorno al palazzo, un albergo, palestre per quattromila mq, residenze, non manca proprio nulla: 23mila mq di superficie, a cui aggiungere un migliaio di posti auto. Finalmente, ironizza il consigliere comunale 5 Stelle in Municipio, potrà sbarcare in città la grande firma alimentare che mai v’è riuscita ed uno pensa a tutte le aiuole cittadine che da anni cura l’azienda in questione, una fortuna in giardinieri per aprire supermercati a Genova.Premesso che qualcosa se ne dovrà pur fare di quel palazzo, a tirarlo giù nemmeno se ne parla, del resto è un immobile pubblico in un posto bellissimo, vista mare e quant’altro, come ci si arriverà? Un bel problema che l’Amministrazione dovrebbe assolutamente risolvere prima di ogni “ sì” a qualunque ipotesi, la stretta stradina sotto la sopraelevata non reggerebbe il traffico, visto il maxiparcheggio proposto: il quartiere della Foce ne ha già abbastanza di servitù di viabilità.
Nel limbo l’ipotesi stadio, il patron ha ora grosse grane con il fisco. Anche in questo progetto si prevedevano però centri commerciali, mentre è recentissima la presentazione di un Polo permanente della Nautica in Fiera da parte degli operatori del settore. Oddio che affollamento e quanto interesse tutti insieme!
E se invece si puntasse ad una rigenerazione urbana, in una visione d’insieme globale, riqualificando tutto il litorale da Boccadasse al Porto Antico, spiagge comprese, recuperando gli edifici dismessi per puntare ad una vocazione turistica? Follia cedere patrimonio pubblico in una posizione di pregio per uno stadio, attrattiva soltanto per una parte di genovesi, i tifosi di una squadra. Al di là dell’impatto urbanistico, dei max trenta posti di lavoro, come dice la brochure della Sampdoria, non se ne vedono i vantaggi per città e quartiere. Restituire invece agli abitanti il desolato piazzale Kennedy per farne un “belvedere-giardino” sopraelevato all’altezza della scogliera, vista mare con dei gradoni a rovescio come gli antichi teatri, per ricoverarvi sotto le auto dei residenti e di chi vuole passeggiare fino a Boccadasse o arrivare, tornare dall’Acquario, lungo un nuovo collegamento pedociclabile. In Fiera una cittadella del tempo libero, aperto tutto l’anno, polo per gli sport del mare e del benessere, parco acquatico, albergo: un’offerta turistica permanente per chi viene a Genova a visitare l’Acquario, fare una scappata in Riviera, si ferma un po’ e scopre che Genova è bella e non vuole morire.
L’equilibrio economico? Un po’ di permute tra enti e riordino, una volta per tutte, negli intrecci di autorità portuale, comune, fiera e altro ancora.
(Bianca Vergati) -
OLI 393: M5S – La politica secondo Grillo
Il palco dà le spalle al sole. C’è il rischio di un Beppe in controluce a confondere la visione, penalizzare inquadrature, ma a scaldare i presenti. Sono giovani donne e uomini che già all’una del pomeriggio hanno occupato parte di piazza della Vittoria, la più grande di Genova.
Lo spettacolo, dicono i cinici, non è pagamento.
Ma questi sono venuti da tutta Italia e si sono accollati un viaggio lungo, noioso su pullman dondolanti. Inoltre c’è un freddo cane e il teatro di Grillo, se solo di quello si trattasse, si può tranquillamente godere al caldo delle proprie case, su un pc.
Sono tanti? Sono pochi?
Dal belvedere di Carignano appaiono compatti e numerosi, spezzati da un triangolo di sole. Adesso hanno anche le bandiere, sono organizzati e riconoscibili. Difficile immaginare Renzi, Cuperlo o Civati davanti a una folla così grande. Difficile anche immaginare gli eletti nei partiti storici, in piazza, a disposizione dei cittadini che li hanno mandati il Parlamento.
Beppe si rivolge alla folla con un ecumenico ed ironico venite a me, invitando chi è rimasto in fondo alla piazza ad avvicinarsi. Gioca le carte del genere comico, del genere politico ma è anche dal sacro che attinge paragonando il movimento alla Chiesa e, indirettamente se stesso al papa.
L’esclamazione Italiani! cara a Benito è stata cancellata dal copione. Che copione rimane anche per lui quando gli scappa riferendosi alla piazza la parola platea.
Tutto è oltre a Genova, nella politica secondo Grillo. Vanno resi due miliardi e sette di rimborsi elettorali, va cancellata la truffa semantica con la quale i vecchi politici hanno ingannato i cittadini e per la quale un inceneritore è diventato termovalorizzatore, va fatto un referendum sull’euro. Chi segue Grillo sente cose già dette, ma può anche scoprire che la piazza in cui si trova è stata affittata per cento anni ad un’azienda americana per trarne i ricavi del parcheggio. Le aziende italiane svendute e il lavoro diventato ricatto fanno breccia nei cuori dei presenti.
E se lui ti promette che tutto questo si può superare perché non credergli? Lui che da solo ha portato in parlamento sessanta cittadini. Con lui e il Movimento si può reinventare il lavoro, superare i sindacati identici ai partiti. Sapendo che oggi, nella culla della civiltà, sette persone su dieci non capiscono un discorso se è leggermente complicato.
Lui no. Non andrà in TV. La rete è una delle cinque stelle. E sarà l’accesso ad internet, per nascita, un diritto costituzionale che a Grillo pare più importante dello jus soli, tanto da non citarlo nemmeno. La carta dei diritti dell’uomo non è in agenda nella politica secondo Grillo che parla di dazi per difendere i prodotti italiani e fa la lista delle aziende nazionali vendute agli stranieri. Bisogna salvaguardare il “made in itali” (come lo scrive Beppe lo pronuncia) quello vero!
Il sole è tramontato quando Dario Fo evoca paradisi fiscali per manigoldi e ricorda il tempo in cui si reagiva, insieme alla storia di ducati e signorie con la cultura e la potenza del passato. Ma il Nobel cita anche l’Ilva.
Come tanti preti, i militanti dei cinque stelle daranno l’estrema unzione ai partiti.
E dopo, grazie anche a questa piazza, chi non è con il movimento o non lo comprende si dovrà aspettare l’oltre tomba metaforica e politica.
Ma è un’apocalisse da venire.
Martedì sera Fassino, Alfano, Camusso sono in prima serata a Ballarò.
E Grillo a Sant’Ilario.
(Giovanna Profumo – foto dell’autrice) -
OLI 386: COMUNE – Le partecipazioni per le partecipate
Un “matrimonio” tra pubblico e privato per salvare la situazione, con le “partecipazioni” inviate al Consiglio comunale in una delibera di fine luglio. Così il sindaco Doria ha finalmente calato la maschera, e si è allineato alle richieste che una parte preponderante del Pd sta avanzando da tempo, a cominciare dalla prima delibera Amt del giugno 2012, dove si dava mandato alla giunta di pensare ad una possibile entrata dei privati nella compagine sociale.
Dopo un anno esatto la richiesta si allarga alle principali aziende quali Aster, Amiu, quest’ultima tra l’altro in attivo di bilancio, arrivando al progetto di alienazione totale su quanto considerato non strategico, ossia Bagni Marina – l’azienda che governa i bagni comunali – e sulle farmacie comunali. Naturalmente la mano nera colpisce ma ritrae l’artiglio, lasciando l’ingrato compito di presentare la cosiddetta “delibera partecipate” al Consiglio comunale a firma del Sindaco stesso e dell’assessore al bilancio e alle partecipate Miceli, Lasciando fuori una catastrofe come Fiera di Genova, anzi interessata da un’azione di salvataggio multimilionaria piuttosto strana ed effettuata sul filo della legalità (si parla di 40 milioni di euro, con l’affidamento al comune del padiglione blu che Fiera non riesce a pagare). Ma anche salvando Sportingenova da un palese fallimento: con i suoi 15 milioni di euro di debito accumulato non pagando le bollette, sarà chiusa, ma non prima di aver ricomprato gli impianti sportivi cedendo parte degli immobili di proprietà del Comune in uno scambio immobiliare che qualcuno in giunta ha definito a “costo zero”: davvero incredibile. Per Sportingenova la delibera viene fatta poi passare in Consiglio con un voto della maggioranza, senza aver avuto modo di leggere i bilanci, chiesti e richiesti e apertamente negati dalla Giunta in più occasioni.
Dopo un’opposizione ferrea del Movimento 5 Stelle, che con più di 600 emendamenti e ordini del giorno presentati ha consentito di rimandare la delibera delle privatizzazioni al primo Consiglio comunale di settembre, seguito del successivo ritiro della stessa da parte della Giunta con la promessa di ripresentarla dopo una serie di consultazioni con OOSS e dirigenze, ci si aspetta adesso a giorni che ricompaia in commissione per la discussione e la “chiamata in aula”, atti istituzionali obbligatori.
A seguito di questo ritardo favorevole, il M5S si è organizzato, invitando al confronto le OOSS, la dirigenza, ma anche direttamente i lavoratori e, novità assoluta per il Comune di Genova, i cittadini utenti. Fino ad oggi si sono susseguiti diversi incontri, tra i consiglieri cinquestellati e molte delle parti invitate, consentendo di chiarire i rispettivi punti di vista, talvolta fortemente contrari alla privatizzazione anche da parte della dirigenza, altre volte allineati con le direzioni della Giunta. Il punto di vista del M5S è quello di convincere l’amministrazione, tra le altre cose, che considerare Farmacie comunali e Bagni marina aziende non strategiche e quindi certamente cedibili è un grave errore sociale, che porterà conseguenze negative per i cittadini, aumenti di tariffazione, riduzione di servizi scomodi dal punto di vista commerciale ma necessari per il sostegno sociale a chi fosse più in difficoltà. E naturalmente di non privatizzare, visto che è ormai certo che si andrebbe incontro a tagli del personale, e alla formazione delle solite “bad company” che resterebbero a carico del Comune per salvare posti di lavoro rifiutati dai privati, i nuovi patron anche con la minoranza delle azioni, grazie agli inevitabili patti parasociali: vedi Ami e Amt ai tempi dell’ingresso dei francesi.
Pubblicheremo i documenti del Consiglio man mano che perverranno alla redazione, per consentire ai lettori di seguire questo ennesimo capitolo nefasto della storia di Genova.
Intanto, ecco la delibera di Luglio.
(Stefano De Pietro) -
CARTOLINE DI OLI – Immigrazione:il M5S e le leggi da cancellare
Certo che il Movimento 5 Stelle deve chiarire la sua posizione su immigrazione e asilo, certo che non mi piace quello che sostiene sulla disumana situazione delle nostre carceri: su questo ha ragione il Presidente della Repubblica, ma è molto significativo che tra tutti i gruppi presenti al Senato della Repubblica siano stati due senatori del Movimento a presentare l’emendamento (passato in commissione) per l’abrogazione del reato di clandestinità. Questo mi piace e la dice lunga sulla drammatica situazione degli altri gruppi parlamentari. Più i parlamentari del Movimento 5 Stelle capiscono che non è soltanto questione di onesti e disonesti (importantissima, per carità), più si emancipano dal loro capo (Grillo ha già dichiarato che la presentazione dell’emendamento è iniziativa personale), più mi piaceranno. Non basta cancellare il reato di clandestinità ma tutta la legge Bossi – Fini e tutto il decreto Maroni sulla sicurezza per iniziare a ragionare sul miglioramento della Turco Napolitano. In questo concordo con quanto ha scritto Franca Fortunato nel suo articolo pubblicato su Il Quotidiano della Calabria il 09.10.2013: “Alla presidente della Camera Laura Boldrini e alla ministra dell’Integrazione Cécile Kyenge, e a quante/i volessero seguirle, chiedo con forza di alzare le loro pretese e chiedere autorevolmente la cancellazione della vergogna dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), del decreto legge sulla “sicurezza” e della Bossi – Fini. Non permettano che la loro esperienza di donne venga neutralizzata dai partiti al Governo e in Parlamento, in nome della “stabilità””.
(Saleh Zaghloul – immagine di Guido Rosato) -
OLI 370: GOVERNO: Grillo, Woody Allen, e il M5S
Si è capito chiaramente: gli italiani non hanno nessuna voglia di tornare a votare.
Questa probabilmente non è una buona notizia per Beppe Grillo, ma è ottima per chi ha votato il M5S pensando alla base e non al tragicomico.
Gli elettori del movimento (settantacinque per cento) desiderano fortemente veder nascere un governo. Che è prevedibile debba intervenire con urgenza sul fronte lavoro, sanità, scuola, ambiente e giustizia. Temi per i quali il comico si è fortemente battuto, alimentando consenso attorno alle sue idee.
Se Beppe Grillo smetterà di incarnare il ruolo madre di Woody Allen in New York Stories, lasciando che gli eletti del movimento crescano e provino a fare quello per cui sono stati votati, forse verrà sacrificata, per il governo del paese, la vena narcisista del comico leader, ma verrà colta un’occasione storica unica, dopo anni di malgoverno.
E’ certo che senza M5S in parlamento avremmo rischiato di avere le solite e, in alcuni casi, brutte facce alla presidenza del senato e della camera. Perché nessuno si sarebbe posto il problema di presentare persone con il curriculum di Laura Boldrini e Pietro Grasso, nemmeno il Pd.
In gioco, si capisce, è il ruolo di Grillo nel suo movimento e dei suoi eletti.
Chi fa cosa e con quale delega.
Che si capisce non può e non deve limitarsi al popolo del blog che non rappresenta affatto gli otto milioni di elettori del movimento.
C’è da sperare che M5S non abbia le stesse tendenze suicide della sinistra italiana.
Oggi nessun appello da sottoscrivere, tranne quello al buon senso.
(Giovanna Profumo – foto da internet) -
OLI 369: POLITICA – Gli amici divisi
La grande maggioranza delle mie amiche e dei miei amici non solo non ha votato Grillo ma, detto in chiaro, proprio non lo può soffrire.
Eppure ho anche carissime e intelligenti amiche e amici che nel Movimento 5 Stelle hanno riposto le ultime, residue, speranze di cambiamento.
Quanto a me, rientro nel primo gruppo.
Ogni tanto mi rimprovero di non aver fatto nessun serio tentativo per far cambiare idea alle care amiche ed amici che mi annunciavano il loro voto grillino. Poi, subito dopo, mi assolvo: il fenomeno elettorale che si è verificato è stato talmente sovrastante che qualche perorazione in più sarebbe stata del tutto inefficace. Dubito inoltre che, pur impegnando tutte le mie forze dialettiche, sarei riuscita a far cambiare idea anche a uno/una solo/a di loro.
Mi interrogo su questo divario, al momento apparentemente incolmabile, nonostante le molte affinità personali, affettive, ma anche di natura sociale, culturale e politica che mi legano a loro, e che legano tra loro alcune di queste persone.
Di certo, penso, sono stati fatti tutti gli errori possibili, sono state commesse tutte le possibili colpe, con l’esito di una realtà politica sconfortante.
Ma questa realtà è riconosciuta e sofferta con la stessa angoscia sia da chi sta nel primo che da chi sta nel secondo gruppo.
E allora, da dove viene una separazione così radicale?
Forse una radice sta “nell’apprendistato politico” che amiche ed amici del primo gruppo hanno alle spalle in misura molto maggiore. Esperienze molto varie, di cui la principale non è quella di aver militato in un partito: in alcuni casi è successo, ma da anni più nessuna di queste persone ha una tessera in tasca. Invece in molti casi c’è l’essere stati delegati sindacali in fabbrica, o parte di associazioni e movimenti che hanno operato politicamente, facendo, nella pratica, i conti con differenze e complessità che impongono la necessità della mediazione non solo come espediente tattico, ma come esito dello sforzo di conoscere, comprendere, accettare, e a volte condividere, le ragioni degli altri.
Nel mio giro amicale ad avere questo retroterra non sono solo le persone più “grandi” di età, ci sono anche delle giovanissime. Tutte comunque reagiscono con insuperabile diffidenza ai tratti della comunicazione di Grillo: violenza verbale, semplificazioni, tratto autoritario, sistematica svalutazione degli “altri”, identificazione tra leader e movimento.
Sull’altra sponda prevale senza discussione il sollievo per la scossa che è stata data, la fiducia in un rinnovamento impersonato dalle facce sconosciute che si affacciano. Peraltro, si può osservare, non sono le sole: il 66% degli eletti del PD sono new entries. Tra loro il 41% di donne.
Certamente eravamo giunti a un passaggio che imponeva una discontinuità, e al Movimento 5 Stelle va riconosciuto il merito di aver interpretato questa esigenza, spingendo in questa direzione anche le altre forze poltiche.
Ma lo tsunami senza le consapevolezze e le disponibilità di cui si è detto rischia di produrre, di rimbalzo, un nuovo affondamento nella palude: indebolimento della parte più progressista del Pd, liquidazione di Sel, nuove opportunità ad una destra variamente interpretata; il tutto a maggior ragione se la concretezza e le speculazioni della crisi economica verranno rese ancora più pressanti dall’incertezza politica.
Ripenso, perché li ho vissuti nei primi anni ’70, a due momenti di passaggio non meno radicali: l’azzeramento della vecchia struttura sindacale fondata sulle Commissioni interne, spazzate via da un’inedita forma di democrazia, il delegato eletto su lista bianca nei luoghi di lavoro. E il separatismo femminista, quando le donne allontanarono gli uomini dai loro gruppi politici e dai loro cortei. Mentre si compivano questi atti di rottura la trama dei rapporti e della mediazione tuttavia non fu interrotta, ed è questa trama che ha sorretto e dato una prospettiva a quelle fasi di cambiamento.
(Paola Pierantoni) -
OLI 366: ELEZIONI – Dai girotondi allo tsunami

(Beppe Grillo a Genova il 17.2.13) Dice che è colpa dei giornalisti se la sua immagine sui quotidiani risulta brutta e distorta.
Ma di tutti gli scatti fatti in piazza veramente pochi trasmettono la pacatezza che lui lamenta non venga inquadrata.
Dice che la vecchia classe politica è al capolinea, che le cose devono cambiare anche se non sa dove andranno a finire.
Parla dell’Italia, e delle famiglie di italiani che vanno alla mensa della Caritas, per certificare un baratro che forse, nella sua testa, poteva essere tollerato finché riguardava soltanto gli immigrati.
Parla delle aziende che chiudono e della miseria.
Devono andare a casa tutti. Tutti fuori. Destra, sinistra centro! – dice.
E dice della guerra di oggi, delle macerie economiche, politiche e sociali, di cui l’Italia è piena.
Nessuno deve rimanere indietro – urla.
E aggiunge che loro se ne devono andare subito, ma prima che se ne vadano gli italiani hanno il diritto di fare una piccola verifica fiscale sui loro conti, come hanno fatto sui nostri!
Al redditometro risponde con il politometro per certificare la congruità del patrimonio del politico prima, durante e dopo la sua presenza nelle istituzioni. In caso di incongruità, precisa, la magistratura interverrà affinché venga restituito agli italiani quello che è stato tolto. Noi dobbiamo dare il conto di come spendiamo i nostri soldi? Dobbiamo rovesciare l’onere della prova – urla – sono loro che devono dire come spendono i nostri soldi!
Parla di riforme subito. Di reddito di cittadinanza. Dice che i soldi ci sono e che il movimento li prenderà – non ai paraplegici, alla Sla, alla sanità, alla scuola – ma dai rimborsi elettorali (tre miliardi e mezzo).
Dice che i suoi capolista sono per la maggior parte donne. Non con le labbra di polistirolo e il culo di tungsteno, ma donne che lavorano che tirano su i figli, famiglia, donne che si fanno un culo così dalla mattina alla sera!
Il punto g di Federica Salsi non è materia di comizio e nemmeno la sospensione dell’assessora di Mira, Roberta Agnoletto, di cui si è scritto che sia stata allontanata perché incinta.
Lui materializza il pensiero del cittadino medio dandogli corpo, riconosce la rabbia e l’angoscia degli italiani covata negli anni, elevandola. E lo fa con la precisione di un orologiaio svizzero mescolando i tempi della battuta scherzosa con quelli di incitamento alla ribellione. Nei suoi comizi, il canovaccio base si adegua al territorio, si piega alle attese della gente. I militanti sanno che lui è il movimento – padre padrone, cervello – e loro sono sangue pulito, cellule al lavoro veloci e solerti per l’Italia che vuole cambiare.
(Candidati liguri del M5Stelle alle elezioni politiche 2013) In tv i suoi candidati non appaiono, non perché non parlino nei comizi ma perché l’informazione non se li fila affatto tutta intenta ad inquadrare soltanto lui.
Casini, con un approccio clinicamente schizofrenico, ha ammesso che Grillo è il termometro, non la causa della febbre. Che la causa è l’operato della politica degli anni.
Anche il Nobel Dario Fo è andato in piazza Duomo a sostenerlo. E a me è venuta in mente piazza San Giovanni, il 14 settembre 2002, un milione di persone in movimento che chiedevano ai politici italiani una politica migliore, radicalmente diversa.
E non si mandava affaculo nessuno.
(Giovanna Profumo – foto dall’autrice) -
OLI 362: ELEZIONI – Grillo, un Logo per due (o anche tre)
“O cavallina, cavallina storna, che portavi colei che non ritorna”: si parla della logica, reduce dai banchi di Montecitorio. Alcune volte ci si chiede che fine abbia fatto, vista la sequela di norme contraddittorie e inutili e anche sbagliate che sono state prodotte nel tempo dal Parlamento. La legge elettorale, vigente da tempo immemore in Italia, non tiene conto della sequenza logica degli avvenimenti necessari alla presentazione di una lista per le elezioni. Per questo motivo deve essere riformata dalle basi.
Analizziamo la sequenza come prevista. Prima di tutto occorre avere una lista di candidati, e quella bene o male tutti i partiti e i movimenti sono riusciti a tirarla su, chi più chi meno. Poi occorre raccogliere le firme su dei moduli cartacei, con la presenza di un certificatore, sovente al freddo, per strada. I moduli devono avere il simbolo elettorale già inserito, a colori (per un costo di circa 500 euro per raccogliere 5000 firme). La raccolta delle firme è prevista da sei fino a circa un mese prima delle elezioni, data di consegna delle firme e dei relativi certificati elettorali dei firmatari.
Un giorno “che non si sa quando esattamente” ma comunque prima del giorno di consegna delle firme, dopo una coda all’aperto a Roma senza un ordine di arrivo che non sia autogestito, si deve invece consegnare il simbolo. Il simbolo elettorale, diametro esattamente 30 millimetri, tondo, quello già esposto così in evidenza nei moduli elettorali, deve essere unico e non simile ad altri. In caso di somiglianze, ha la precedenza quello che viene consegnato per primo.
La legge elettorale non prevede l’esistenza di marchi registrati attraverso gli stessi organi statali quali l’Ufficio marchi e brevetti, se non quelli già presenti in Parlamento; quindi copiare quello del Pd o del Pdl non sarebbe un’idea furba, quello del Movimento 5 Stelle, di Monti o di Ingroia invece si. Ed infatti è successo.
Insomma: occorre consegnare per primi un simbolo che la legge stessa ti obbliga a mostrare al mondo prima della consegna, ossia esiste di fatto un obbligo di esporsi al rischio della copia, senza fornire al riguardo alcuna protezione: è evidente l’assurdità della situazione. Inoltre i marchi registrati, che sono oggetto di continue contese nelle aule di tribunale quando si parla di utilizzo commerciale, non sono tali se si parla di elezioni: cosa può aver portato un legislatore a inventarsi una cosa simile?
Di più: con i tre marchi copiati, depositati prima di quelli originali solo per fare “ammuina”, si giunge all’assurdità che i detentori del marchio “vero” avranno raccolto le firme necessarie ma non potranno usarlo, mentre chi non ha alzato il sedere dalla sedia, e non presenterà firme il 21 gennaio, non potrà presentarsi alle elezioni, e quindi avere il marchio nella scheda elettorale: siamo alla follia pura, all’eutanasia elettorale.
E’ evidente che la legge elettorale va cancellata completamente e riscritta in termini moderni. Prima di tutto il sistema di rilevamento delle firme deve essere possibile anche via internet o con sistemi elettronici, con l’utilizzo di tecnologie che possano facilmente autenticare le persone. Questo, oltre ad accelerare i tempi di raccolta, consentirebbe uno sgravio notevole del lavoro degli uffici elettorali che devono controllare uno per uno i firmatari, stampare i certificati, verificare che abbiano firmato una sola volta e per un solo candidato. Prima ancora, il simbolo va depositato attraverso un registro come l’Ufficio dei marchi, e da loro recepito come unico. Solo dopo il recepimento del marchio, sarà possibile la raccolta delle firme.
(Stefano De Pietro)






