Categoria: DIRITTI

  • OLI 416: CGIL – A Roma il Nidil diventa grande

    Corre come una maratoneta e tiene alta la bandiera quasi fosse la fiaccola olimpica.
    C’è chi sorride al suo passaggio – Ma che ci fa qui?E’ impazzita! – osservano alcuni
    Lei si chiama Carla: Guardi è la prima che ho trovato. Avevo quella dell’ulivo, sarei potuta venire anche con quella, ma non so dov’è finita… così ho portato questa, tanto è lo stesso! Qui nessuno lo dice, ma sono tutti elettori del Pd!
    Carla ha la faccia di una che il Partito l’ha visto in tutte le salse: Pci – Ds – Ulivo – Ds + Margherita – Pd. Con Ochetto, Rutelli, Prodi, Veltroni e ha visto il partito liquido. E in quel fiume di gente che scorre verso il Colosseo, dove, per la prima volta, si manifesta contro le scelte di un segretario del Pd, Carla sembra davvero fuori posto. Un uomo la stessa bandiera la tiene bassa, listata a lutto, come a giustificarsi. Tanto sta commemorando un morto.
    Gli altri, quelli che manifestano contro il tradimento, mostrano le molte facce di Renzi nei loro striscioni, così il patto del Nazareno si trasfigura in quello divino della cappella Sistina con Adamo che diventa Renzi creato dal dio Berlusconi. E la dicotomia si ripropone di continuo come se i due fossero fratelli della stessa madre. A Roma, in effetti, sfila un popolo di orfani. Ma sono tantissimi e politicamente in balia dell’attesa che il vuoto lasciato da Renzi a sinistra venga occupato prima di tutto da idee e programmi. Una Cgil rinnovata schiera sul palco tre giovanissimi a fare da conduttori. Una di loro ha la grinta di un dj. In corteo gli striscioni del Nidil muovono i primi passi, piccoli e fragili in confronto a quelli della FIOM o dello Spi. C’è solo da sperare che le altre categorie – zie ricche – con un sano spirito di sussidiarietà, si decidano a far crescere i tanti Nidil distribuiti sul territorio con risorse e persone, affinché si sappia chi tutelano e i giovani possano iscriversi. Una delegata, nel 2009 aveva chiesto esattamente questo durante un congresso della Cgil genovese. Ma allora non era stata cosa. Oggi con Renzi forse tutto cambierà.

    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 402: LETTERE – Caro Sergio, ecco l’equivoco

    Caro Sergio,
    In occasione dell’incontro su Conflitto e Capitale allo Zenzero, ho ricordato con emozione le mie tappe di iscritta Fiom all’Ilva, delegata e la decisione di dimettermi.
    Era per me un privilegio parlare con te del bilancio, ancorché in perdita, di una militanza sindacale figlia della tua azione politica e della tua capacità di difendere diritti e lavoro.
    Posso ammettere che se tu non fossi stato Segretario Cgil io, allora, non avrei nemmeno sperato in una svolta. Te ne sono grata.
    Quello che volevo capire era con che occhi vedessi le piazze, il desiderio di cambiamento del 2002 legate al decennio che ci è piombato addosso dopo. Quali le tue emozioni di leader rispetto allo scarto tra l’occasione unica e la perdita dell’occasione stessa che, a mio parere, ha accelerato il declino di questo paese. Più semplicemente se ti capitava di ripensarci passeggiando con i tuoi figli, quale fosse il tuo bilancio interiore.
    Hai risposto: Non equivocate un grande consenso sociale con un pari consenso politico e poi hai ammesso credo di aver sbagliato ad aver accettato la richiesta di fare il sindaco di Bologna, dovevo stare da un’altra parte a provarci.
    Al tuo fianco Deborah Lucchetti – portavoce dell’associazione Abiti Puliti che si sta battendo per i diritti minimi dei lavoratori tessili in Bangladesh, in Cambogia e Vietnam – ci ha fornito dettagli inediti da un girone dantesco.
    Allo stesso tavolo, parlavate di lavoro, ma si poteva percepire uno scarto tra il patrimonio emotivo di Deborah, che raccontava di svenimenti di massa sulle macchine da cucire e di come agire un cambiamento concreto, e il tuo patrimonio umano di una pacatezza vuota che mi è parsa distante dalla passione che aveva animato la tua azione sindacale anni fa. Come se la politica di questi anni avesse spento qualcosa in te. La tua analisi lucida sulla tua impossibilità di incidere in Europa per frenare il TTIP, sull’importanza del made in, e la storia del lavoro in questi anni in Italia e nel mondo si è conclusa con la previsione che le persone che lavorano rivendicheranno rispetto e lo faranno con strumenti inediti in condizioni mutate.
    Mentre dal suo osservatorio Deborah raccontava di un conflitto solitario, aspro, che andrebbe appoggiato anche da noi, fatto di scioperi, arresti di lavoratori e della difficoltà di trattare con un padrone incorporeo come le multinazionali, sostenute da governi intenti ad ostacolare i diritti. Governi che decidono salari da fame e favoriscono la devastazione del territorio. Scelte globali che impattano in Italia con aziende che lasciano macerie e politiche che smantellano tutele sociali a favore della finanza, in un’assenza del conflitto capitale-lavoro. Il tutto favorito da una pericolosa incomprensione delle dinamiche della globalizzazione da parte di sindacati, partiti e società civile.
    Deborah chiedeva se era possibile incrinare questa idea putrida di sviluppo e, nel riconoscersi minoranza, sollecitava una svolta seria ad una maggioranza di cui tu, in quel contesto, eri rappresentante. Ma a me non è parso che fossi particolarmente animato dalla volontà di essere parte di questa svolta.
    Poi il dibattito è finito. Ed io ho compreso perché ho equivocato. Non si trattava di consenso sociale e nemmeno di consenso politico.
    Si trattava di persone
    (Giovanna Profumo)
  • OLI 376 – SINDACATO: La FIOM e la maggioranza politica senza diritti

    L’unica vera maggioranza è la nostra: quella rappresentata dal 37% di giovani precari o senza lavoro: una percentuale che supera di gran lunga quella ottenuta dai partiti e dalle loro coalizioni durante l’ultima tornata elettorale (Marina Molinari – campagna Io voglio restare)

    Bologna 30 aprile, Palazzo Re Enzo.
    Il seminario FIOM, su reddito, salario, modello sociale – programmato a Marzo – diventa per molti luogo del nuovo progetto, quello dove rimettere insieme i pezzi di una sinistra devastata dalle larghe intese Pd e Pdl. L’enorme sala è piena. La ferita del governo di Letta e compagni, vista da qui, non si rimarginerà più.
    Stampa e televisione restano per le prime ore dell’iniziativa – che si protrarrà fino alle 14 – e ci si avventano come su un buffet: a caccia del piatto forte, attratti dalla locandina che promette, oltre alla presenza di Landini, anche quelle di Barca, Rodotà, Revelli. L’informazione è lì per capire se la FIOM voglia fare sindacato o politica, come se l’uno escludesse l’altra.
    Landini spiega che la FIOM ha un’idea precisa di società. No, non si sostituisce ai partiti, ma fa il proprio mestiere di sindacato e chiede a chi dovrebbe avere un ruolo di rappresentanza politica di tornare ad avere quel ruolo, ragionando, con umiltà, su lavoro e processi. C’è un’analisi da costruire, anche il sindacato deve cambiare atteggiamento ripartendo da cosa produci, perché lo produci e quale sostenibilità ambientale ha. Compito della Cgil è impedire in ogni modo che ci possa essere una competizione tra lavoratori e tra giovani e non giovani.
    Landini parla della Federazione dei Sindacati dell’Industria che riunisce metalmeccanici, chimici e tessili a livello europeo e mondiale e della necessità di superare i 247 contratti nazionali. Poi di lavoro nero, reddito minimo garantito, finanziamento degli ammortizzatori sociali, devastazione dei diritti, in un contesto in cui il lavoro viene ridotto a merce, ad oggetto in cui viene comprato e venduto. Va costruito un nuovo modello sociale, imposta ai governi un’agenda che parta dal basso, e in Italia introdotto il reddito di cittadinanza per tutti.
    Questo paese è il nostro, questo tempo è il nostro e intendiamo riprendercelo, dice Marina Molinari di Io voglio restare. E’ la voce di una generazione sulle cui spalle sono stati scaricate tutte le contraddizioni di un sistema economico in affanno: senza lavoro, senza casa, senza la tutela di un sistema di walfare. Quando abbiamo lanciato la nostra campagna avevamo un governo di larghe intese sostenuto dal Pd, dall’Udc, dal Pdl sotto l’egida del presidente Napolitano con il compito di realizzare in Italia le politiche dettate dalla Commissione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. Dopo sei mesi, ed elezioni politiche in cui la coalizione dell’austerity ha perso dieci milioni di voti siamo ancora lì con un governo di larghe intese sotto l’egida del presidente Napolitano. L’autoreferenzialità, la totale impermeabilità alle spinte che vengono dall’esterno della politica italiana è senza precedenti. Molinari ha aggiunto intendiamo riprenderci il sindacato per contribuire a farne uno strumento reale di partecipazione e rappresentanza generale anche e soprattutto per chi non ha un contratto di lavoro tradizionale, intendiamo riprenderci la politica. Alcuni dei promotori della campagna erano all’estero quando è stata lanciata, altri se ne sono andati dopo, altri saranno costretti a farlo. Bisogna parlare di casa, di equo compenso, reddito di base, sostegno universale alla paternità e maternità, diritti del lavoro, pianificazione di occupazione legata alla conversione ecologica e all’innovazione per ricostruire il paese, occupazione basata sui saperi e sulla centralità della ricerca pubblica. Per questo Io voglio restare il 18 Maggio sarà a Roma a manifestare accanto alla FIOM.
    Marco Revelli – presidente della Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale (CIES) fino al 2010 – è implacabile, fornisce le cifre della catastrofe: i working poor, poveri al lavoro, esuli eterni sono il 10% in Italia. Tra chi ha un contratto a tempo determinato il 37% vanta un salario al di sotto della soglia tecnica di povertà. Parla di povertà assoluta tra laureati e diplomati. Grazie all’applicazione del paradigma neoliberista, dagli anni 70 ad oggi, il lavoro ha perso fino a dieci punti percentuali. Mentre 10 punti percentuali di PIL sono transitati dal lavoro al capitale. L’Indice GINI che registra quanto inegualmente si distribuisce il reddito, indica una crescita fortissima delle diseguaglianze. C’è stata una lotta di classe feroce, ha spiegato Revelli e come dice Luciano Gallino (OLI 352) è stato spolpato reddito e lavoro. Politica e sindacato non se ne sono accorti. L’Italia, Ungheria e Grecia gli unici tre paesi a non avere una garanzia universalistica del reddito. continua
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice) 

  • OLI 375: CITTA’ – Sabato 4 maggio aperitivo solidale con Ambulatorio Città Aperta

    L’Associazione Ambulatorio Città Aperta, è “un’associazione di medici, infermieri e volontari che vuole rendere effettivo il diritto alla salute proprio di ogni essere umano, di qualunque provenienza geografica, religione e status sociale. Offrire un’assistenza medica di base agli immigrati “irregolari” – che la legge non garantisce perché orientata a regolare solo l’emergenza – è un modo per esercitare un’azione politico-sociale”.
    Così è stato anche nel passato: l’Associazione Ambulatorio Città Aperta faceva parte del coordinamento di associazioni del Forum antirazzista e, dalle carte dell’Archivio del forum, si possono ricostruire alcune tappe importanti della sua storia.
    Nel corso del 1997 si portava avanti la discussione del disegno di legge sull’immigrazione Turco-Napolitano. Nell’incertezza legislativa sull’argomento, alcuni enti ed ospedali avevano introdotto pratiche discutibili: l’Istituto Gaslini aveva posto, tra le condizioni di ricovero, l’accettazione di stranieri extracomunitari in ospedale (eccetto le urgenze) soltanto dietro garanzia di pagamento. In quella occasione l’Associazione Ambulatorio internazionale Città Aperta si mobilitò e organizzò sull’argomento un convegno (tra i cui invitati compariva anche Tahar Ben Jelloun).
    Insieme alle altre associazioni del Forum antirazzista, si batté – sempre nel corso del 1997 – perché la legge in discussione recepisse la necessità di garantire, a livello ministeriale e regionale, il diritto alla salute di tutti i cittadini, indipendemente dal titolo di soggiorno.
    Più tardi, nel 2001, poco prima della fine del Forum Antirazzista e della emanazione della disastrosa legge Bossi-Fini, si batté insieme alle altre associazioni del forum per instaurare una collaborazione con la questura.
    Successivamente, l’Associazione Ambulatorio Città Aperta ha continuato a garantire il diritto alla salute, così come è garantito dalla Costituzione italiana (art. 32) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 35) e nonostante gli ostacoli legislativi dovuti a norme sempre più escludenti e demagogiche (oltre alla già citata Bossi-Fini, si ricordano gli obbrobri anticostituzionali sanciti dal Decreto Maroni nel 2008).
    Per continuare a sostenere il suo servizio a tutela del diritto alla salute, l’Associazione Ambulatorio Città Aperta ha bisogno di essere sostenuta: per questo ha organizzato un aperitivo di autofinanziamento e tesseramento per sabato 4 maggio 2013 alle 19.30, in Piazza Cernaia 3/6, presso Il Formicaio.
    E’ necessario sostenere il cammino di chi veglia sui diritti fondamentali, per non accorgersi, un giorno, di averli smarriti per sempre.
    (Eleana Marullo)

  • OLI 374: SCHIAVITU’ – A Genova Iqbal ha fatto scuola

    (foto di Giovanna Profumo)

    Mentre la scorsa settimana parte della classe politica italiana offriva ai cittadini uno spettacolo pietoso, a Genova i ragazzi della compagnia teatrale di Enrica Origo, attrice e maestra elementare, mettevano in scena la storia di Iqbal Masih, bambino, operaio, sindacalista, assassinato per il suo impegno contro la schiavitù infantile, il 16 aprile 1996.
    A diciotto anni esatti dalla morte di Iqbal, Genova è tornata Città dei Diritti, dedicando alla memoria di questo stupendo bambino una giornata con tre momenti di riflessione.
    Accanto ad Enrica Origo, regista del racconto teatrale, Ehsan Khan sindacalista pakistano che aveva liberato Iqbal dal fabbricante di tappeti che lo teneva schiavo.
    Quarantatre bambini – età compresa tra dieci e sedici anni – nella sala del Munizioniere di Palazzo Ducale, hanno dato voce alla breve e coraggiosa esistenza di Iqbal, una vita incatenata al lavoro per riscattare un debito contratto dal padre.
    In un mondo possibile, l’assassinio di un dodicenne viene raccontato dai suoi coetanei che, attraverso il

    (foto di Giorgio Bergami)

    teatro, si sono fatti portavoce di migliaia di altri ragazzi schiavi del mercato globalizzato.
    Come vediamo il sole e la luna – ha detto Ehsan Khan a Palazzo Tursi – possiamo riconoscere il problema della schiavitù dei bambini, chiedendoci da dove provengano caffè, banane, diamanti, abbigliamento, succhi di frutta, cellulari, computer, cotone.
    Ehsan Khan ha ricordato la campagna promossa contro i prodotti Apple e contro Al Gore vincitore di un Premio Nobel ipocrita che, secondo il sindacalista pakistano, andrebbe restituito alla luce del ruolo che lo stesso Gore riveste nella compagnia informatica.
    Khan ha, poi, chiesto ai presenti alla conferenza pomeridiana a Palazzo Tursi: Pensate davvero di non avere schiavi? Chi di voi ritiene di non avere schiavi? Ed ha segnalato iniziative ed inchieste promosse dai sostenitori della Global March Against Child Labour e della Slaveryfootprint che, attraverso la rete, favoriscono la crescita di una maggiore consapevolezza di quello che l’infanzia subisce nel mondo.
    (Giovanna Profumo – Foto di Giorgio Bergami e dell’autrice)

    Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento di Camillo Arcuri su Iqbal, che è stato letto da Enrica Origo in occasione della conferenza.


    Siamo parte di una società che si definisce orgogliosamente informata, e non sappiamo niente o quasi della storia di Iqbal Masih. Sono i ragazzi come lui a raccontarci ciò che giornali e telegiornali non ci hanno mai fatto sapere: aveva solo dodici anni Iqbal quando gli hanno sparato, nel suo paese, in Pakistan. Lo hanno ucciso perché il suo esempio era considerato pericoloso. Da chi? Dal monopolio dei tappeti (una mafia diremmo qui), un potere spietato al quale aveva osato ribellarsi, non con le armi, ma semplicemente scappando dal buio di quel medioevo. Era andato all’estero, sottraendosi alla sua sorte di piccolo schiavo, venduto dalla famiglia ai padroni dei telai, e aveva testimoniato sulla tragedia generazionale che condanna migliaia di ragazzini come lui. Le sue parole avevano scosso molte coscienze e le vendite dei tappeti erano calate. Così, quando Iqbal Masih è tornato nel suo villaggio, ha trovato la vendetta in agguato. Con lui non è scomparso il disperato simbolo di riscatto che rappresenta. A rompere il silenzio preteso da tutte le mafie, ci pensa il pellegrinaggio di Ehsan Khan, il sindacalista che gli fu a fianco e che porta nel mondo la voce di Iqbal. Insieme a lui ci sono studenti e insegnanti delle scuole di tanti paesi, un moto spontaneo che a Genova ha trovato una convincente forma di espressione teatrale destinata a riprodursi nel progetto Parlaci di Iqbal che Enrica Origo, attrice, regista e insegnante, sta portando avanti con la sua Compagnia di ragazzi dal 2011. Parlaci di Iqbal non è solo uno spettacolo denso di emozioni; è anche e forse soprattutto un esperimento civile per rispondere al bisogno diffuso di “fare”, andando oltre l’esecrazione. Nel nome del loro coetaneo, eroe ignoto, i ragazzi sono entrati così in un ruolo di “moltiplicatori di consapevolezza”: una piccola lezione utile anche per colmare tanti vuoti mediatici.
    Camillo Arcuri

  • OLI 353 – LAVORO E SICUREZZA: Il ruggito del coniglio

    Questa storia è apparsa sul n. 35 di La Rassegna Sindacale, il settimanale della Cgil. D’accordo con l’autore abbiamo pensato di condividerla con i lettori di OLI
    Nell’immaginario collettivo il padrone cattivo è quello che ti uccide con i suoi fumi tossici, quello che ti spezza la schiena facendoti trasportare a spalla i sacchi di cemento, quello che ti lascia cadere da un ponteggio fuori norma o quello che ti costringe a guidare un camion per 18 ore e che ti porta a schiantarti contro un cavalcavia in autostrada. In effetti è il tuo scarso potere contrattuale che lo permette, ed il fatto di essere parte di una attività lavorativa di piccola dimensione non aiuta: l’impossibilità di manifestare i tuoi diritti, per altro veramente ridotti sempre più all’osso, in un mercato della forza lavoro pieno di contraddizioni e di fame, affogato in una crisi in continua evoluzione, senza prospettive di futuro, sperando solo che accettando il lavoro a rischio tu possa starne fuori ancora un poco, magari sino alla fine. A volte il potere di chi il coltello lo tiene per il manico si manifesta in ambiti che fanno veramente gridar vendetta, anche in ambiti dove tradizionalmente il rischio non è elevato, laddove il potere in se è l’oggetto del contendere, il potere per il piacere di esercitarlo. Si presenta allo Sportello Sicurezza di Genova una lavoratrice per chiedere informazioni ed aiuto, impiegata in un ufficio amministrativo in una azienda con una decina di addetti. Il datore di lavoro è in sede con loro e con lui moglie e figlia. Mentre mi descrive il suo problema osservo un diffuso rash cutaneo, tipo morbillo, su braccia e collo, ha il viso e la fronte gonfi e arrossati. Mi chiede aiuto, anzi conforto e mi spiega che un paio di anni or sono, la figlia del suo datore di lavoro aveva comperato un coniglio, uno di quelli da compagnia, da tenere in giro per casa, ed aveva incominciato a portarselo in ufficio, libero di andare in giro fra scrivanie e server. Di lì a poco incominciarono a manifestarsi i primi segni di una reazione allergica, come quella in opera al momento, ma dopo un paio di giorni di mutua la sua richiesta di allontanarlo venne accolta e il coniglio venne riportato a casa. Benché le manifestazioni allergiche più evidenti cessassero, da allora la lavoratrice incominciò a riconoscersi intollerante a vari alimenti e sostanze. La causa scatenante era stata eliminata, ma era stata innescata una sequenza di sintomi poco piacevoli, non più direttamente collegati, pustole, bruciori e pruriti agli occhi, frequenti starnuti ed altro. Alcuni giorni fa, prosegue nella descrizione la lavoratrice, il coniglio è riapparso, la simpatica famiglia ha fatto sapere che è stato trasferito definitivamente in ufficio, in quanto a casa rosicchia i mobili e sporca. Il risultato è che ora si mangia i mobili dell’ufficio, i faldoni di documenti, lascia ciuffi di pelo ed escrementi sotto le scrivanie, in quanto è libero di girare come e dove e più gli aggrada. Alla lavoratrice rispuntano le manifestazioni allergiche e non le resta che tornare dal medico che, invece di inviarla ad una specifica visita allergologica, le prescrive un paio di giorni di riposo ogni volta per ridurle le manifestazioni. Alla richiesta specifica di allontanamento dell’animale le viene, dalla simpatica famigliola amante degli animali, indicato l’ordine di priorità: prima il coniglio e solo dopo lei. Se l’animaletto tanto caro non le piace, può andarsene. Dispiace che, in questo caso come tante altre volte, non vi siano spazi di contrattazione, certo le abbiamo consigliato visite specialistiche per, a futura memoria, avere traccia e poter fare rivalsa, le abbiamo parlato di rischio biologico, le abbiamo proposto una serie di percorsi formali, le abbiamo garantito, qualora volesse, un intervento nostro o di qualche organismo di controllo, le abbiamo proposto di mangiarsi il coniglio, o di aspettare che incominciasse a rosicchiare i fili elettrici in tensione od ancora di lasciar aperta la porta del giro scale. Ci abbiamo anche riso sopra, ma in effetti ambedue sapevamo che avrebbe dovuto tenersi coniglio ed allergia, almeno sino alla fine della crisi, sino all’ affacciarsi di un nuovo posto di lavoro. Così come quel suo collega che nel cantiere rischia sul ponteggio o respira diossina, certo nell’ottica che il diritto al lavoro sia subalterno al diritto alla salute. Sempre, diritto costituzionale, se hai il potere contrattuale per poterlo pretendere.
    (Aris CapraResponsabile Sportello Sicurezza CDLM Genova – disegno di Guido Rosato)

  • OLI 322: DIRITTI – Cittadinanza, in coda all’Europa

    La Francia ha iniziato ad accogliere gli immigrati negli anni quaranta del secolo scorso, cinquant’anni prima dell’Italia. Gli immigrati in questo paese dovrebbero essere molto più numerosi che in Italia, invece no, abbiamo superato, dal 2009, il numero di immigrati che ci sono in Francia. Un paradosso? No, è solo che in Francia, paese di vecchia immigrazione, i migranti diventano cittadini francesi (come negli altri paesi europei), mentre da noi rimangono per sempre immigrati. Il tasso di acquisizione della cittadinanza in Italia nel 2003 (la percentuale tra il numero dei cittadini stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza ed il numero totale di immigrati residenti) era pari a 0,9% (il più basso in Europa) contro il 4.5% della Francia, il 4.7% della Gran Bretagna ed il 7% della Svezia.   
    La nostra legge sulla cittadinanza è tra le più arretrata in Europa soprattutto perché prevale in essa l’elemento familiare (jus sanguinis), mentre l’elemento territoriale (jus soli) è molto marginale, ed anche perché non garantisce la certezza del diritto: infatti la sua concessione resta un atto discrezionale.
    Un dato del 2004 (uno dei pochissimi disponibili in rete) dice che, in quell’anno, sono state presentate 30.637 istanze di cittadinanza delle quali sono state accolte soltanto 11.934 (9.988 delle quali per matrimonio, 78,2% presentate da donne immigrate, e 1.946 per motivi di residenza).
    La riforma urgente della legge sulla cittadinanza dovrebbe prevedere che tutti coloro che nascono in Italia da genitori immigrati abbiano diritto alla cittadinanza italiana indipendentemente dalle “colpe”, dal reddito e dalla situazione di soggiorno dei genitori.
    I termini necessari alla presentazione della domanda vanno riportati da dieci a cinque anni di “soggiorno”, non di “residenza”; la precisazione è necessaria perché, in non pochi casi, occorrono fino a dieci anni di soggiorno regolare per accumulare cinque anni di residenza, a causa della poca conoscenza della burocrazia italiana da parte degli immigrati, soprattutto nei primi anni di presenza in Italia. L’acquisizione della cittadinanza non dovrebbe essere vincolata al reddito, perché così si escludono i poveri,  come accadeva secoli fa. I respingimenti delle domande di cittadinanza per motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica devono essere infine esplicitati in maniera trasparente.
    Nel caso di coniugi e genitori di cittadini italiani, regolarmente soggiornanti in Italia da un certo numero di anni e senza pendenze penali, dovrebbe essere introdotto un meccanismo che garantisca automaticamente questo diritto.
    I tempi di risposta alla domanda di cittadinanza sono attualmente lunghissimi, circa tre/quattro anni. Ci vogliono tempi più ragionevoli, e sarebbe opportuno introdurre il principio del silenzio-assenso.
    (Saleh ZaghloulDisegno di Guido Rosato)

  • OLI 321: CITTA’ – Il terzo settore giovedì 24 novembre in piazza

    Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

    Il Forum regionale e provinciale del Terzo Settore, rappresentante delle organizzazioni senza fini di lucro operanti nei servizi di assistenza, invita la cittadinanza a partecipare alla manifestazione che si svolgerà nel pomeriggio di giovedì 24 novembre in Piazza De Ferrari.
    Lo scopo è quello di difendere i Servizi Pubblici dai tagli feroci che il Governo Berlusconi ha inflitto alla spesa sociale, alle Regioni e ai Comuni.
    Con questi tagli si colpiscono le persone della nostra città che hanno più bisogno di aiuto – poveri, disabili e anziani, giovani e bambini in gravi difficoltà – e si colpiscono anche i lavoratori che se ne occupano.
    Migliaia di genovesi resteranno senza assistenza, centinaia di operatori perderanno il lavoro.
    La manifestazione vuole allora fare sentire la loro e la nostra voce verso il Comune e la Regione, ma soprattutto verso il Governo.

    La manifestazione del 4 novembre 2011. Vedi OLI 275 e OLI 277

    Il Circolo Oltre il giardino, che ha promosso a Genova il 4 novembre dello scorso anno una manifestazione con la stessa finalità, appoggia il Forum del Terzo Settore e chiede a coloro che hanno risposto all’appello del 2010 di scendere in piazza anche questa volta.
    Lo scorso anno il Comune e la Regione disponevano ancora delle risorse sufficienti per non chiudere i Servizi, ma nel 2012 se non cambieranno le scelte del Governo non saranno più in grado di farlo, nonostante la buona volontà che hanno fino ad ora dimostrato.
    La mobilitazione del 2010 aveva impegnato il Comune a ricostruire i servizi genovesi in base alle proposte della rete di persone e organizzazioni che vi avevano aderito, sottoscrivendo un nuovo patto di cittadinanza. Le proposte, nella forma di 100 Tesi per rinnovare i Servizi Sociali, sono state
    consegnate al Comune nel mese di giugno. Molte delle indicazioni che vi sono contenute richiedono impegni che le ultime decisioni del Governo Berlusconi rendono indispensabili.
    Il Circolo propone al Comune, alla Regione e al Terzo Settore di approfondire una proposta avanzata anche dallo stesso Comune di Genova. Se essa venisse realizzata potrebbe ancora una volta mantenere in vita la maggior parte dei servizi genovesi nonostante la gravità e l’emergenza della situazione attuale.
    Si tratta di:
    – concentrare le risorse comunali a favore dei servizi per i minori in
    difficoltà e per le povertà estreme e
    – di coordinare le risorse della Regione, dell’ASL 3, della Provincia, dello stesso Comune, in accordo con i sindacati, la cooperazione, il volontariato, l’associazionismo, le Fondazioni e in primo luogo le stesse famiglie, per estendere l’assistenza domiciliare per tutti coloro che ne hanno bisogno.
    Il Circolo si mette a disposizione per contribuire a rendere praticabile questa proposta e invita le parti interessate ad essere finalmente capaci di agire insieme, non solo per superare questo momento di grande difficoltà ma anche per costruire un sistema di servizi migliore di quello che abbiamo fino ad ora sperimentato.
    (Il Circolo Oltre il giardino)

  • OLI 321: BIOETICA – Le frontiere della Cei non si negoziano, l’orgoglio laico sì

    Foto tratta da infosannio.com (****) 

    Sul Sole 24 ore on line (*) del 19 novembre l’articolo sul convegno di “Scienza e vita” ha un incipit interessante: “Città del Vaticano. Tutti d’accordo: si è trattato di una coincidenza davvero provvidenziale. Nel giorno in cui il governo Monti è entrato nella pienezza dei suoi poteri, i segretari e leader dei partiti della nuova maggioranza si sono trovati insieme. Davanti al presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco. A parlare di bioetica”.
    Al di là dei toni “da lectio magitralis, pacati e alti”, le poste in gioco sono il progetto di legge sul fine vita e la mai chiusa questione dell’aborto, temi su cui la chiesa non ammette mediazioni.
    Infatti, il cardinale ha precisato che “La categoria della mediazione è uno strumento indispensabile dentro la pluralita’ delle opinioni … Ma non su tutto ci può essere mediazione, ci sono delle frontiere oltre le quali questa categoria non può essere utilizzata. In particolare sui valori. Quando questi valori sono costituitivi mediare significa andare contro l’umanita’ dell’uomo” – Adnkronos (**)
    E i leader politici cosa hanno detto?
    Alfano (*) ha difeso “L’agenda bioetica” del governo Berlusconi (Ndr: quella che ha prodotto la legge 40/2004 sulla procreazione assistita, e un disegno di legge che annulla di fatto la validità del testamento biologico).
    Casini afferma che “Il governo guidato da Monti può offrire una grande opportunità per trovare una maggiore coesione rispetto a temi che spesso dividono” (*). E precisa: “Sul fine vita c’è un’amplissima maggioranza e in questa legislatura la legge è assicurata. Però bisogna stare attenti, abbiamo l’interesse a consolidare il consenso per evitare che si cambi ad ogni legislatura. Non perdiamo l’occasione irripetibile che abbiamo oggi” – L’Unità (***)
    Quanto a Bersani afferma di essere pronto al confronto “da laico adulto e orgoglioso”.
    Dai frammenti del suo intervento riportati sui siti citati non riesco però a capire di che esattamente stia parlando. Magari è una mia difficoltà soggettiva. Magari è l’approssimazione delle cronache. L’impressione è comunque quella di una preoccupante inadeguatezza a sostenere le ragioni dei laici, e i diritti delle donne, in questo durissimo confronto.
    Perché, ad esempio, di fronte ad un presidente della Curia che insiste sui valori non negoziabili, primo tra tutti “la vita umana dal suo concepimento alla sua fine naturale”, Bersani afferma, senza i necessari chiarimenti, di essere “un appassionato del pensiero di Ratzinger”? Perché Bersani dice “di non permettersi” di commentare la prolusione di Bagnasco? Perché sostenere che la paura per una “morte irta di tubi” non è motivata dalla paura della sofferenza, ma dalla perdita di dignità? Perché togliere legittimità ad una laica, umana, compassionevole paura per la sofferenza per sé e per gli altri? Perché non affermare invece con chiarezza, in quella sede, che non ha più alcun senso oggi parlare di “fine naturale” della vita?
    Se questa è la solidità filosofica e culturale che dovrebbe sostenere le ragioni del sentire laico nei confronti dell’agguerritissimo fronte ecclesiale, meglio non lanciarsi nelle innovazioni legilsative.
    (*) http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-11-19/bagnasco-riunisce-leader-vita-081151.shtml?uuid=Aa2cjoME
    (**)  http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Bioetica-Card-Bagnasco-difesa-vita-e-primo-valore-da-cui-discendono-altri_312660160598.html
    (***) UNITA’ http://www.unita.it/italia/casini-apre-al-pd-fare-br-insieme-legge-sul-fine-vita-1.354282
    (****) http://infosannio.wordpress.com/2011/10/03/e-ufficiale-rifanno-la-dc/
    (Paola Pierantoni)

  • LE CARTOLINE DI OLI 6: SOCIETA’ – Il lusso tra diritti e privilegi


    E’ apparsa anche per le strade di Genova la campagna pubblicitaria della nuova Lancia Ypsilon. Protagonista l’attore francese Vincent Cassel, già interprete maschile del film “Il cigno nero”, nel ruolo dello spregiudicato e sadico coreografo. La campagna è realizzata dall’Agenzia Marco Testa. Singolari tre elementi. Il primo che dopo aver imposto la rinuncia a molti diritti ai propri dipendenti, il gruppo Fiat se ne esca, a ferite aperte, con una pubblicità di questo tipo. Il secondo che – in tempi di tagli, finanziarie, sacrifici – la casa automobilista evochi il lusso come diritto. Il terzo che ci si rivolga agli strati più colpiti dalla crisi con un messaggio pubblicitario che tende a cancellare preoccupazioni reali facendo leva sul sogno di far parte di élites che non conoscono crisi, precariato, disoccupazione. Cose che capitano in un mondo in cui privilegi e diritti vengono quotidianamente confusi fino a smarrirne il significato. Vincent Cassel nel film il Cigno Nero condurrà la protagonista al suicidio. Il cartellone è stato fotografato a Genova Campi.

    (Giovanna Profumo)