Categoria: alluvione

  • OLI 417: CEMENTO – Rio Bagnara, non c’è acqua che tenga

    Passeggiando lungo le rive potevi vedere famigliole di germani che nuotavano tranquilli e poi un silenzio, lassù, se arrivavi sino a dove nasce. Ora c’è un cantiere, un disastro di macerie. L’Autorizzazione Paesaggistica per la costruzione dell’edificio di via Majorana sul rio Bagnara recita: “la collocazione del nuovo edificio residenziale è studiata in modo da garantire scorci panoramici (…) la volumetria (…) con la riduzione delle altezze (…) il nuovo edificio si distingue per qualità architettonica e migliora l’assetto rispetto al contesto circostante (…) le sistemazioni a verde completano la riqualificazione complessiva restituendo un bilancio positivo”.
    Scorci panoramici?
    Con atto del 21/5 /2012 si esprime di nuovo parere favorevole, come la volta precedente, quando c’erano gli otto piani e meno verde. Infatti dopo i ricorsi al Tar dei residenti e delle associazioni ambientaliste, che annullavano il rilascio di concessione edilizia del 2009, la società costruttrice presenta un altro progetto che riduce i volumi, ridefinisce le aree verdi con un miglioramento delle dotazioni in senso qualitativo e quantitativo e riparte all’attacco per un nuovo permesso. La Provincia di Genova esprime a sua volta ancora parere favorevole perché “l’intervento risulta migliorativo rispetto della situazione idraulica prevedendo la demolizione di due passerelle pedonali gravemente insufficienti alla portata di progetto del Rio Bagnara…”
     Non se n’erano mai accorti?
    Continua la Provincia: “si riconosce l’oggettivo impedimento a soddisfare il Rapporto di permeabilità” che infatti secondo il Puc dovrebbe avere un rapporto del 30% rispetto alla superficie che si utilizza, mentre in questo caso la si diminuisce fino al 15%. Quindi  “al fine di migliorare l’efficienza idraulica del sito, nel rispetto della norma di rapporto di permeabilità, il progetto prevede sistemi di ritenzione temporanea attraverso l’utilizzo di vasche di compensazione”.
    Qualche problemino dunque c’è.
    Però “le opere in progetto non ricadono in zona soggetta a vincolo per scopi idrogeologici”. Perciò, pronti, via! Alla nuova costruzione di sei e due piani in due corpi per una superficie di quasi tremila metri quadri e una quarantina di box . Poco importa se è zona faunistica, se vi saranno problemi di viabilità, se il rio sarà sempre più assediato dalle costruzioni. Eppure basta affacciarsi alla finestra di quelle case proprio a ridosso del rivo, che con le piogge lambisce le sponde basse.
    Prima c’era un magazzino alto quattro metri: dove sta scritto che è obbligatorio, una volta dismessa un’area industriale, cambiare la destinazione per fare case?
    Ieri anche la collinetta sul cantiere e su cui si affacciano altri palazzi, è franata, in modo lieve per fortuna.

    (Bianca Vergati – Foto di Ester Quadri)

  • OLI 415: CITTA’ – Come se si stesse su un vulcano


    Due rappresentazioni a confronto dello stesso territorio, con i torrenti Bisagno e Fereggiano, a 210 anni di distanza l’una dall’altra. Le avevamo già pubblicate dopo l’alluvione del 4 novembre 2011 (OLI 319), senz’altro commento che la didascalia: 
    Sopra: 
    dall’Album topografico di Genova e suoi dintorni, penna ed acquerello colorato, circa 1797, Genova, Collezione Topografica del Comune, inv. n. 1127 (particolare). 
    Sotto: 
    da Google Earth, 9 agosto 2007.
    Le ripubblichiamo ora tali e quali, aggiungendo stavolta alcune riflessioni.
    Dopo tre anni la replica dello spettacolo è andata in scena quasi identica, ma più intensa e straziante, il 9 ottobre 2014. Solo l’orario della rappresentazione è cambiato: se fosse rimasto lo stesso, invece che a notte fonda, il numero delle vittime sarebbe stato ben maggiore dell’unico sventurato travolto dalla piena.
    Di sicuro ci sono responsabilità degli amministratori locali – Comune e Regione – che non hanno diramato per tempo l’allerta fidandosi più di uno sballato modello previsionale che non dei loro occhi, che non potevano non vedere quant’acqua stesse precipitando da ore dal cielo.
    Ma il preavviso non avrebbe comunque fermato la furia dei torrenti: i negozi, i laboratori, le cantine, i magazzini e gli altri locali a pianterreno o seminterrati sarebbero stati in ogni caso allagati.
    Se – altra grave mancanza di chi gestisce il territorio – si fossero mantenuti gli alvei perfettamente puliti, sgombri da alberi, arbusti e cespugli che son pittoreschi a vedersi quando è bel tempo e ospitano animali selvatici, ma riducono di molto la portata nei momenti di piena, probabilmente si sarebbe ridotto il danno, però quasi certamente non si sarebbe evitato lo straripamento, data l’entità delle precipitazioni in relazione allo stato di un territorio ormai irreparabilmente compromesso da un secolo e mezzo di urbanizzazione sempre più intensa e irrispettosa di un ambiente che da sempre è soggetto per sua natura a periodiche inondazioni.

    Luigi Garibbo dis. e inc., Veduta del Ponte della Pila sul Bisagno presso alle mura di Genova,
    poco dopo il suo diroccamento per la gran piena de’ 26 Ottobre del 1822.

    Ben lo sapevano i nostri antichi, che nel medioevo costruirono il lunghissimo ponte di Sant’Agata (le poche arcate superstiti nel greto del Bisagno non sono che una minima parte delle originarie 28 che si estendevano da Borgo Incrociati fino alla chiesa di Sant’Agata, presso piazza Giusti) per garantire la continuità del transito anche nei momenti di piena.
    Lo stesso fecero gli ingegneri sabaudi che nei primi decenni del XIX secolo realizzarono la nuova carrozzabile verso la Toscana, il cui primo tratto (via Minerva, oggi corso Buenos Aires) correva su un terrapieno sopraelevato di alcuni metri sul piano di campagna, in previsione delle rare ma sempre in agguato alluvioni che, allora come oggi, interessavano la piana estesa tra le odierne piazza Tommaseo e vie Galata e Cesarea. La strada fu abbassata solo con l’attuazione del piano regolatore del 1877, col quale, dopo l’annessione a Genova di sei comuni a levante del Bisagno nel 1873/’74, si disposero case dove prima erano orti.
    Poco male se un tempo finivano sott’acqua per qualche ora campi coltivati e pochi edifici rurali sparsi qua e là.
    Assai peggio è quanto avviene oggi e continuerà sicuramente ad accadere in futuro, senza rimedio, dato l’assetto assunto da questa porzione di città di cui, in modo assai poco lungimirante se non addirittura colpevole, si è consentito nei decenni lo sviluppo in tale area critica.
    L’asfalto e le costruzioni hanno ricoperto le pendici delle colline impermeabilizzandole e obbligando la pioggia a correre in basso invece di essere parzialmente assorbita dal terreno, specie grazie alla speculazione edilizia dal secondo dopoguerra fino ad oggi, considerando pure i numerosi parcheggi interrati in gran voga negli ultimi anni. I corsi d’acqua nei fondovalle sono stati ridotti d’ampiezza e in parte nascosti sotto strade sicuramente funzionali e anche belle, come il viale Brigata Bisagno e Brigate Partigiane, ma esiziali nei momenti di piena: è ben noto come la portata di un fiume o torrente coperto si riduca di colpo in maniera considerevole nel momento in cui il pelo dell’acqua tocca la sommità del condotto, con conseguente esondazione.
    Questo video impressionante, girato da una finestra dirimpetto e con drammatiche voci fuori campo, realizzato e pubblicato su Facebook da Maria Principalli, documenta quanto successo l’altra notte col Fereggiano:

    Chi risiede o lavora in queste zone deve purtroppo prendere atto di tale amara realtà, elaborare la consapevolezza che dopo periodi più o meno lunghi di quiete il dramma si ripresenta inesorabile, abituarsi a convivere con questo pensiero, agire di conseguenza. 

    Nell’ultimo mezzo secolo la cadenza era all’incirca ventennale: 1953, 1970, 1992, 2011 (per limitarsi al bacino del Bisagno, senza parlare di altre zone altrettanto a rischio con tempi diversi). Ora dopo appena tre anni ci risiamo, complici i rivolgimenti climatici in atto a livello planetario. Non possiamo sapere quando sarà la prossima.
    È come stare sulle pendici del Vesuvio, di cui con beata incoscienza molti godono il magnifico ambiente e lo splendido panorama, pur sapendo con fatalistica rassegnazione che prima o poi il vulcano si risveglierà e allora sarà la fine per la miriade di case che ospitano circa 600.000 abitanti, che si spera riescano a mettersi tutti in salvo coi piani di evacuazione da tempo predisposti. Ma laggiù accadrà una volta soltanto, qui invece chissà quante volte ancora, con l’acqua al posto del fuoco.
    Occorre partire da questa considerazione, con realismo
    Di sicuro si deve cominciare col perseguire almeno la riduzione del danno, curando la costante manutenzione e pulizia dei greti e monitorando di continuo l’efficienza dei tombini, investendo risorse economiche innanzitutto in queste azioni minute e assai poco d’immagine, ma utili per la collettività, piuttosto che in grandi opere visionarie.
    Se i soldi non bastassero, si possono sempre coinvolgere i cosiddetti  “angeli del fango” e nuovi volontari, in ricorrenti giornate di faticosa ma gratificante festa tutti insieme non a spalare fango, ma a prevenirlo periodicamente sotto il coordinamento organizzativo dei municipi. O avvalersi – se mai sarà avviato – del  nuovo Servizio civile obbligatorio per tutti, come lo era il vecchio servizio miliate di leva, di cui si sta cominciando a parlare a livello nazionale.
    Assai più impegnativo, ma indispensabile, è il completamento dello scolmatore del torrente Fereggiano e di altri rivi, per condurli a sfociare direttamente in mare attraverso una galleria solo in piccola parte scavata e poi interrotta per intricate vicende burocratiche e giudiziarie.
    Ma poiché, come probabile, nonostante queste azioni gli eventi potranno comunque ripetersi, sia pur – si spera – con minore intensità e frequenza, è opportuno che si stabiliscano norme di comportamento per tali occasioni, da diffondere capillarmente tra la cittadinanza coinvolta affinché le faccia proprie, a partire dall’infanzia, stimolando anche la capacità di autonoma valutazione del rischio senza attendere i comunicati ufficiali. Qualcosa si era cominciato a proporre, anche con manifesti disegnati dalle scuole, ma molto resta ancora da fare.
    Rimane il problema delle attività al pianterreno, già duramente provate nel 2011 e ora di nuovo ferite in modo gravissimo, con la prospettiva di esserlo ancora non si sa quando e quante volte. Altrettanto vale per i mezzi di trasporto privati, posteggiati ovunque nelle aree inondabili.
    Quali soluzioni si potrebbero escogitare, che siano davvero praticabili e non fantascientifiche?
    Sarebbe utile oppure no scoperchiare il Bisagno nel tratto terminale fino alla Foce, come alcuni sostengono, demolendo la copertura realizzata ottant’anni fa, rifatta con gran dispendio da poco ma soltanto a metà (alta incompiuta, per un’incredibile alluvione di ricorsi in un contesto dove l’accusa di tangenti è stata tangibile)? Ce la sentiremmo di annullare un’arteria di grande traffico, vanificare quanto già speso e alterare radicalmente un compiuto e valido contesto urbano degli anni Trenta?
    Questi ed altri interrogativi possono essere materia di elaborazione per architetti, urbanisti e pubblici amministratori in diretto e costante confronto con i cittadini, con l’obiettivo di risolvere problemi vitali prima di abbandonarsi a sogni fantasmagorici e redditizi per pochi.
    Il dibattito è aperto.
    (Ferdinando Bonora)

  • OLI 415: POLITICA – Alluvione a Genova, eppure c’è chi ci guadagna

    Sospironi di sollievo, paccate sulle spalle, sorrisetti a fior di labbra, un dileguarsi rapido in sala rossa al primo Consiglio comunale dopo l’alluvione: era magari passato il flash Ansa che Grillo era stato contestato proprio in città dai volontari del fango. Quasi una vittoria elettorale, rabbrividendo al ricordo della superiorità relativa dei 5stelle nelle ultime politiche in Liguria, mica ci si fida del 40 per cento del Pd alle europee.
    All’una e mezzo il portone di palazzo Tursi è semichiuso, dentro un nugolo di agenti della polizia municipale spiegano cortesi che “il pass si può già ritirare, ma il consiglio è rinviato di un’ora”, siamo ormai al numero trenta e meno di cento sono i posti a sedere. Intorno capannelli di persone, intravedi visi noti, in primis esponenti di Municipi non coinvolti dai tragici eventi, che solerti!
    Si aprono le porte del loggione della sala rossa, il pubblico si distribuisce; da sinistra partono urla, fischi: sono i contestatori che rumoreggiano, alzano un cartello trafugato con il tacito consenso della bionda vigilessa. Inizia il consiglio, qualche graffio, in verità un susseguirsi di carezze contropelo, le persone si guardano interdette, qualcuno cerca d’interrompere ma è subito zittito fragorosamente. Appare chiaro, anzi chiarissimo che la destra del loggione è presidiata dalla “gente Pd”, che si è mescolata anche tra i “facinorosi” e tra gli ignari. Si svela la strategia: occupare più posti a sedere per non far partecipare grillini, leghisti, chissà quali persone qualsiasi venute a protestare o più semplicemente ad assistere al Consiglio comunale. Che prosegue tranquillo, soltanto una voce  fuori dal coro, un solo consigliere 5stelle, che chiede le dimissioni del primo cittadino, mentre i suoi colleghi, pur intervenendo con critiche durissime non fanno altrettanto.
    Il resto è tutto uno stringersi stretti al sindaco Doria per “solidarietà a chi fa lo stesso mestiere”, come sottolinea il capogruppo nell’unico intervento a firma Pd in un Consiglio che poteva buttar male, preoccupato il Pd non tanto di far fare brutta figura al sindaco, ma delle sue possibili dimissioni, che manderebbero tutti a casa, in primis questo Pd. Una stretta mortifera.
    Non si  chiede però che cosa si farà per la sicurezza dei genovesi da qui alla fine delle grandi opere, ancorché necessarie, non si chiede conto dell’operato dei dirigenti comunali, brillanti assenti.
    L’attacco invece è a testa bassa, furente contro la Regione, con cui non c’è più sintonia, si enuncia senza troppo rammarico.Vengono in mente le stringenti prescrizioni regionali fatte al Puc, che esortavano, fra l’altro, ad una maggiore puntualità delle norme riguardo al dissesto idrogeologico: osservazioni impositive così fastidiose per il Pd. Tragica nemesi l’allerta mancata, le inefficienze dell’ente, probabilmente si attacca la Regione per l’incombente candidatura della Paita di La Spezia, per fortuna del Pd assessore con delega anche alla protezione civile.
    Quanti piccioni con una fava, si potrebbe cinicamente dire in questi giorni. In un sol colpo forse il Pd genovese si libera del governatore in scadenza, degli spezzini, compreso il giovane ministro della giustizia e potrà così sciogliere la riserva sulla candidatura alle elezioni regionali dell’attuale segretario Lunardon, comparso in consiglio comunale anche lui nel pubblico della sala rossa insieme allo staff: tutti adesso hanno il cappello renziano, ma i soliti noti sono sempre lì nel rispetto della continuità e non faranno per ora, bontà loro, cadere questa giunta, di cui detengono la maggioranza e, in ostaggio, Marco Doria, il sindaco espiatorio come l’ha definito il Manifesto, con i suoi limiti.
    Mentre in Liguria, a Genova, forse non vedremo più sulla cresta dell’onda le incredibili coppie a sinistra, Raffaella Paita, assessore regionale, e consorte Luigi Merlo, presidente Autorità Portuale, più Sara Armella, presidente Fiera, e consorte Giovanni Lunardon, segretario regionale Pd.
    (Bianca Vergati – foto Giovanna Profumo)

  • OLI 415: ALLUVIONE – Facite ammùnia

    Il Colonnello Bernacca, durante una delle sue famose previsioni in Tv.
    (foto da internet)

    L’alluvione del 2014 sarà ricordata come quella della perfetta organizzazione dell’assenza. Si comincia in giornata con la completa assenza di allerta, nemmeno un livello 1. La protezione civile ligure si difende dietro ai modelli, che non avrebbero fornito alcuna indicazione in merito, fatto indiscutibile quanto indicativo di un concetto di sicurezza cattedratico, affidato non più ai sensi o ai saperi locali, ma ad una formula matematica che pretende di averli intrappolati in un sistema di calcolo automatico. Come non ricordare l’effetto butterfly, il Caos tanto studiato negli anni 60 e 70, il battito di ali in Cina che cambia il tempo in America, ma ancora di più il buon Colonnello Bernacca, che ci insegnava ad aprire la finestra di mattina per capire se pioverà. Certo, la situazione meteorologica attuale è più di tipo tropicale, più difficilmente prevedibile in termini di quantità di precipitazione, che diventa anche concentrata. In questo la disposizione a valli del territorio genovese non aiuta, anzi, peggiora la situazione, concentrando l’acqua in molti rii che poi convergono, alla fine, in pochi torrenti impetuosi.
    La successiva assenza è quella della protezione civile del Comune, organizzata per muoversi a seguito di uno stato di allerta che appunto è mancato. Poco conta che la redazione di Primocanale fosse al suo posto in studio ed in giro per la città, avendo fiutato l’evento. Poco importa che piovesse da ore. Poco importa se Francesca Baraghini con la sua troupe si fosse presentata poco prima di mezzanotte al Matitone per avere almeno qualche notizia dalla Giunta e l’avessero fermata ai cancelli, in mancanza “di un appuntamento”, da un custode che la stessa Baraghini afferma non sapere nulla dell’alluvione in corso, mentre ai piani alti si riuniva il Centro operativo comunale per iniziare a parlare di emergenze.
    Un’altra assenza, quella del coordinamento nelle operazioni di ripristino delle zone alluvionate e tra le parti in causa. Alcuni semplicissimi esempi: in piazzale Kennedy la Polizia municipale lunedi pomeriggio ancora non disponeva di un computer per velocizzare le operazioni di registrazione delle auto alluvionate portate lì, costringendoli ad un doppio lavoro; in sede, non si riusciva a parlare con chi avrebbe potuto forse mandarne uno, magari uno dei palmari recentemente comprati e che pare non siano poi così utili all’uso quotidiano.
    Ancora, le aree blu, dichiarate gratuite nel piano di emergenza dal venerdi successivo, sono segnalate come tali solo il sabato in un corposo comunicato stampa insieme a mille altre notizie, e poi di nuovo il lunedi mattina con un comunicato ad hoc, non avendo avuto efficacia il precedente nemmeno nei cartelli luminosi del Comune stesso, lasciando quindi i parchimetri funzionanti e nessun avviso su di essi da parte di Genova parcheggi, che dichiara di non essere in grado di disattivarli in poche ore. Con il risultato che molti genovesi hanno pagato il posteggio. Sono particolari in sequenza, che però dipingono la realtà di un piano di emergenza costruito solo sulla carta, mai provato, che perde di vista gli obiettivi e quindi non ne sa verificare il raggiungimento. Ma pagato a colpi di premi ai dirigenti.
    E questa, per concludere, è l’ultima assenza, la maggiore, quella maiuscola: l’assenza di serietà. D’altronde è una caratteristica del nostro paese ben conosciuta all’estero, da noi la situazione può diventare grave, gravissima, ma mai seria, l’importante è far vedere che si è fatto qualcosa. Facite ammùnia!,
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 414: ALLUVIONE – Ordinaria Amministrazione

    Cari lettori,
    Avevamo pubblicato giovedì notte l’ultimo aggiornamento della newsletter e dovevamo disporre l’invio dell’indice in mattinata, quando i notiziari hanno diffuso la notizia dell’ennesima alluvione.
    Le parole che accompagnavano le immagini in tv sono quelle alle quali ci hanno abituati: emergenza, bombe d’acqua, ritardi, responsabilità, rabbia.
    Genova fa acqua. E’ un fatto assodato. Da anni.
    Meno assodato è che faccia acqua la classe politica che l’amministra che si ostina a proporre e disporre progetti inutili e non si occupa dell’ovvia manutenzione e prevenzione.
    Siamo da capo. Il bilancio oggi è di un infermiere morto, attività commerciali in ginocchio, strade e mezzi di trasporto distrutti.
    Noi di OLI siamo in attesa che si pratichi – nei numerosi enti che ci governano – l’ordinaria amministrazione che non corre, ma presidia, che non inventa, ma protegge, un’amministrazione capace di rispondere con il buon senso ai segnali del tempo, in grado di custodire il territorio e prendersene cura.
    Noi di OLI sogniamo una gestione normale e sensata della cosa pubblica, la follia ormai ha fatto davvero il suo corso.

     
    (La redazione di OLI – foto di Giovanna Profumo)

  • OLI 321: LETTERE – Burlando e le Cinque Terre

    Ex parcheggio di Vernazza – dalla trasmissione Presa diretta di Rai3

    L’alluvione ligure è andata in onda a Presa diretta di Rai3, con servizi da Genova e dalle Cinque Terre. Nicola Rollando, che ha ospitato e guidato la giornalista a Vernazza, dovrebbe condividere le sue pregevoli riflessioni con i “colleghi cittadini” per verificare quanti come lui, eventualmente silenti, possano attivarsi per determinare un cambiamento nelle politiche di gestione del territorio.
    Tra quanto d’importante detto da Rollando a proposito di Vernazza, si cita: “questo è un paese di trecentocinquanta anime che in estate arriva a contare oltre settemila presenze… i nostri vecchi nel tempo hanno portato la terra dal mare sulle colline per consolidarle e mettere in salvo il paese… noi abbiamo smesso di farlo preoccupandoci invece di far arrivare in questi luoghi persone che non siamo in grado di proteggere…”.
    Con diversi stili e approcci, negli anni è stato detto e scritto tutto ciò che potesse essere utile e pure superfluo a proposito di “turismo (in)sostenibile” e “cementificazione” alle Cinque Terre; ciononostante, un’ampia fetta di informazione e di cittadini, ragionando del “disastro” di Monterosso e Vernazza, precisa trattarsi di “luoghi in cui non si può dar colpa alla cementificazione perché non c’è mai stata”.

    Vernazza dopo l’alluvione (fonte Il Secolo XIX)

    A Monterosso e Vernazza in un modo o nell’altro sono saltati i torrenti sottostanti le vie principali dei borghi; anche Manarola e Riomaggiore hanno parcheggio e strada, anche Manarola ha avuto in passato la sua alluvione (dall’O.C.C. Tribunale della Spezia): “le provviste di denaro reperite illecitamente venivano impiegate non solo per consolidare il consenso politico davanti alla collettività, finanziando opere pubbliche ad alto impatto visivo”… (è il caso di via Discovolo in cui il denaro erogato invece di essere speso per consolidare la soletta in cemento danneggiata dall’alluvione, venivano spesi in parte per rifare la pavimentazione e l’illuminazione, peraltro interventi esplicitamente esclusi dal finanziamento), ma anche per sistemare questioni di carattere privato oppure per favorire l’amico, il parente o la persona dalla quale poi si possono ottenere protezioni e favori.”
    Per quale ragione, dopo uno tsunami giudiziario e uno “naturale”, la retorica del “Paradiso delle Cinque Terre” continua a sopravvivere? Durante il periodo dell’alluvione non si è sentita la voce del Parco (commissariato da oltre un anno) che infatti continua a svolgere funzioni di agenzia di viaggi, al più di ufficio di collocamento, certo non di “authority di tutela del territorio”. Anche dopo aver dismesso “il faraone”…

     (fonte Il Secolo XIX)

    A Genova, a causa dell’alluvione, è in fase di dismissione il sindaco Vincenzi: scaricata anche lei secondo i retroscena dei quotidiani da Burlando che, a sua volta, non è immune da responsabilità in questo (nuovo commissario della stessa emergenza di cui era già commissario dal 2007 – nomina Prodi) e in altri contesti: è lo stesso uomo che difende e promuove le centrali a carbone di Vado e La Spezia, che ha sostenuto e dismesso il “faraone”, che ha picconato la provincia di La Spezia quando era in bilico. L’uomo dev’essere fatto di buon cemento armato per resistere ai contromano e agli tsunami naturali e giudiziari. Forse finché ha soldatini da sacrificare? Sopravvivrà all’auto-commissariamento?
    Approfondimenti:
    Turismo sostenibile/tutela territorio: http://www.speziapolis.org/dp/sostenibile/amantea_2008.pdf
    Inchiesta giudiziaria: http://speziapolis.blogspot.com/p/inchiesta-5-terre.html
    Ambientalismo: http://speziapolis.blogspot.com/2010/10/legambiente-vergogna.html
    (Daniela Patrucco)

  • OLI 320: ALLUVIONE – Il Consiglio comunale boccia misure di prevenzione

    Consiglio Comunale di Genova, 10 novembre 2011: l’ordine del giorno proposto da alcuni consiglieri, sulle azioni da intraprendere a scopo precauzionale relativamente ai rischi di alluvione a Genova, viene clamorosamente bocciato da una schiacciante maggioranza facente capo ai partiti di governo, astenuta l’opposizione.
    Pubblichiamo il testo integrale del documento, rimandando ai lettori la ricerca di un possibile motivo di un voto per noi tanto incomprensibile. Possiamo solo citare una nota rubrica di barzellette della Settimana Enigmistica dal titolo: “Senza parole”.
    Il fatto sta facendo il giro del Web, aggiungendo ulteriore perplessità sulla capacità di gestione del territorio nella città di Genova.


    ORDINE DEL GIORNO IN MERITO ALLA DISCUSSIONE RELATIVA AGLI EVENTI ALLUVIONALI DEL 4 NOVEMBRE 2011
    Il Consiglio Comunale di Genova,

    Considerato l’impatto che l’alluvione di venerdi 4 novembre 2011 ha avuto su ampie parti del territorio genovese e, in particolare, la morte di 6 persone;
    Premesso che il territorio così come la natura e la storia l’hanno consegnato a noi, è un patrimonio che va amministrato con la massima saggezza sapendo che è un bene limitato, che non è riproducibile.
    La sottrazione di anche un solo metro quadrato può significare lo stavolgimento dell’assetto idraulico e l’aumento dei rischi per le persone, oltre al danneggiamento del paesaggio;
    Considerato che “costruire sul costruito” deve significare fermare il consumo di territorio, senza aumentare il carico insediativo e di urbanizzazioni primarie e secondarie, in zone già densamente popolate;
    Tenuto conto del cambiamento climatico in atto che comporta precipitazioni intense frequenti, e della necessità di affrontare la sicurezza idrogeologica in maniera completa, sia con misure strutturali che non strutturali, come:

    • manutenzione dei corsi e dei versanti;
    • riqualificazione del patrimonio forestale;
    • vincoli urbanistici, assicurazioni, prevenzione e protezione civile;
    • la rinaturalizzazione dei rii, compresi i loro versanti, permettendo la creazione di aree golenali, aumentando la capacità di ritenzione delle acque e la dissipazione dell’energia per ridurre il rischio idrogeologico più a valle,come stanno facendo da anni sulla Loira, in Francia, sulla Drava in Austria o sul Reno in Germania;
    • aumento di territorio permeabile;
    • demolizione di strutture in argine,
    impegna la Sindaco e la Giunta a:
    • predisporre emendamenti al PUC in modo da aumentare la quantità di territorio permeabile nel Comune di Genova, non autorizzando nuovi insediamenti e parcheggi in aree naturali e inondabili;
    • implementare protocolli certi e non ambigui con sistemi integrati di allarme per la gestione dell’emergenza in tutto il territorio comunale;
    • non adeguarsi alla sconcertante diminuzione della distanza dai fiumi per le nuovi costruzioni, approvato recentemente dal Consiglio Regionale Ligure;
    • rivendicare il proprio ruolo di governo del territorio, esprimendo la propria contrarieta’ al “silenzio – assenso” previsto in un disegno di legge depositato dalla Giunta Regionale per i permessi a costruire;
    • attivarsi verso le competenti autorità di polizia territoriale per procedere senza indugio all’abbattimento di quegli edifici situati sugli argini che riducono la sicurezza, prevedendone la ricollocazione e la rimozione di qulunque deposito/accumulo di inerti vicino ai tratti fluviali;
    • intervenire prioritariamente in quei corsi con particolare emergenza idraulica, per aumentare la capacità di smaltimento dei tronchi coperti, fino a soddisfare lo smaltimento della portata 200-ennale;
    • aiutare economicamente gli alluvionati per riavviare le attività, non dimenticandosi dei cittadini di Sestri Ponente alcuni dei quali ad oggi sono a rischio di fallimento per mancati finanziamenti;

    Presentato da Bruno (Prc) e Cappello (Gruppo misto)

    Esito della votazione:
    favorevoli 6: (Prc, Cappello, Bernabò Brea, Sel)
    astenuti 8: (Pdl, Altra Genova, Lega Nord, Maggi)
    contrari 23 (Pd, Idv)
    (Il testo è stato fatto girare da diverse fonti, tra cui manuelacappello.it e Rifondazione Comunista)

    (La redazione di Oli)

  • OLI 320: LETTERE – Parole pesanti! Attenzione.

    Federico Valerio, ambientalista storico genovese e non solo, continua a svolgere un ottimo lavoro di informazione e pulizia sulla tragedia di Genova di pochi giorni fa. Lo affida prevalentemente alla mailing-list ambiente_liguria@yahoogroups.com dalla quale io lo raccolgo con gratitudine.
    Penso che sia un contributo utile alla formazione di un pensiero critico su quanto avvenuto, presupposto necessario per allontanare fantasmi e paranoie e per evitare giudizi affrettati e tribunali impropri. Che non servono a niente se non ad avvelenare ulteriormente il già avvelenato clima politico in cui siamo immersi. E che forse comincia “a riveder le stelle”.
    Torniamo alle informazioni di Federico Valerio. Ci dice che “in inglese si chiamano “Cloud-Burst”, in italiano “nubifragio”,… eventi durante i quali, in due ore, piovono più di 50 milimetri di pioggia, 600 milimetri in 24 ore”. L’evento nel linguaggio mediatico e purtroppo politico è stato definito “bomba d’acqua”, almeno nei primi giorni. Su Quezzi, il quartiere del Ferreggiano, il 4 novembre sono caduti 514 milimetri di acqua in 24 ore. Un nubifragio di violenza simile a quello dell’alluvione di Genova del 1970, ma in un’area più ristretta e in un tempo più concentrato.
    Le previsioni ARPAL del giorno prima parlavano di 30-70 millimetri di pioggia prevedibili per il giorno dopo. Se le previsioni si fossero avverate al massimo si sarebbero verificati allagamento dei sottopassi, degli scantinati. Eventi certamente pericolosi ma non di potenza tragica come quelli che si sono verificate. D’altra parte non esistono modelli di previsione sperimentata sulla intensità e sulla concentrazione spazio-temporali dei nubifragi.
    Dopo questa dolorosissima esperienza quando si parlerà di “allerta 2” le indicazioni sui comportamenti protettivi e le azioni di tutti i soggetti responsabili, cittadini compresi, saranno improntati al massimo del principio di precauzione e al massimo dell’allerta.
    Alle informazioni e alla riflessione di Federico Valerio ho voluto aggiungere una considerazione che mi appassiona e mi preoccupa e che considero fondamentale per il dispiegarsi di una buona convivenza e di una autentica democrazia. Riguarda il linguaggio, troppo spesso sfigurato, de-animato, corrotto. Nel nostro caso l’uso della parola “bomba d’acqua” ha dato l’innesco a questa mia riflessione. C’è differenza nella risonanza linguistica fra nubifragio e bomba d’acqua.
    E la parola nubifragio è assolutamente esaustiva e convincente.
    Credo che possa chiarire meglio il mio argomentare un breve aforisma: “Bombe intelligenti, bombe umanitarie, bombe d’acqua. E noi, parolai sempre più stupidi”.
    Forse dire “noi” potrebbe pungere qualcuno, ma va nel senso del “…siamo tutti coinvolti”.
    Bomba è parola di grande tensione inquietante. E questi primi anni del secolo ce lo hanno mostrato, avvelenando vita e futuro.
    Ora è ancora più angosciante nel momento in cui c’è fra i potenti che cercano di fermare la presunta e illegale, sicuramente minacciosa, bomba atomica iraniana, con bombe atomiche capaci di penetrare la crosta terrestre con le conseguenze immaginabili. Al riparo di ogni loro illegalità.
    E perdonate la digressione conclusiva.
    (Angelo Guarnieri)

  • OLI 319: VERSANTE LIGURE – L’URLO

    È un urlo di pioggia (in) marcia
    potente ringhioso feroce
    un urlo di fine di pace
    che l’anima e la città squarcia
    un urlo che è sempre più forte
    di pianto che cade dall’alto
    sul pianto di chi è sull’asfalto
    un urlo di male e di morte
    un urlo di stupro ambientale
    e insieme di pura Natura
    (e porta con sé più paura
    l’atroce che è naturale).
    Un urlo, d’angoscia essenza,
    di rabbia e protesta furente
    che cerca una colpa, e si sente
    che a urlare di più è l’impotenza.

    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA

    .

  • OLI 319: CITTA’ – L’alluvione e i tre metri della Regione

    Il sindaco ha fatto una figura penosa.
    Ha risposto ad uno stato di allerta costringendo i cittadini a rischio ad evacuare in zone protette.
    La città si è svuotata: strade, negozi, aeroporti, linee metropolitane totalmente deserte.
    La gente chiusa in casa, i frigoriferi pieni, in attesa del giudizio universale. Nastri adesivi a x sulle finestre, in contattato con l’esterno solo via internet o telefono.
    Chi era lì testimonia che è stata messa in moto una macchina da guerra. Chi era lì accenna all’efficienza data dalla paura, all’informazione capillare e massiccia con la quale sono stati bombardati i residenti in tutta l’area. Gli italiani in vacanza, passata l’emergenza, hanno deriso quel sindaco, pretendendo il rimborso delle notti sprecate in hotel per un falso allarme. Esaggeratoo! hanno esclamato indicando un sistema nel quale non si riconoscono semplicemente perché il fato non deve e non può essere messo in conto. Hanno ricoperto il sindaco di New York di scherno ma poi sono partiti.
    La sindaco ha fatto una figura pietosa.
    La sua macchina presa a calci è l’epitaffio ad un programma che nel 2007 aveva come titolo “Il sindaco di tutti. Marta Vincenzi”. Quei calci feriscono, insieme a lei, chi in quella promessa aveva creduto. Ma è pur vero che la “responsabilità” non può e non deve limitarsi al successo della Notte Bianca ma deve anche sapersi far carico degli eventi più tragici della città. Indagare a fondo, senza autoassoluzioni. Cercando di riflettere prima di fare dichiarazioni alla stampa.
    La mattina del 4 novembre cimiteri, parchi e passeggiate cittadine erano chiusi. Erano chiusi per un’allerta due annunciata da giorni sulla stampa. Ma le scuole erano aperte. I figli di Mario sono stati tratti in salvo dall’edificio scolastico grazie all’intervento dei pompieri. Mario e sua moglie che abitano poco distante da via Fereggiano hanno visto i loro ragazzi cinque ore dopo essersi messi in marcia per andarli a prendere. Il Comune non ha offerto loro un “servizio” ma li ha cacciati nel tunnel dell’angoscia. Con loro molti altri genitori.
    Marta Vincenzi ha dichiarato a Prima Pagina domenica 6 novembre: “questa bomba d’acqua ha ucciso le persone che passavano lì, la donna anziana e la donna con i bambini. Non c’è da pensare ad’altro, se non verificare come mai qualcuno ha consentito che si potesse uscire dalle scuole in quel momento e come mai non sia arrivata la circolare che il Comune ha fatto che i bambini stessero fino al cessato allarme dentro le scuole: questo è da verificare”.
    Per quanto riguarda il prossimo futuro lascia di stucco leggere la denuncia di Manuela Cappello e del WWF a Feruccio Sansa sul Il Fatto: “la Regione Liguria ha ridotto il limite previsto per le nuove costruzioni lungo i fiumi. Erano dieci metri, adesso sono tre. Si rischiano nuovi disastri.”
    Quattro donne e due bambine sono morte venerdì scorso. Una tragedia che non si può liquidare con frasi del tipo “E di cosa mai sarei responsabile? Del fatto che lo tsunami ha colpito la città di cui sono sindaco?”.
    Lunedì e martedì scuole chiuse.
    E i cimiteri?

    (Giovanna Profumo)