Categoria: Palazzo Ducale

  • OLI 416: CITTÀ – Quale promozione turistica?

    “A POCHI MINUTI DA / A FEW MINUTES FROM / PALAZZO DUCALE”, esclama un grande pannello sistemato da non molto nel cortile minore di Palazzo Ducale a Genova – quello che affaccia su piazza De Ferrari, di grande passaggio – con una pianta semplificata del centro cittadino.
    Vi sono evidenziati alcuni importanti poli culturali, con linee rosse che suggeriscono i percorsi per raggiungerli e, nella fascia in basso, indicazioni pratiche sulla localizzazione, gli orari di apertura, le distanze e i tempi per raggiungerli a piedi o in autobus. Sono citati anche i due organismi che hanno prodotto tale informazione: “Genova Palazzo Ducale – Fondazione per la Cultura” e “Genova Musei”, che fa capo all’Assessorato alla Cultura e Turismo del Comune.
    Compaiono solo complessi museali, oltre ovviamente lo stesso Palazzo Ducale. Una scelta di campo limitata, che sulle prime può apparire riduttiva, ma che in fin dei conti è condivisibile, in una città antica che è un unico grande monumento in cui c’è molto altro da trovare, conoscere e godere, la cui presentazione avrebbe però creato qui un farraginoso sovraccarico di dati e annullato l’efficacia di questo sintetico strumento promozionale.
    Fissiamo pure l’attenzione sui musei, come luoghi in cui si concentrano variegate testimonianze del passato e del presente, lasciando la scoperta di tutto il resto all’autonomia dei visitatori.
    Ma perché soltanto questi?
    Vediamo infatti il Museo del Risorgimento, i Musei di Strada Nuova, il Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone, il Museo di Sant’Agostino, il Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce; oltre all’Acquario di Genova, anch’esso a pieno titolo museo naturalistico, con animali vivi e non imbalsamati. E basta, in una città con ben altra ricchezza di strutture analoghe.

    Non è difficile immaginare il criterio col quale sono stati selezionati: salvo prova contraria, si tratta degli unici musei civici presenti nell’area rappresentata e gestiti direttamente ed esclusivamente dal Comune; a parte il Ducale – dove ci si trova – e il famoso Acquario, che in virtù di un’eccellente strategia promozionale è ancor oggi impropriamente considerato da molti, fuori Genova, il principale motivo – se non l’unico – per venire da noi e quindi può anche starci, come riferimento e rimando di grande notorietà.
    Se davvero è così, il pannello in questione risulta indecente, irritante e inaccettabile.
    Vogliamo promuovere la città nel suo insieme, o soltanto un settore della sua amministrazione?
    Intendiamo privilegiare le esigenze dei visitatori e dell’intera collettività, o soltanto di coloro che si occupano di una parte dei beni accessibili al pubblico – di cui non sono proprietari, ma gestori per conto della comunità – e che hanno prodotto questo invito?
    Ai turisti, e anche ai residenti, interessa poco sapere se il tale museo fa capo al Comune piuttosto che allo Stato, o a una realtà ecclesiastica o privata, se non come informazione accessoria che arricchisce la conoscenza storica, ma non incide sulla sua sostanza di tessera di un vasto mosaico, la quale ha senso anche e soprattutto nel suo rapporto organico con tutto il resto, poco importa quale sia l’ente che se ne cura.
    Dov’è il Museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, appena al di là della piazza? Che fine ha fatto il Galata Museo del Mare, comunale ma con una gestione a sé stante che tocca anche la vicina Commenda di Prè? E il Museo del Tesoro di San Lorenzo, gioiello di fama mondiale tra gli addetti ai lavori, condiviso da Comune e Curia arcivescovile? E il Museo Diocesano? E il complesso conventuale e museale di Santa Maria di Castello? E il Museo dei Beni Culturali Cappuccini? E la magnificenza delle Gallerie nazionali di Palazzo Spinola e Palazzo Reale, proprietà dello Stato e non del Comune? E il Museo Luzzati a Porta Siberia? E la Villa del Principe, tuttora degli eredi di Andrea Doria?
    Solo per citarne alcuni.
    Continueremo a fare poca strada, se ciascuno continuerà a farla nel proprio carrugio.
    (Ferdinando Bonora – fotografie dell’autore)

  • OLI 410: PAROLE DEGLI OCCHI – L’attaccapanni

    (Foto di Ferdinando Bonora)
    Genova, Palazzo Ducale: mercatino di antiquariato, sabato 5 luglio 2014.
  • OLI 357: LIBRI – L’altra metà del libro

    L’altra metà del libro, il festival di quelli che leggono“: questo è stato il titolo, suggestivo, della serie di eventi organizzati da Genova Palazzo Ducale e dal Centro Culturale Primo Levi, svoltisi tra venerdi 16 e domenica 18 novembre scorsi: incontri con scrittori (Daniel Pennac, Alberto Manguel, Ian McEwan per citarne solo alcuni), laboratori per le scuole, appuntamenti dedicati a bambini da 8 a 12 anni, concerti e proiezioni.
    L’idea di fondo, recita il programma del festival, è “la partecipazione del lettore, nel dialogo con grandi autori”: proprio da questo spunto è partito l’incontro con lo scrittore spagnolo Javier Cercas (Soldati di Salamina, Il nuovo inquilino, Anatomia di un istante alcuni dei suoi romanzi pubblicati in Italia), per il quale “un libro è un mucchio di carta senza un lettore, è come una partitura che va interpretata, esistono tante Divine Commedie quanto ne sono i lettori”.

    Javier Cercas con Bruno Arpaia

    Si definisce uno scrittore con la bussola, non ha l’intero romanzo ben definito prima di iniziarne la scrittura, perché, dice citando Orhan Pamuk, “scrivere un libro è come scavare un pozzo con un ago”, in ogni romanzo sta nascosta una domanda, di cui viene cercata la risposta dall’inizio alla fine, ma l’essenza del romanzo consiste nel non dare una risposta precisa, qui sta il contributo di ogni lettore. Da questo la dimensione morale e politica della letteratura, un libro non è solo belle parole, non è solo un gioco ma, come disse Kafka, “un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi”.
    Felice interludio tra gli incontri con gli autori, sullo schermo posto nella Sala del Maggior Consiglio, scorrono le splendide, poetiche immagini di The Fantastic Flying Books of Mr. Morris Lessmore, cortometraggio di animazione vincitore del premio Oscar 2012. Se il programma del festival si concludeva con la frase: “Tre giorni che ricorderemo. E sarà bello esserci”, ora, con le immagini, le parole, i volti degli autori incontrati nella memoria, possiamo confermare: è stato bello esserci, speriamo di esserci anche i prossimi anni.
    (Ivo Ruello – foto dell’autore) 

  • OLI 347: PORTO ANTICO E DUCALE – 1992/2012, il lato oscuro di un anniversario

    Il 20 maggio, in giorni tormentati dalla bomba di Brindisi e dal terremoto, si sono celebrati, in forma minore, i venti anni del Porto Antico e del Ducale.
    Ma il maggio del 1992, insieme a queste belle novità, aveva portato a Genova anche un fenomeno molto diffuso nel mondo, e poco piacevole: il repulisti della città da quel che poteva fare disordine, non essere in sintonia con la festa.
    Ad esempio gli immigrati.
    Ho tra le mani alcuni documenti che ricordano quel che avvenne: due articoli (“Le retate sulla pelle” sul Secolo XIX e “Vogliono renderci invisibili” su Il Lavoro del 12 maggio 1992), il testo della “lettera aperta” che in quei giorni scrissero alla città di Genova i rappresentanti delle comunità immigrate, e una nota molto preoccupata che le segreterie di Cgil, Cisl, Uil inviarono al Prefetto, al Questore e al Sindaco, in allora il socialdemocratico Romano Merlo.

    Diceva il documento degli immigrati: “Le retate di Colombo, tempi duri per i neri: così titolavano i giornali genovesi di sabato 9 maggio 1992, in riferimento alle operazioni di controllo precolombiane da parte delle forze dell’ordine in corso in questi giorni nei confronti dei cittadini immigrati … in questi giorni nella città storica vengono controllati coloro che hanno la pelle nera, coloro che hanno un aspetto diverso. Vengono fermati i ‘neri’ ed accompagnati nelle caserme. Anzi, non solo i neri!! Si vuole che per un po’ di tempo diventino ‘invisibili’ tutti gli emarginati. Questo è un obiettivo diverso dal dare risposte alla sicurezza collettiva. E poi una città militarizzata è un po’ inquietante per tutti. … Noi viviamo il 1992 come un’occasione per riaffermare la necessità di costruire un mondo nuovo, multiculturale, città della convivenza pacifica e democratica tra diversi, ed è ciò che stiamo costruendo insieme ai cittadini genovesi che hanno una tradizione di solidarietà e di accoglienza”.
    Gli anni 1992 e 1993 furono per Genova anni difficili, segnati da gravi episodi d’intolleranza verso gli immigrati. Ci ha salvato una rete di associazioni che è riuscita a stabilire un ponte tra gli immigrati che non sapevano niente di noi, e noi che non sapevano niente di loro, supplendo a quello che il pubblico non faceva, e incalzandolo a fare: informazione, insegnamento dell’italiano, assistenza nelle procedure burocratiche, assistenza sanitaria, iniziative culturali.

    Nel 1989 si costituisce il Coordinamento delle associazioni degli immigrati extracomunitari, nel 1990 nascono gli Uffici Immigrati della Cgil, della Cisl e della Uil; nel 1992 si inaugura il Centro Servizi Integrato della Federazione Regionale Solidarietà e Lavoro e nel 1994 l’Ambulatorio internazionale di Città Aperta; negli stessi anni operano in città Auxilium Caritas, Città Aperta, Sant’Egidio, il Grappolo, l’Arci … realtà che operano singolarmente ma anche – quel che più conta – in continua relazione tra loro, e infatti nel 1995 si costituisce il Forum Antirazzista di Genova, che vivrà fino al 2001, quando gli venne tolta la parola dagli stessi sindacati che ne facevano parte, spaventati da quel che poteva avvenire nella Genova militarizzata del G8 (vedi Oli 310)
    Per restituire alla città la sua storia gli anniversari vanno ricordati per intero.
    (Paola Pierantoni – Foto dell’autrice)

  • OLI 344: CITTA’ – Palazzo Ducale, quando va in scena il sogno

    Domenica 20 maggio: nel salone del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale a Genova, il Teatro Tascabile di Bergamo (TTB) mette in scena “Valse”, spettacolo di strada in cui quattro donne e quattro uomini su trampoli ballano con la musica di Strauss e Puccini. Il TTB, fondato nel 1972 da Renzo Vescovi, ha un ricco repertorio, articolato tra teatro di sala, spettacoli di strada, progetti per le scuole, al suo attivo vanta numerose tournée in Italia e nel mondo. Queste informazioni, tratte dal sito del TTB, non rendono però assolutamente merito ad uno spettacolo come “Valse”, né tantomeno possono restituire la magica e poetica atmosfera che ha conquistato domenica il pubblico di Palazzo Ducale. Nel salone del Maggior Consiglio lo spazio è in gran parte tenuto vuoto, destinato agli attori-danzatori della compagnia, mentre il folto pubblico, seduto, in piedi, a terra, accalca l’esigua porzione rimasta: inizia la musica, otto “giocolieri” fanno il loro ingresso, poco di meno di quattro metri di altezza ciascuno, figure deformate dalla vita in giù, gli abiti da sera nascondono i trampoli arrivando quasi fino a terra, ad altezza “umana”, dove altri due attori della compagnia, un maestro di cerimonia ed una fanciulla con un enorme palloncino, costituiscono quasi un trait d’union tra noi e loro: lassù va in scena un ballo, si balla, si scherza, ci si ubriaca, si cambia partner, il tutto con movimenti ora flessuosi ora acrobatici che metterebbero in difficoltà molti dei nostri “normali” arti inferiori, dotati di banali calzature, magari firmate.
    All’improvviso, un lieve imprevisto, la fanciulla col palloncino scivola, cade nel mezzo del salone, si rialza immediatamente, non è successo nulla, ma la caduta pare accrescere la distanza tra il cielo e la terra, solo un “umano” può inciampare, lassù resta l’eleganza irreale dei ballerini, i profili stagliati contro il soffitto del salone. Un amico, all’uscita, li definirà “trampolieri”, termine suggestivo, che ben definisce gli artisti che domenica ci hanno regalato un sogno.
    (Ivo Ruello, foto internet)

  • OLI 299: EVENTI – Will & Kate, papa beato e mondo senza Dio

    Nei giorni scorsi si sono prodotti gli show planetari del royal wedding di William Windsor con Kate Middleton e della beatificazione di Karol Woitiła, eccellentemente orchestrati tra folle in delirio e sventolii di bandiere. Tanto di cappello per le spettacolari scenografie, i costumi, le coreografie e gli accompagnamenti musicali frutto di saperi accumulati in secoli di esperienza.

    Ottimi pretesti per tentare un rilancio, con eventi di grande impatto emotivo, di due istituzioni – la monarchia britannica e la chiesa cattolica romana – che negli ultimi tempi non pare godano di ottima salute presso l’opinione pubblica mondiale e in particolare delle rispettive nazioni, nonostante – per quanto riguarda il nostro paese – le continue e ostentate genuflessioni delle autorità civili ai poteri religiosi.
    Nello spettacolo papale, la perla è stata l’entrata in scena – dopo il lento sollevarsi del sipario che ha scoperto l’effigie del nuovo beato – di due suore recanti il reliquiario del suo sangue: una provetta di un prelievo ematico effettuato a suo tempo al malato pontefice, previdentemente messa da parte e ora incastonata in una preziosa montatura esposta alla feticistica venerazione dei fedeli.
    A fronte di tanta commozione e devozione, c’è un’Italia miscredente e laicista che sta per tenere a Genova “In un mondo senza Dio” (“In a Godless World”), convegno internazionale sulle concezioni etiche non confessionali, che si terrà a Palazzo Ducale e al Politeama Genovese dal 6 all’8 maggio 2011.
    Un’importante opportunità di conoscenza e riflessione sulla possibilità – e il dovere – di condurre la propria vita elaborando la propria morale in modo autonomamente responsabile, a prescindere da quanto preconfezionato e imposto da altri presumendo che esista una divinità di cui si debbano esaudire i voleri.
    L’iniziativa è stata organizzata – nell’ambito della Federazione Umanista Europea – dall’Uaar, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, che “ha scelto la città di Genova per lo spirito laico che l’ha sempre caratterizzata e per la benevola accoglienza che l’amministrazione pubblica ha sempre dimostrato nei confronti delle sue iniziative”.
    Conferenze, dibattiti, tavole rotonde e seminari vedranno impegnate personalità del calibro di Giulio Giorello, Telmo Pievani, Paolo Flores d’Arcais, Margherita Hack, Nicola Piovani e molti altri.
    Un’occasione da non perdere.

    Il volantino-programma:

    Il programma dettagliato:
    Il sito dell’Uaar, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti:
    Il sito della Federazione Umanista Europea:
    I momenti salienti della cerimonia di beatificazione (15’02’’):

    La videocronaca completa del matrimonio reale (1h42’18’’):


    (Ferdinando Bonora)

  • OLI 298: STORIA – La guerra di un soldato in Cecenia

    Arkadij Babčenko pare un foglio bianco. E’ inespressivo come una statua. I ricordi a cui accenna lo trapassano come brevi note informative che non sembrano avere a che fare con la sua vita. Laddove il termine “sua” implica relazioni affettive, emozioni, dolore e felicità. E’ stato invitato a Palazzo Ducale, il 15 aprile, nell’ambito di La Storia in Piazza per presentare il libro La guerra di un soldato in Cecenia (ed. Mondadori)

    L’incontro è stato fortemente voluto dal Comitato per la pace nel Caucaso e dall’associazione Mondo in cammino. Accanto a Babčenko, Lucio Caracciolo e la traduttrice del libro Maria Elena Murdaca.
    L’autore racconta di esser partito di leva, in Siberia, a diciassette anni. Passati sei mesi, con altri compagni, viene convocato dai superiori: “Andrete a servire al Sud. Lì fa caldo, ci sono le mele. Vi piacerà” . Che il frutteto fosse la Cecenia è stato detto loro all’ultimo momento. Era il 1996. Arkadij Babčenko spiega ai presenti l’assenza di tempo, l’impossibilità di uno spazio per farsi domande sulle ragioni della guerra. “Ci sei e devi pensare solo a sopravvivere”. E guarda il pubblico “quando una persona è stata in guerra cambia la sua psicologia, la sua coscienza rimane in guerra, torna solo il corpo. Vai in giro per questo mondo, lo guardi e non capisci niente. Ci sono due ore di volo tra Mosca e la Cecenia. A due ore di distanza da Mosca ci sono montagne di cadaveri che bruciano”.
    Ma Babčenko ci tornerà una seconda volta. Da volontario. “Siamo tornati a migliaia. Era come una droga. La guerra è come un virus. Siamo tutti portatori sani. E’ la cosa più bella che mi è capitata, ma anche la più brutta”. Racconta del nonnismo “che nella prima guerra Cecena aveva superato i limiti” e dei battaglioni penali. Della moralità e della spietatezza capaci di animare lo stesso individuo in una logica capovolta per la quale quello che da noi è inaccettabile in guerra diventa normale. Ci tornerà da corrispondente di guerra nel 2002 e nel 2003 . Babčenko parla di un conflitto che si è esteso ad altre repubbliche caucasiche e di una Cecenia dominata Kadyrov “personaggio singolare, fatto a modo suo, un tagliatore di teste, imposto dal Cremilino, uno che ha ucciso tutti i suoi oppositori”.
    Il quadro che offre dell’opinione pubblica russa è desolante: “la maggior parte è convinta che abbiano fatto bene ad ammazzare la Anna Politkovskaja” e racconta del preoccupante aumento dei movimenti neofascisti, insieme all’integralismo islamico.
    Oggi Babčenko è giornalista del Novaja Gazeta . Elenca sulle dita della mano i 6 colleghi uccisi negli ultimi 11 anni, ultima vittima una stagista del quotidiano, due anni fa.
    L’autore si occupa della rivista letteraria Isskustvo Voynj – L’Arte della Guerra, uno spazio “dei veterani e per i veterani” in cui grazie alla scrittura ci si racconta, e si prova a guarire dalla guerra.
    (Giovanna Profumo)
  • OLI 298: MOSTRE – Mafalda al Ducale

    Mafalda sono io.
    O meglio, così mi sono sentita venerdì 15 aprile dopo aver fatto un salto a Palazzo Ducale.
    Consapevole che la mostra Mediterraneo era prossima alla chiusura, ho deciso – per evitare le code del week end – di munirmi per tempo dei biglietti.
    Al bookshop di Palazzo Ducale vengo informata che loro non gestiscono la mostra e sono indirizzata al piano superiore. Lì mi comunicano che se desidero prenotarmi per i giorni successi devo telefonare al numero 0422 429999 – disattivo sabato e domenica – o prenotare sul sito htpp://www.lineadombra.it, pagando con carta di credito.
    Viene tassativamente esclusa la possibilità di prenotarsi e comprare il biglietto seduta stante.
    Uscendo dalla biglietteria scorgo Luca Borzani, presidente di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura. Lo avvicino con piglio determinato chiedendogli ragione di tale follia.
    Io sono qui ed ora. Perché non posso prenotarmi e pagare adesso?
    Questa è la regola. Mi risponde lui. Regola ampiamente condivisa da molte organizzazioni di mostre in Italia.
    Ma i vecchi? Come fanno gli anziani?
    I vecchi, mi sento rispondere, vengono alla mostra senza alcuna difficoltà.

    Ma anche se la regola è condivisa, non è detto che sia saggia. E mi viene in mente il lampionaio del Piccolo Principe che, in base alla consegna, spogliatosi del suo senso critico, si ritrova ad accendere e spegnere il lampione, anche se il moto del suo pianeta è follemente accelerato.
    A me non va giù. E mi sento come Mafalda. Sgarrupata e inutile nel mio insistere.
    Ma Luca Borzani è paziente. E mi fa notare che questa mostra non mi costa nulla come contribuente, mentre mi ostino a voltarmi verso il cartellone tariffe, dicendo che invece mi costerà 10 euro. Ma lui mi ricorda che io, come contribuente, non pagherò nulla. E chiede se sono, o non sono consapevole del fatto che se vado a vedere l’Opera – a Genova il capitolo sarebbe bene non aprirlo – pago un biglietto che copre solo in parte gli oneri accessori dell’evento. Perché il resto lo pagano i contribuenti. Mi invita, infine, a visitare la mostra durante la settimana.
    Borzani ha un distacco e una flemma che solo pochi… e il tono moderato e uniforme dovrebbe indurre a pacatezza anche il profugo tunisino. Se non fosse che ciò che dice mi pare lontano anni luce da quanto vorrei fosse detto da un politico così navigato.
    Provo a formulare un’ipotesi del tutto personale:
    “Signora, so che questa delle prenotazioni è una sciocchezza. E farò il possibile affinché in futuro questo non accada”.
    Per Habemus Papam nessuna difficoltà ad acquistare il biglietto al botteghino il sabato per la domenica successiva. Ma quello è cinema.
    (Giovanna Profumo)