Categoria: alluvione

  • OLI 319: CITTA’ – Genova 1797 & 2007

    Rapprentazioni del territorio a levante del centro di Genova, con i torrenti Bisagno e Fereggiano, a distanza di 210 anni l’una dall’altra.
    Sopra:
    dall’Album topografico di Genova e suoi dintorni, penna ed acquerello colorato, circa 1797, Genova, Collezione Topografica del Comune, inv. n. 1127 (particolare).
    Sotto:
    da Google Earth, 9 agosto 2007.
    (Ferdinando Bonora)
  • OLI 319: LETTERE – Shock economy e privatizzazione

    Terremoto dell’Aquila, aprile 2009 – Gli imprenditori embedded nell’economia dei disastri si preparano a raccogliere il bottino:
    – GAGLIARDI:..oh ma alla Ferratella occupati di ‘sta roba del terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito… Non è che c’è un terremoto al giorno
    – PISCICELLI:… no…lo so (ride)– GAGLIARDI:… così per dire per carità.. poveracci
    – PISCICELLI:.. eh certo … Io ridevo stamattina alle 3 e mezzo dentro al letto
    – GAGLIARDI:… io pure… va buo’… Ciao.

    Alluvione Spezia e Massa, ottobre 2011 – Comunicato della Protezione Civile – 31/10/2011: “La Prefettura della Spezia rivolge nuovamente un invito a non recarsi presso i Comuni interessati dagli eventi alluvionali in quanto la presenza di volontari singoli non organizzati sta creando intralcio alle operazioni di soccorso e sgombero delle strade”.

    Shock Economy – L’ascesa del capitalismo dei disastri – Naomi Klein –RCS, 2007:
    “Date le temperature bollenti, sia climatiche sia politiche, i futuri disastri non avranno bisogno di cospirazioni segrete. Tutto lascia pensare che, se le cose restano come sono ora, i disastri continueranno a presentarsi con intensità sempre più feroce. La generazione dei disastri, dunque, può essere lasciata alla mano invisibile del mercato. Questa è un’area in cui il mercato funziona davvero.”
    La Klein, a proposito dell’uragano Katrina che nel 2005 ha spazzato New Orleans, ha ipotizzato che le autorità abbiano deliberatamente assecondato la furia della natura che, radendo al suolo l’intera area, avrebbe facilitato la delocalizzazione delle popolazioni (povere) residenti e un’imponente opera di riurbanizzazione.
    In questa alluvione ligure ho sperimentato, in una giornata trascorsa a Brugnato, (che è diverso dal generico sapere, leggere, vedere in TV) l’ovvio:

    1. massiccia presenza di imprese riconducibili ai settori della movimentazione di terra e dell’edilizia;
    2. massiccia presenza di volontariato organizzato e istituzionalizzato, che opera in coordinamento con la protezione civile;
    3. tentativo, da parte delle istituzioni, di tenere fuori i volontari-volontari;
    4. quantità smisurata di iniziative di raccolta fondi.

    Mentre si spala si argomenta, si dibatte, si delibera e uno degli esiti di tale deliberazione è stato il seguente:
    “In un’Italia di disoccupati, di occupabili, di disastri, non avrebbe maggior senso destinare alla cura del territorio lo stesso denaro che inevitabilmente viene investito “nell’emergenza”? Non di più o di meno, ma lo stesso denaro; garantendo occupazione e stabilità economica a un maggiore numero di persone?” Banale? Mica tanto.
    Se si ragiona in termini di economia dei disastri, allora il quadro diventa molto chiaro: si preferisce investire nell’emergenza perché le medesime risorse sono ridistribuite in una ristretta cerchia di soggetti, spesso ben selezionati. Socializzazione dei costi, privatizzazione dei profitti.

    “Come il prigioniero terrorizzato che rivela i nomi dei compagni e abiura la sua fede, capita che le società sotto shock si rassegnino a perdere cose che altrimenti avrebbero protetto con le unghie e con i denti”.

    Se si ragiona in termini di “shock economy”, si può ben capire il senso della proposta del senatore Grillo: l’attivazione dei privati, attraverso il project financing, per la ricostruzione delle zone alluvionate nello spezzino, in cambio dell’acquisizione di una struttura dismessa da una forza armata o di una concessione che ne preveda l’uso protratto nel tempo.
    Il senatore Grillo, naturalmente, ha già coinvolto gli americani: Milton Friedman docet.
    (Daniela Patrucco)

  • OLI 318: AMBIENTE – Salviamo le CinqueTerre

    Nicolae, 37 anni, falegname; Marian, 31 anni, muratore; Rita, 60 anni, insegnante. E poi Paola con il padre Aldo, Dante con sua moglie Adriana e Sandro, papà di un bimbo di otto anni, volontario della Protezione civile, visto per l’ultima volta mentre cercava di aprire i tombini, un momento prima della piena, dopo aver messo in salvo alcuni turisti. Non sarà più in prima linea per un incendio, per una frana, per la mareggiata.
    Ora il presidente Napolitano lo ha insignito della medaglia d’oro
    Non dimentichiamoli. E non dimentichiamo quel fango che arriva sino al primo piano delle case, che si è portato via un mondo incantato, le stazioncine piene di turisti che sciamavano per i vicoli, entravano a frotte nel panificio per la focaccia, curiosando tra i souvenir.

    Quell’esplosione di colori delle facciate delle case che sembrava si tuffassero in mare: volevano forse ritrovarlo nella grezza piastrellina di ceramica, che finivano per portare a casa.
    Non era un turismo di lusso quello delle Cinque Terre, anche se alcuni ristoranti e locande di pregio vi lavoravano bene, era una coesistenza pacifica tra pesce del golfo e pane burro e acciughe, tra danarosi sandali – calzini e zainati giramondo, tutti con un solo grande amore: le Cinque Terre. Vecchi e giovani.
    Li vedevi inerpicarsi per sentieri, affacciarsi tra le vigne, provare il brivido di quelle onde là in fondo, che schiumano placide e poi quasi di corsa percorrere la strada principale del paese per arrivare alla spiaggetta, spogliarsi in fretta e tuffarsi o almeno bagnarsi i piedi anche se era inverno. Bastava un po’ di sole, il paesaggio faceva la sua parte.
    Ora sembra scomparso tutto ciò ma noi non vogliamo crederlo, i ragazzi che sono lì a spalare non lo credono e diciamo loro grazie, pagheremo volentieri tasse in più, non faremo come lo stravagante scrittore del giornale cittadino, che rifiuta il suo contributo perché il troppo turismo avrebbe distrutto quei luoghi.
    Forse l’artista, ha brama di riservatezza o è soltanto spocchia di esclusività.

    Qui c’era un turismo rispettoso e le Cinque Terre uno dei siti più curati in Italia, certo non immune a vogliosi appetiti di cementificazione, finora repressi. Vi lavoravano tanti ragazzi all’accoglienza, alle stazioni, nei bar e ristoranti. Come in tutti i paesi della Liguria scorrono rii e torrenti talvolta imbrigliati sotto le strade del paese e probabilmente a Monterosso si è costruito un parcheggio di troppo, accusa pure Legambiente (Repubblica, 31 ottobre). Da ricordare quello di Fontanavecchia alle spalle della stazione di Vernazza, (Secolo XIX, 28 ottobre) o il villaggio Europa fra Corniglia e Vernazza, vecchi bungalow da ristrutturare e fermati a metà dalla magistratura, o ancora la collina di Pianca, scavata per fare posto a una scuola che non ha mai visto la luce, tra Riomaggiore e Vernazza, liberando così spazi appetibili nel paese.
    Ma il punto è un altro: lavorare la terra non conviene più, lo stato dimentica il suo territorio, aiuta pochissimo chi lo preserverebbe. Incentivi e credito solo per grandi aziende e i microagricoltori si arrendono. Tanti muretti a secco si reggono a stento, il bosco avanza, le vigne incolte rendono la natura fragile. Chi vendemmia, lo fa spesso per passione e ostinazione, porta l’uva alla cantina sociale, che almeno te la paga.
    Poche in giro le bottiglie di vero sciacchetrà, intanto sono sotto il fango i luoghi dove lo gustavi, speriamo davvero di ritrovarli di nuovo, insieme ai viaggiatori globetrotter.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 286: VERSANTE LIGURE – PREMIER IL PIACERE, POI IL CARROCCIO

    Non c’è danno che tenga
    ché Sestri non ha il rango
    (è in Veneto? Non finga!):
    a risarcir mi oppongo.
    Scusate: ho il bunga-bunga
    vi lascio il fango-fango.

    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA